martedì 23 maggio 2023

Onere processuale di contestare fatti specifici e analitici

 Sentenza del Tribunale Torino sez. I, 01/03/2023, (ud. 28/02/2023, dep. 01/03/2023), n.909

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Nel presente giudizio F. s.r.l. citava in giudizio L. N. Film s.r.l. esponendo: 1) di essersi accordata con la convenuta in data 17.09.2020 per la produzione associata di un film denominato 'L'uomo che disegnò Dio'; 2) che i termini contrattuali previsti per le varie fasi della realizzazione del film non furono rispettati a causa delle restrizioni derivanti dall'emergenza Covid, da qualificare come forza maggiore; 3) di aver nelle more sostenuto spese preparatorie per E 49.521,04; 4) che la convenuta, tuttavia, contestandole vari inadempimenti fra cui quello di non aver iniziato le riprese del film nei tempi concordati, risolse il contratto, realizzando il film con altro soggetto; 5) di voler pertanto ottenere la restituzione di quanto corrisposto per conto della convenuta, anche a titolo di arricchimento senza causa; 6) in occasione delle note scritte in vista della prima udienza di trattazione l'attrice in via di reconventio reconventionis domandava il risarcimento dei danni patrimoniali e d'immagine, pari ad E 53.000,00.


L. N. Film s.r.l., quindi, costituitasi in giudizio, chiedeva il rigetto dell'avversaria domanda, rilevando: 1) che l'attrice si era resa inadempiente nell'effettuare gli incombenti necessari per la realizzazione del film, mettendo a rischio l'ottenimento dei contributi statali già richiesti, al contrario di parte convenuta; 2) di aver pertanto inviato apposite diffide ad adempiere (in data 09.12.2020 ed in data 02.02.2021), con conseguente risoluzione di diritto del contratto; 3) che dal mese di settembre 2020 non vigeva più una legislazione emergenziale che impedisse di realizzare il film; 4) la non debenza delle somme chieste a titolo di arricchimento ingiustificato, posto che l'importo di E 30.000,00 di quanto richiesto costituiva in realtà il rimborso delle spese sostenute dalla convenuta per la sviluppo e la pre-produzione del film, posto che E 2.513,60 rappresentano le tasse di registrazione dei contratti presso l'Ufficio delle Entrate e posto che le ulteriori spese allegate non erano riferibili alla produzione del film ed erano state corrisposte a terzi; 5) di aver patito dei danni dal momento che l'attrice si era impegnata a sostenere i costi di produzione del film non coperti dai contributi pubblici, sino ad un massimo di E 222.000,00, sicché risultava in concreto risarcibile il danno per il compenso per la produzione che l'attrice aveva riconosciuto alla convenuta, pari ad E 99.520,00, e ad altri danni minori ancora, per un totale di E 108.024,51, somma che veniva elevata con la memoria n. 1 ad E 181.224,51 alla luce dei costi di post produzione sostenuti dalla convenuta ma che sarebbero dovuto essere a carico dell'attrice alla luce delle considerazioni che precedono.


La causa giungeva infine a decisione, senza l'ammissione delle prove richieste dalle parti.


2) Nel merito il Tribunale osserva quanto segue.


Le parti avevano concordato la realizzazione in comune del film 'L'uomo che disegnò Dio' con contratto del 17.09.2020 che prevedeva determinate tempistiche per l'avanzamento del film (inizio riprese entro fine 2020, fine riprese febbraio 2021, montaggio entro aprile 2023 e copia campione entro il termine definito essenziale del maggio 2021), tempistiche che spettava a F. garantire essendo lei, in concreto, il soggetto che doveva realizzare il film.


Ciò non è quindi pacificamente avvenuto, secondo F. a causa delle restrizioni alla possibilità di girare i film imposti dalla normativa emergenziale anti-Covid, mentre secondo la convenuta sarebbe stato possibile girare il film, con conseguente inadempimento grave dell'attrice, come sanzionato dalle diffide ad adempiere inviate, con conseguente risoluzione di diritto del contratto.


Il film, alla fine, è stato girato dalla convenuta in proprio, utilizzando un proprio marchio quale apparente produttore ('L'altro film'), il che vuol dire che tutte le spese necessarie per la realizzazione alla fine sono state sostenute direttamente da L. N. Film, sicché non può essere condivisa la tesi di F. secondo cui sarebbe stato un altro produttore (ovvero una società terza) a sostenere i costi di produzione: pag. 9 conclusionale): così evidentemente non è, visto che 'L'altro film' è semplicemente un marchio di L. N. Film.


Dunque, tutti i costi per la realizzazione del film allegati dalla convenuta sono riconducibili alla stessa convenuta.


3) Va quindi esaminata in primo luogo la questione relativa alla responsabilità contrattuale di F., che sta alla base della legittimità della risoluzione contrattuale intimata da parte convenuta e della correlata domanda risarcitoria formulata da L. N. Film, che ha affermato di aver dovuto sostenere per la produzione del film delle spese che in base all'accordo sarebbero state di competenza di F. o di non aver ricevuto i compensi pattuiti.


Ovviamente, trattandosi di domanda risarcitoria, la condanna dell'attrice presuppone un inadempimento della stessa, con conseguente legittimità della risoluzione del contratto intimata da parte convenuta a mezzo di diffida ad adempiere.


Ritiene, quindi, il Tribunale che F. si sia resa inadempiente agli obblighi contrattualmente assunti, che le imponevano, sostanzialmente, di compiere le operazioni necessarie per la realizzazione del film.


Ora, posto che il mancato adempimento è non contestato, va valutato se la giustificazione addotta dalla difesa di F. valga ad esonerarla da ogni sindacato di colpa.


L'attrice, infatti, afferma di non aver dato inizio alla realizzazione del film a causa della normativa emergenziale anti-Covid esistente, il che varrebbe come causa di forza maggiore.


Tale giustificazione ad avviso del Tribunale non è condivisibile.


Al riguardo va premesso che il contratto è stato stipulato nel mese di settembre 2020, allorquando era già esistente la normativa emergenziale, sicché F., quale professionista, era perfettamente consapevole del contesto normativo in cui avrebbe dovuto realizzare il film: deve pertanto ritenersi, anche per il principio di autoresponsabilità ed in un'ottica di interpretazione secondo buona fede, che essa ritenesse di essere in grado di rispettare le tempistiche per la realizzazione del film concordate con la società convenuta.


Successivamente alla stipulazione del contratto, in effetti, F. non ha allegato l'insorgere di nuovi interventi normativi che avrebbero reso impossibile la realizzazione del film, limitandosi sul punto ad affermazioni del tutto generiche.


In effetti, l'attività cinematografica, dal mese di settembre 2020 in poi, poteva essere eseguita pur con le dovute cautele, come chiaramente dimostrato dai documenti prodotti da parte convenuta (doc. 17, 18 e 19), anche in forza di un protocollo sanitario settoriale stipulato nel mese di luglio 2020 (doc. 33 parte convenuta).


Del resto, le attività di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi, aventi codice ATECO 59.11.00, non venivano sospese nemmeno nelle c.d. 'zone rosse' dal DPCM del 03.11.2020 (doc. 15, colore che dal 03.11.2020 al 28.11.2020 contraddistingueva la Regione Piemonte, ove doveva essere effettuata la maggior parte delle riprese).


In particolare, in Piemonte sono state registrate molte produzioni (tra film e serie televisive anche italiane, e quindi non solo kolossal hollywoodiani, come invece affermato da F.) proprio nel periodo temporale in cui F. avrebbe dovuto realizzare il film oggetto di causa: si veda sul punto il doc. n. 42 di parte convenuta.


Nel caso di specie, quindi, l'inadempimento è stato pressoché totale, non avendo F. neppure compiuto le attività preparatorie di natura contrattuale ed amministrativa, come tali del tutto insensibili alle emergenze sanitarie (che comunque non impedivano di girare).


Ad esempio, F. non ha provveduto (si riprende, in modo parziale, l'elenco delle contestazioni svolte dalla convenuta): 1) a scontare presso gli istituti bancari i contratti ed i bandi forniti dalla L. N. Film, ovvero anticipare le somme necessarie a coprire l'intero costo del film ed ottenere così la liquidità necessaria per l'inizio delle riprese; 2) ad anticipare il 'tax credit' al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo ed a presentare la documentazione necessaria per dare avvio alla produzione del Film; 3) ad assolvere gli obblighi e le incombenze necessarie affinché il Film potesse beneficiare del credito di imposta alla produzione e della concessione del contributo selettivo (3.b. iii del contratto); 4) a far sottoscrivere il contratto all'attore Kevin Spacey ed al suo Agente Società Cangrande, provvedendo al versamento dell'acconto pari al 20% del compenso complessivo in favore del primo e pari al 50% in favore del secondo; 5) a far sottoscrivere alla L. N. Film il contratto per la consulenza artistica ed editoriale del signor L. N. (quale Produttore Creativo del film), corrispondendo allo stesso un acconto pari al 20% del compenso pattuito, ossia E 50.000,00 come da art. 3.c del contratto 2;


6) a corrispondere alla L. N. Film l'importo Iva portato dalla fattura n. 14 del 22.09.2020; 7) a versare l'acconto di E 10.000,00 a favore del regista e attore F. N. dovute per il differimento dell'inizio delle riprese; 8) ad assumere il personale necessario alla scenografia entro il 14.12.2020; 9) a versare l'anticipo del fabbisogno di scena entro il 14.12.20; 10) a concludere l'accordo contrattuale per la Location del film entro il 04.12.2020 per poter iniziare le riprese prima della fine dell'anno e così via.


Alcuni di questi inadempimenti sono stati pure espressamente riconosciuti da F. (doc. n. 3 di parte convenuta) ad inizio del mese di novembre 2020.


Le polizze assicurative a tutela del cast, inoltre, potevano essere stipulate, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di F., tanto che successivamente esse sono state stipulate direttamente dalla convenuta, come emerge dal doc. n. 32 da questa prodotto, che non è una mera proposta di L. N. Film, ma il contratto che risulta sottoscritto anche da un broker assicurativo (dal che si deduce che l'attore F. N. era assicurabile malgrado l'età avanzata, contrariamente a quanto sostenuto dall'attrice).


Alla luce di un così radicale inadempimento diviene allora irrilevante sapere se l'attrice Thurman poteva o non poteva essere effettivamente assoldata, o se uno specifico direttore della fotografia non voleva impegnarsi temendo il contagio (ma tale evento non era certo ostativo alla realizzazione del film tanto la stessa F. era alla ricerca di un altro direttore della fotografia):


F., infatti, era colpevolmente in ritardo sull'intera organizzazione del film.


La proposta di F. di iniziare la realizzazione del film come da pec inoltrate nel mese di aprile 2021 è pertanto del tutto tardiva, in quanto avvenuta quando il contratto era già stato legittimamente risolto a seguito dell'inoltro della diffida ad adempiere datata 02.02.2021 di cui al doc. n. 7 di parte attrice.


Il contratto, pertanto, è stato legittimamente risolto dalla convenuta alla luce dell'inadempimento pressoché totale di F. in relazione alle tempistiche di realizzazione del film ed in relazione al compimento di tutte quelle attività che sono necessarie per iniziare le riprese.


4) Quanto ai danni che la convenuta L. N. Film reclama, va detto che F. si era obbligata a sostenere il costo di produzione e di post-produzione del Film (art. 3.b.i) e nel caso di insufficienza dei contributi derivanti dalle Fonti di copertura (ossia il Credito Imposta Produzione, il Contributo Selettivo a fondo perduto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Contributo derivante dal Bando della Regione Piemonte e quello di Rai Cinema), l'attrice avrebbe dovuto sostenere le ulteriori somme necessarie per la realizzazione del lungometraggio (art. 4.a e 4.b).


Fatta questa premessa in diritto, va quindi detto che le Fonti di copertura della produzione del film sono state pari ad E 1.270.000,00, sicché la differenza rispetto al budget previsto per la produzione (E 1.492.000,00) è pari ad E 222.000,00.


Ciò posto, va detto che L. N. Film ha allegato e documentato di aver sostenuto spese non coperte dalle Fonti di copertura per un determinato importo, rispetto a cui parte attrice ha svolto solo due difese.


La prima è irrilevante, perché basata sull'assunto dell'assenza di inadempimento da parte dell'attrice avendo questa formulato proposte per la realizzazione del film nel mese di aprile 2021, ma a quella data il contratto era già stato legittimamente risolto dalla convenuta.


Con la seconda difesa F. allega 'la mancata prova del danno e l'indeterminatezza delle allegazioni' e null'altro: trattasi di difesa manifestamente generica ed infondata.


Circa la determinatezza delle allegazioni, infatti, parte convenuta ha dettagliato quali sono stati i costi sostenuti o i mancati introiti, specificando la somma di E 73.200,00 per la post produzione visiva con realizzazione VFX; la somma di E 99.520,00 che F. avrebbe dovuto corrispondere alla convenuta a titolo di Producer Fee, ossia il compenso per la produzione, in forza dell'art. 3.d. e 5.b; la somma di E 835,71, a titolo di interessi sul Fido Bancario per E 650.000,00 che la convenuta ha dovuto richiedere alla Banca Alpi Marittime in sostituzione di F.; l'IVA della fattura n. 14 del 22.09.2020 emessa dalla L. N. Film a F., pari ad E 6.600,00, IVA che non è mai stata corrisposta da F. con la conseguenza che l'imposta per il valore aggiunto è stata versata direttamente dalla convenuta; le spese per la tutela legale stragiudiziale, pari ad E 1.068,80, per un totale complessivo di E 181.224,51 di danni correlati all'inadempimento di F..


Dunque, contrariamente a quanto genericamente sostenuto dalla difesa attorea, L. N. Film ha compiutamente allegato i danni lamentati, producendo altresì la relativa documentazione a supporto.


Ebbene, rispetto a tale allegazione e produzione documentale, la contestazione attorea si palesa del tutto generica e come tale essa è del tutto irrilevante, dovendosi infatti ricordare che 'la parte nei cui confronti vengano allegati determinati fatti in modo analitico e specifico ha l'onere, qualora detti fatti rientrino nella sua sfera di conoscibilità, di contestarli in modo altrettanto specifico, fornendo la propria versione ed indicando fatti diversi, contenenti precisi riferimenti, che li smentiscano. Tenendo presente che il grado di specificità della contestazione deve essere valutato in concreto in relazione alle singole controversie potendo variare a seconda del livello di conoscenza del fatto da parte del soggetto nei cui confronti è allegato e a seconda della precisione del fatto allegato dalla controparte una contestazione generica produce l'effetto, proprio per la sua genericità, di determinare una relevatio ab onere probandi e di rendere i fatti allegati pacifici' (Trib. Monza, 05/01/2011; Cass. civ., Sez. lavoro, 15/04/2009, n. 8933).


In altre parole, 'il convenuto, ai sensi dell'art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di "non contestazione" a seguito della modifica dell'art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la "sussistenza dei presupposti di legge" per l'accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che l'assicuratore designato dal fondo vittime della strada non avesse contestato la circostanza che il responsabile del sinistro fosse privo di copertura assicurativa, attesa l'inidoneità della generica eccezione di mancanza dei presupposti previsti dalla legge affinché l'impresa designata potesse essere convenuta in giudizio)':


Cassazione civile, sez. III, 06/10/2015, n. 19896; Cassazione civile sez. I, 09/08/2019, n. 21227).


A ciò si aggiunga che 'in materia di prova civile, la generica deduzione di assenza di prova senza negazione del fatto storico non è equiparabile alla specifica contestazione di cui all'art. 115 c.p.c.' (Corte di Cassazione, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17889 del 27/08/2020).


La non contestazione specifica, peraltro, non riguarda solamente le voci di danno lamentate dalla convenuta, ma anche il budget ed il piano finanziario del film come allegati già con la comparsa costitutiva.


Alla luce di quanto precede, pertanto, il danno patito dalla convenuta deve essere riconosciuto nella misura dalla stessa indicato.


5) Parte attrice, inoltre, nel corso del giudizio ha formulato in occasione della prima udienza (note scritte) una domanda risarcitoria qualificata reconventio reconventionis rispetto alla domanda di risarcimento del danno formulato da L. N. Film.


Tale domanda, pertanto, ha un oggetto diverso dalla domanda di rimborso delle spese sostenute inizialmente formulata, avendo ad oggetto il risarcimento del danno patrimoniale e di immagine subito.


Come meglio chiarito con la memoria n. 1 attorea, 'la domanda riguarda il mancato guadagno di F. che è stato illegittimamente introitato dalla L. N. Srl quest'ultima e la società 'L'ALTRO FILM' si è appreso essere la stessa cosa'.


Parte convenuta ha contestato l'ammissibilità della suddetta domanda in quanto F. avrebbe potuto formularla sin dall'atto di citazione (come dimostrato dal fatto che in tale atto l'attrice si fosse riservata la proposizione in altro giudizio della domanda risarcitoria), non dipendendo dalla domanda riconvenzionale della convenuta.


Ora, che F. avrebbe potuto formulare sin dall'atto di citazione la domanda formulata alla prima udienza è indubbio, ma ciò non implica l'inammissibilità della domanda riconvenzionale, la cui ammissibilità va valutata semplicemente alla luce del fatto se essa dipenda dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale (Cassazione civile sez. II, 25/02/2019, n.5415).


Nel caso concreto la domanda risarcitoria formulata da parte attrice si pone in risposta alla domanda risarcitoria formulata da parte convenuta: tale domanda, dunque, è fondata sul medesimo contratto dedotto in giudizio ed è volta ad una definizione globale degli assetti economici derivanti dal citato contratto, e come tale deve essere considerata ammissibile.


Essa, tuttavia, è radicalmente infondata sia perché, come visto nei paragrafi che precedono, la responsabilità per la risoluzione del contratto è da addebitare a F. (e dunque la parte inadempiente non è legittimata a chiedere il risarcimento del danno in quanto danno 'giusto' e non ingiusto), sia per totale mancanza di elementi di prova a suo supporto, il che impedisce pure la liquidazione in via equitativa, mancando anzi addirittura le necessarie allegazioni degli elementi costitutivi dei danni patiti.


Parte attrice, nel caso di specie, neppure ha allegato quali sarebbero gli elementi costitutivi o di prova, anche presuntivi, di tale danno, il quale non può ritenersi sussistente in re ipsa.


Infatti, è stato ad esempio recentemente affermato che 'in tema di responsabilità civile, il danno all'immagine ed alla reputazione (nella specie, "per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi"), in quanto costituente "danno conseguenza", non può ritenersi sussistente "in re ipsa", dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento'(Cassazione civile sez. VI, 28/03/2018, n. 7594); si veda anche Cassazione civile sez. II, 09/11/2018, n.28742 secondo cui 'il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato "in re ipsa", ma deve essere provato secondo la regola generale dell'art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell'alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto. Ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico').


Tale deficit allegatorio e probatorio impedisce, pertanto, pure di procedere a una liquidazione in via equitativa.


Quanto precede vale pure per i danni patrimoniali asseritamente patiti da F. a titolo di mancato guadagno causati dalla mancata realizzazione del film: anche in relazione a tale tipologia di danno, infatti, la mancanza di allegazioni specifiche sulle modalità di calcolo del danno si palesa radicale, nulla avendo F. allegato e prodotto, il che impedisce pure di procedere ad una liquidazione equitativa del danno.


Infatti, 'l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare, ciò che non esime, però, la parte interessata per consentire al giudice il concreto esercizio di tale potere, la cui sola funzione è di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso dall'onere di dimostrare non solo l'"an debeatur" del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi "in re ipsa", ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui, nonostante la riconosciuta difficoltà, possa ragionevolmente disporre. (Così statuendo, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, reiettiva della domanda risarcitoria per difetto di prova del "quantum", non avendo il danneggiato prodotto in giudizio la documentazione fiscale e contabile, successiva all'evento dannoso, che attestasse la lamentata riduzione dei ricavi conseguenza dello stesso)': Cassazione civile sez. III, 17/10/2016, n. 20889; Cass. civ., Sez. II, 07/06/2007, n. 13288).


6) F., infine, con la domanda iniziale ha chiesto il pagamento delle somme che essa afferma aver sostenuto per la realizzazione del film, somme di cui la convenuta si sarebbe pertanto avvantaggiata dopo la risoluzione del contratto.


Il contratto, in effetti, deve ritenersi definitivamente risolto in quanto, quand'anche la diffida ad adempiere inviata dalla convenuta non fosse ritenuta valida, in ogni caso esso sarebbe divenuto impossibile da eseguirsi posto che alla fine il film è stato realizzato senza l'intervento di F..


La risoluzione del contratto, quindi, ha effetti restitutori ex artt. 1458 e 1463 c.c. (ogni pagamento effettuato diviene indebito e va pertanto restituito, il che opera anche a favore della parte inadempiente) e risarcitori (ovviamente, solamente a favore della parte non inadempiente, posto che il risarcimento del danno presuppone l'individuazione di un soggetto colpevole).


Infatti, 'l'efficacia retroattiva della risoluzione, per inadempimento, di un contratto preliminare


comporta l'insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell'obbligo di restituire le prestazioni ricevute, rimaste prive di causa, secondo i principi della ripetizione dell'indebito ex art. 2033 c.c., e, pertanto, implica che il promissario acquirente che abbia ottenuto la consegna e la detenzione anticipate del bene promesso in vendita debba non solo restituirlo al promittente alienante, ma altresì corrispondere a quest'ultimo i frutti per l'anticipato godimento dello stesso' (Cassazione civile sez. II, 30/11/2022, n. 3528).


L'iniziale domanda attorea di rimborso/restituzione, dunque, deve essere assunta nell'ambito applicativo della ripetizione dell'indebito a seguito del venire meno del vincolo contrattuale.


In altre parole, le spese che parte attrice deduce aver versato direttamente alla convenuta sono astrattamente ripetibili alla luce del venir meno del vincolo contrattuale.


L'azione di ripetizione, tuttavia, ha natura personale, e quindi può essere rivolta esclusivamente nei confronti della controparte contrattuale che ha ricevuto il pagamento.


Le somme corrisposte a terzi nell'interesse della convenuta, dunque, non possono essere oggetto della domanda di ripetizione.


Tuttavia, l'azione di ripetizione non è l'unica a disposizione del contraente a seguito della risoluzione del contratto.


Infatti, 'in presenza di indebito oggettivo la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione eseguita e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole degli art. 2033 ss. c.c., operando altrimenti - ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l'azione generale di arricchimento prevista dall'art. 2041 c.c.' (Cassazione civile sez. III, 15/04/2010, n. 9052).


L'azione di ingiustificato arricchimento è infatti contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l'inammissibilità ogni qualvolta il danneggiato, per farsi indennizzare del pregiudizio subito, possa esercitare, tanto contro l'arricchito che nei confronti di una diversa persona, altra azione, secondo una valutazione da compiersi in astratto e prescindendo, quindi, dal relativo esito (Cassazione civile sez. I, 20/11/2018, n. 29988).


Nel caso di specie, quindi, parte attrice in relazione alle somme corrisposte a terzi nel dichiarato interesse della convenuta non può rivolgere verso costoro alcuna domanda, dal momento che le predette somme hanno remunerato prestazioni lavorative effettivamente rese dai citati terzi, ragion per cui astrattamente la domanda azionabile verso L. N. Film è quella di arricchimento, che pure è stata indicata quale possibile causa petendi.


L'arricchimento, infatti, può essere costituito anche da un risparmio di spesa posto che 'a norma dell'art. 2041 c.c. a fronte di un vantaggio economico e di un corrispondente depauperamento, in assenza di un contratto o di un atto di liberalità o di una disposizione di legge, in assenza dunque di uno specifico mezzo, già predisposto dal legislatore, è possibile ricorrere all'azione residuale di arricchimento senza causa ex artt. 20412042 c.c.. Per configurare la fattispecie dell'arricchimento senza causa occorre che una parte abbia conseguito un vantaggio patrimoniale (arricchimento inteso anche nel senso di risparmio di spesa o di perdita evitata) con contestuale impoverimento dell'altra parte, che può concretarsi anche nella perdita o mancato utilizzo di un bene, o nel mancato pagamento di una prestazione. Vi deve essere pertanto tra i due eventi (locupletazione/depauperamento) un nesso di causalità inteso anche nel senso che deve sussistere un unico fatto che genera lo squilibrio patrimoniale' (Cassazione civile sez. I, 04/09/2013, n. 20226).


In altre parole, 'i presupposti per l'esercizio dell'azione di ingiustificato arricchimento sono rappresentati dall'unicità del fatto da cui deriva la locupletazione di un soggetto, dalla correlativa diminuzione patrimoniale di un altro e dall'assenza di una causa idonea a giustificarle: la proponibilità dell'azione va comunque esclusa qualora la parte alleghi di aver subito un mancato guadagno, più che un depauperamento patrimoniale effettivo e concreto' (Cass., n. 5690/2011).


Fatta questa premessa in linea generale, va quindi detto che nel caso di specie nessuna delle somme richieste in restituzione da parte attrice può esserle riconosciuta in quanto, qualora ciò avvenisse, la convenuta vedrebbe accrescersi il delta fra costo del film e Contributi pubblici, delta che, tuttavia, secondo le previsioni contrattuali, erano a carico di F..


In altre parole, dal momento che le somme oggetto della domanda principale di parte attrice sono eccedenti rispetto ai contributi pubblici ricevuti da L. N. Film, esse non possono essere retrocesse a F. in quanto, se ciò fosse disposto, la convenuta vedrebbe aumentato il danno di cui ha chiesto ristoro in questa sede.


Ed infatti a titolo di risarcimento del danno la convenuta ha ottenuto, tra l'altro, l'importo dell'Iva da lei versata al posto di F. in relazione alle medesime fatture di cui F. ha chiesto il rimborso del capitale: se l'Iva deve stare a carico di F. (con conseguente condanna al risarcimento del danno dell'attrice per non aver corrisposto l'Iva), allo stesso modo anche il capitale, altrimenti la convenuta vedrebbe aumentare il suo danno, e tale ragionamento vale per tutte le somme chieste in restituzione da F..


Anche questa domanda formulata da parte attrice, dunque, deve essere rigettata.


7) Alla luce di quanto precede, pertanto, può essere accolta solamente la domanda della convenuta volta al pagamento della somma di E 181.224,51 a titolo di risarcimento del danno contrattuale, oltre interessi ex art. 1284 c.c., comma 1 e non 4 trattandosi di obbligazione di valore, e con rivalutazione (riconoscibile anche d'ufficio trattandosi, per l'appunto, di obbligazione di valore) con decorrenza, in via equitativa, dalla data della domanda giudiziale (non tutte le voci di danno si sono verificate nello stesso momento, sicché in via equitativa viene stabilita una decorrenza comune dalla data della domanda giudiziale) e sino alla data della sentenza, quando sulla somma così ottenuta decorreranno gli interessi ex art. 1284 c.c., comma 1.


8) Le spese del presente giudizio seguono la complessiva soccombenza di parte attrice, venendo liquidate ex DM n. 55/2014 come modificato dal DM n. 147/2022 (il cui art. 6 prevede che 'Le disposizioni di cui al presente regolamento si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore') in conformità ai parametri medi (scaglione sino ad E 260.000,00):


PQM

P.Q.M.

Il Tribunale di Torino,


in composizione monocratica,


definitivamente pronunciando,


disattesa ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione,


nel contraddittorio delle parti,


Rigetta le domande tutte formulate da F. s.r.l.


Condanna F. s.r.l. a pagare a L. N. Film s.r.l. a titolo di risarcimento del danno la somma di E 181.224,51 oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici dei prezzi per le famiglie di operai ed impiegati ed interessi legali ex art. 1284 c.c., comma 1, sulla somma anno per anno rivalutata, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale e sino alla data della sentenza, quando sulla somma così ottenuta decorreranno gli interessi ex art. 1284 c.c., comma 1.


Condanna F. s.r.l. alla refusione delle spese di lite a favore di L. N. Film s.r.l., spese che si liquidano in E 14.103,00 a titolo di compenso ed in E 759,00 a titolo di esposti non imponibili, oltre contributo forfetario, Iva e Cpa come per legge e successive occorrente.


Così deciso in Torino il 28.02.2023.


Depositata in cancelleria il 01/03/2023


venerdì 19 maggio 2023

responsabilità professionale sanitaria, nel quadro anteriore alla legge n. 24/2017

 Tribunale Napoli sez. VIII, 10/02/2023, (ud. 09/02/2023, dep. 10/02/2023), n.1499

Fatto

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., notificato in data 29/03/2018 unitamente al decreto di fissazione della prima udienza, Li. Lo. evocava in giudizio l'Azienda Ospedaliera Universitaria dell'Università degli studi della Campania “Luigi V..”, per ottenerne la condanna al risarcimento di asseriti danni derivanti da responsabilità professionale sanitaria.

Più in particolare, parte ricorrente deduceva che:


- Dal 23/11/2010 al 24/12/2010 Li. Lo. si ricoverava presso il reparto di fisiopatologia chirurgica dell'apparato digerente dell'Azienda Ospedaliera Universitaria - Seconda Università degli Studi di Napoli, oggi Università degli Studi della Campania Luigi V.., a causa di una neoplasia della giunzione gastro-esofagea, rivelatasi poi un adenocarcinoma;

- Presso la predetta struttura, il Li. era sottoposto ad intervento chirurgico di gastrectomia totale con anastomosi esofago-digiunale;


- In seguito, il Li. si recava esclusivamente presso l'ambulatorio dello stesso nosocomio con cadenza settimanale, ove si sottoponeva a controllo clinico e medicazioni del sito chirurgico, fino alla completa guarigione della ferita chirurgica;


- Nei giorni successivi all'intervento chirurgico, e per circa tre mesi, il Li. manifestava una profonda astenia che era tuttavia ricondotta dai sanitari esclusivamente ai postumi dell'intervento stesso;


- Solo il 27/01/2012, in occasione di un prelievo ematico di controllo, emergeva la positività del Li. per anticorpi anti HCV, sintomo di contagio da virus dell'epatite C;


- Il ricorrente deduceva che, nei mesi precedenti all'intervento chirurgico presso la struttura sanitaria resistente non si era mai sottoposto ad alcuna pratica chirurgica o trasfusionale potenzialmente idonea a determinare il contagio; inoltre, in data 25/11/2010 praticava lo screening ematico preoperatorio per la ricerca dell'antigene e del virus dell'epatite B (HbsAg) e degli anticorpi contro il virus dell'epatite C (HCV Ab) che risultavano entrambi assenti, né durante il ricovero subiva emotrasfusioni;


- In ragione di tanto, sempre secondo quanto dedotto dal ricorrente, il contagio virale si sarebbe collocato nel periodo compreso tra l'intervento chirurgico di gastrectomia e la guarigione della ferita chirurgica, durante cui era in cura, in via esclusiva, presso il reparto di fisiopatologia chirurgica dell'apparato digerente della AOU Luigi V..;


- Ancora, deduce il ricorrente, il contagio potrebbe essersi collocato in tre distinte occasioni, ossia: a) intervento chirurgico; b)medicazioni o altre manovre assistenziali effettuate durante la degenza; c) medicazioni periodiche effettuate dopo la dimissione e fino alla definitiva guarigione della ferita chirurgica; e sarebbe stato provocato, secondo la ricostruzione del ricorrente, dall'inosservanza di procedure standard oppure da inadeguata decontaminazione, disinfezione o sterilizzazione del materiale utilizzato;


- In conseguenza dell'epatite C cronicizzata il Li., secondo la rispettiva tesi e la CTP offerta, avrebbe subito un danno permanente alla salute, quantificabile in misura percentuale tra il 15 ed il 20%, oltre ai danni morali; attesa l'età al tempo dei fatti (78), il risarcimento spettante ammonterebbe ad € 53.442,00, oltre personalizzazione e danno morale;


- In data 10/03/2017 il Li. promuoveva procedura di mediazione, ai sensi dell'art. 5, co. 1- bis, d. lgs. 28/2010, nei confronti dell'A.O.U. “Luigi V..”, conclusasi con esito negativo per mancata adesione della struttura convenuta.


Tanto premesso, il ricorrente rassegnava le seguenti conclusioni: “Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, provvedere come appresso: 1) previo accertamento di esclusiva responsabilità nella causazione dell'evento de quo condannare la Azienda Ospedaliera Universitaria - Università degli Studi della Campania “Luigi V..” - già seconda Università degli Studi di Napoli - in persona del legale rappresentante p.t. al risarcimento in favore del sig. Li. Lo. del danno biologico permanente subito nella misura accertata nella consulenza medica di parte e così come sopra quantificato in € 53.442,00 oltre personalizzazione e danno morale, il tutto maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria, ovvero nella diversa, maggiore o minor misura che mergerà dalla espletanda CTU medico legale”, il tutto con vittoria di spese e competenze del giudizio, da attribuirsi al procuratore antistatario.


Con comparsa di costituzione e risposta del 27/04/2018 si costituiva l'Azienda Ospedaliera Universitaria dell'Università degli Studi della Campania “Luigi V..”, la quale eccepiva l'improcedibilità del ricorso, in quanto non preceduto da procedura di ATP ai sensi dell'art. 8, l. 24/2017; chiedeva, nel merito, il rigetto delle avverse pretese in quanto infondate e non provate.


All'udienza del 07/05/2018 il Giudice, rilevato l'omesso esperimento di procedura per accertamento tecnico preventivo, assegnava alle parti il termine di 15 giorni per l'instaurazione della stessa, trattandosi di contenzioso soggetto alla novella di cui alla l. 24/2017.


Con ricorso ex art. 696-bis, c.p.c., Li. Lo. instaurava il procedimento di istruzione preventiva rubricato con n. R.G. 14784/2018, nell'ambito del quale era espletata CTU sui fatti indicati in premessa.


Proseguito, conseguentemente, il presente giudizio, all'udienza del 15/02/2021 il Giudice disponeva il mutamento del rito, assegnando alle parti termine per il deposito di memorie istruttorie.


Con comparsa ex art. 302 c.p.c., del 10/06/2021, si costituivano Li. Fi. e Li. Ma., n. q. di eredi legittime di Li. Lo., del quale dichiaravano la morte. Queste chiedevano l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate nel ricorso introduttivo, esercitando in via ereditaria l'asserito diritto risarcitorio del Li..


All'udienza del 06/10/2022 il Giudice introitava la causa a sentenza, con concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.


Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La decisone della controversia in esame impone di ripercorrere il regime della responsabilità professionale sanitaria, nel quadro anteriore alla legge n. 24/2017. Infatti, come chiarito dalla Suprema Corte (Cfr. Cass. 28994/2019), l'applicazione della disciplina di cui alla legge Gelli va confinata alle fattispecie sorte dopo la relativa entrata in vigore. Depongono in tal senso il principio generale di irretroattività della legge (art. 11 disp. prel. cod. civ.), nonché l'esigenza di tutelare l'affidamento ingenerato nei consociati relativamente agli elementi costitutivi della fattispecie, incisi da interventi legislativi ad essa posteriori. La legge n. 24/2017, infatti ha innovato la qualificazione della responsabilità del personale operante nel quadro di una struttura sanitaria, con importanti ricadute in materia di prescrizione e ripartizione degli oneri probatori. Prima del menzionato intervento legislativo, la giurisprudenza di legittimità riconduceva la responsabilità professionale medica al genus di quella contrattuale, sia per l'ente sanitario, sia per i professionisti inseriti nella relativa organizzazione o, a maggior ragione, operanti privatamente. Tale arresto risultò il frutto della dialettica tra diverse ricostruzioni ermeneutiche. Infatti, un primo indirizzo inquadrava l'accettazione del paziente presso un ente sanitario quale conclusione di un contratto di prestazione d'opera, al quale restavano estranei i sanitari che effettuassero la prestazione, i quali, pertanto, potevano essere chiamati a rispondere solo a titolo extracontrattuale (cfr. Cass. 1716/1979). Un secondo orientamento argomentava l'estensione al professionista, operante nell'ente sanitario, della responsabilità contrattuale facente capo alla struttura per il caso di inadempimento della prestazione, sulla base del rapporto di immedesimazione organica e del dettato dell'art. 28, cost. (cfr. Cass. 2144/1988). In tempi più recenti, emerse un filone interpretativo incentrato sugli obblighi di protezione scaturiti dal contatto con il paziente, relativi alla salvaguardia degli interessi emergenti in occasione della prestazione sanitaria. A partire da tali obblighi di protezione, si argomentava la sussistenza di un rapporto contrattuale di fatto, con conseguente attivazione dei presidi di tutela corrispondenti (cfr. Cass. 589/1999). Proprio tale tesi, fondata sulla figura del “contatto sociale”, risultò prevalente, con la conseguenza di modulare sia la prescrizione, sia gli oneri probatori gravanti sul danneggiato, secondo il modello della responsabilità contrattuale (cfr. Cass. 1547/2004, Cass. 9085/2006, Cass. 4792/2013). Ancora, ne fu conseguenza l'adozione, quanto alla diligenza e al grado della colpa, dei principi in materia di obbligazioni da contratto d'opera intellettuale professionale (Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in motiv.; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; 14 luglio 2003, n. 11001; 21 luglio 2003, n. 11316, in motiv.).


Sotto il profilo della responsabilità dell'ente sanitario, non se ne dubitava la natura contrattuale, potendo essa discendere dall'inadempimento di prestazioni direttamente a suo carico, o dall'inadempimento della prestazione medica eseguita dal personale (tra le prime pronunce in merito cfr. Cass. 1° marzo 1988, n. 2144, in Foro It., 1988, I, 2296, poi confermata da Cass. 4 agosto 1988, n. 6707; Cass. 27 maggio 1993, n. 5939; Cass. 11.4.1995, n. 4152; Cass. 27 luglio 1998, n. 7336; Cass. 2 dicembre 1998, n. 12233; Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in motiv.; Cass. 1° settembre 1999, n. 9198; Cass. 11 marzo 2002, n. 3492; Cass. 14 luglio 2003, n. 11001; Cass. 21 luglio 2003, n. 11316, in motiv; Cass. 4 marzo 2004, n. 4210; Cass. 14 luglio 2004, n. 13066; Cass. 23 settembre 2004, n. 19133). La giurisprudenza riconosceva la responsabilità piena ed autonoma dell'ente sanitario per i danni provocati dai propri dipendenti e, più in generale, da coloro che operassero nella struttura; responsabilità imputabile all'azienda indipendentemente dall'accertamento in concreto della responsabilità individuale dei singoli agenti. In particolare, la responsabilità dell'ente gestore per il fatto del personale, si fondava sull'operatività dell'art. 1228 c.c., e, dunque, sull'assunzione del rischio d'impresa connesso all'attività degli operatori concretamente investiti dell'esecuzione della prestazione, indipendentemente dall'inserimento di questi nell'organizzazione aziendale e dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass. 103/1999, confermata sul punto da S.S. U.U. 9556/2002). In conclusione, tanto la responsabilità della clinica, quanto quella del medico, trovavano titolo nell'inadempimento delle obbligazioni ai sensi degli artt. 1218 ss. cod. civ. (v. Cass., 19/4/2006, n. 9085; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., 11/3/2002, n. 3492; Cass., 22/12/1999, n. 589). In punto di allocazione della responsabilità, per i danni derivati dall'inadempimento di contratti diversi, ossia il contratto di spedalità facente capo alla casa di cura ed il contatto sociale qualificato instauratosi con il medico, questi sono corresponsabili in solido. Infatti, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se l'unico evento dannoso è imputabile a più soggetti, è sufficiente, al fine di ritenere la responsabilità di tutti nell'obbligo di risarcimento, che le azioni o omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento (Cass. 15/06/1999, n. 5946; Cass., 28 gennaio 1985, n. 488; Cass., 4 dicembre 1991, n. 13039; Cass., 10 dicembre 1996, n. 10987). Ciò discende dai principi generali che regolano il nesso di causalità ed il concorso di cause egualmente efficienti della produzione di un determinato danno, esplicitati, in materia di responsabilità extracontrattuale, dall'art. 2055 c.c. (cfr. Cass. 23918/2006). Come già sottolineato, l'art. 1228 c.c. addossa alla struttura sanitaria i rischi connessi all'operato degli ausiliari, per il sol fatto dell'appropriazione dei risultati utili della prestazione. La misura della colpa dell'operatore rileva, al più, ai fini dell'esperibilità e della misura della rivalsa dell'ente, ma non può essere invocata per eludere la solidarietà esterna nei confronti del danneggiato. Più specificamente, nel rapporto interno tra la struttura sanitaria e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere ripartita in misura paritaria secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2, e 2055, comma 3, c.c., in quanto la struttura accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale. È ammessa la rivalsa integrale solo qualora l'ente sanitario dimostri un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione (in tal senso Cass. 28987/2019). La qualificazione in termini contrattuali della relazione qualificata ente sanitario - paziente e medico - paziente genera importanti ricadute in tema di onere probatorio. Dalla detta natura contrattuale in un recente passato conseguiva sotto il profilo dell'onere probatorio (Cass., 15 gennaio 1997, n. 364, in Foro It., 1997, I, 771) che, qualora il trattamento o l'intervento non fossero di difficile esecuzione, il mero aggravamento della situazione patologica del paziente o l'insorgenza di nuove patologie eziologicamente collegabili ad essi comportava, a mente dell'art. 1218 c.c., una presunzione semplice in ordine all'inadeguata o negligente prestazione; in conseguenza, il paziente che chiedeva il risarcimento del danno subito assolveva all'onere probatorio che gli incombeva dimostrando:


a) l'aggravamento delle sue condizioni o l'insorgenza di nuove patologie;


b) il rapporto causale tra le stesse ed il trattamento o l'intervento.


Spettava, quindi, all'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - fornire la prova che la prestazione professionale fosse stata eseguita in modo idoneo e che quegli esiti peggiorativi fossero stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile. Si faceva in altre parole applicazione del principio (già affermato nel diritto anglosassone) della res ipsa loquitur inteso come evidenza circostanziale che crea una deduzione di negligenza (Cass., 22 gennaio 1999, n. 589). L'onere della prova veniva quindi ripartito tra le parti nel senso che spettava al medico provare che il caso fosse di particolare difficoltà e al paziente quali fossero le modalità di esecuzione inidonee, ovvero a questi spettava provare che la prestazione fosse di facile esecuzione ed al medico che l'insuccesso non fosse dipeso da suo difetto di diligenza (Cass. 19 maggio 1999, n. 4852; Cass. 4 febbraio 1998, n. 1127; Cass. 30 maggio 1996, n. 5005; Cass. 16 febbraio 2001, n. 2335; 16 novembre 1988, n. 6220). I risultati sopra riassunti sono stati, però, riletti dalla più recente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 28 maggio 2004, n. 10297, nonché, in senso sostanzialmente conforme, le successive Cass. 11 giugno 2004, n. 11488, e Cass. 29 luglio 2004, n. 14488; Cass. 23 settembre 2004, n. 19133) in coerenza con il principio enunciato in termini generali dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533, in tema di onere della prova dell'inadempimento e dell'inesatto adempimento. Con la richiamata pronunzia le Sezioni Unite hanno risolto un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici in tema di onere probatorio in materia contrattuale, che vedeva attestata la giurisprudenza su una distinzione basata sull'oggetto della domanda: si riteneva, cioè, che, nel caso in cui chiedesse l'esecuzione del contratto e l'adempimento delle relative obbligazioni, l'attore dovesse provare soltanto la fonte del rapporto dedotto in giudizio, ossia l'esistenza del negozio e quindi dell'obbligo che assumeva inadempiuto; mentre nel caso in cui avesse domandato la risoluzione del contratto ovvero il risarcimento del danno dovesse provare anche il fatto su cui la domanda era fondata, ossia l'inadempimento, spettando al convenuto di dare la prova della non imputabilità di esso (Cass., 9 gennaio 1997, n. 124; Cass., 24 settembre 1996, n. 8435). Tale orientamento, tuttavia, è stato sottoposto a rigorosa critica, osservandosi come la distinzione fra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale implichi oneri probatori diversi circa l'individuazione dei fatti costitutivi della pretesa, rimanendo così irragionevole differenziare l'onere probatorio in funzione delle differenti domande che l'attore intendesse proporre in via contrattuale; e ciò anche perché il criterio della cd. vicinanza della prova, secondo cui l'onere della prova di un fatto deve essere posto a carico della parte cui esso si riferisce, impone di ritenere che l'inadempimento, che nasce e si consuma nella sfera di azione del debitore, non possa essere provato dal creditore, dovendo, viceversa, essere il debitore a provare l'inimputabilità. Sulla scorta di quanto innanzi il supremo giudice di nomofilachia ha statuito che il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento. Analogamente è stato disposto con riguardo all'inesatto adempimento, rilevandosi che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento. Applicando, allora, questo principio all'onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico ovvero della struttura sanitaria deve ritenersi che il paziente, che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del sanitario o della struttura, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l'obbligazione professionale in un'obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l'esistenza del contratto e l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario o dell'ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile (così anche Cass. 4210/04, rel. Segreto, secondo cui la prova della mancanza di colpa deve essere fornita dal debitore della prestazione, per cui dell'incertezza sulla stessa se ne deve giovare il creditore; si tratta, come detto, del principio di vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla e non vi è dubbio che la prova sia vicina a chi ha eseguito la prestazione; così da ultimo Cass., 11 novembre 2005, n. 22894, secondo cui, appunto: in tema di responsabilità civile nell'attività medico chirurgica, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto e/o il contatto e allegare l'inadempimento del professionista, che consiste nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento, restando a carico dell'obbligato -sia esso il sanitario o la struttura la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile). In tale ottica mette conto all'uopo richiamare la parte motiva di Cass., 19 maggio 2004, n. 9471, rel. Travaglino, secondo cui si è giunti a chiedere al danneggiato soltanto la prova del nesso causale e della facilità di esecuzione dell'intervento (intervento cd. routinario), mentre la colpa, anche lieve, si presume sussistente ogni volta che venga accertato un risultato peggiorativo delle condizioni del paziente. La colpa medica giunge così a sfiorare, capovolgendo la situazione originaria di protezione speciale del professionista, una dimensione paraoggettiva della responsabilità, salva la prova di aver eseguito la propria prestazione con la dovuta diligenza, con la trasformazione dell'obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, di modo che, prosegue il S.C., il detto accertamento deve indirizzarsi: a) sulla natura facile o non facile dell'intervento del professionista; b) sul peggioramento o meno delle condizioni del paziente; c) sul nesso causale e sulla sussistenza della colpa (lieve nonché presunta, se in presenza di operazioni di routine o ben codificate, grave, se relativa ad operazione che trascende la preparazione media ovvero non sufficientemente studiata o sperimentata, con l'ulteriore limite della particolare diligenza richiesta in questo caso, e dell'elevato tasso di specializzazione nel ramo imposto al sanitario; d) sul corretto adempimento dell'onere di informazione circa gli esiti dell'intervento e sull'esistenza del conseguente consenso del paziente. A tale quadro ermeneutico deve aggiungersi la sentenza delle Sezioni Unite (11 gennaio 2008, n. 576, Presidente: Carbone, Estensore: Segreto) in tema di nesso causale, che accoglie, quanto alla configurabilità di quest'ultimo in sede civile, la regola probatoria del ''piu` probabile che non'', espressamente adottata dalla epigrafata pronuncia di cui a Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619, accantonando definitivamente il criterio dell'“oltre il ragionevole dubbio'' di cui alla sentenza Franzese delle Sezioni Unite penali. In effetti, la Cassazione, nella sua più alta composizione, reputa che il danno rilevi sotto due profili diversi: come evento lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, il primo dato va valutato alla stregua del criterio della causalità materiale, mentre il secondo è da vagliarsi secondo il criterio della causalità giuridica. Orbene, per la teoria della regolarità causale, ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta (attiva o omissiva) che appaiano sufficientemente prevedibili al momento in cui ha agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili. E tale valutazione della prevedibilità obbiettiva deve compiersi ex ante, e va compiuta in astratto e non in concreto: non in base alla conoscenza dell'uomo medio, ma alle migliori conoscenze scientifiche del momento (poiché ''non si tratta di accertare l'elemento soggettivo, ma il nesso causale''), sicché ciò che rileva non è che l'evento sia prevedibile da parte dell'agente, ma (per così dire) da parte delle regole statistiche e/o scientifiche, dalla quale prevedibilità discende da parte delle stesse un giudizio di non improbabilità dell'evento. Le profonde differenze morfologiche e funzionali tra accertamento dell'illecito civile e accertamento di quello penale si ripercuotono, dunque, sul diverso regime probatorio, che attiene alla fase giudiziale successiva la verificarsi del fatto dannoso: muta sostanzialmente, tra il processo penale e quello civile, la regola probatoria, in quanto nel primo vige la regola della prova ''oltre il ragionevole dubbio'', nel secondo quella della preponderanza dell'evidenza, ossia del ''più probabile che non''. Ora, Cass., n. 975 del 16 gennaio 2009 (Rv. 606129) (Presidente: Vittoria P. Estensore: Finocchiaro M.) ha confermato che in tema di responsabilità civile nell'attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del "contatto") e dell'aggravamento della situazione patologica (o dell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento) e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile; tuttavia, l'insuccesso o il parziale successo di un intervento di routine, o, comunque, con alte probabilità di esito favorevole, implica di per sé la prova dell'anzidetto nesso di causalità, giacché tale nesso, in ambito civilistico, consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del "più probabile che non". In tempi ancora più recenti il Giudice di legittimità sembra avere mutato nuovamente indirizzo in termini di maggiore garanzia della posizione dei sanitari e di contraltare di maggiore rigore probatorio in capo al paziente. In particolare, le pronunzie più vicine in termini temporali hanno ribadito i principi enunciati dalle Sezioni Unite civili, ai punti 4.3 e 4.7 della parte motiva della sentenza 11 novembre 2008 n. 26973. Più precisamente, le sezioni Unite citate hanno precisato che nell'ambito della causalità di contatto sociale, la parte lesa ha l'onere di dare la prova del rapporto sanitario, della esistenza di una prestazione sanitaria negligente e della lesione della salute, secondo un riparto di onere della prova che imputa alla parte asseritamente inadempiente la deduzione di cause giustificative di tale inadempimento, di guisa che il criterio della causalità non è quello proprio della imputazione penale secondo il criterio rigoroso della quasi certezza, ma è quello civilistico e probabilistico, già espresso dalle S.U. civili nella sentenza n. 577 del 11 gennaio 2008. Onere di offrire - in termini di allegazione puntuale - prova della esistenza di una prestazione sanitaria negligente ribadito anche da ultimo Cass. 19024/18 e Cass. 14/11/2017, n. 26824; Cass. 07/12/2017, n. 29315; Cass. 13/01/2016, n. 344; Cass. 20/10/2015, n. 21177; Cass. 31/07/2013, n. 18341; Cass. Sez.U. 30/10/2001, n. 13533; Cass. 26/07/2017, n. 18392; Cass. Sez. U. 11/01/2008, n. 577. Peraltro, Cass. 27855/2013 ha chiarito come nelle cause di responsabilità professionale medica, il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento, quale che esso sia, ma deve dedurre l'esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno, di talché, solo quando lo sforzo probatorio dell'attore consenta di ritenere dimostrato il contratto (o contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia, con l'allegazione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, scatterà l'onere del convenuto di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno.


Da ultimo i giudici di legittimità hanno chiarito come sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa; l'art. 1218 c.c., solleva infatti il paziente della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento; è infatti onere dell'attore danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno; (in tal senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv. 645164-01 e Cass., sez. 3, 14/11/2017, (ud. 13/09/2017, dep. 14/11/2017), n. 26824, da ultimo Cass. ord. n. 192014/2018). Questo orientamento in tema di onere della prova è stato da ultimo confermato, per cui è pacifico che spetti al paziente dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa del medico ed il danno. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che non comporta automaticamente il riconoscimento della responsabilità del medico agente il mancato assolvimento dell'onere di dimostrare l'esattezza della prestazione medica e l'assenza di incidenza causale dell'inadempimento della prestazione sanitaria sulla produzione dei danni subìti da un paziente, poiché è necessario accertare previamente l'ottemperamento dell'onere probatorio attoreo che consiste nel dimostrare la condotta colposa del responsabile, il nesso di causa tra quest'ultima ed il danno sofferto, elementi che pertanto costituiscono accertamenti distinti (cfr. Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29853 e da ultimo Cass. sent. n. 6593/19). Rimane ferma, per la giurisprudenza di legittimità più recente, la ricognizione di due distinte parabole causali, l'una relativa all'evento dannoso, a monte, l'altra relativa all'impossibilità di adempiere, a valle. Sicché, il nesso di causa tra malpractice medica ed evento dannoso deve essere provato dal creditore/danneggiato. In subordine al raggiungimento della prova sui fatti costitutivi della domanda, compete al debitore/danneggiante fornire la prova liberatoria in ordine alla impossibilità di adempiere. Più specificamente, mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l'insorgenza (o l'aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa non prevenibile ed improbabile abbia reso impossibile la prestazione (cfr. Cass. Civ, Sez. III, n. 28991/2019; Cass. civ. sez. III - 02/09/2022, n. 25886).


Sulla estensione delle incombenze probatorie spettanti al danneggiato incide la peculiare configurazione della responsabilità medica, la quale si discosta dalla figura generale della responsabilità contrattuale, per il fatto che la causalità materiale assume una tangibile demarcazione rispetto all'inadempimento. Infatti, per la figura generale, l'inadempimento si traduce nella lesione dell'interesse tutelato dal contratto, e dunque si risolve, di per sé stesso, nel danno evento, con la conseguenza che, pur essendo causalità materiale ed inadempimento distinguibili sul piano concettuale, la prova dell'inadempimento assorbe quella del nesso di causa. Ciò non avviene in relazione all'inadempimento di prestazioni professionali. L'interesse sotteso al contratto, in tal caso, non si identifica con il risultato utile perseguito dal creditore (la propria guarigione, in ambito sanitario), bensì è circoscritto all'aderenza dell'operato professionale alle leges artis ed alla misura della diligenza applicabile. Di talché, il danno evento (aggravamento o insorgenza di nuova patologia) non è immanente nella violazione delle leges artis e del canone di diligenza, ma potrebbe essere conseguito a diversa eziologia. In ragione di tanto, all'onere del creditore/danneggiato di allegare la connessione naturalistica fra la lesione della salute e la condotta del medico, si somma quello di provare quella connessione. La verifica del raggiungimento di tale prova, si ispira - nel processo civile - al criterio della “preponderanza dell'evidenza”, quale combinazione di due regole: la regola del "più probabile che non" e la regola della "prevalenza relativa" della probabilità. Sotto il primo profilo, comporta la verifica comparativa degli elementi di conferma, o di confutazione, di un enunciato. L'affermazione della verità dell'enunciato implica che vi siano prove preponderanti a sostegno di essa: ciò accade quando vi sono una o più prove dirette che confermano quell'ipotesi, oppure vi sono una o più prove indirette dalle quali si possono derivare validamente inferenze convergenti a sostegno di essa. La regola della "prevalenza relativa" della probabilità rileva quando all'ipotesi, formulata dall'attore, in ordine all'eziologia dell'evento stesso, possano affiancarsene altre, e che le varie ipotesi abbiano ricevuto diverso grado di conferma alla luce delle risultanze probatorie. In base a tale criterio, il Giudice deve preferire l'enunciato che ha ricevuto il grado relativamente maggiore di conferma sulla base delle prove disponibili (cfr. Cassazione civile sez. III - 06/07/2020, n. 13872).


Quanto al contenuto della prova liberatoria ex art. 1218, c.c., essa è raggiunta quando il debitore/danneggiante dimostri di aver tenuto una condotta diligente o prudente nel rispetto delle norme giuridiche e delle leges artis. Più specificamente, la non imputabilità dell'inadempimento, valutata alla luce del combinato disposto degli art. 1218 c.c. e 1176 c.c., implica la verifica della diligenza in concreto esigibile, rapportata alle misure alternative che in concreto si sarebbero potute e dovute esigere dalla struttura sanitaria. Si tratta di una prospettiva che valorizza la dimensione soggettiva e concreta della colpa, rispetto alle valutazioni naturalistiche ed oggettive, in quanto l'affermazione di responsabilità della struttura sanitaria trova un limite nella misura della diligenza compatibile con la natura dell'attività professionale esercitata e nella esigibilità di un comportamento diverso alla luce delle circostanze del caso concreto. Lo stesso art. 1218 c.c., operante, per espressa previsione normativa (art. 7 legge 24/17), anche per quanto concerne ipotesi di responsabilità organizzativa delle strutture sanitarie, impone di valutare in concreto lo sforzo diligente esigibile sul piano gestionale ed organizzativo (cfr. Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, n. 25288).


Dal riparto in tal modo delineato trova conferma, dunque, che "la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, resta a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la causa del danno o dell'impossibilità di adempiere, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano rispettivamente sull'attore o sul convenuto. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore” (così, Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26700, Rv. 651166-01, nonché, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991, Rv. 655828-01).


Attese le coordinate ermeneutiche che precedono, occorre verificare l'assolvimento degli oneri probatori incombenti sulle parti, alla luce del quadro istruttorio. Secondo la ricostruzione di parte attrice, il Li. avrebbe contratto l'infezione da virus HCV, poi degenerata in infezione cronica da epatite C, in occasione dell'intervento chirurgico di gastrectomia praticatogli presso la struttura convenuta in data 07/12/2010 o, alternativamente, nel corso della successiva degenza o delle medicazioni ambulatoriali cui si sottopose presso la stessa, sino alla completa guarigione del sito chirurgico. Inoltre, la condotta determinante il contagio sarebbe consistita, secondo parte attrice, nella omessa adozione di precauzioni standard (quali utilizzo di materiale monouso, lavaggio delle mani), oppure nella inadeguata decontaminazione, disinfezione o sterilizzazione del materiale utilizzato. Tuttavia, non v'è prova della effettiva verificazione di siffatte condotte colpose, le quali andrebbero desunte, secondo gli istanti, dall'assenza di altre possibili occasioni di contagio virale, oltre a quelle inerenti l'operazione chirurgica e l'assistenza post-operatoria. Ciò atteso, l'accertamento della fondatezza dell'ipotesi causale formulata da parte attrice presuppone, oltre che la possibilità di ricondurre la stessa ad una legge scientifica di copertura (in base alla quale le manovre chirurgiche e le successive medicazioni siano, con una certa incidenza probabilistica, idonea fonte di contagio), la sussistenza di elementi indiziari riferiti al caso concreto, confermativi della validità di tale ipotesi nella specifica fattispecie. Infatti, secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte di legittimità, l'accertamento del nesso causale secondo il criterio del “più probabile che non” non può basarsi esclusivamente sulla frequenza quantitativa - statistica delle classi di eventi (cd. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma deve tenere conto degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana) (cfr. Cass. S.S. U.U., Sentenza n. 576 del 2008). In proposito, soccorrono le valutazioni specialistiche contenute nella perizia di ufficio, redatta dal dr. Do. Sa. (Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni, in Igiene e Medicina Preventiva) e dal dr. Gu. Bo. (Specialista in Malattie Infettive, in Igiene e Medicina Preventiva, nonché in Medicina Interna). L'elaborato peritale si contraddistingue per chiarezza argomentativa e linearità logica, pertanto, è adottata dalla scrivente quale parametro di decisione, in ordine ai richiamati profili specialistici. Ebbene, il Collegio ha ritenuto quanto segue: “Parte attorea avanza l'ipotesi di aver contratto il virus dell'epatite C contestualmente all'intervento chirurgico effettuato in data 07.12.2010 ed alle cure sanitarie ricevute nel periodo immediatamente successivo (“... risulta evidente che il contagio da Virus C patito dal Sig. Li. è da ascrivere al periodo che va dall'intervento di gastrectomia alla guarigione della ferita chirurgica”). Tuttavia, come già illustrato, le cure sanitarie rappresentano solo uno dei possibili fattori di rischio per la trasmissione di HCV. Avendo il paziente eseguito la ricerca degli anticorpi anti-HCV solo quattordici mesi all'incirca dopo l'intervento, non è possibile risalire allo stato sierologico del predetto nel periodo intercorrente tra l'intervento chirurgico ed il primo test per gli anticorpi anti-HCV risultato positivo, ed è, altresì, impossibile escludere che non si siano verificate, in questo lasso temporale, situazioni di rischio per l'acquisizione dell'infezione HCV-correlata [...]. Per attribuire un nesso di causa-effetto all'ipotesi avanzata da parte attorea, ovvero per affermare che l'infezione da HCV sia stata acquisita durante l'intervento chirurgico in oggetto, o nell'arco temporale esteso fra il predetto atto operatorio, la degenza ospedaliera e le successive “pratiche chirurgiche” costituite dalle medicazioni ambulatoriali alle quali il paziente venne sottoposto, sempre presso la A.O.U. “L.V..”, fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, è necessario, quindi, escludere la presenza o il verificarsi di tutte quelle altre condizioni che possono potenzialmente aver causato la trasmissione dell'infezione durante il tempo di latenza intercorso tra il primo prelievo risultato negativo agli anticorpi anti-HCV (praticato il 24.11.2010) e il secondo prelievo risultato positivo a tali anticorpi (praticato in data 27.01.2012). Tale esclusione risulta, nel caso specifico, impossibile. Ed infatti, pur volendo reputare inverosimile il verificarsi di alcune condizioni di rischio, come l'utilizzo di droghe ed i rapporti sessuali non protetti (viste le condizioni cliniche del paziente), risulta difficile, se non impossibile, escludere completamente che la trasmissione sia avvenuta in occasione di altre condizioni di rischio, sia non correlate all'assistenza sanitaria (procedure cosmetiche), che correlate all'assistenza sanitaria. Per quel concerne queste ultime, si fa presente che il paziente, dopo l'intervento chirurgico del 07.12.2010 e fino all'esecuzione del prelievo, risultato positivo agli anticorpi anti-HCV, del 27.01.2012, è stato, peraltro, sottoposto a procedure di assistenza medico-infermieristica domiciliare. Si ricorda che tra queste, in particolare, vi era l'esecuzione di prelievi e la somministrazione parenterale di sostanze a scopo nutrizionale e terapeutico. Orbene, come si evince dalla Tabella 1, nonché dalla revisione di Pozzetto B. et al (2), sia l'utilizzo di aghi che la somministrazione di sostanze endovenose, anche a scopo nutrizionale (nutrizione parenterale), rappresentano possibili modalità di trasmissione di HCV [...]. È [...] possibile definire il momento del contagio, pur sempre con un certo margine di incertezza, solo in caso di disponibilità di un test negativo per anticorpi anti-HCV immediatamente prima del momento presunto del contagio, o contestualmente rispetto a quest'ultimo, e di un test positivo per anticorpi anti- HCV, insieme ad un test di conferma mediante ricerca di HCV-RNA, nelle successive 4-10 settimane dal momento presunto del contagio. Nel caso di specie, invece, il paziente ha eseguito per la prima volta la ricerca degli anticorpi anti-HCV solo in data 27.01.2012, vale a dire a distanza di ben 14 mesi all'incirca dall'intervento del 27.01.2012 o a circa 12 mesi dal termine delle “pratiche chirurgiche” relative alle medicazioni ambulatoriali effettuate fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, rendendo, di fatto, impossibile affermare secondo il principio di verosimiglianza medico-legale, o secondo il principio del “più probabile che non”, che l'acquisizione dell'infezione sia avvenuta, per l'appunto, durante l'inter-vento chirurgico o nel corso della degenza ospedaliera o, ancora, in occasione delle procedure di assistenza sanitaria successivamente intercorse, come le predette medicazioni della ferita chirurgica. A tale proposito, è necessario rimarcare, inoltre, come ad oggi non vi sia sufficiente evidenza, in letteratura, di casi di trasmissione di HCV imputati all'utilizzo di garze contaminate. Va, altresì, sottolineato che per le medicazioni di ferite chirurgiche vengono adoperate garze sterili, il che rende verosimilmente improbabile la trasmissione di HCV attraverso questa procedura assistenziale [...]. secondo un modello probabilistico elaborato sulla scorta dei dati disponibili in letteratura relativamente ai fattori di rischio di trasmissione di HCV durante le procedure medico-chirurgiche assistenziali, la probabilità di contrarre l'infezione da HCV durante un singolo intervento chirurgico risulta estremamente bassa. In dettaglio, nel caso in cui non sia noto lo stato sierologico di HCV dello staff chirurgico, la probabilità di trasmissione di HCV calcolata durante un singolo intervento chirurgico è compresa tra 0.00074% e 0.00008%, dato corrispondente alla probabilità di 1 caso di trasmissione di HCV ogni 135.000 - 1.200.000 interventi chirurgici (19). In conclusione, sulla scorta delle considerazioni sopra esposte e, in particolare, tenuto conto dei molteplici fattori di rischio implicati nella trasmissione dell'infezione da HCV, della presenza, nella fattispecie, di ulteriori fattori di rischio noti per la trasmissione di HCV verificatasi nel periodo intercorso tra il primo prelievo, del 24.11.2010, negativo per la ricerca di anticorpi anti-HCV ed il secondo prelievo, del 27.01.2012, positivo, ossia utilizzo di aghi ed infusione a domicilio di sostanze nutrizionali per via endovenosa, dell'impossibilità di poter definire con certezza, o con verosimile grado di sufficiente approssimazione, il momento esatto del contagio, per l'assenza di test di laboratorio effettuati nelle 4-10 settimane immediatamente successive all'intervento chirurgico del 07.12.2010 o al termine delle medicazioni ambulatoriali effettuate, sempre presso la A.O.U. “L.V..”, fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, che possiamo stimare avvenuta dopo un periodo massimo di giorni 60 all'incirca dalle dimissioni del 24.12.2010, e della probabilità stimata estremamente bassa di contagio durante intervento chirurgico, come in precedenza sottolineato, è possibile affermare che, nel caso in oggetto, secondo la corrente e corretta criteriologia medico-legale, non si riscontrano elementi tecnici di valutazione sulla scorta dei quali poter sostenere la sussistenza di nesso di casualità materiale tra il contagio con HCV patito dal sig. Li. Lo. -e che ha, poi, verosimilmente determinato la epatopatia cronica HCV-correlata da cui il predetto è affetto- e l'intervento chirurgico di gastrectomia totale praticato, in data 07.12.2010, presso il Servizio di Fisiopatologia Chirurgica dell'Apparato Digerente dell'Azienda Ospedaliera Universitaria “L.V..” di Napoli, ex “S.U.N.”, o la degenza protrattasi, dal 23 novembre al 24 dicembre 2010, presso la suddetto A.O.U. o, ancora, le richiamate “pratiche chirurgiche” costituite dalle successive medicazioni ambulatoriali alle quali il paziente venne sottoposto fino alla completa guarigione della ferita chirurgica, per un periodo massimo di tempo valutabile in ulteriori giorni sessanta all'incirca dalle dimissioni del 24.12.2010” (cfr. CTU p.p. 22-28).


Attese le risultanze medico-legali, non sussistono, in relazione alle circostanze concrete dell'infezione epatica contratta dal Li., condizioni tali da rapportarla eziologicamente, con grado di apprezzabile verosimiglianza, alle cure ricevute dallo stesso presso l'A.O.U. “Luigi V..” (già A.O.U. “S.U.N.”). Infatti:


- La positività agli anticorpi HCV era rilevata a distanza di molti mesi dall'intervento e dal completamento delle medicazioni ambulatoriali presso la A.O.U. “Luigi V..”, con conseguente impossibilità di escludere che nel periodo intermedio siano intervenute altre occasioni di contagio;


- La conseguente assenza di indici di correlazione causale compatibili con i tempi di incubazione del virus;


- L'effettiva esposizione del paziente a pratiche altrettanto idonee a determinare il contagio da virus C, comprese nella finestra temporale intercorsa tra le prestazioni della convenuta e la scoperta dell'infezione;


- La limitata incidenza probabilistica dei casi di contagio da HCV dovuti ad un singolo intervento chirurgico, nonché l'inidoneità delle medicazioni ambulatoriali a fungere da occasione di contagio, per l'impiego di garze sterili.


Inoltre, non risultano decisive nel dissipare l'incertezza in merito alla causa del contagio del Li., le contestazioni mosse da parte attrice alla CTU. Infatti, dette contestazioni si basano sulla circostanza che il Li. avrebbe proseguito le cure ambulatoriali presso la A.O.U. “Luigi V..” oltre il periodo ipotizzato dai CTU (60 giorni successivi all'intervento), ossia sino a luglio 2011, sicché la finestra temporale tra le attività svolte presso la convenuta e la scoperta dell'infezione dovrebbe ridursi a 6 mesi. Ebbene, i CCTTUU stimavano che le medicazioni ambulatoriali effettuate dal Li. presso la convenuta si siano concluse entro un massimo di 60 giorni successivi all'intervento, basandosi sui Sentenza n. 1499/2023 pubbl. il 10/02/2023 tempi di guarigione della ferita chirurgica, e dunque in base a una valutazione di carattere tecnico scientifico. Peraltro, non è dato rinvenire convincenti elementi istruttori di segno contrario. Infatti, all'udienza del 15/02/2021 il teste Iannotta Luciano, genero del Li., dichiarava di aver accompagnato personalmente lo stesso a visita presso la A.O.U. convenuta, almeno fino al luglio 2011. Tuttavia, nulla specificava in merito alla natura delle visite, che, dunque, potevano riguardare controlli relativi al decorso clinico del paziente, diversi dalle medicazioni del sito chirurgico. Ciò valutato, la circostanza, nei limiti del riscontro testimoniale, non è suscettibile di avvalorare la provenienza del contagio sostenuta da parte attrice. Inoltre, è obbiettivamente inverosimile che la ferita chirurgica abbia necessitato di medicazioni per ben 6 mesi (considerata la data dell'intervento: 27/12/2010); peraltro, come chiarito dai CCTTUU, l'impiego di garze sterili rende altamente improbabile il contagio in occasione delle medicazioni.


Dunque, rilevata la scarsa credibilità logica degli assunti di responsabilità formulati dagli attori, in relazione al quadro istruttorio, deve darsi seguito al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la causa incognita resta a carico dell'attore relativamente all'evento dannoso, a carico del convenuto relativamente alla possibilità di adempiere. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerta la causa del danno, le conseguenze sfavorevoli devono essere imputate all'attore, in termini di rigetto della domanda, per il mancato assolvimento dell'onere della prova sui fatti costitutivi della stessa. Il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere - la cui prova compete al convenuto - acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta colposa del sanitario (cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 18392 del 2017, cit.; nello stesso senso anche Cass. Sez. 3, sent. 4 novembre 2017, n. 26824, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 7 dicembre 2017, n. 29315, Rv. 646653-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 febbraio 2018, n. 3704, Rv. 647948-01; Cass. Sez. 3, ord. 23 ottobre 2018, n. 26700, Rv. 651166-01, nonché, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28991). In conclusione, la domanda attorea deve essere rigettata.


In ordine al governo delle spese, attesa la delicatezza della vicenda e la comprensibilità dell'iniziativa processuale volta all'accertamento delle eventuali responsabilità connesse alla grave lesione subita, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per disporne la compensazione (cfr. Cass., sez. III, 26/06/2018, n. 16828).


Spese di CTU definitivamente a carico di parte attrice.


PQM

Il Tribunale di Napoli, definitivamente pronunziando sulla controversia promossa come in narrativa, ogni ulteriore domanda od eccezione respinta o disattesa, così provvede:


- Rigetta la domanda di Li. Fi. e Li. Ma. nei confronti dell'Azienda Ospedaliera Universitaria dell'Università degli Studi Della Campania “Luigi V..”;


- Compensa le spese tra le parti;


- Pone le spese di CTU definitivamente a carico di Li. Fi. e Li. Ma., in solido tra loro.


Napoli, 09/02/2023

lunedì 8 maggio 2023

illegittimità delle procedure di interpello e incarichi dirigenziali

Sentenza della Corte appello Roma sez. VII, 28/10/2022, (ud. 27/09/2022, dep. 28/10/2022), n.3534

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 15.1.2018, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha impugnato la sentenza in epigrafe, con la quale il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento domanda proposta da P. A., ha dichiarato l'illegittimità delle procedure di interpello impugnate relative all'incarico dirigenziale di Coordinatore dell'Ufficio patrimonio, gare e contratti e all'incarico dirigenziale di coordinatore dell'ufficio per i trattamento economico del personale, con conseguente annullamento degli esiti e ordine all'amministrazione di rinnovare dette procedure di interpello, nonché condanna della convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale, liquidato equitativamente nella misura del 50% del trattamento economico complessivamente spettante alla ricorrente per il periodo dal 1.10.2016 al giorno 11.1.2017, oltre accessori di legge e rimborso delle spese processuali.

Ha resistito al gravame la P. A. chiedendone il rigetto.


All'esito della discussione orale, la causa è stata decisa come da dispositivo in calce.


Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Visto l'art. 111 della Costituzione ed il principio di ragionevole durata del processo, di cui la redazione della sentenza costituisce segmento processuale e temporale; letto l'art.132, n. 4, c.p.c.; letto l'art. 118, commi 1 e 2, disp. di att. al c.p.c. , si osserva quanto segue.


L'originaria ricorrente, Dirigente generale, Consigliere di ruolo della presidenza del Consiglio dei Ministri, a decorrere dal 4.2.2014, è stata nominata Coordinatore dell'Ufficio tecnico per la gestione del patrimonio (UTGP), presso il Dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali (DIPRUS), nonché dal 9.9.2015 all'8 maggio 2016, ad interim, anche Coordinatore dell'Ufficio per le relazioni sindacali, affari generali, gare e acquisti, presso il medesimo Dipartimento.


La P. A. ha dedotto che in data 30.9.2016 è cessato il proprio incarico dirigenziale, per effetto di una riorganizzazione, ritenuta pretestuosa, e della suddivisione del Dipartimento menzionato (in Dipartimento per il personale e Dipartimento per i servizi strumentali) - senza alcuna variazione sostanziale delle funzioni del precedentemente svolte dall'unico dipartimento -, lamentando l'illegittimità, sotto diversi profili, delle tre procedure per interpello che sono seguite e alle quali la ricorrente ha partecipato con esito negativo, nonostante la specifica competenza professionale acquisita e i risultati positivi raggiunti, con conseguenti danni alla propria immagine professionale, alla salute, morali ed esistenziali.


Il Tribunale, per quel che rileva ai fini della delibazione sull'appello, ha fondato la pronuncia di parziale accoglimento sulla base delle seguenti considerazioni:


- gli atti di conferimento o revoca di incarichi dirigenziali, concernendo l'attività di organizzazione degli uffici e quindi la gestione di rapporti di lavoro già costituiti, hanno natura privatistica e, in quanto tali, assoggettati ai principi fondamentali dell'autonomia privata e non alle norme riguardanti i vizi degli atti ammnistrativi o alle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990 sui procedimenti amministrativi, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti che possono essere disapplicati dal giudice ordinario, in caso di lesione di diritti soggettivi del dipendente pubblico;


- la valutazione delle misure inerenti la gestione del rapporto deve essere dunque operata non in base ai tradizionali casi di legittimità dell'atto amministrativo, bensì sulla scorta dei canoni di nullità, annullabilità e inefficacia previsti per gli atti negoziali di diritto privato, tra i quali i principi di correttezza e buona fede contrattuale;


- sono carenti, in quanto genericamente formulate, le allegazioni di parte ricorrente in ordine alla natura fittizia del dell'atto di riorganizzazione del Dipartimento e alla sua finalità illecita, volta alla cessazione anticipata dell'incarico dirigenziale conferito alla P. A., stante l'autonomia dell'amministrazione convenuta nella definizione delle linee di macro-organizzazione, sicché non è consentito giungere alla disapplicazione del relativo atto da parte del giudice ordinario, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria del danni patrimoniali e non patrimoniali ricondotti alla illegittimità dell'atto di riorganizzazione presupposto;


- a seguito della procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale, la scelta è caduta sul dipendente F. F. con motivazione del tutto carente, in violazione dei precetti di cui all'art. 19 d.lgs. n. 165/2001, in ordine alla individuazione delle attitudini e capacità professionali in relazione agli obiettivi della struttura, anche in via comparativa con quelle degli altri candidati, senza neppure giustificare la mancata applicazione del principio di rotazione degli incarichi dirigenziali, introdotta come misura di prevenzione della corruzione;


- la procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'ufficio patrimonio, gare e contratti si è conclusa con esito infruttuoso, non essendo stato ritenuto idoneo alcuno dei candidati, con motivazione carente riguardo all'esclusione della ricorrente, anche in rapporto al fatto che la medesima aveva già ricoperto l'incarico dirigenziale di capo dell'ufficio tecnico per la gestione del patrimonio dal 4.2.2014 e, ad interim, anche di capo dell'ufficio affari generali, gare e acquisti dal 9.9.2015 all'8.5.2016, ruoli professionali che svolgono attività analoghe;


- l'illegittimità degli atti impugnati costituisce inadempimento contrattuale produttivo di danno risarcibile e, all'esito dell'annullamento degli atti, ivi compreso l'affidamento dell'incarico sopra menzionato al F. F., l'amministrazione deve essere condannata alla rinnovazione delle suddette procedure;


- l'invalidità delle procedure, il loro esito e la rilevanza degli incarichi di livello dirigenziale generale oggetto delle stesse, anche in raffronto all'incarico di livello generale di coordinatrice dell'ufficio per il coordinamento della segreteria della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e provincie autonome poi affidato alla ricorrente, con una retribuzione di posizione di parte variabile inferiore, costituiscono elementi presuntivi di integrazione del danno all'immagine professionale, causalmente collegato al mancato esercizio del patrimonio e delle capacità professionali della P. A., in virtù dell'affidamento di un incarico qualitativamente diverso da quello precedentemente svolto, pur non applicandosi l'art. 2103 c.c., quale lesione del principio fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore;


- quanto alla liquidazione dei danni, deve trovare applicazione il criterio equitativo, prendendo come parametro di riferimento il 30% del trattamento economico complessivamente percepito dalla ricorrente nel periodo compreso tra il 1.10.2016 e l'11.1.2017, data di decorrenza dell'efficacia del successivo incarico dirigenziale.


Parte appellante censura la sentenza impugnata per il Tribunale erroneamente:


1. ritenuto, riguardo all'incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale, che la motivazione della scelta del F. F. sarebbe stata inadeguata, in riferimento agli artt. 19 d.lgs. n. 165/2001, e 2-3 della direttiva PCM 11.5.2016, nonché agli artt. 1175 e 1375 c.c., dal momento che detta motivazione, pur succinta, sintetizza in modo sufficiente una comparazione che dà conto della valutazione dell'idoneità tecnica e professionali e delle attitudini del dirigente a perseguire gli obiettivi prefissati, considerando che sono stati valutati i curricula allegati e che l'art. 9 d.lgs. cit. non richiede un obbligo motivazione, né una procedimentalizzazione della scelta, mentre la direttiva prescrive unicamente di acquisire la disponibilità dei dirigenti interessati, la loro valutazione e la comunicazione dell'esito;


1.1. considerato inapplicabili a tali atti la legge n. 241/1990 in tema di obbligo motivazionale per poi, contraddittoriamente, veicolare attraverso i principi di correttezza e buona fede contrattuale la necessità del rispetto delle categorie amministrativistiche sul procedimento e la motivazione degli atti, finendo in tal modo per censurare, nel merito, la scelta;


1.2. fatto discendere dalla violazione dei principi di buona fede e correttezza - nell'ambito dell'esercizio dei poteri discrezionali del datore di lavoro di natura privatistica - la conseguenza della caducazione dell'atto, anziché la mera responsabilità risarcitoria;


1.3. stigmatizzato, quanto al solo incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale, la mancata applicazione del principio di rotazione del dirigente, pur non risultando tale servizio esposto a significativi rischi corruttivi, essendo classificato tra le strutture a basso rischio, non applicando, invece, il medesimo principio all'incarico per l'Ufficio patrimonio, gare e contratti, esposto ad un rischio corruttivo, in relazione al quale la P. A. aveva ricoperto l'incarico di Coordinatore dell'Ufficio tecnico per la gestione del patrimonio;


2. non considerato, quanto all'esito infruttuoso dell'interpello per l'incarico di Coordinatore dell'Ufficio patrimonio, gare e contratti, che nessuno dei candidati al momento possedeva i requisiti specifici richiesti, in dipendenza del maggior numero di competenze della struttura, inquadrate in un'ottica funzionale diversa rispetto al passato, sebbene, trascorso un cospicuo lasso di tempo, a seguito di una rinnovata valutazione, la figura professionale del dirigente Gerli sia stata ritenuta idonea;


2.1. omesso di considerare che l'Ufficio in cui aveva prestato servizio la P. A. e messo a interpello a seguito della riorganizzazione, era stato ampliato, aggiungendo alla "gestione del patrimonio" competenze in materia di "gare e contratti", per cui la pregressa attività della ricorrente non appariva determinante, trattandosi peraltro di struttura ad alto rischio per cui l'applicazione del principio della rotazione avrebbe penalizzato la dipendente; né rileva la copertura, ad interim, dell'incarico di Capo dell'ufficio affari generali, trattandosi di supplenze occasionali con il ruolo di "facente funzione" non dimostrative di pregresse particolari attitudini.


L'appello è infondato.


I motivi possono essere trattati congiuntamene, poiché strettamente connessi.


Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, l'atto di conferimento di incarichi dirigenziali integra una determinazione negoziale di natura privatistica, per la cui adozione l'amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad osservare le norme di cui all'art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, dovendo pertanto procedere, alla stregua delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (e degli stessi principi evocati dall'art. 97 Cost.), a una valutazione comparativa con gli altri candidati che contempli adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e sia sorretta da una congrua motivazione circa i criteri seguiti e le ragioni giustificatrici delle scelte adottate (v. per tutte, da ultimo, sent. Cass. n. 6485/2021).


Tali norme obbligano la P.A. a valutazioni comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte; laddove, pertanto, l'Amministrazione non abbia fornito nessun elemento circa i criteri e le motivazioni seguiti nella selezione dei dirigenti ritenuti maggiormente idonei agli incarichi da conferire, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile (v. Cass. n. 21088/2010).


Nella medesima decisione, i giudici di legittimità hanno pure ribadito che "non vanno confusi il diritto soggettivo al conferimento dell'incarico e l'interesse legittimo di diritto privato correlato all'obbligo imposto alla pubblica amministrazione di agire nel rispetto dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di imparzialità, efficienza e buona andamento consacrati nell'art. 97 Cost., sicché il dirigente non può pretendere dal giudice un intervento sostitutivo e chiedere l'attribuzione dell'incarico, ma può agire per il risarcimento del danno, ove il pregiudizio si correli all'inadempimento degli obblighi gravanti sull'amministrazione (Cass. 23.9.2013 n.21700; Cass. 14.4.2015 n. 7495; Cass. 24.9.2015 n. 18972)".


Vero è che va escluso ogni automatismo nella scelta, la quale resta rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione e, tuttavia, ove la P.A. non fornisca alcun elemento circa i criteri e le motivazioni della selezione, l'illegittimità della stessa richiede una nuova valutazione, sempre ad opera del datore di lavoro, senza possibilità di un intervento sostitutivo del giudice, salvo i casi di attività vincolata e non discrezionale.


Infine la S.C. ha concluso confermando che, alla luce di detti principi, deve disattendersi "la tesi della non necessità della valutazione comparativa e della assoluta discrezionalità della scelta".


Il primo giudice non ha quindi inquadrato la fattispecie nell'ambito di applicabilità della legge n. 241/90, poiché la questione non riguarda la censura dell'atto amministrativo presupposto (di riorganizzazione), sotto il profilo del vizio di carenza di motivazione, ma attiene alla valutazione dell'atto gestorio di conferimento incarico, dove i principi di correttezza e buona fede vengono in considerazione in funzione della necessità di trasparenza del percorso motivazionale sulla scelta di un candidato anziché di un altro. Non si ravvisa dunque alcuna contraddizione nel percorso motivazionale del Tribunale che deve essere condiviso.


Venendo al caso concreto, il provvedimento adottato all'esito della procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'Ufficio trattamento economico del personale - che si è conclusa con l'assegnazione dell'incarico al F. F. - riporta succintamente, nella parte motiva, i titoli e gli incarichi svolti dai singoli candidati.


In riferimento al F. F., nella premessa, è stato evidenziato il "possesso di un profilo professionale e di un'esperienza lavorativa, maturata con particolare riferimento alla materia del trattamento economico del personale e del trattamento pensionistico, nonché in relazione alle podere di gestione e liquidazione dei trattamenti economici del personale, che soddisfa pienamente le esigenze connesse al posto di funzione di livello generale di coordinatore dell'ufficio trattamento economico del personale presso il Dipartimento per il personale, incarico che il Cons. F. F. ricopre con ottimi risultati dal 2005".


Tuttavia, analoghe esperienze lavorative e competenze professionali nella materia erano state indicate anche rispetto ad altri candidati, tra i quali la P. A., alla quale viene riconosciuto "il possesso del diploma di laurea in Giurisprudenza e l‘abilitazione all'esercizio della professione forense. Con riferimento all'esperienza professionale riportata, si evidenzia un'esperienza dirigenziale in materia di gestione degli affari generali e del personale e in materia di gestione economico-finanziaria, anche con riferimento alle procedure di gestione e liquidazione dei trattamenti economici del personale, acquisita presso il DIT (coordinatore dell'Ufficio I – gestione economica e finanziaria, bilancio e personale) e presso il Dipartimento della funzione pubblica (Vice capo Ufficio con funzioni vicarie del Capo Ufficio affari generali e per il personale)".


L'atto conclude, senza ulteriori punti motivazionali, individuando "quindi la figura idonea a ricoprire il posto di coordinatore dell'Ufficio in nel Consigliere dei ruoli della Presidenza del Consiglio dei Ministri dott. F. F.".


Appare evidente dalla lettura del provvedimento che la procedura in esame risulta violata con riguardo al conferimento dell'incarico in discussione, laddove la determinazione nella scelta del consigliere incaricato rimane assolutamente priva di ogni valutazione comparativa e di motivazione in ordine alla preferenza accordata alle singole competenze professionali in relazione all'incarico da ricoprire e affidata esclusivamente alla elencazione oggettiva di titoli posseduti e di pregressi incarichi svolti che non conferisce contenuto motivazionale concreto alla scelta, la quale si pone quindi in contrasto con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità già sopra richiamati.


Per quanto riguarda la procedura di interpello per la copertura dell'incarico di Coordinatore dell'ufficio patrimonio, gare e contratti che si è conclusa con esito infruttuoso, non essendo stato ritenuto idoneo alcuno dei candidati, deve condividersi quanto rilevato dal Tribunale in ordine alla carenza di motivazione e, in particolare, per quel che interessa in questa sede, sulla esclusione della P. A..


La ricorrente, invero, come si dà atto nel provvedimento del 5.9.2016, al momento era titolare dell'incarico di coordinatore dell'ufficio tecnico per la gestione del patrimonio; si è dato atto tra le altre competenze, della "esperienza maturata presso il DIPRUS quale coordinatore dell'Ufficio tecnico per la gestione del patrimonio (dal 4.2.014) e di coordinatore ad interim dell'Ufficio relazioni sindacali, affari generali, gare e acquisti di beni e servizi (dal 9.9.2015 sll'8.5.2016). Pur riconoscendo le esperienze professionali evidenziate, non si ritiene che il profilo professionale del Cons. P. A. sia pienamente rispondente ai requisiti richiesti nell''interpello".


Anche in questa ipotesi la motivazione è apodittica, priva di ogni argomentazione sulla inidoneità della ricorrente a ricoprire il posto nonostante l'espresso riferimento a competenze professionali attinenti all'incarico da assegnare, tanto più che l'incarico è stato assegnato successivamente (al Cons. Gerli) all'esito di una rinnovata valutazione sulla base di elementi non meglio identificati.


Peraltro, la circostanza che l'incarico di coordinatore dell'Ufficio relazioni sindacali, affari generali, gare e acquisti di beni e servizi sia stato conferito alla P. A. ad interim non può essere assumere valenza riduttiva solo in considerazione della sua natura temporanea, ma anzi dovrebbe essere indice di una preventiva valutazione positiva circa il possesso delle capacità e delle professionalità utili a ricoprire quell'incarico, sia pure in via temporanea.


Né era stato dedotto, quale motivo ostativo, l'esigenza di rotazione degli incarichi rispetto alle esigenze legate al rispetto della normativa volta a prevenire fenomeni di corruzione.


Ne deriva la configurabilità del denunciato inadempimento contrattuale cui consegue il diritto al risarcimento del danno, nella misura individuata dal giudice di prime cure, determinazione non soggetta a specifiche censure.


Le spese processuali, liquidate come da dispositivo e regolate secondo soccombenza, sono poste a carico dell'appellante in favore di P. A.; nulla va disposto in ordine alla posizione di F. F., rimasto contumace.


P.Q.M.

-La Corte, definitivamente pronunciando, così provvede:


- respinge l'appello;


- condanna l'appellante al rimborso, in favore di P. A., delle spese del grado che liquida in complessivi € 5.760,00, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA, come per legge;


- nulla sulle spese quanto alla posizione di F. F..


Roma, 27.9.2022