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venerdì 8 novembre 2024

Mondo Convenienza condannata al versamento di retribuzioni a favore di lavoratori

La sezione lavoro del Tribunale di Napoli Nord, in un giudizio patrocinato dallo studio Migliaccio, ha condannato la società che agisce a marchio Mondo Convenienza al versamento di ingenti differenze retributive.

Segue il testo della sentenza:

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 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI NAPOLI NORD

Sezione lavoro

nella persona della dott.ssa Raffaella P. ha pronunciato, a seguito di deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza del 9.10.2024 in base all’art. 127 ter c.p.c., la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 4408/2021 R.G. LAVORO

TRA

DI V. CARMINE (c.f.: OMISSIS), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Roberto Migliaccio e Michele Scognamiglio, come da procura in atti.

RICORRENTE

E

I. MOBILI S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. MM, DDFe dall’Avv. FD’A

RESISTENTE

NONCHE’

P. VALTER, (C.F. OMISSIS), nato a Roma il 04.11.1972 ex socio della cessata E. Trasporti, rappresentato e difeso dall'Avv.to RF

RESISTENTE

OGGETTO: differenze retributive e risarcimento danni. Azione di responsabilità solidale negli appalti ex art. 29, 2° comma, d.lgs. 276/2003.

CONCLUSIONI: come in atti.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

Con ricorso depositato in data 22/04/2021, il ricorrente in epigrafe indicato, dipendente della E. TRASPORTI SOCIETA’ COOPERATIVA e operante nell’appalto che la società aveva con LR

S.r.l., poi fusa per incorporazione con la I. Mobili S.r.l., ha chiesto il pagamento delle differenze retributive indicate nei conteggi allegati al ricorso a titolo di differenze ordinarie per superiore inquadramento, nonché a titolo di straordinario svolto e ulteriori somme indicate in ricorso a titolo di risarcimento danno per violazione del diritto di privacy; danno da usura psico-fisica per eccessivo lavoro straordinario; danno biologico subito in conseguenza del trasporto a mano e senza l’ausilio di alcuna strumentazione.

Instaurato il contraddittorio si sono costituite, la E. trasporti società Cooperativa e I. Mobili s.r.l. chiedendo, con diffuse argomentazioni, il rigetto del ricorso.

Istruita la causa con prova orale e documentale, all’udienza del 19.12.2022, attesa la cancellazione della cooperativa E. trasporti dal registro delle imprese, è stata dichiarata l’interruzione del giudizio.

Nel corso del giudizio, il ricorrente ha riassunto la causa anche nei confronti di Valter P., quale ex socio della cessata E. Trasporti, estendendogli le domande inizialmente spiegate nei confronti della medesima cooperativa.

L’ex socio della Cooperativa, Valter P., si è costituito in giudizio e ha chiesto, con diffuse argomentazioni, il rigetto del ricorso.

All’esito della trattazione scritta sostitutiva dell’udienza in base all’art. 127 ter c.p.c., verificata la rituale comunicazione del decreto per la trattazione scritta a tutte le parti costituite, viste le note depositate, il Giudicante ha deciso la causa con sentenza.

Va, preliminarmente, rilevato che sensi dell’art. 2495 c.c., comma III, “ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.

Invero, con la cancellazione della società dal Registro delle imprese si determina la definitiva estinzione della stessa senza il venir meno di ogni rapporto giuridico ad essa facente capo poiché laddove residuino creditori da soddisfare questi potranno agire nei confronti dei soci della dissolta società che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti pendente societate, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente.

La ratio della norma citata è quella di impedire che la debitrice possa, attraverso la cessazione unilateralmente disposta, far venir meno i propri debiti, recando così danno ai creditori insoddisfatti.

Sussiste, dunque, un meccanismo successorio, secondo il quale le obbligazioni sociali si trasferiscono ai soci, i quali risponderanno esclusivamente nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, senza che sorga alcun pregiudizio nei confronti dei creditori, poiché anche se non vi fosse stata la

cancellazione della società, il patrimonio sociale sarebbe stato ugualmente incapiente rispetto ai crediti inadempiuti.

Da ciò deriva che il creditore dovrà allegare e provare la distribuzione dell'attivo sociale e la riscossione da parte dell’ex socio di una quota di esso in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi di elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio.

Tanto premesso, in relazione alle domande proposte dal ricorrente nei confronti di Valter P., nella qualità di ex socio della cancellata E. Trasporti, va rilevato che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 6070/2013; 6071/2013; 6072/2013) si è pronunciata sugli effetti riscontrabili in capo alla società ed ai soci a seguito di intervenuta cancellazione della società dal Registro delle imprese.

In particolare, con riferimento alla prima delle sentenze citate, la Corte ha specificato, con orientamento condivisibile, che con l'estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non possono estinguersi anche i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, poiché, se così fosse, si finirebbe appunto col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, e ciò è ancor più inammissibile considerando che l'art. 2492 c.c. nulla prevede circa la possibilità per il creditore di proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione.

La Cassazione ha, pertanto, rilevato che i soci saranno destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata ma non definiti all'esito della liquidazione, fermo però il loro diritto di opporre al creditore agente il limite di responsabilità di cui all’art. 2495 c.c., tanto in base ad un meccanismo successorio secondo il quale “il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; e se il suaccennato limite di responsabilità dovesse rendere evidente l’inutilità per il creditore di far valere le proprie ragioni nei confronti del socio, ciò si rifletterebbe sul requisito dell’interesse ad agire (ma si tenga presente che il creditore potrebbe avere comunque interesse all’accertamento del proprio diritto, ad esempio in funzione dell’escussione di garanzie) ma non sulla legittimazione passiva dei socio medesimo” (Corte di Cassazione a Sezioni Unite sent. 6070/2013).

Applicando nella fattispecie in esame i principi sopra riportati, ritiene il Giudicante che possano esservi situazioni senza dubbio meritevoli di tutela, tali da determinare la necessità di instaurare un contraddittorio giudiziale con gli ex soci della società cancellata, in capo ai quali sussiste legittimazione passiva.

Invero, il limite di responsabilità dei soci di cui all' art. 2495 c.c. non incide sulla loro legittimazione processuale ma, al più, sull'interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sé escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale,

potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci.

Nel caso specifico, ciò non è stato allegato dal ricorrente né risulta che la cancellazione della E. Trasporti dal Registro delle Imprese sia avvenuta con distribuzione di attivo sociale ad alcuno degli ex soci della Cooperativa, data l’insussistenza del patrimonio netto di liquidazione.

Per altro verso, il ricorrente può agire direttamente, ai sensi dell’art. 29, secondo comma, d. lgs 276/2003, nei confronti del committente dell’opera eseguita in appalto dalla società cancellata e propria datrice di lavoro, ponendo in essere così un’azione diretta nei confronti del patrimonio del terzo.

La predetta norma invocata dal ricorrente non deroga dunque alla regola della scindibilità delle cause nei confronti di soggetti che si ritengano coobbligati in via solidale, poiché la loro comunanza non esclude l’esistenza di tanti rapporti obbligatori quanti sono i debitori [cfr. Cass., sez. un., 14700/2010].

Da questi convergenti principi deriva la possibilità che, anche dopo la cancellazione della datrice di lavoro dal Registro delle Imprese, la causa prosegua nei confronti del soggetto convenuto in qualità di committente, ai sensi dell’art. 29 citato.

Appare, quindi, evidente sulla base delle stesse allegazioni attoree e della documentazione in atti che, nel caso in esame, non sussisteva alcun interesse del ricorrente a proseguire il giudizio nei confronti degli ex soci della datrice di lavoro non potendo detti soci rispondere dei debiti della società per mancata distribuzione di attivo di bilancio (cfr. doc. all. 12 e 14 della memoria del resistente, ove risulta che il bilancio finale di liquidazione della E. Trasporti si è chiuso in perdita e che i soci della cennata cooperativa non sono stati destinatari di alcuna ripartizione di somme o utile all’esito dello stesso).

Alla stregua delle predette argomentazioni, le domande del ricorrente nei confronti del P., nella qualità di ex socio della E. Trasporti vanno, quindi, rigettate.

Quanto, invece, alle domande nei confronti della I. Mobili s.r.l., si osserva che il ricorrente si è rivolto al Tribunale di Napoli Nord, in funzione di Giudice del Lavoro, esponendo quanto segue: che in data 1.7.2017 era stato assunto alle dipendenze della E. Trasporti ed inquadrato come operaio di III livello del CCNL Multiservizi, con qualifica di “addetto alla conduzione di autoveicoli [c.d. “capofurgone”] e al montaggio”, nonché alle “attività strumentali e correlate al ruolo finalizzate alla realizzazione degli obiettivi della Società”; di aver prestato la propria attività lavorativa esclusivamente in ordine ed in esecuzione dei contratti di appalto intercorsi tra la I. Mobili (committente) e la E. Trasporti società cooperativa (datrice di lavoro ed appaltatore); che la I. Mobili S.r.l. (di seguito, anche, “I.” o “I. Mobili”) è una società che svolge attività di commercio mobili e materiali per l'edilizia, nonché di arredi, casalinghi, attrezzature e complementi per l’arredo,

sotto il marchio “Mondo Convenienza”; che la I. - fusa per incorporazione con la LR S.r.l - svolgeva attività di trasporto, consegna e montaggio mobili; che la prestazione era sempre stata eseguita in via esclusiva in favore della I. Mobili ed in virtù di due contratti di appalto, identici nel contenuto, stipulati dalla E. Trasporti, il primo con LR S.r.l. (oggi I. Mobili S.r.l.) e avente decorrenza dall’1/7/2017 al 30/06/2018 e il secondo con la I., con decorrenza dall’1/07/2018 al 30/06/2019; che quest’ultimo contratto era stato prorogato fino al 29.02.2020 ed era ancora in corso, in virtù di ulteriore proroga senza soluzione di continuità.; che aveva lavorato ogni giorno dalle 6.00 alle ore 19/19:30, per non meno di 12/13 ore al giorno secondo le modalità specificate in ricorso.

Lamentava l’istante il diritto all’inquadramento nel 4° livello CCNL MULTISERVIZI (anziché nel 3° livello) con le relative differenze sulla retribuzione ordinaria; il diritto all’indennità di cassa e maneggio denaro, prevista dal C.C.N.L. Multiservizi all’art. 24; le differenze per il lavoro straordinario effettivamente svolto; le differenze per TFR; il risarcimento del danno differenziale per lavoro usurante; risarcimento del danno per violazione del diritto di privacy per controlli illegittimi e non autorizzati.

Ciò premesso, la domanda attorea nei confronti della I. Mobili s.r.l. merita parziale accoglimento, per le ragioni che saranno di seguito illustrate.

È pacifico tra le parti oltre che documentalmente provato che il ricorrente ha lavorato per la società E. Trasporti dal 1° luglio 2017 al dicembre 2020, prestando l’attività di “autotrasportatore montatore” (cfr. contratto di assunzione e buste paga in atti).

È, altresì, pacifico che tra tale società e LR s.r.l. (oggi I. Mobili s.r.l.) è stato stipulato un contratto di trasporto e montaggio di mobili col marchio “Mondo Convenienza” per il periodo 1.7.2017 – 30.6.2018. Tale contratto è stato denominato dalle parti stesse “di appalto di servizi” e ha obbligato l’appaltatrice a dotarsi di un’organizzazione propria di persone e mezzi per eseguire i servizi conferiti dalla committente; i servizi non erano limitati alla semplice consegna di merci, ma implicavano la messa a disposizione di automezzi e personale, la formazione di equipaggi, l’adozione e il rispetto di un piano di lavoro, il montaggio, il versamento degli incassi secondo una procedura prestabilita.

È, infine, pacifico che tra la I. Mobili s.r.l. e la E. Trasporti è stato stipulato un successivo contratto di appalto avente il medesimo oggetto del precedente anche per il periodo 1.7.2018 -30.6.2019, contratto poi successivamente prorogato.

La qualificazione attribuita dalle parti al contratto nella sua intestazione è dunque fedele alla causa che esse hanno modellato nel testo dell’accordo [cfr. Cass., sez. II, 11430/1992].

Quale soggetto che ha conferito un vero e proprio servizio in appalto, I. Mobili ha assunto la responsabilità prevista dall’art. 29, secondo comma, d. lgs 276/2003 per i debiti contratti da E. Trasporti nei confronti dei propri dipendenti.

Neppure è contestata la circostanza che il ricorrente ha utilizzato nello svolgimento della prestazione un furgone e strumenti di lavoro (compreso il tablet) recanti il marchio “Mondo Convenienza”.

Sulla base della documentazione prodotta in atti nonché delle dichiarazioni dei testi escussi può ritenersi, quindi, provato che il ricorrente ha lavorato alle dipendenze della E. Trasporti esclusivamente nell’ambito dell’appalto del servizio di trasporto e montaggio che questa società aveva con la resistente I. Mobili, appalto la cui esistenza neppure è stata contestata da parte di quest’ultima società.

L’art. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2003, così come modificato dalla L. 35/2012, prevede quanto segue: “Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore che possono individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Il committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso il giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, ma l’azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro solo dopo l’infruttuosa escussine del patrimonio dell’appaltatore o degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali”.

Dalla lettura del disposto normativo emerge, in primo luogo, la piena legittimazione passiva della committente I. Mobili s.r.l., coobbligata in solido con l’appaltatrice, avendo il ricorrente lavorato esclusivamente nell’ambito dell’appalto in questione ed avendo, quindi, maturato in tale ambito i crediti reclamati nell’odierno giudizio.

La società I. mobili ha eccepito la decadenza del ricorrente dal diritto di avvalersi della invocata responsabilità solidale della committente con riguardo ai crediti maturati fino al 30.6.2018 (data di

cessazione del primo appalto), ritenendo insussistente un’obbligazione solidale a carico della I. per la parte del credito legata al primo appalto, stante il decorso di oltre due anni dalla cessazione del primo contratto.

Tale eccezione non può essere accolta.

Ed, invero, deve ritenersi in questa sede incontestabile che il ricorrente abbia lavorato per E. Trasporti esclusivamente nell'ambito dell'appalto concesso dalla committente sin dal 1.7.2017.

II successivo contratto di appalto intercorso tra la I. e la E. Trasporti in data 1.7.2018 ha avuto, invero, quale effetto quello di far proseguire il contratto di appalto precedentemente in vigore.

Pertanto, la prestazione lavorativa del ricorrente presso tale appalto è proseguita senza alcuna soluzione di continuità, senza alcuna variazione e senza nemmeno alcuna comunicazione da parte della resistente società (circostanza, questa, mai contestata specificamente).

L’appalto intercorso tra la I. e la E. Trasporti, al quale il ricorrente è stato pacificamente adibito in modo costante ed esclusivo per tutta la durata del rapporto di lavoro, rappresenta effettivamente un unicum, così come allegato in ricorso, senza alcuna interruzione o cessazione tale da poter far decorrere il termine di decadenza biennale ex art. 29 L. 276/2003, che presuppone l’effettiva e definitiva “cessazione” del contratto di appalto che, nella specie, per i motivi sopraddetti, non si rileva, atteso che l'appalto è semplicemente proseguito tra le medesime parti.

Del pari, dal chiaro tenore letterale della norma, emerge inoltre che l’eccezione sollevata dalla resistente I., relativamente al beneficio della preventiva escussione, da parte dei lavoratori creditori, del patrimonio dell’appaltatrice, non può precludere né l’accertamento della responsabilità solidale della committente, né la relativa statuizione di condanna (necessaria appunto alla costituzione del titolo da fare valere poi in sede esecutiva), laddove l’avvenuta proposizione della predetta eccezione potrà rilevare solo in fase esecutiva (e non quindi nella presente fase di costituzione del titolo).

La configurabilità della responsabilità solidale in capo alla committente ed all’appaltatrice, proprio in quanto tesa a garantire ulteriormente la posizione dei lavoratori, rispetto alla mera responsabilità della datrice di lavoro per gli obblighi retributivi, nel caso in cui, come in quello in esame, la datrice di lavoro/ appaltatrice sia stata cancellata dal Registro delle Imprese, facoltizza il lavoratore a richiedere una statuizione di accertamento e di condanna anche solo nei confronti della committente coobbligata in solido (v. Cass. SS.UU. 15142/2007), configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo.

Ciò posto, va altresì rilevato che la locuzione “trattamenti retributivi”, contenuta nell’art. 29, secondo comma, d.lgs. 276/ 2003, deve essere interpretata in maniera rigorosa, nel senso della natura strettamente retributiva degli emolumenti che il datore di lavoro risulti tenuto a corrispondere ai

propri dipendenti, con conseguente esclusione delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno [Cass., sez. lav., 28517/2019].

Sulla base di questa logica devono essere espunte dal campo di applicazione della norma quegli emolumenti a natura mista retributiva/risarcitoria quali l’indennità sostitutiva di ferie e permessi (v. Cass. 17/06/2019 n. 15958).

Il carattere standardizzato delle prestazioni richieste al personale dedicato alle consegne e al montaggio – quale emerge sia dal contratto di appalto sia dalla narrativa della memoria di costituzione – consente di effettuare una valutazione uniforme dei risultati di prova acquisiti nell’istruttoria in ordine ai presupposti circostanziali dei singoli crediti fatti valere dai ricorrenti.

Quanto, in particolare, alla indennità di cassa e maneggio denaro, reclamata dal ricorrente per il costante maneggio di danaro, la Corte di Cassazione ha affermato che: “Poiché l'indennità di maneggio di denaro costituisce un istituto di derivazione esclusivamente contrattuale, le condizioni per l'insorgenza del relativo diritto in capo al lavoratore vanno individuate esclusivamente sulla base dell'interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto, senza riferimento a pretese nozioni di carattere generale” (cfr. Cass. 17 aprile 2004, n. 7353) e che: “L'indennità di cassa, esclusa dalla retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, indica tutte quelle indennità previste dai contratti collettivi che, quale che sia il nomen iuris adoperato dalle parti (indennità di maneggio del denaro, indennità di cassa, indennità di rischio, indennità di cassa e di maneggio del denaro), sono collegate al maneggio del denaro quale mansione normale o prevalente del lavoratore, con connessa responsabilità dello stesso, e sono erogate in relazione al rischio che è connaturato a tale attività” (Cass. 23 novembre 1995, n. 12119).

Ebbene, nel caso di specie, l’art. 24 del CCNL MULTISERVIZI del 2011 stabilisce che: “Al lavoratore che ha normalmente maneggio di denaro con oneri per errori verrà corrisposta un’indennità nella misura del 3% sulla retribuzione tabellare della sua categoria di appartenenza. Gli interessi derivanti da eventuale cauzione andranno a beneficio dell’impiegato. Al personale normalmente incaricato della riscossione con responsabilità di bollette, fatture, note, eccetera, di importo complessivo superiore a € 4.65, sarà corrisposta un’indennità nella misura del 5% sulla retribuzione base”.

Osserva il Tribunale che, ai sensi del citato CCNL, i presupposti del diritto sono: 1) l'espletamento da parte del dipendente di un'attività lavorativa che sia inquadrabile come attività di "maneggio di denaro"; 2) la "normalità" di svolgimento di detta attività; 3) la previsione di "oneri per errori".

L'indennità spetta quindi al dipendente che maneggi il danaro alla stregua di una mansione continuativa e non occasionale o saltuaria e laddove lo stesso assuma la responsabilità finanziaria

degli errori, in modo che le normali mansioni del dipendente siano quelle estrinsecantesi obiettivamente in forma di pagamenti e riscossioni.

Tale attività deve essere fonte di responsabilità per errori, anche nella determinazione delle somme pagate o riscosse, ed al contempo costituisce maggior impegno per la tensione particolare e la conseguente maggiore diligenza che richiede nel prestatore d'opera.

Con riferimento a tali presupposti, il ricorrente non ha sufficientemente allegato né provato di essere stato gravato da “onere per errori”.

Si reputa quindi che il ricorrente si sia limitato allo svolgimento esclusivo di mansioni di “capo-furgone”, in quanto addetto al trasporto e al montaggio dei mobili, ossia prestazioni ben diverse dal normale svolgimento di attività contabile, con obbligo di rendiconto e responsabilità finanziaria.

Applicando questo criterio alla fattispecie in esame si può ritenere che il semplice maneggio del denaro da parte del ricorrente emerso dalla istruttoria svolta non sia sufficiente per riconoscere alla indennità in esame natura “strettamente” retribuiva.

Ed, invero, avendo l’istante svolto mansioni di autista trasportatore e montatore di mobili, il maneggio di danaro- diversamente da quanto accade ad esempio per un cassiere la cui prestazione è proprio quella di ricevere dall’acquirente il corrispettivo della vendita – non costituisce la prestazione prevalente della mansione, tale da ritenere immanente alla attività stessa una responsabilità che deriva direttamente dalle norme codicistiche che obbligano il dipendente alla diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta (art. 2104 c.c.).

Ed infatti le prestazioni fondamentali del ricorrente era quello di consegnare e montare il mobile, mentre il ricevimento del denaro da parte del cliente aveva un ruolo accessorio e complementare, seppur avvenuto con continuità e responsabilità dell’incasso.

In questo caso deve dunque ritenersi che l’indennità di maneggio denaro ha natura indennitaria in quanto volta a compensare un ulteriore impegno non strettamente legato alla prestazione fondamentale.

Ciò ha trovato conferma anche in un recente arresto giurisprudenziale.

La Cassazione ha, invero, fornito un criterio distintivo consistente nell’individuare nell’ambito della contrattazione collettiva gli elementi compensativi che, essendo direttamente collegati alle caratteristiche proprie della prestazione, devono considerarsi di natura retributiva distinguendoli dagli emolumenti di carattere indennitario che sono invece diretti a compensare fattori di disagio estrinseci alla esecuzione della prestazione in senso stretto.

La Suprema Corte ha precisato che: “nel caso del lavoro notturno a turni non avvicendati il CCNL prevede una maggiorazione del 25% per una prestazione in sè caratterizzata da maggior disagio, a differenza di altri emolumenti indicati nel CCNL come indennitari che sono diretti a compensare

fattori di disagio non direttamente collegate all'esecuzione della prestazione in senso stretto, come ad esempio l'indennità di cassa e maneggio denaro.” (ordinanza n. 25000 del 23 ottobre 2017).

Assume poi particolare rilevanza il fatto che il legislatore abbia escluso l’indennità di cassa dalla retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali (art. 12 della l. 30 aprile 1969 n. 153).

La continuità del maneggio denaro rileva, dunque, ai fini della sussistenza del diritto del lavoratore a percepire il compenso dal proprio datore di lavoro ma non ai fini della individuazione della natura del compenso stesso, che in quanto non assoggettato a contribuzione, deve considerarsi avente carattere non strettamente retributivo.

Alla luce di queste considerazioni, deve ritenersi che la I., in quanto solidalmente responsabile per il pagamento delle retribuzioni spettanti ai lavoratori, non sia tenuta a corrispondere all’istante le somme quantificate a titolo di indennità di cassa. Quanto, poi, alle differenze sulla retribuzione ordinaria reclamate per il non corretto inquadramento nel livello 3 del CCNL Multiservizi, si osserva che anche tale domanda risulta infondata.

Ed, invero, alla luce delle difese delle parti, della documentazione prodotta e dell’istruttoria è emerso che il ricorrente ha svolto le mansioni di autista/montatore, con conduzione autocarri per i quali non era richiesta la patente C (prevista per autocarri di peso superiore ai 35 quintali), mansioni pacificamente rientranti nel livello di inquadramento dell’istante.

Ciò risulta chiaramente dalle stesse deposizioni testimoniali dei testi di parte ricorrente, atteso che il teste Antonio M. collega di lavoro dell’istante ha dichiarato “(…) sia io che il ricorrente eravamo Capo furgoni, ci siamo dunque occupati del trasporto e del montaggio dei mobili; Adr: la nostra giornata di lavoro iniziava alle 6:00 del mattino, orario in cui io e il ricorrente ci recavamo presso il deposito della E. Trasporti a Carinaro; lì prendevamo il mezzo che ci veniva assegnato e andavamo a caricare a Vega 12, che era il deposito della merce che andava consegnata nella provincia di Napoli e Caserta; successivamente al controllo della merce da caricare, facevamo un confronto con quelle da consegnare che veniva da noi spuntata su un tablet e dopo aver caricato il camion, partivamo per le consegne; Adr: all’uscita dal deposito c’era un preposto che controllava la nostra presenza con un tablet e una pistola ad infrarossi che marcava il codice della squadra addetta alla consegna; la squadra era composta da due persone, un capo furgone e un operaio; Adr: arrivati al luogo di destinazione, io e l’altro addetto portavamo la merce sul piano e provvedevamo al montaggio; Adr: in una giornata era possibile effettuare anche otto consegne; Adr: io e il ricorrente facevamo parte di due squadre diverse, essendo entrambi Capo furgone, ma è capitato di lavorare insieme nella stessa abitazione quando c’erano più consegne da fare; Adr: il pagamento della merce veniva effettuato alla consegna in contanti e lo stesso faceva anche il ricorrente come capo furgone; facevamo firmare al

cliente sul tablet per chiudere la consegna e questo consentiva alla società di monitorare anche il nostro lavoro; Adr: sia io che il ricorrente, come capi furgone, ricevevamo una formazione sul montaggio dei mobili, che veniva effettuato periodicamente; in un mese poteva capitare anche più volte; Adr: non eravamo dotati di alcuno strumento per trasportare la merce tipo muletti, o carrelli elevatori, portavamo tutto con le nostre braccia, salvo dei carrellini non elettrici con due ruote per fare piccoli spostamenti, ma comunque non ci servivano per salire le scale; Adr: sia io che il ricorrente siamo stati addetti al montaggio di tutti i tipi di mobili come quelli di camere da letto, cucine, camerette; poteva capitare, in caso di difficoltà nel montaggio di un top della cucina, facevamo noi una sagoma con un compensato, che dovevamo consegnare al supervisore nel deposito per far arrivare il nuovo pezzo; Adr: non ci siamo mai occupati di attacchi idrici o elettrici, ci occupavamo solo di montaggio dei mobili; Adr: gli strumenti che avevamo in dotazione erano: cassetta degli attrezzi completa, avvitatori, trapano, tassellatore, seghetto alternativo; Adr: il pagamento avveniva o in contanti o tramite pos, a seconda della disponibilità del cliente; Adr: l’orario di lavoro mio e del ricorrente era dalle 06:00 alle 18:00 dal lunedì al sabato, ma poteva variare in base ai tempi e alle zone del montaggio; preciso che la domenica era facoltativo, ossia potevamo essere chiamati in caso di necessità; Adr: i letti che ho montato erano di Mondo Convenienza e ricordo anche altri marchi come Marinelli e Imab; il furgone che guidavamo, le tute da lavoro che indossavamo erano di mondo convenienza, e anche il tablet che ci veniva dato in dotazione era di mondo convenienza; Adr: il peso della merce consegnata poteva variare, ricordo delle madie (Sanremo dark) che erano premontate e il loro peso variava tra i 50 e i 60 kg ed eravamo noi due addetti a trasportarli anche per le scale; Adr: l’operaio che ci aiutava si occupava della preparazione del lavoro, dell’apertura degli scatoli, della preparazione degli attrezzi, ma il montaggio vero e proprio era di competenza del capo furgone; Adr: non avevamo pausa pranzo, mi è capitato di mangiare alla guida del furgone se c’era tempo; Adr: per guidare il furgone era sufficiente una patente B, non era necessaria una patente speciale essendo il furgone di peso inferiore ai 35 kg; Adr: gli unici strumenti che ci venivano messi a disposizione per la sicurezza sul lavoro erano delle scarpe anti-infortunistica e dei guanti; Adr: anche in caso di consegna di merce di peso superiore a quello consentito, non potevamo rifiutarci e comunque in caso di mancata consegna veniva segnalato dal servizio clienti o potevamo essere chiamati dal supervisore; Adr: abbiamo partecipato anche a un corso di movimentazione dei carichi, finalizzato a farci comprendere come dovevamo sollevare i pacchi anche di peso superiore;(…)”.

Le medesime circostanze sono state confermate anche dal teste Postiglione Luca, escusso nel procedimento n. R.G. 2939/2021 le cui dichiarazioni risultano acquisite nel presente giudizio in quanto riguardanti i medesimi fatti oggetto di causa il quale ha dichiarato: “adr.: Indifferente. Ho lavorato per la E. trasporti soc. coop. dal 2017 al 2019, anno in cui ho firmato le dimissioni con

mansioni di capo-furgone. Conosco il ricorrente in quanto abbiamo iniziato a lavorare insieme per la E. Trasporti la quale si occupava di trasporti e montaggio dei mobili per conto della I. Mobili, per conto del marchio Mondo Convenienza. Anche il ricorrente svolgeva le mie stesse mansioni di capo-furgone. Sia io che il ricorrente alle 6 del mattino dovevamo presentarci al deposito di Carinaro, caricavamo i mobili sul furgone, ogni capo-furgone aveva il proprio furgone e un facchino che lo aiutava nel caricare a mobili e nello svolgimento delle altre mansioni. A questo punto, una volta caricati i mobili, e partivamo per le consegne, arrivati presso le abitazioni dei clienti scaricavamo i mobili insieme al facchino. Alcuni dei mobili superavano anche gli 85kg e dovevamo trasportarli a mano noi capo-furgoni con l’aiuto della seconda persona che lavorava con noi. Sia io che il ricorrente ci occupavamo anche del montaggio dei mobili che doveva avvenire nel rispetto delle regole impartiteci dagli esperti formatori di Mondo Convenienza. I furgoni che utilizzavamo erano di peso massimo di 35 quintali e per gli stessi è sufficiente l’utilizzo della patente B. Per quanto riguarda il ritorno nel deposito, lo stesso avveniva solo dopo il montaggio dei mobili e comunque non prima delle 19:30/20 e non avevamo nemmeno una pausa pranzo. (…)”.

Occorre, quindi, rilevare che per le mansioni di autista/montatore svolte dal ricorrente la parte datoriale ha correttamente riconosciuto il 3° livello CCNL Multiservizi.

Ed, invero, rientrano in tale livello: “i lavoratori qualificati, adibiti ad operazioni di media complessità (amministrative, commerciali, tecniche) per la cui esecuzione sono richieste normali conoscenze ed adeguate capacità tecnico-pratiche comunque acquisite, anche coordinando lavoratori inquadrati in livelli inferiori od uguali”. Profilo 3. lavoratori che eseguono attività di trasporto e movimentazione di materiali con mezzi complessi. Esempi: 3.1 Conducenti di autoveicoli e motocarri inferiori ai 35 quintali (per i quali non è richiesta la patente C e D); per contro rientrano nel 4° livello (quello reclamato dal ricorrente) “i lavoratori che, in possesso di qualificate conoscenze di tipo specialistico, esplicano attività tecnico - operative di adeguata complessità, ovvero svolgono attività amministrative, commerciali, tecniche; i lavoratori adibiti ad operazioni e compiti (esecutivi) per la cui attuazione sono richieste specifiche conoscenze tecniche e/o particolari capacità tecnico pratiche comunque acquisite, anche coordinando e sorvegliando attività svolte da altri lavoratori”. Profilo: 3. lavoratori che eseguono attività di trasporto e movimentazione di materiali con mezzi complessi e pesanti. Esempi: 3.1 Autisti e conducenti veicoli per i quali sia previsto il possesso della patente C o superiore.

Gli stessi testi di parte ricorrente hanno confermato che l’istante al pari degli altri colleghi con mansioni di autista montatore, conducevano esclusivamente furgoni di peso non superiore ai 35 quintali per i quali è sufficiente la patente B, ovvero l’unica posseduta dall’istante.

Per quanto riguarda l’inquadramento delle mansioni di montatore vi è poi da osservare che nel III livello Profilo: 5 rientrano quei “lavoratori che, sulla base di dettagliate indicazioni e/o disegni, eseguono anche con l’individuazione di semplici guasti attività di manutenzione e di riparazione con normale difficoltà di esecuzione” mentre nel superiore livello rivendicato rientrano quei “lavoratori che sulla base di indicazioni o schemi equivalenti procedono alla individuazione dei guasti, eseguono lavori di elevata precisione e di natura complessa per la riparazione, la manutenzione, la messa a punto e l’installazione di macchine e di impianti”.

Dunque, la differenza è data dalla complessità e elevata precisione dei lavori mentre si ripete il ricorrente si occupava del semplice montaggio di mobili, sulla base di disegni e indicazioni fornite dall’azienda. Ed, invero, dalla istruttoria è emerso che nel procedere all’assemblaggio dei mobili il ricorrente così come gli altri operai dovevano seguire esclusivamente le istruzioni di montaggio fornite unitamente alla mobilia.

Infondate sono poi le domande risarcitorie in ordine al danno per violazione della privacy e controllo non autorizzato, danno da usura psico-fisica e danno biologico differenziale, per la mancanza di puntuali allegazioni sull’an e sul quantum dell’asserito e non meglio specificato danno e trattandosi, in ogni caso, di emolumenti esclusi dal perimetro della responsabilità solidale della società committente, in quanto non rientranti tra le voci retributive previste dalla normativa in esame.

Deve, invece, ritenersi provato lo svolgimento da parte del ricorrente quantomeno di 11 ore al giorno di lavoro ovvero dalle 6:00 -17:30, detratta 30 minuti di pausa (cfr. dichiarazione teste M. “ (..) Adr: la nostra giornata di lavoro iniziava alle 6:00 del mattino, orario in cui io e il ricorrente ci recavamo presso il deposito della E. Trasporti a Carinaro (…)Adr: l’orario di lavoro mio e del ricorrente era dalle 06:00 alle 18:00 dal lunedì al sabato, ma poteva variare in base ai tempi e alle zone del montaggio; preciso che la domenica era facoltativo, ossia potevamo essere chiamati in caso di necessità” e del teste Postiglione “Sia io che il ricorrente alle 6 del mattino dovevamo presentarci al deposito di Carinaro, caricavamo i mobili sul furgone, ogni capo-furgone aveva il proprio furgone e un facchino che lo aiutava nel caricare a mobili e nello svolgimento delle altre mansioni.(…) Per quanto riguarda il ritorno nel deposito, lo stesso avveniva solo dopo il montaggio dei mobili e comunque non prima delle 19:30/20 e non avevamo nemmeno una pausa pranzo. (…) Né io né il ricorrente eravamo forniti di badge né di altro strumento per verificare l’orario di lavoro. Sia io che il ricorrente lavoravamo tutti i giorni dal lunedì al sabato compreso, mentre per quanto riguardava le domeniche a volte potevamo decidere di lavorare anche se era una scelta facoltativa”.

In proposito, quanto alla attendibilità del teste, ricorrente in autonomo giudizio promosso nei confronti della società convenuta avente analogo oggetto, è opinione di questo Giudice che la posizione dello stesso non comporta di per sé la sua incapacità a testimoniare o l'inutilizzabilità della

testimonianza assunta, come chiarito dai numerosi contributi della Suprema Corte , più volte chiamata ad occuparsi proprio del caso del collega di lavoro chiamato a testimoniare pur avendo analoga controversia pendente con lo stesso datore, dovendo aversi riguardo al tenore complessivo di credibilità della deposizione ( cfr. tra tante Cass. sent. n. 11204 del 21.05.2014).

Nel caso di specie, le dichiarazioni dei testi di parte ricorrente sono risultate, invero, genuine e scevre da contraddizioni e non sono mai risuonate come eccessive, compiacenti o forzate.

Invero, i testi di parte ricorrente hanno riferito di un orario dalle 6:00 del mattino, orario di arrivo al deposito di Carinaro e inizio di una serie di operazioni quali consegna di eventuali mobili di reso e del denaro contante, carico della merce e partenza con il furgone per effettuare le diverse consegne, scarico merce, montaggio mobili, per una giornata di lavoro pari a non meno di 11 ore al giorno, dal lunedì al sabato.

In particolare, le dichiarazioni del teste Postiglione hanno trovato riscontro nella deposizione del teste M., teste certamente “qualificato” in quanto ex collega di lavoro del ricorrente ed ex dipendente della Cooperativa, privo di interesse rispetto ai fatti di causa. Rilevato, tuttavia, che l’orario di fine turno indicato dal teste Postiglione (19.30 – 20.00) non ha trovato un preciso e puntuale riscontro nella deposizione del M. e stante la prova “rigorosa” richiesta sul punto, lo straordinario può ritenersi provato solo nei limiti sopra indicati.

Seppur nessuno ha riferito di una vera e propria pausa pranzo, non può negarsi che almeno mezz’ora al giorno i lavoratori si siano fermati per consumare un veloce pranzo.

Poiché dunque il lavoro straordinario deve essere provato rigorosamente, deve ritenersi raggiunta la prova di un orario giornaliero di 11 ore (ovvero dalle 6:00 -17:30, detratta 30 minuti di pausa) pari a 66 ore settimanali, dal lunedì al sabato, con riposo domenicale, non essendovi prova che ogni giorno di lavoro l’orario fosse superiore.

Il ricorrente ha dunque maturato un credito per prestazioni straordinarie, oltre l’orario ordinario fissato dall’art. 30 CCNL in 40 ore settimanali.

Con apposito conteggio, effettuato in corso di causa su invito del giudice, il credito relativo a tali ore è stato quantificato in € 37.844,58. Tuttavia, va rilevato che la retribuzione oraria presa come parametro maggiorata per le ore di lavoro straordinario è quella relativa al superiore livello, per cui questo Giudice ha provveduto alla quantificazione dell’importo spettante per le ore di straordinario svolto, tenuto conto della retribuzione oraria propria del livello di inquadramento, detratto quanto già percepito a tale titolo e risultante dai conteggi in atti per l’importo di € 35.542,2.

Per effetto delle spettanze accertate il ricorrente ha, poi, maturato anche il diritto al ricalcolo del TFR, stante il carattere continuativo delle prestazioni straordinarie. Vanno, al contrario, decurtate le ulteriori somme reclamate a titolo di differenze sulla retribuzione ordinaria, 13ma e 14ma mensilità

in mancanza di allegazioni specifiche sul punto e stante il rigetto della domanda di superiore inquadramento.

Sotto il profilo del quantum debeatur, effettuando una valutazione di carattere equitativo, partendo dal nuovo conteggio operato, è possibile, pertanto, riconoscere al DI V. una somma complessiva di euro 38.204,57 (di cui euro 2.662,37 a titolo di differenze sul TFR) con gli ulteriori interessi legali, sulla somma capitale da rivalutarsi anno per anno dalla maturazione del credito al saldo.

La I. Mobili s.r.l. deve, pertanto, essere condannata, quale corresponsabile in solido, a corrispondere in favore del ricorrente l’importo complessivo di euro 38.204,57 (di cui euro 2.662,37 a titolo di differenze sul TFR) con gli ulteriori interessi legali, sulla somma capitale da rivalutarsi anno per anno dalla maturazione del credito al saldo.

Le spese di lite tra il ricorrente e la I. Mobili SRL possono essere compensate per metà in ragione dell’accoglimento parziale della domanda; per la restante parte seguono la soccombenza prevalente della I., con liquidazione come da dispositivo. Vanno compensate le spese tra il ricorrente e Valter P., quale ex socio della E. trasporti, in ragione della circostanza sopravvenuta all'instaurazione del processo, costituita dalla cancellazione della società originariamente convenuta in giudizio, e delle

questioni di natura eminentemente processuale affrontate per decidere la controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli Nord, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando così provvede:

a) rigetta la domanda nei confronti di Valter P.;

b) condanna, quale corresponsabile in solido, la società I. Mobili s.r.l. a corrispondere al ricorrente il complessivo importo di euro 38.204,57 (di cui euro 2.662,37 a titolo di differenze sul Tfr) con gli ulteriori interessi legali, sulla somma capitale da rivalutarsi anno per anno dalla maturazione del credito al saldo;

c) respinge per il resto il ricorso nei confronti della I. Mobili s.r.l.;

e) compensa per metà le spese di lite tra il ricorrente e la I. Mobili s.r.l. e condanna la società I. Mobili s.r.l al pagamento del residuo che liquida in complessivi € 2.500,00, oltre rimborso per spese generali al 15 %, Cpa e IVA, con distrazione;

f) compensa le spese tra il ricorrente e Valter P..

Si comunichi

Aversa, 5/11/2024

Il Giudice del Lavoro

dott.ssa Raffaella P.

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domenica 27 ottobre 2024

Benessere Psicologico sul Posto di Lavoro: Un Elemento Fondamentale per la Qualità della Vita

Il benessere psicologico in azienda è un fattore cruciale per migliorare la qualità della vita dei lavoratori. Una ricerca condotta da Stimulus Italia, in collaborazione con il dipartimento di Scienze dell'educazione dell’Università di Bologna e quello di Scienze economiche, aziendali e statistiche dell'Università di Palermo, con il supporto del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, ha analizzato le esperienze di 8.572 professionisti in 59 aziende italiane. Lo studio ha esaminato sia gli aspetti fisici che psicologici del clima lavorativo, rivelando che ambienti in cui i lavoratori si sentono riconosciuti e valorizzati favoriscono il loro benessere psicologico.


Tuttavia, la ricerca ha evidenziato anche alcuni aspetti preoccupanti: il 57,15% dei partecipanti si sente frequentemente in condizioni di forte bisogno di recupero energetico. Inoltre, è emerso un nuovo fenomeno, definito **straining**, che descrive una pressione costante e sottile sui lavoratori, differente dal semplice stress ma non ancora classificabile come mobbing. Per approfondire questo tema, abbiamo intervistato Pietro Bussotti, membro dello staff della presidenza del Cnop, specializzato nella psicologia del lavoro.


#### Che Cos’è lo Straining?


Lo straining è una forma di stress lavorativo intenso e prolungato, spesso innescata da eventi negativi sul posto di lavoro, come cambiamenti organizzativi o conflitti con i superiori. Anche se può avere un solo evento scatenante, le conseguenze possono essere significative e durature, impattando negativamente sulla salute mentale e fisica dei lavoratori. Il termine "straining" implica un’azione di pressione e sforzo, sia fisicamente che mentalmente.


#### Mobbing vs. Straining


Sebbene mobbing e straining presentino alcune somiglianze, esistono differenze sostanziali. Il mobbing implica azioni vessatorie intenzionali e sistematiche, durando almeno sei mesi e caratterizzandosi per frequenza e varietà. Al contrario, lo straining non comporta necessariamente un’intenzione malevola; è spesso il risultato di eventi isolati che causano stress e disagio, senza la continuità e l’intenzionalità tipiche del mobbing.


#### Aumento della Consapevolezza o Crescita Reale del Fenomeno?


Negli ultimi anni, sia l’incidenza che la consapevolezza di fenomeni come mobbing e straining sono aumentate. La pandemia di COVID-19 ha trasformato la nostra visione del lavoro, portando le nuove generazioni a dare priorità alla conciliazione tra vita privata e professionale. Questo ha reso i lavoratori meno tolleranti verso ambienti tossici. Tuttavia, nonostante la maggiore consapevolezza, il termine mobbing rimane un tabù nei contesti legali e aziendali, limitando le discussioni su questo tema cruciale.


In conclusione, è essenziale affrontare il benessere psicologico sul posto di lavoro, promuovendo ambienti sani e supportivi per garantire la salute mentale dei lavoratori. La sensibilizzazione e la comprensione di fenomeni come straining e mobbing possono contribuire a creare un clima lavorativo più positivo e produttivo.

sabato 7 settembre 2024

formula RICORSO PER LA SOSTITUZIONE DEL GIUDICE ISTRUTTORE EX ART. 174, CO. II, C.P.C.

 

TRIBUNALE CIVILE DI _____________

ILL.MO SIG. PRESIDENTE R.G. n. ____

RICORSO PER LA SOSTITUZIONE DEL GIUDICE ISTRUTTORE EX ART. 174, CO. II, C.P.C. E 74 DISP. ATT. C.C.

Per il Sig. _____________, C.F. _____________, nato in _____________ il _____________ e residente in _____________ alla Via _____________ n. ____, rappresentato e difeso, in ogni fase, stato e grado del presente procedimento, dall’Avv. _____________, C.F. _____________, casella PEC: _____________, numero di telefax: _____________, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio legale sito in _____________ alla Via _____________ n. ____, in virtù di procura apposta in calce al presente ricorso Contro il Sig. _____________, C.F. _____________, nato in _____________ il _____________ e residente in _____________ alla Via _____________ n. ____, rappresentato e difeso, in ogni fase, stato e grado del presente procedimento, dall’Avv. _____________, C.F. _____________, casella PEC: _____________, numero di telefax: _____________, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio legale sito in _____________ alla Via _____________ n. ____.

 

FATTO E DIRITTO

 

(Indicare le ragioni per le quali si ritiene nel caso di specie il Presidente del Tribunale civile di _____________ debba procedere alla sostituzione del giudice istruttore dott. _____________, in ordine alla causa iscritta al numero di R.G. n. ____, per assoluto impedimento o gravi esigenze di servizio). Tutto ciò premesso e considerato in fatto ed in diritto, il Sig. _____________, come sopra rappresentato, domiciliato e difeso, propone il presente ricorso insistendo nell’accoglimento delle seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ill. mo Presidente del Tribunale civile di _____________, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, così giudicare:

- emanare il decreto mediante il quale sostituisce il giudice istruttore dott. _____________ della causa iscritta al numero di R.G. _____________ con altro giudice istruttore della medesima sezione per le ragioni al meglio spiegate in narrativa.

 

Si depositano i seguenti documenti: _____________ ____________________

 

Luogo e data Avv. ______________

 

PROCURA SPECIALE AD LITEM

Il sottoscritto Sig. _____________, C.F. _____________, nato a _____________ il _____________, residente in _____________ alla Via _____________ n. ____, quale legale rappresentante della società X, C.F. _____________ e P.IVA _____________ con sede in _____________ Via _____________ delega a rappresentarlo e difenderlo nel presente procedimento per regolamento di giurisdizione avanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione l’Avv. _____________, C.F. _____________, PEC: _____________@________, numero di telefax: _____________, ed elegge domicilio presso il suo studio legale sito in Roma alla Via _____________ n. ____, conferendogli ogni più amplio potere di legge. Dichiara di essere stata edotto, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 7 e 13 del D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, che i dati personali, richiesti direttamente ovvero raccolti presso terzi, verranno utilizzati ai soli fini del presente incarico e presta il consenso al loro trattamento. Prende atto che il trattamento dei propri dati personali avverrà mediante strumenti informativi o manuali, con logiche strettamente correlate alle finalità del presente incarico. Dichiara di essere stato informato, in ossequio a quanto previsto dall’art. 4, co. 3, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 ss. mm., della obbligatorietà di avviare il procedimento di mediazione al fine della risoluzione delle controversie civili e commerciali concernenti i diritti disponibili relativi in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziaria e della possibilità di giovarsi dei benefici fiscali connessi all’utilizzo della procedura di cui agli artt. 17 e 20 D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 ss. mm. ii.

Dichiara di essere stato informato, ai sensi dell’art. 3 D.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito dalla L. 10 novembre 2014 n. 162, dell’obbligo di avviare il procedimento di negoziazione assistita per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e, al di fuori delle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e

natanti e dei casi disciplinati dall’art. 5, co. I bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, delle domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti € 50.000,00. ____________________

Luogo e data Società _____________ (in persona del legale rappresentante p.t.) _____________

È autentica Avv. ______________

martedì 11 giugno 2024

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI GENOVA

SEZIONE LAVORO


La Corte, composta da:


SENTENZA


Sull'appello proposto da:

M.M. (c.f. (...)), rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso in appello, dall'Avv. Andrea

Bava del Foro di Genova (c.f. (...); pec: avv.andreabava@certmail.cnf.it), elettivamente domiciliata

nel suo Studio in Genova, Via Sottoripa 1A/35


appellante


CONTRO


Ministero dell'Interno (c.f. (...)), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, presso i cui uffici in Genova, Viale Brigate

Partigiane 2, è domiciliata


appellato


Svolgimento del processo

Con ricorso innanzi al Tribunale di Genova, in funzione di giudice del lavoro, il M.llo dei Carabinieri M.M.

conveniva in giudizio il Ministero dell'Interno affinché venisse condannato a riconoscergli i benefici

previsti dall'articolo 1, comma 563, della L. n. 266 del 2005 in favore delle vittime del dovere.

A sostegno della domanda esponeva che in data 12 ottobre 1997, nel corso del servizio, era stato

aggredito da un individuo che l'aveva colpito in viso con una grossa pietra causandogli lesioni

permanenti. Più precisamente, i fatti avevano avuto il seguente svolgimento: egli era intervenuto,

unitamente ad un collega, sul luogo di un sinistro stradale che aveva coinvolto un'autovettura ed un

cavallo; verificato che in un cespuglio nei pressi vi era un individuo nascosto, il M.llo M. vi si era

avvicinato e a quel punto era uscito allo scoperto un individuo (rivelatosi poi il ladro del cavallo

coinvolto nel sinistro stradale) il quale aveva minacciato di morte sia lui che il suo collega e, subito

dopo, lo aveva aggredito tentando inoltre di sottrargli l'arma di servizio.

Il ricorrente faceva presente di aver subito, da tale aggressione, postumi permanenti e lamentava il

mancato accoglimento, da parte del Ministero dell'Interno, della domanda da lui proposta onde

ottenere il riconoscimento dello status di vittima del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 563, della L. n.

266 del 2005.

Costituitosi in giudizio, il Ministero dell'Interno resisteva proponendo in via preliminare un'eccezione di

giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, deducendo l'infondatezzadella domanda in quanto

l'evento dannoso si era verificato nell'ambito dell'ordinaria attività di servizio, non ravvisandosi

dunque specifici elementi di rischio eccedenti il rischio ordinario.

Il Tribunale, con sentenza n. 486/2016, rigettava il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite.

In motivazione affermava, preliminarmente, che l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice

ordinario doveva ritenersi infondata sulla base di quanto chiarito dalla S.C. con le pronunce nn.

26626/2007, 26627/2007, 21306/2010).

Venendo al merito, rilevava che la norma di riferimento è costituita dall'art. 1, comma 563, della L. n.

266 del 2005, e dava atto che la casistica dei soggetti aventi diritto allo status di vittime del dovere era

stato così esteso, dal legislatore, rispetto alla più limitata cerchia di cui all'art. 1 della L. n. 466 del 1980

che faceva rientrare in tale categoria i soggetti, appartenenti alle forze dell'ordine, " ... deceduti in

attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di eventi connessi

all'espletamento di funzioni d'istituto e dipendentida rischi specificamente attinenti a operazioni di

polizia preventiva o repressiva o all'espletamento di attività di soccorso".

Il Tribunale esaminava poi la disciplina dettata nel comma 564 dell'art. 1 della L. n. 266 del 2005, in

favore dei soggetti equiparati alle vittime del dovere, cioè di "coloro che abbiano contratto infermità

permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di

qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da

cause di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative", e dava atto che con il D.P.R. n.

243 del 2006 è stato precisato che si intendono "per particolari condizioni ambientali od operative, le

condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti

di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie

condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".

Nell'interpretare la suddetta disciplina di riferimento il Tribunale affermava la necessità di un

approccio sistematico alla fattispecie onde "evitare una moltiplicazione di prestazioni che non trova

giustificazione nelle soluzioni tecniche adottate sul piano normativo". Richiamava poi Cass. n.

13114/2015, secondo cui "per il riconoscimento dei benefici previsti per i soggetti equiparati alle vittime

del dovere è però necessario ... che i compiti rientranti nella normale attività d'istituto, svolti in

occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l'esistenza o per il

sopravvenire di circostanze o eventi straordinari, ulteriori rispetto al rischio tipico ...", evidenziando

che con tale decisione la S.C. aveva escluso che potesse attribuirsi lo status di soggetto equiparato alle

vittime del dovere in favore di chi ha contratto un'invalidità avendo subitoun incidente nello

svolgimento delle attività ordinarie connesse al servizio prestato.

Secondo il Tribunale il principio enunciato dalla S.C. con la sentenza suddetta aveva una portata

generale, dovendo applicarsi all'intera categoria delle vittime del dovere.

Sulla scorta di tali considerazioni il giudicante perveniva dunque al rigetto della domanda, affermando

che non erano nella fattispecie ravvisabili i presupposti di cui al citato comma 563, e che era altresì da

escludersi la sussistenza di un rischio specifico non meramente connesso alle ordinarie attività di

istituto.

Avverso la sentenza proponeva appello M.M., censurandola laddove aveva escluso che la fattispecie in

esame fosse riconducibile alle ipotesi di cui al citato art. 1, comma 563, della L. n. 266 del 2005.

Costituitosi in giudizio, il Ministero dell'Interno resisteva, sollecitando la conferma dell'impugnata

sentenza.

Questa Corte, ritenutane la necessità, espletava c.t.u. medico-legale onde verificare la percentuale di

invalidità complessiva subita dall'appellante a seguito dell'aggressione per cui è causa, invitando il

C.t.u. a quantificare detta percentuale sulla base dei criteri di cui al D.P.R. n. 181 del 2009. All'udienza

del 12 maggio 2017, acquisito l'elaborato del C.t.u. ed ascoltate le conclusioni delle parti, emetteva

l'allegato dispositivo.

Motivi della decisione

Nel presente grado di giudizio non è stata riproposta l'eccezione di carenza di giurisdizione né sono

state specificamente censurate le argomentazioni formulate sul punto dal Tribunale; appare comunque

opportuno richiamare le pronunce nn. 23300/16, 23396/16, 759/2017 e 10791/2017 con cui la S.C. ha

affermato, nella presente materia, la giurisdizione del giudice ordinario.

Venendo dunque alle questioni di merito, si ritiene che l'appello sia fondato.

Secondo il giudice di primo grado non sarebbero nella fattispecie integrati i presupposti di cui all'art. 1,

comma 563, della L. n. 266 del 2005.

Il Tribunale afferma infatti che le lesioni per cui è causa non sono state riportate nello svolgimento

delle attività tassativamente previste dal legislatore nella norma suddetta, bensì nell'espletamento dei

normali servizi di istituto. Nell'impugnatasentenza si afferma inoltre che l'attività di servizio svolta

dall'odierno appellante (al momento in cui egli subì l'aggressione) era priva del carattere di particolare

rischio esulante dalle normalità delle funzioni istituzionali.

Al fine di valutare la fondatezza di tale prospettazione è opportuno richiamare l'art. 1, commi 562 e 563,

564, 565 della L. n. 266 del 2005, che recita:

"562. Al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della

criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei commi 563 e 564, è

autorizzata la spesa annua nel limite massimo di 10 milioni di euro a decorrere dal 2006."

563. Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della L. 13 agosto 1980, n.

466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invaliditàpermanente

in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni

riportate in conseguenza di eventi verificatisi:

a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;

b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;

c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;

d) in operazioni di soccorso;

e) in attività di tutela della pubblica incolumità;

f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionalenon aventi,

necessariamente, caratteristiche di ostilità.

564. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità

permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di

qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da

causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.

565. Con regolamento da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente

legge ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della L. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro

dell'interno, di concerto con il Ministro della difesae con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono

disciplinati i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze, entro il limite massimo di

spesa stabilito al comma 562, ai soggetti di cui ai commi 563 e 564 ovvero ai familiari superstiti".

Il regolamento di cui al comma da ultimo indicato è stato poi emesso con il D.P.R. n. 243 del 2006

("Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del

dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore

delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo 1, comma 565, della L. 23 dicembre

2005, n. 266") che, all'art. 1, recita:

"1. Definizioni. 1. Ai fini del presente regolamento, si intendono:

a) ...;

b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità

gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente;

c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od

anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a

maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto."

Dalle disposizioni suddette emerge che solo in relazione ai soggetti di cui al comma 564 dell'art. 1 cit. è

richiesto il requisito delle "particolari condizioni ambientali od operative"; requisito che, secondo la

precisazione fornita dal D.P.R. n. 243 del 2006, è integrato quando sussistono "circostanze

straordinarie" e "fatti di servizio" che abbiano esposto il dipendente a "maggiori rischi o fatiche in

rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".

Pertanto il caso in esame non rientra tra quelli disciplinati dall'art. 564 della L. n. 266 del 2005 (che

estende, a determinate condizioni, i benefici previsti nel precedente comma 563), bensì tra quelli

disciplinati dal precedente comma 563; norma che, nell'individuarei beneficiari della tutela, richiama i

soggetti indicati dall'art. 3 della L. n. 466 del 1980, tra i quali sono compresi gli appartenenti all'Arma

dei Carabinieri.

L'interpretazione suddetta trova il conforto di Cass. n. 10791/2017.

Con tale pronuncia, relativa alle lesioni subite da un dipendente della Polizia di Stato la S.C. ha così

argomentato:

"2.1. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dei commi 560 e 264 dell'art.

1 L. n. 266 del 2005, per non avere la sentenza impugnata considerato che la condizione di "vittima del

dovere" (cui conseguono i benefici riconosciuti in sede di merito) sussiste soltanto in presenza di

eventi eccedenti il rischio ordinario e istituzionale connesso alle funzioni svolte, costituendo quid

pluris rispetto alla situazione che dà luogo al riconoscimento della causa di servizio.

2.2. Il motivo è infondato.

Ai fini dell'attribuzione dei benefici previsti per le vittime del dovere il già cit. D.P.R. n. 243 del 2006

definisce, all'art. 1, lett. b) e c), le missioni come quelle " ... di qualunque natura ... quali che ne siano gli

scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente" e le

particolari condizioni ambientali od operative "le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche

il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a

maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di Istituto".

Su tali basi la giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. S.U. n. 759/17; Cass. S.U. n. 23396/16; Cass. n.

13114/15) ha statuito che l'attribuzione dei benefici di cui all'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266 del

2005 presuppone che i compiti rientranti nella normale attività di Istituto, svolti in occasione o a

seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l'esistenza o per il sopravvenire di

circostanze o eventi straordinari ulteriori rispetto al rischio tipico ontologicamente e ordinariamente

connesso a queste attività.

Tali precedenti, però, riguardano le missioni di qualunque natura, vale a dire quelle cui si riferisce il

comma 564, solo per le quali è previsto che l'invalidità o il gesto dipendano da cause di servizio " ... per

le particolari condizioni ambientali od operative".

Nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che il comma 563, a

differenza del comma successivo, non prevede la presenza d'un rischio specifico diverso da quello

insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l'evento dannoso si sia

verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico.

In tale ipotesi rientra nel caso di specie, in cui il controricorrente ha riportato l'invalidità a seguito d'un

sinistro stradale occorsogli mentre si accingeva ad inseguire un giovane, che il rapporto di uno scooter,

sospettato di essere autore di vari furti con strappo come nei giorni precedenti."

Alla luce di quanto sopra deve disattendersi l'assunto del Tribunale secondo cui gli specifici requisiti

previsti dal legislatore in relazione ai soggetti equiparati alle vittime del dovere avrebbero portata più

generale e dovrebbero dunque estendersi alla categoria delle vittime del dovere. Come chiaramente

espresso dalla S.C. nella succitata sentenza 10791/2017, è invece sufficiente che l'evento dannoso si sia

verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico (e,

più in generale, in conseguenza delle varie tipologie di eventi previsti dall'art. 1, comma 563, della L. n.

266 del 2005). Né può ritenersi necessaria la presenza di un rischio specifico diverso da quello insito

nelle ordinarie funzioni istituzionali.

Inquadrata così la fattispecie nell'ambito dei casi di cui all'art. 1, comma 563 cit., deve focalizzarsi

l'attenzione sulle particolari ipotesi ivi previste, senza prendere invece in considerazione gli ulteriori

requisiti di cui al successivo comma 564 giacché non rilevanti nel caso di specie.

Occorre dunque verificare l'evento dannoso subito da M.M. si sia verificato nell'espletamento delle

funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di uno degli eventi previsti dal

comma 563, art. 1, L. cit.

Il Tribunale l'ha esplicitamente escluso, evidenziando che l'aggressione subita dall'odierno appellante

avrebbe potuto dirigersi verso un agente della polizia stradale o municipale chiamato ad eseguire i

rilievi sul luogo del sinistro veicolare.

Questa Corte territoriale dissente da tale interpretazione.

Ed invero, quello che era nato come un mero sopralluogo, relativo ad un sinistro stradale, ha assunto

una connotazione diversa nel momento in cui il M.llo M. ha trovato, nascosto in un cespuglio, il

soggetto che aveva poco prima rubato il cavallo rimasto coinvolto nel sinistro; soggetto il quale,

proprio per sottrarsi alla cattura, l'ha minacciato e colpito con una pietra, cercando inoltre di sottrargli

l'arma di ordinanza, ed è stato infatti denunciato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.

Questa Corte ritiene condivisibile la prospettazione dell'appellante secondo cui "anche se la scoperta

del malfattore fu casuale, e occasionata da un normale intervento legato a un incidente, la situazione

poi verificatasi non poteva essere riduttivamente ricondotta al semplice intervento di "viabilità" che

occasionò l'intervento, e le ferite riportate nella colluttazione con il malvivente dovevano essere legate

alla decisa reazione del ricorrente e del Collega all'intervento minaccioso del medesimo, finalizzato ad

impedire la fuga di chi, vistosi casualmente scoperto, aveva provato a disarmare i Carabinieri

aggredendoli".

Può dunque affermarsi che l'aggressione si è verificata mentre il M.llo M. svolgeva un'attività di

contrasto della criminalità, risultando così integrata l'ipotesi dicui all'art. 1, comma 563, lettera a),

della L. n. 266 del 2005.

L'espletata c.t.u. ha confermato che l'odierno appellante ha subito, a seguito dell'aggressione

suddetta, postumi invalidanti (circostanza, peraltro, incontestata). Sulla base dei criteri di cui al D.P.R.

n. 181 del 2009 l'invalidità complessiva è stata determinata in misura del 36%; il C.t.u. ha all'uopo

precisato di aver valutato l'invalidità permanente (IP) nel 30%, il danno biologico(DB) nel 18% e il

danno morale nel 6%, applicando poi la formula IC=DB+DM+(IP-DB) e, quindi, 18+6+(30-18)=36%. Le

conclusioni del C.t.u., non contestate da alcuna delle parti, possono essere recepite ai fini della

presente decisione giacché congruamente motivate nonché frutto di attento esame della fattispecie.

Consegue da quanto sopra che, in riforma dell'impugnata sentenza, M.M. ha dirittoad essere inserito,

quale vittima del dovere, nella graduatoria unica di cui all'art. 3, 3 comma, del D.P.R. n. 243 del 2006,

nonché a percepire i relativi benefici di legge da commisurarsi ad un'invalidità complessiva del 36%.

Le spese di lite dei due gradi seguono il principio di soccombenza, ex art. 91 c.p.c., e si liquidano nella

misura specificata in dispositivo. Il Ministero dell'Interno va altresì condannato al pagamento delle

spese di c.t.u., liquidate come da separato provvedimento.

P.Q.M.

In riforma dell'impugnata sentenza, dichiara tenuto e, per l'effetto, condanna ilMinistero dell'Interno a

riconoscere a M.M. lo status di vittima del dovere ai sensi dell'art. 1, comma 563, della L. n. 266 del

2005, ed a corrispondergli i conseguenti benefici di legge da commisurarsi ad un'invalidità complessiva

del 36%; dichiara inoltre il diritto del ricorrente ad essere inserito nella graduatoria unica di cui all'art.

3, 3 comma, del D.P.R. n. 243 del 2006;

condanna il Ministero dell'Interno alla rifusione, in favore di M.M., delle spese dei due gradi del

giudizio; spese che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per il primo grado ed Euro 4.000,00 per il

secondo grado, oltre a quanto spettante per spese generali, IVA e CPA.

Pone a carico del Ministero dell'Interno il pagamento delle spese di c.t.u., liquidate come da separato

provvedimento.

Conclusione

Così deciso in Genova, il 12 maggio 2017.

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2017.

lunedì 18 marzo 2024

Multa di 10 milioni per tiktok

L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inflitto una multa di 10 milioni di euro congiuntamente a tre società appartenenti al gruppo Bytedance Ltd: TikTok Technology Limited con sede in Irlanda, TikTok Information Technologies UK Limited con sede nel Regno Unito e TikTok Italy Srl con sede in Italia.

Secondo il comunicato odierno dell'Antitrust, l'indagine ha rivelato la responsabilità di TikTok nella diffusione di contenuti che potrebbero mettere a rischio la sicurezza mentale e fisica degli utenti, soprattutto minori e soggetti vulnerabili. Inoltre, il social network ha violato le Linee Guida che non tengono sufficientemente conto della specifica vulnerabilità degli adolescenti, caratterizzata da particolari meccanismi cognitivi che rendono difficile distinguere la realtà dalla finzione e portano a imitare comportamenti di gruppo.

I contenuti analizzati nell'indagine, nonostante il loro potenziale pericolo, vengono diffusi attraverso un "sistema di raccomandazione" basato sulla profilazione algoritmica degli utenti. Questo sistema seleziona costantemente quali video mostrare a ciascun utente nelle sezioni "Per Te" e "Seguiti", con l'obiettivo di aumentare le interazioni tra gli utenti e il tempo trascorso sulla piattaforma per incrementare i ricavi pubblicitari. Di conseguenza, gli utenti vengono influenzati in modo improprio ad utilizzare sempre di più la piattaforma.

domenica 11 febbraio 2024

pagamento TFR

Sentenza Tribunale Napoli sez. lav., 04/10/2023, (ud. 04/10/2023, dep. 04/10/2023), n.5687

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

ex artt. 132 e 429 c.p.c. lette in udienza


OGGETTO: pagamento TFR


Con ricorso depositato in data 11.05.2022 l'epigrafato ricorrente ha convenuto in giudizio l'INPS e il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta, in liquidazione, rassegnando le seguenti conclusioni “1) Voglia l'Adito Giudicante accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a percepire la quota di TFS/TFR con decorrenza dal 18.10.2001 fino alla data di risoluzione del rapporto di lavoro avvenuta il 06.07.2019, e/o dalla diversa data ritenuta di giustizia, in ragione della quantità e qualità della prestazione offerta e, comunque, per i titoli e le causali di fatto e di diritto indicate attraverso il presente ricorso;


2) accertare e dichiarare l'avvenuta omissione contributiva previdenziale perpetrata dal Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta con tutte le conseguenze di legge; 3) condannare l'Istituto Nazionale Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona del rappresentante legale pro tempore (C. F. (omissis)) al pagamento in favore del sig. Es. Ge. della suddetta quota, pari ad € 35.767,36 per le causali analiticamente indicate negli allegati conteggi, parte integrante del presente ricorso, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali o a quella minore o maggiore somma ritenuta di giustizia; 4) condannare i resistenti, in persona del legale rapp.te pro tempore alle spese del presente procedimento in favore dei costituiti procuratori per anticipazione fattane”.


A sostegno delle domande formulate, il ricorrente ha dedotto di avere lavorato per il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta dal 18.10.2001 fino alla data di risoluzione del rapporto avvenuta il 06.07.2019, allorquando è stato assunto dalla società SAP.NA S.p.A; di non avere ricevuto il trattamento di fine servizio e/o il trattamento di fine rapporto; che il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta è un ente pubblico non economico istituito con l'art. 11, comma 8, del d.l. n. 90/2008, a seguito dell'accorpamento dei Consorzi di bacino delle province di Napoli e di Caserta; che il suddetto ente è stato posto in liquidazione ex legge n. 26/2010 con conferimento al soggetto liquidatore dei più ampi poteri per la gestione dei debiti dal 2010 a tutt' oggi; di avere inoltrato all'Inps in data 1.3.2021 formale richiesta di accesso ai documenti amministrativi, chiedendo all'Istituto lo stato di avanzamento della pratica, di prendere visione di eventuali documenti o pareri prodotti dall'ufficio destinatario della missiva e di poter accedere ai documenti amministrativi al fine di ottenere chiarimenti in merito al procedimento di liquidazione e alle modalità del versamento della somma relativa al Trattamento di Fine Rapporto spettante; che l'INPS, in data 9.3.2021, ha rigettato la richiesta in forza di un riferimento a leggi speciali che disciplinerebbero le indennità di fine servizio e di fine rapporto spettanti ai dipendenti pubblici, le quali derogherebbero al principio sancito dall'art. 2116 c.c. e in ragione della segnalazione riguardante la totale assenza del versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro; che il Consorzio, il 26.11.2019, ha inviato all'INPS il modello TFR1 riferito al ricorrente, concernente il prospetto di liquidazione del TFR/TFS propedeutico all'erogazione della prestazione; che è spirato il termine previsto dall'art. 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 e s.m.i. per il differimento dell'erogazione della prestazione richiesta, ossia i 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta in data 06.07.2019. Il ricorrente ha prospettato la legittimazione passiva dell'INPS, competente alla liquidazione della somma di TFS/TFR; ha confutato le ragioni impeditive della liquidazione addotte dall'INPS e ha concluso nei termini trascritti.


Il Consorzio Unico di Bacino ha eccepito la nullità del ricorso ed il proprio difetto di legittimazione passiva.


L'Inps, costituitosi tardivamente con memoria del 16.1.2023 (rispetto all'udienza del 18.1.23 per la quale è stata rinnovata la notifica), ha eccepito l'improponibilità e l'infondatezza della domanda.


Alla seconda udienza del 18.1.2023 il Consorzio ha, poi, eccepito l'incompetenza territoriale del giudice adito.


Il Giudice, all'odierna udienza, ha pronunciato sentenza con motivazione contestuale.


In via preliminare, va rilevata la inammissibilità dell'eccezione di incompetenza per territorio, sollevata dal Consorzio tardivamente alla seconda udienza del 18.1.2023.


Va, altresì, respinta l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo, atteso che dalla lettura complessiva dello stesso è dato evincere con chiarezza il petitum oltre che la causa petendi dell'azione.


Parimenti va respinta l'eccezione di improponibilità della domanda, atteso che il TFR è corrisposto d'ufficio, il modello TFR1 è stato compilato dal datore e inviato all'Inps il 26.11.2019 e l'istante ha sollecitato il pagamento con missiva del 29.3.2021.


Nel merito, il ricorso è fondato nei termini di seguito enunciati.


In via preliminare, può senz'altro affermarsi la natura di ente pubblico non economico del Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli e Caserta. La circostanza, oltre a non essere, nella sostanza, neppure in contestazione tra le parti, risulta, come già affermato da consolidata giurisprudenza, dalla normativa di riferimento.


Il consorzio unico è, invero, stato costituito ai sensi del D.L. 90/2008, convertito L. 123/2008, che ha disposto la riunione dei disciolti consorzi di bacino delle Province di Napoli e Caserta, istituiti con L. Regione Campania n. 4/1993. La disciplina generale si rinviene nelle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri ed in particolare nell'ordinanza n. 3686 del 01/07/08. Ai sensi, poi, dell'art. 3 dello Statuto, il Consorzio Unico di Bacino è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia imprenditoriale ed è disciplinato dalle norme del D.Lgs. 267/2000, contenente il Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti Locali (v. anche nota dell'Ufficio Normativo e Contenzioso della Direzione Centrale dell'ex Inpdap del 5-12-2008).


Tale normativa consente, senza ragionevoli dubbi, di affermare la natura del Consorzio quale ente strumentale dei comuni associati, munito di personalità giuridica e di un proprio statuto, cui si applicano le stesse norme previste per gli enti locali.


Tanto premesso, alla liquidazione del trattamento di fine servizio/rapporto, è preposto l'INPS, la cui legittimazione passiva non è in contestazione.


L'istituto previdenziale al fine di sottrarsi all'obbligo a suo carico ha opposto, quale fatto impeditivo, il mancato versamento della contribuzione da parte del Consorzio (circostanza pacifica in giudizio) e l'inapplicabilità dell'art. 2116 c.c. per cui, in ragione di tale omissione, esso non sarebbe tenuto all'erogazione del credito preteso.


La tesi dell'INPS è destituita di fondamento.


Il tfr per i dipendenti pubblici è un contributo corrisposto al dipendente nel momento in cui termina il rapporto di lavoro. L'importo è determinato dall'accantonamento, per ogni anno di servizio, di una quota della retribuzione annua e dalle relative rivalutazioni.


Ed invero, come correttamente argomentato da altri Giudici di merito e in particolare dalla dott.ssa Picciotti nella sentenza n. 2652/2023 pubbl. il 19/04/2023 in prod. (cui si presta adesione ex art. 118 disp.att. c.p.c.):


“giova l'insegnamento della Suprema Corte (v. Cass. n. 27427 dell'1-12-2020) per il quale, acclarata la natura previdenziale dell'indennità premio servizio (Cass., S.U., 30 maggio 2005, n. 11329; Cass. 17 maggio 2019, n. 13433 e Cass. 18 marzo 2019, n. 7608), avvalorata dal combinarsi del far carico della prestazione ad un ente terzo, sulla base di contribuzione espressamente indicata come «previdenziale» dall'art. 11 L. 152/1968 ed a carico anche del lavoratore, va ravvisato nella regola di automaticità delle prestazioni, di cui all'art. 2116 c.c., il fondamento dell'indifferenza del lavoratore rispetto all'effettivo versamento dei contributi per il sorgere del diritto consequenziale, allorquando sussistano i restanti presupposti di legge previsti per il riconoscimento del beneficio.


Ciò posto -secondo la Suprema Corte- è inevitabile prendere le mosse da Corte Costituzionale 5 dicembre 1997, n. 374 la quale, seppur nel contesto di una sentenza di rigetto, ha chiarito come il «principio di "automaticità delle prestazioni", con riguardo ai sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, trova applicazione non già, come afferma il remittente, "solo in quanto il sistema delle leggi speciali vi si adegui", ma - come si esprime l'art. 2116 c.c.. - "salvo diverse disposizioni delle leggi speciali": il che significa che potrebbe ritenersi sussistente una deroga rispetto ad esso solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso».


«Detto principio» - prosegue ancora la Consulta - «costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, e rappresenta perciò un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti».


La giurisprudenza della Suprema Corte si è prontamente collocata in scia a tale ricostruzione del sistema, affermando anch'essa che «il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali, di cui all'art. 2116 c.c., così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 374 del 1997, trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale rispetto alla quale possono esserci deroghe solo se previste espressamente dal legislatore» (Cass. 2 febbraio 2001, n. 1460 ed altre successive, tra cui Cass. 14 giugno 2007, n. 13874). Fino ad affermare, con la più Cass. 22 giugno 2017, n. 15589 in tema di prestazioni del Fondo di Garanzia contro l'insolvenza, che solo in presenza di una previsione espressa che limiti il principio di automaticità, il diritto del lavoratore potrebbe restare condizionato non solo all'effettivo adempimento dell'obbligazione contributiva da parte del datore di lavoro, ma anche alla mancata prescrizione della stessa.


Pertanto, dato per principio quello dell'automaticità, esso è limitato dall'intervenuta prescrizione del diritto dell'ente erogatore alla riscossione dei contributi (c.d. automaticità parziale) solo in quanto vi sia una norma che disponga in tal senso.


Norma che esiste per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti (v. art. 27, co. 2, R.D.L. 636/1939), ma che non è contenuta nella disciplina dell'indennità premio servizio.


In sostanza, pur se vi sia stata prescrizione del diritto dell'ente alla percezione della contribuzione, il fondamento solidaristico sotteso all'art. 2116 c.c. fa sì che, allorquando, come nel lavoro dipendente, la contribuzione stessa doveva essere versata dal datore di lavoro anche per la quota a carico del lavoratore, l'inadempimento non possa comportare pregiudizio per il lavoratore dipendente (mentre il principio di automaticità di regola non opera nel caso di lavoratori autonomi che siano obbligati a versare direttamente la propria contribuzione: v. Cass. 24 marzo 2005, n. 6340), se la legge non lo preveda.


In applicazione dei principi espressi, nella fattispecie in esame, mancando una norma che espressamente deroghi all'art. 2116 c.c., è irrilevante l'omissione contributiva - e parimenti la prescrizione dei contributi omessi- ai fini del diritto del lavoratore al pagamento da parte dell'Inps del credito maturato alla cessazione del rapporto” (cfr. sent. Picciotti).


Quanto alla prescrizione va per completezza rilevato che l'art. 3, comma 10-bis, L 335/1995 vigente dispone che: “Per le gestioni previdenziali esclusive e per i fondi per i trattamenti di previdenza, i trattamenti di fine rapporto e i trattamenti di fine servizio amministrati dall'INPS cui sono iscritti i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i termini di prescrizione di cui ai commi 9 e 10, riferiti agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria afferenti ai periodi di competenza fino al ((31 dicembre 2018)), non si applicano fino al ((31 dicembre 2023)), fatti salvi gli effetti di provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato nonche' il diritto all'integrale trattamento pensionistico del lavoratore”.


Lo stesso Inps ha rilevato l'applicabilità del disposto di cui all'art. 9, comma 4, DL 30 dicembre 2021, n. 228 convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15 , per cui - nella formulazione vigente “Le disposizioni di cui ai commi 8 e 9 dell'articolo 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, non si applicano fino al ((31 dicembre 2023)) agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria di cui al comma 10-bis dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dal comma 3 del presente articolo, e al comma 10-ter del medesimo articolo 3 della legge n. 335 del 1995, introdotto dal comma 3 del presente articolo. Non si fa luogo a rimborso di quanto già versato”.


Non è, dunque, maturata la prescrizione (rilevabile d'ufficio), nemmeno eccepita dall'Inps.


Ne consegue il diritto del ricorrente a percepire dall'Inps la somma lorda di 35.767,36, non specificamente contestata. Sulla sorta sono dovuti i soli interessi legali ex art. 16, 6° comma legge 412/91 che decorrono ex art. 3, comma 2, DL 79/1997 dalla scadenza del terzo mese successivo ai 24 mesi dalla cessazione del rapporto al saldo. Segue la condanna dell'Inps al relativo pagamento.


Va, poi, dichiarata l'inammissibilità della domanda di accertamento dell'omissione contributiva a carico del Consorzio Unico convenuto, trattandosi di circostanza preesistente all'instaurazione del giudizio e del tutto pacifica tra le parti.


Quanto alla domanda di condanna del Consorzio all'adeguamento contributivo, formulata dal ricorrente nelle note del 10.5.23, la stessa è inammissibile perché tardiva.


Va, infine, dichiarata l'inammissibilità della domanda dell'Inps relativa alla condanna del Consorzio datore di lavoro, nei limiti della prescrizione, al versamento dei contributi e alle sanzioni previste per legge: la domanda è stata, infatti, esplicitata nella memoria difensiva tardivamente depositata.


10


Le spese del giudizio vanno compensate nella misura della metà per la complessità della questione, con condanna dell'INPS al pagamento del residuo nella misura liquidata in dispositivo.


Le spese vanno, poi, interamente compensate nei confronti del Consorzio Unico in ragione della riscontrata mancanza di res controversa sulla domanda di accertamento dell'omissione contributiva.


PQM

P.Q.M.

Il Tribunale di NAPOLI, in funzione di giudice del lavoro, in persona della d.ssa Monica Galante, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:


dichiara il diritto del ricorrente a percepire dall'Inps la somma lorda di 35.767,36, oltre interessi legali dalla scadenza del terzo mese successivo ai 24 mesi dalla cessazione del rapporto al saldo;


condanna l'Inps al pagamento delle somme e degli accessori di cui al precedente capo; dichiara inammissibile la domanda del ricorrente e dell'Inps contro il Consorzio;


compensa le spese di lite nella misura della metà e condanna l'Inps al pagamento del residuo che si liquida in € 1.900,00, oltre spese forfettarie, IVA e cpa, con attribuzione agli avv.ti antistatari di parte ricorrente in solido;


compensa le spese di lite con il Consorzio.


NAPOLI, 04.10.2023