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sabato 7 settembre 2024

formula RICORSO PER LA SOSTITUZIONE DEL GIUDICE ISTRUTTORE EX ART. 174, CO. II, C.P.C.

 

TRIBUNALE CIVILE DI _____________

ILL.MO SIG. PRESIDENTE R.G. n. ____

RICORSO PER LA SOSTITUZIONE DEL GIUDICE ISTRUTTORE EX ART. 174, CO. II, C.P.C. E 74 DISP. ATT. C.C.

Per il Sig. _____________, C.F. _____________, nato in _____________ il _____________ e residente in _____________ alla Via _____________ n. ____, rappresentato e difeso, in ogni fase, stato e grado del presente procedimento, dall’Avv. _____________, C.F. _____________, casella PEC: _____________, numero di telefax: _____________, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio legale sito in _____________ alla Via _____________ n. ____, in virtù di procura apposta in calce al presente ricorso Contro il Sig. _____________, C.F. _____________, nato in _____________ il _____________ e residente in _____________ alla Via _____________ n. ____, rappresentato e difeso, in ogni fase, stato e grado del presente procedimento, dall’Avv. _____________, C.F. _____________, casella PEC: _____________, numero di telefax: _____________, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio legale sito in _____________ alla Via _____________ n. ____.

 

FATTO E DIRITTO

 

(Indicare le ragioni per le quali si ritiene nel caso di specie il Presidente del Tribunale civile di _____________ debba procedere alla sostituzione del giudice istruttore dott. _____________, in ordine alla causa iscritta al numero di R.G. n. ____, per assoluto impedimento o gravi esigenze di servizio). Tutto ciò premesso e considerato in fatto ed in diritto, il Sig. _____________, come sopra rappresentato, domiciliato e difeso, propone il presente ricorso insistendo nell’accoglimento delle seguenti

CONCLUSIONI

Voglia l’Ill. mo Presidente del Tribunale civile di _____________, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese, così giudicare:

- emanare il decreto mediante il quale sostituisce il giudice istruttore dott. _____________ della causa iscritta al numero di R.G. _____________ con altro giudice istruttore della medesima sezione per le ragioni al meglio spiegate in narrativa.

 

Si depositano i seguenti documenti: _____________ ____________________

 

Luogo e data Avv. ______________

 

PROCURA SPECIALE AD LITEM

Il sottoscritto Sig. _____________, C.F. _____________, nato a _____________ il _____________, residente in _____________ alla Via _____________ n. ____, quale legale rappresentante della società X, C.F. _____________ e P.IVA _____________ con sede in _____________ Via _____________ delega a rappresentarlo e difenderlo nel presente procedimento per regolamento di giurisdizione avanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione l’Avv. _____________, C.F. _____________, PEC: _____________@________, numero di telefax: _____________, ed elegge domicilio presso il suo studio legale sito in Roma alla Via _____________ n. ____, conferendogli ogni più amplio potere di legge. Dichiara di essere stata edotto, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 7 e 13 del D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, che i dati personali, richiesti direttamente ovvero raccolti presso terzi, verranno utilizzati ai soli fini del presente incarico e presta il consenso al loro trattamento. Prende atto che il trattamento dei propri dati personali avverrà mediante strumenti informativi o manuali, con logiche strettamente correlate alle finalità del presente incarico. Dichiara di essere stato informato, in ossequio a quanto previsto dall’art. 4, co. 3, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 ss. mm., della obbligatorietà di avviare il procedimento di mediazione al fine della risoluzione delle controversie civili e commerciali concernenti i diritti disponibili relativi in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziaria e della possibilità di giovarsi dei benefici fiscali connessi all’utilizzo della procedura di cui agli artt. 17 e 20 D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 ss. mm. ii.

Dichiara di essere stato informato, ai sensi dell’art. 3 D.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito dalla L. 10 novembre 2014 n. 162, dell’obbligo di avviare il procedimento di negoziazione assistita per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e, al di fuori delle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e

natanti e dei casi disciplinati dall’art. 5, co. I bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, delle domande di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti € 50.000,00. ____________________

Luogo e data Società _____________ (in persona del legale rappresentante p.t.) _____________

È autentica Avv. ______________

martedì 11 giugno 2024

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI GENOVA

SEZIONE LAVORO


La Corte, composta da:


SENTENZA


Sull'appello proposto da:

M.M. (c.f. (...)), rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso in appello, dall'Avv. Andrea

Bava del Foro di Genova (c.f. (...); pec: avv.andreabava@certmail.cnf.it), elettivamente domiciliata

nel suo Studio in Genova, Via Sottoripa 1A/35


appellante


CONTRO


Ministero dell'Interno (c.f. (...)), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege

dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Genova, presso i cui uffici in Genova, Viale Brigate

Partigiane 2, è domiciliata


appellato


Svolgimento del processo

Con ricorso innanzi al Tribunale di Genova, in funzione di giudice del lavoro, il M.llo dei Carabinieri M.M.

conveniva in giudizio il Ministero dell'Interno affinché venisse condannato a riconoscergli i benefici

previsti dall'articolo 1, comma 563, della L. n. 266 del 2005 in favore delle vittime del dovere.

A sostegno della domanda esponeva che in data 12 ottobre 1997, nel corso del servizio, era stato

aggredito da un individuo che l'aveva colpito in viso con una grossa pietra causandogli lesioni

permanenti. Più precisamente, i fatti avevano avuto il seguente svolgimento: egli era intervenuto,

unitamente ad un collega, sul luogo di un sinistro stradale che aveva coinvolto un'autovettura ed un

cavallo; verificato che in un cespuglio nei pressi vi era un individuo nascosto, il M.llo M. vi si era

avvicinato e a quel punto era uscito allo scoperto un individuo (rivelatosi poi il ladro del cavallo

coinvolto nel sinistro stradale) il quale aveva minacciato di morte sia lui che il suo collega e, subito

dopo, lo aveva aggredito tentando inoltre di sottrargli l'arma di servizio.

Il ricorrente faceva presente di aver subito, da tale aggressione, postumi permanenti e lamentava il

mancato accoglimento, da parte del Ministero dell'Interno, della domanda da lui proposta onde

ottenere il riconoscimento dello status di vittima del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 563, della L. n.

266 del 2005.

Costituitosi in giudizio, il Ministero dell'Interno resisteva proponendo in via preliminare un'eccezione di

giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, deducendo l'infondatezzadella domanda in quanto

l'evento dannoso si era verificato nell'ambito dell'ordinaria attività di servizio, non ravvisandosi

dunque specifici elementi di rischio eccedenti il rischio ordinario.

Il Tribunale, con sentenza n. 486/2016, rigettava il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite.

In motivazione affermava, preliminarmente, che l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice

ordinario doveva ritenersi infondata sulla base di quanto chiarito dalla S.C. con le pronunce nn.

26626/2007, 26627/2007, 21306/2010).

Venendo al merito, rilevava che la norma di riferimento è costituita dall'art. 1, comma 563, della L. n.

266 del 2005, e dava atto che la casistica dei soggetti aventi diritto allo status di vittime del dovere era

stato così esteso, dal legislatore, rispetto alla più limitata cerchia di cui all'art. 1 della L. n. 466 del 1980

che faceva rientrare in tale categoria i soggetti, appartenenti alle forze dell'ordine, " ... deceduti in

attività di servizio per diretto effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di eventi connessi

all'espletamento di funzioni d'istituto e dipendentida rischi specificamente attinenti a operazioni di

polizia preventiva o repressiva o all'espletamento di attività di soccorso".

Il Tribunale esaminava poi la disciplina dettata nel comma 564 dell'art. 1 della L. n. 266 del 2005, in

favore dei soggetti equiparati alle vittime del dovere, cioè di "coloro che abbiano contratto infermità

permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di

qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da

cause di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative", e dava atto che con il D.P.R. n.

243 del 2006 è stato precisato che si intendono "per particolari condizioni ambientali od operative, le

condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti

di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie

condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".

Nell'interpretare la suddetta disciplina di riferimento il Tribunale affermava la necessità di un

approccio sistematico alla fattispecie onde "evitare una moltiplicazione di prestazioni che non trova

giustificazione nelle soluzioni tecniche adottate sul piano normativo". Richiamava poi Cass. n.

13114/2015, secondo cui "per il riconoscimento dei benefici previsti per i soggetti equiparati alle vittime

del dovere è però necessario ... che i compiti rientranti nella normale attività d'istituto, svolti in

occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l'esistenza o per il

sopravvenire di circostanze o eventi straordinari, ulteriori rispetto al rischio tipico ...", evidenziando

che con tale decisione la S.C. aveva escluso che potesse attribuirsi lo status di soggetto equiparato alle

vittime del dovere in favore di chi ha contratto un'invalidità avendo subitoun incidente nello

svolgimento delle attività ordinarie connesse al servizio prestato.

Secondo il Tribunale il principio enunciato dalla S.C. con la sentenza suddetta aveva una portata

generale, dovendo applicarsi all'intera categoria delle vittime del dovere.

Sulla scorta di tali considerazioni il giudicante perveniva dunque al rigetto della domanda, affermando

che non erano nella fattispecie ravvisabili i presupposti di cui al citato comma 563, e che era altresì da

escludersi la sussistenza di un rischio specifico non meramente connesso alle ordinarie attività di

istituto.

Avverso la sentenza proponeva appello M.M., censurandola laddove aveva escluso che la fattispecie in

esame fosse riconducibile alle ipotesi di cui al citato art. 1, comma 563, della L. n. 266 del 2005.

Costituitosi in giudizio, il Ministero dell'Interno resisteva, sollecitando la conferma dell'impugnata

sentenza.

Questa Corte, ritenutane la necessità, espletava c.t.u. medico-legale onde verificare la percentuale di

invalidità complessiva subita dall'appellante a seguito dell'aggressione per cui è causa, invitando il

C.t.u. a quantificare detta percentuale sulla base dei criteri di cui al D.P.R. n. 181 del 2009. All'udienza

del 12 maggio 2017, acquisito l'elaborato del C.t.u. ed ascoltate le conclusioni delle parti, emetteva

l'allegato dispositivo.

Motivi della decisione

Nel presente grado di giudizio non è stata riproposta l'eccezione di carenza di giurisdizione né sono

state specificamente censurate le argomentazioni formulate sul punto dal Tribunale; appare comunque

opportuno richiamare le pronunce nn. 23300/16, 23396/16, 759/2017 e 10791/2017 con cui la S.C. ha

affermato, nella presente materia, la giurisdizione del giudice ordinario.

Venendo dunque alle questioni di merito, si ritiene che l'appello sia fondato.

Secondo il giudice di primo grado non sarebbero nella fattispecie integrati i presupposti di cui all'art. 1,

comma 563, della L. n. 266 del 2005.

Il Tribunale afferma infatti che le lesioni per cui è causa non sono state riportate nello svolgimento

delle attività tassativamente previste dal legislatore nella norma suddetta, bensì nell'espletamento dei

normali servizi di istituto. Nell'impugnatasentenza si afferma inoltre che l'attività di servizio svolta

dall'odierno appellante (al momento in cui egli subì l'aggressione) era priva del carattere di particolare

rischio esulante dalle normalità delle funzioni istituzionali.

Al fine di valutare la fondatezza di tale prospettazione è opportuno richiamare l'art. 1, commi 562 e 563,

564, 565 della L. n. 266 del 2005, che recita:

"562. Al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della

criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei commi 563 e 564, è

autorizzata la spesa annua nel limite massimo di 10 milioni di euro a decorrere dal 2006."

563. Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della L. 13 agosto 1980, n.

466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invaliditàpermanente

in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni

riportate in conseguenza di eventi verificatisi:

a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;

b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;

c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;

d) in operazioni di soccorso;

e) in attività di tutela della pubblica incolumità;

f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionalenon aventi,

necessariamente, caratteristiche di ostilità.

564. Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità

permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di

qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da

causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative.

565. Con regolamento da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente

legge ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della L. 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro

dell'interno, di concerto con il Ministro della difesae con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono

disciplinati i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze, entro il limite massimo di

spesa stabilito al comma 562, ai soggetti di cui ai commi 563 e 564 ovvero ai familiari superstiti".

Il regolamento di cui al comma da ultimo indicato è stato poi emesso con il D.P.R. n. 243 del 2006

("Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del

dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore

delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell'articolo 1, comma 565, della L. 23 dicembre

2005, n. 266") che, all'art. 1, recita:

"1. Definizioni. 1. Ai fini del presente regolamento, si intendono:

a) ...;

b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità

gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente;

c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od

anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a

maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto."

Dalle disposizioni suddette emerge che solo in relazione ai soggetti di cui al comma 564 dell'art. 1 cit. è

richiesto il requisito delle "particolari condizioni ambientali od operative"; requisito che, secondo la

precisazione fornita dal D.P.R. n. 243 del 2006, è integrato quando sussistono "circostanze

straordinarie" e "fatti di servizio" che abbiano esposto il dipendente a "maggiori rischi o fatiche in

rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto".

Pertanto il caso in esame non rientra tra quelli disciplinati dall'art. 564 della L. n. 266 del 2005 (che

estende, a determinate condizioni, i benefici previsti nel precedente comma 563), bensì tra quelli

disciplinati dal precedente comma 563; norma che, nell'individuarei beneficiari della tutela, richiama i

soggetti indicati dall'art. 3 della L. n. 466 del 1980, tra i quali sono compresi gli appartenenti all'Arma

dei Carabinieri.

L'interpretazione suddetta trova il conforto di Cass. n. 10791/2017.

Con tale pronuncia, relativa alle lesioni subite da un dipendente della Polizia di Stato la S.C. ha così

argomentato:

"2.1. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dei commi 560 e 264 dell'art.

1 L. n. 266 del 2005, per non avere la sentenza impugnata considerato che la condizione di "vittima del

dovere" (cui conseguono i benefici riconosciuti in sede di merito) sussiste soltanto in presenza di

eventi eccedenti il rischio ordinario e istituzionale connesso alle funzioni svolte, costituendo quid

pluris rispetto alla situazione che dà luogo al riconoscimento della causa di servizio.

2.2. Il motivo è infondato.

Ai fini dell'attribuzione dei benefici previsti per le vittime del dovere il già cit. D.P.R. n. 243 del 2006

definisce, all'art. 1, lett. b) e c), le missioni come quelle " ... di qualunque natura ... quali che ne siano gli

scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente" e le

particolari condizioni ambientali od operative "le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche

il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a

maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di Istituto".

Su tali basi la giurisprudenza di questa S.C. (cfr. Cass. S.U. n. 759/17; Cass. S.U. n. 23396/16; Cass. n.

13114/15) ha statuito che l'attribuzione dei benefici di cui all'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266 del

2005 presuppone che i compiti rientranti nella normale attività di Istituto, svolti in occasione o a

seguito di missioni di qualunque natura, si siano complicati per l'esistenza o per il sopravvenire di

circostanze o eventi straordinari ulteriori rispetto al rischio tipico ontologicamente e ordinariamente

connesso a queste attività.

Tali precedenti, però, riguardano le missioni di qualunque natura, vale a dire quelle cui si riferisce il

comma 564, solo per le quali è previsto che l'invalidità o il gesto dipendano da cause di servizio " ... per

le particolari condizioni ambientali od operative".

Nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che il comma 563, a

differenza del comma successivo, non prevede la presenza d'un rischio specifico diverso da quello

insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando anche soltanto che l'evento dannoso si sia

verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico.

In tale ipotesi rientra nel caso di specie, in cui il controricorrente ha riportato l'invalidità a seguito d'un

sinistro stradale occorsogli mentre si accingeva ad inseguire un giovane, che il rapporto di uno scooter,

sospettato di essere autore di vari furti con strappo come nei giorni precedenti."

Alla luce di quanto sopra deve disattendersi l'assunto del Tribunale secondo cui gli specifici requisiti

previsti dal legislatore in relazione ai soggetti equiparati alle vittime del dovere avrebbero portata più

generale e dovrebbero dunque estendersi alla categoria delle vittime del dovere. Come chiaramente

espresso dalla S.C. nella succitata sentenza 10791/2017, è invece sufficiente che l'evento dannoso si sia

verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico (e,

più in generale, in conseguenza delle varie tipologie di eventi previsti dall'art. 1, comma 563, della L. n.

266 del 2005). Né può ritenersi necessaria la presenza di un rischio specifico diverso da quello insito

nelle ordinarie funzioni istituzionali.

Inquadrata così la fattispecie nell'ambito dei casi di cui all'art. 1, comma 563 cit., deve focalizzarsi

l'attenzione sulle particolari ipotesi ivi previste, senza prendere invece in considerazione gli ulteriori

requisiti di cui al successivo comma 564 giacché non rilevanti nel caso di specie.

Occorre dunque verificare l'evento dannoso subito da M.M. si sia verificato nell'espletamento delle

funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di uno degli eventi previsti dal

comma 563, art. 1, L. cit.

Il Tribunale l'ha esplicitamente escluso, evidenziando che l'aggressione subita dall'odierno appellante

avrebbe potuto dirigersi verso un agente della polizia stradale o municipale chiamato ad eseguire i

rilievi sul luogo del sinistro veicolare.

Questa Corte territoriale dissente da tale interpretazione.

Ed invero, quello che era nato come un mero sopralluogo, relativo ad un sinistro stradale, ha assunto

una connotazione diversa nel momento in cui il M.llo M. ha trovato, nascosto in un cespuglio, il

soggetto che aveva poco prima rubato il cavallo rimasto coinvolto nel sinistro; soggetto il quale,

proprio per sottrarsi alla cattura, l'ha minacciato e colpito con una pietra, cercando inoltre di sottrargli

l'arma di ordinanza, ed è stato infatti denunciato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.

Questa Corte ritiene condivisibile la prospettazione dell'appellante secondo cui "anche se la scoperta

del malfattore fu casuale, e occasionata da un normale intervento legato a un incidente, la situazione

poi verificatasi non poteva essere riduttivamente ricondotta al semplice intervento di "viabilità" che

occasionò l'intervento, e le ferite riportate nella colluttazione con il malvivente dovevano essere legate

alla decisa reazione del ricorrente e del Collega all'intervento minaccioso del medesimo, finalizzato ad

impedire la fuga di chi, vistosi casualmente scoperto, aveva provato a disarmare i Carabinieri

aggredendoli".

Può dunque affermarsi che l'aggressione si è verificata mentre il M.llo M. svolgeva un'attività di

contrasto della criminalità, risultando così integrata l'ipotesi dicui all'art. 1, comma 563, lettera a),

della L. n. 266 del 2005.

L'espletata c.t.u. ha confermato che l'odierno appellante ha subito, a seguito dell'aggressione

suddetta, postumi invalidanti (circostanza, peraltro, incontestata). Sulla base dei criteri di cui al D.P.R.

n. 181 del 2009 l'invalidità complessiva è stata determinata in misura del 36%; il C.t.u. ha all'uopo

precisato di aver valutato l'invalidità permanente (IP) nel 30%, il danno biologico(DB) nel 18% e il

danno morale nel 6%, applicando poi la formula IC=DB+DM+(IP-DB) e, quindi, 18+6+(30-18)=36%. Le

conclusioni del C.t.u., non contestate da alcuna delle parti, possono essere recepite ai fini della

presente decisione giacché congruamente motivate nonché frutto di attento esame della fattispecie.

Consegue da quanto sopra che, in riforma dell'impugnata sentenza, M.M. ha dirittoad essere inserito,

quale vittima del dovere, nella graduatoria unica di cui all'art. 3, 3 comma, del D.P.R. n. 243 del 2006,

nonché a percepire i relativi benefici di legge da commisurarsi ad un'invalidità complessiva del 36%.

Le spese di lite dei due gradi seguono il principio di soccombenza, ex art. 91 c.p.c., e si liquidano nella

misura specificata in dispositivo. Il Ministero dell'Interno va altresì condannato al pagamento delle

spese di c.t.u., liquidate come da separato provvedimento.

P.Q.M.

In riforma dell'impugnata sentenza, dichiara tenuto e, per l'effetto, condanna ilMinistero dell'Interno a

riconoscere a M.M. lo status di vittima del dovere ai sensi dell'art. 1, comma 563, della L. n. 266 del

2005, ed a corrispondergli i conseguenti benefici di legge da commisurarsi ad un'invalidità complessiva

del 36%; dichiara inoltre il diritto del ricorrente ad essere inserito nella graduatoria unica di cui all'art.

3, 3 comma, del D.P.R. n. 243 del 2006;

condanna il Ministero dell'Interno alla rifusione, in favore di M.M., delle spese dei due gradi del

giudizio; spese che liquida in complessivi Euro 3.500,00 per il primo grado ed Euro 4.000,00 per il

secondo grado, oltre a quanto spettante per spese generali, IVA e CPA.

Pone a carico del Ministero dell'Interno il pagamento delle spese di c.t.u., liquidate come da separato

provvedimento.

Conclusione

Così deciso in Genova, il 12 maggio 2017.

Depositata in Cancelleria il 22 maggio 2017.

lunedì 18 marzo 2024

Multa di 10 milioni per tiktok

L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inflitto una multa di 10 milioni di euro congiuntamente a tre società appartenenti al gruppo Bytedance Ltd: TikTok Technology Limited con sede in Irlanda, TikTok Information Technologies UK Limited con sede nel Regno Unito e TikTok Italy Srl con sede in Italia.

Secondo il comunicato odierno dell'Antitrust, l'indagine ha rivelato la responsabilità di TikTok nella diffusione di contenuti che potrebbero mettere a rischio la sicurezza mentale e fisica degli utenti, soprattutto minori e soggetti vulnerabili. Inoltre, il social network ha violato le Linee Guida che non tengono sufficientemente conto della specifica vulnerabilità degli adolescenti, caratterizzata da particolari meccanismi cognitivi che rendono difficile distinguere la realtà dalla finzione e portano a imitare comportamenti di gruppo.

I contenuti analizzati nell'indagine, nonostante il loro potenziale pericolo, vengono diffusi attraverso un "sistema di raccomandazione" basato sulla profilazione algoritmica degli utenti. Questo sistema seleziona costantemente quali video mostrare a ciascun utente nelle sezioni "Per Te" e "Seguiti", con l'obiettivo di aumentare le interazioni tra gli utenti e il tempo trascorso sulla piattaforma per incrementare i ricavi pubblicitari. Di conseguenza, gli utenti vengono influenzati in modo improprio ad utilizzare sempre di più la piattaforma.

domenica 11 febbraio 2024

pagamento TFR

Sentenza Tribunale Napoli sez. lav., 04/10/2023, (ud. 04/10/2023, dep. 04/10/2023), n.5687

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

ex artt. 132 e 429 c.p.c. lette in udienza


OGGETTO: pagamento TFR


Con ricorso depositato in data 11.05.2022 l'epigrafato ricorrente ha convenuto in giudizio l'INPS e il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta, in liquidazione, rassegnando le seguenti conclusioni “1) Voglia l'Adito Giudicante accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a percepire la quota di TFS/TFR con decorrenza dal 18.10.2001 fino alla data di risoluzione del rapporto di lavoro avvenuta il 06.07.2019, e/o dalla diversa data ritenuta di giustizia, in ragione della quantità e qualità della prestazione offerta e, comunque, per i titoli e le causali di fatto e di diritto indicate attraverso il presente ricorso;


2) accertare e dichiarare l'avvenuta omissione contributiva previdenziale perpetrata dal Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta con tutte le conseguenze di legge; 3) condannare l'Istituto Nazionale Previdenza Sociale (I.N.P.S.), in persona del rappresentante legale pro tempore (C. F. (omissis)) al pagamento in favore del sig. Es. Ge. della suddetta quota, pari ad € 35.767,36 per le causali analiticamente indicate negli allegati conteggi, parte integrante del presente ricorso, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali o a quella minore o maggiore somma ritenuta di giustizia; 4) condannare i resistenti, in persona del legale rapp.te pro tempore alle spese del presente procedimento in favore dei costituiti procuratori per anticipazione fattane”.


A sostegno delle domande formulate, il ricorrente ha dedotto di avere lavorato per il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta dal 18.10.2001 fino alla data di risoluzione del rapporto avvenuta il 06.07.2019, allorquando è stato assunto dalla società SAP.NA S.p.A; di non avere ricevuto il trattamento di fine servizio e/o il trattamento di fine rapporto; che il Consorzio Unico di Bacino delle province di Napoli e Caserta è un ente pubblico non economico istituito con l'art. 11, comma 8, del d.l. n. 90/2008, a seguito dell'accorpamento dei Consorzi di bacino delle province di Napoli e di Caserta; che il suddetto ente è stato posto in liquidazione ex legge n. 26/2010 con conferimento al soggetto liquidatore dei più ampi poteri per la gestione dei debiti dal 2010 a tutt' oggi; di avere inoltrato all'Inps in data 1.3.2021 formale richiesta di accesso ai documenti amministrativi, chiedendo all'Istituto lo stato di avanzamento della pratica, di prendere visione di eventuali documenti o pareri prodotti dall'ufficio destinatario della missiva e di poter accedere ai documenti amministrativi al fine di ottenere chiarimenti in merito al procedimento di liquidazione e alle modalità del versamento della somma relativa al Trattamento di Fine Rapporto spettante; che l'INPS, in data 9.3.2021, ha rigettato la richiesta in forza di un riferimento a leggi speciali che disciplinerebbero le indennità di fine servizio e di fine rapporto spettanti ai dipendenti pubblici, le quali derogherebbero al principio sancito dall'art. 2116 c.c. e in ragione della segnalazione riguardante la totale assenza del versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro; che il Consorzio, il 26.11.2019, ha inviato all'INPS il modello TFR1 riferito al ricorrente, concernente il prospetto di liquidazione del TFR/TFS propedeutico all'erogazione della prestazione; che è spirato il termine previsto dall'art. 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140 e s.m.i. per il differimento dell'erogazione della prestazione richiesta, ossia i 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, avvenuta in data 06.07.2019. Il ricorrente ha prospettato la legittimazione passiva dell'INPS, competente alla liquidazione della somma di TFS/TFR; ha confutato le ragioni impeditive della liquidazione addotte dall'INPS e ha concluso nei termini trascritti.


Il Consorzio Unico di Bacino ha eccepito la nullità del ricorso ed il proprio difetto di legittimazione passiva.


L'Inps, costituitosi tardivamente con memoria del 16.1.2023 (rispetto all'udienza del 18.1.23 per la quale è stata rinnovata la notifica), ha eccepito l'improponibilità e l'infondatezza della domanda.


Alla seconda udienza del 18.1.2023 il Consorzio ha, poi, eccepito l'incompetenza territoriale del giudice adito.


Il Giudice, all'odierna udienza, ha pronunciato sentenza con motivazione contestuale.


In via preliminare, va rilevata la inammissibilità dell'eccezione di incompetenza per territorio, sollevata dal Consorzio tardivamente alla seconda udienza del 18.1.2023.


Va, altresì, respinta l'eccezione di nullità del ricorso introduttivo, atteso che dalla lettura complessiva dello stesso è dato evincere con chiarezza il petitum oltre che la causa petendi dell'azione.


Parimenti va respinta l'eccezione di improponibilità della domanda, atteso che il TFR è corrisposto d'ufficio, il modello TFR1 è stato compilato dal datore e inviato all'Inps il 26.11.2019 e l'istante ha sollecitato il pagamento con missiva del 29.3.2021.


Nel merito, il ricorso è fondato nei termini di seguito enunciati.


In via preliminare, può senz'altro affermarsi la natura di ente pubblico non economico del Consorzio Unico di Bacino delle Province di Napoli e Caserta. La circostanza, oltre a non essere, nella sostanza, neppure in contestazione tra le parti, risulta, come già affermato da consolidata giurisprudenza, dalla normativa di riferimento.


Il consorzio unico è, invero, stato costituito ai sensi del D.L. 90/2008, convertito L. 123/2008, che ha disposto la riunione dei disciolti consorzi di bacino delle Province di Napoli e Caserta, istituiti con L. Regione Campania n. 4/1993. La disciplina generale si rinviene nelle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri ed in particolare nell'ordinanza n. 3686 del 01/07/08. Ai sensi, poi, dell'art. 3 dello Statuto, il Consorzio Unico di Bacino è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia imprenditoriale ed è disciplinato dalle norme del D.Lgs. 267/2000, contenente il Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti Locali (v. anche nota dell'Ufficio Normativo e Contenzioso della Direzione Centrale dell'ex Inpdap del 5-12-2008).


Tale normativa consente, senza ragionevoli dubbi, di affermare la natura del Consorzio quale ente strumentale dei comuni associati, munito di personalità giuridica e di un proprio statuto, cui si applicano le stesse norme previste per gli enti locali.


Tanto premesso, alla liquidazione del trattamento di fine servizio/rapporto, è preposto l'INPS, la cui legittimazione passiva non è in contestazione.


L'istituto previdenziale al fine di sottrarsi all'obbligo a suo carico ha opposto, quale fatto impeditivo, il mancato versamento della contribuzione da parte del Consorzio (circostanza pacifica in giudizio) e l'inapplicabilità dell'art. 2116 c.c. per cui, in ragione di tale omissione, esso non sarebbe tenuto all'erogazione del credito preteso.


La tesi dell'INPS è destituita di fondamento.


Il tfr per i dipendenti pubblici è un contributo corrisposto al dipendente nel momento in cui termina il rapporto di lavoro. L'importo è determinato dall'accantonamento, per ogni anno di servizio, di una quota della retribuzione annua e dalle relative rivalutazioni.


Ed invero, come correttamente argomentato da altri Giudici di merito e in particolare dalla dott.ssa Picciotti nella sentenza n. 2652/2023 pubbl. il 19/04/2023 in prod. (cui si presta adesione ex art. 118 disp.att. c.p.c.):


“giova l'insegnamento della Suprema Corte (v. Cass. n. 27427 dell'1-12-2020) per il quale, acclarata la natura previdenziale dell'indennità premio servizio (Cass., S.U., 30 maggio 2005, n. 11329; Cass. 17 maggio 2019, n. 13433 e Cass. 18 marzo 2019, n. 7608), avvalorata dal combinarsi del far carico della prestazione ad un ente terzo, sulla base di contribuzione espressamente indicata come «previdenziale» dall'art. 11 L. 152/1968 ed a carico anche del lavoratore, va ravvisato nella regola di automaticità delle prestazioni, di cui all'art. 2116 c.c., il fondamento dell'indifferenza del lavoratore rispetto all'effettivo versamento dei contributi per il sorgere del diritto consequenziale, allorquando sussistano i restanti presupposti di legge previsti per il riconoscimento del beneficio.


Ciò posto -secondo la Suprema Corte- è inevitabile prendere le mosse da Corte Costituzionale 5 dicembre 1997, n. 374 la quale, seppur nel contesto di una sentenza di rigetto, ha chiarito come il «principio di "automaticità delle prestazioni", con riguardo ai sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, trova applicazione non già, come afferma il remittente, "solo in quanto il sistema delle leggi speciali vi si adegui", ma - come si esprime l'art. 2116 c.c.. - "salvo diverse disposizioni delle leggi speciali": il che significa che potrebbe ritenersi sussistente una deroga rispetto ad esso solo in presenza di una esplicita disposizione in tal senso».


«Detto principio» - prosegue ancora la Consulta - «costituisce una fondamentale garanzia per il lavoratore assicurato, intesa a non far ricadere su di lui il rischio di eventuali inadempimenti del datore di lavoro in ordine agli obblighi contributivi, e rappresenta perciò un logico corollario della finalità di protezione sociale inerente ai sistemi di assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti».


La giurisprudenza della Suprema Corte si è prontamente collocata in scia a tale ricostruzione del sistema, affermando anch'essa che «il principio di automatismo delle prestazioni previdenziali, di cui all'art. 2116 c.c., così come interpretato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 374 del 1997, trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale rispetto alla quale possono esserci deroghe solo se previste espressamente dal legislatore» (Cass. 2 febbraio 2001, n. 1460 ed altre successive, tra cui Cass. 14 giugno 2007, n. 13874). Fino ad affermare, con la più Cass. 22 giugno 2017, n. 15589 in tema di prestazioni del Fondo di Garanzia contro l'insolvenza, che solo in presenza di una previsione espressa che limiti il principio di automaticità, il diritto del lavoratore potrebbe restare condizionato non solo all'effettivo adempimento dell'obbligazione contributiva da parte del datore di lavoro, ma anche alla mancata prescrizione della stessa.


Pertanto, dato per principio quello dell'automaticità, esso è limitato dall'intervenuta prescrizione del diritto dell'ente erogatore alla riscossione dei contributi (c.d. automaticità parziale) solo in quanto vi sia una norma che disponga in tal senso.


Norma che esiste per il diritto alle prestazioni di vecchiaia, invalidità e superstiti (v. art. 27, co. 2, R.D.L. 636/1939), ma che non è contenuta nella disciplina dell'indennità premio servizio.


In sostanza, pur se vi sia stata prescrizione del diritto dell'ente alla percezione della contribuzione, il fondamento solidaristico sotteso all'art. 2116 c.c. fa sì che, allorquando, come nel lavoro dipendente, la contribuzione stessa doveva essere versata dal datore di lavoro anche per la quota a carico del lavoratore, l'inadempimento non possa comportare pregiudizio per il lavoratore dipendente (mentre il principio di automaticità di regola non opera nel caso di lavoratori autonomi che siano obbligati a versare direttamente la propria contribuzione: v. Cass. 24 marzo 2005, n. 6340), se la legge non lo preveda.


In applicazione dei principi espressi, nella fattispecie in esame, mancando una norma che espressamente deroghi all'art. 2116 c.c., è irrilevante l'omissione contributiva - e parimenti la prescrizione dei contributi omessi- ai fini del diritto del lavoratore al pagamento da parte dell'Inps del credito maturato alla cessazione del rapporto” (cfr. sent. Picciotti).


Quanto alla prescrizione va per completezza rilevato che l'art. 3, comma 10-bis, L 335/1995 vigente dispone che: “Per le gestioni previdenziali esclusive e per i fondi per i trattamenti di previdenza, i trattamenti di fine rapporto e i trattamenti di fine servizio amministrati dall'INPS cui sono iscritti i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, i termini di prescrizione di cui ai commi 9 e 10, riferiti agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria afferenti ai periodi di competenza fino al ((31 dicembre 2018)), non si applicano fino al ((31 dicembre 2023)), fatti salvi gli effetti di provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato nonche' il diritto all'integrale trattamento pensionistico del lavoratore”.


Lo stesso Inps ha rilevato l'applicabilità del disposto di cui all'art. 9, comma 4, DL 30 dicembre 2021, n. 228 convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15 , per cui - nella formulazione vigente “Le disposizioni di cui ai commi 8 e 9 dell'articolo 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, non si applicano fino al ((31 dicembre 2023)) agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria di cui al comma 10-bis dell'articolo 3 della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dal comma 3 del presente articolo, e al comma 10-ter del medesimo articolo 3 della legge n. 335 del 1995, introdotto dal comma 3 del presente articolo. Non si fa luogo a rimborso di quanto già versato”.


Non è, dunque, maturata la prescrizione (rilevabile d'ufficio), nemmeno eccepita dall'Inps.


Ne consegue il diritto del ricorrente a percepire dall'Inps la somma lorda di 35.767,36, non specificamente contestata. Sulla sorta sono dovuti i soli interessi legali ex art. 16, 6° comma legge 412/91 che decorrono ex art. 3, comma 2, DL 79/1997 dalla scadenza del terzo mese successivo ai 24 mesi dalla cessazione del rapporto al saldo. Segue la condanna dell'Inps al relativo pagamento.


Va, poi, dichiarata l'inammissibilità della domanda di accertamento dell'omissione contributiva a carico del Consorzio Unico convenuto, trattandosi di circostanza preesistente all'instaurazione del giudizio e del tutto pacifica tra le parti.


Quanto alla domanda di condanna del Consorzio all'adeguamento contributivo, formulata dal ricorrente nelle note del 10.5.23, la stessa è inammissibile perché tardiva.


Va, infine, dichiarata l'inammissibilità della domanda dell'Inps relativa alla condanna del Consorzio datore di lavoro, nei limiti della prescrizione, al versamento dei contributi e alle sanzioni previste per legge: la domanda è stata, infatti, esplicitata nella memoria difensiva tardivamente depositata.


10


Le spese del giudizio vanno compensate nella misura della metà per la complessità della questione, con condanna dell'INPS al pagamento del residuo nella misura liquidata in dispositivo.


Le spese vanno, poi, interamente compensate nei confronti del Consorzio Unico in ragione della riscontrata mancanza di res controversa sulla domanda di accertamento dell'omissione contributiva.


PQM

P.Q.M.

Il Tribunale di NAPOLI, in funzione di giudice del lavoro, in persona della d.ssa Monica Galante, definitivamente pronunziando, ogni diversa istanza e deduzione disattesa, così provvede:


dichiara il diritto del ricorrente a percepire dall'Inps la somma lorda di 35.767,36, oltre interessi legali dalla scadenza del terzo mese successivo ai 24 mesi dalla cessazione del rapporto al saldo;


condanna l'Inps al pagamento delle somme e degli accessori di cui al precedente capo; dichiara inammissibile la domanda del ricorrente e dell'Inps contro il Consorzio;


compensa le spese di lite nella misura della metà e condanna l'Inps al pagamento del residuo che si liquida in € 1.900,00, oltre spese forfettarie, IVA e cpa, con attribuzione agli avv.ti antistatari di parte ricorrente in solido;


compensa le spese di lite con il Consorzio.


NAPOLI, 04.10.2023

Riders riconosciuta tutela previdenziale

 


Sentenza Tribunale Milano, 19/10/2023, n.3237




Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con un ricorso al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, depositato in data 12.8.2021, la D SRL ha chiamato in giudizio l'INPS, l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO DI MILANO-LODI e l'INAIL e ha allegato come avrebbe ricevuto in data 24 febbraio 2021 un primo Verbale unico di accertamento n. 264 - 283 - 261 del 23/02/2021 (prot. ITL n° (omissis) del 23/02/2021-prot. INPS. (omissis)-prot. INAIL n° (omissis)), a cui sarebbero stati, poi, ricollegati due verbali dispositivi, all'esito di una ispezione cominciata nel luglio del 2019 e relativa ai rapporti con i riders.


Successivamente, in data 8 aprile 2021, sarebbe stato notificato alla stessa un secondo Verbale di accertamento, contenente una diffida ad adempiere al pagamento di Euro 68.160.875,05 per presunti omessi contributi previdenziali per il periodo tra il 01/01/2016 e il 31/10/2020.


Quest'ultimo discenderebbe dall'attività ispettiva e dalle conclusioni del primo verbale, notificato il 24 febbraio 2021 e che sarebbe viziato per la sua genericità e per la assenza dei requisiti di legge e in quanto la descrizione dell'attività societaria e dell'attività dei riders non sarebbe illustrata in termini corretti con, poi, un'errata applicazione dell'art. 2 del D.lgs. n. 81/2015.


Gli ispettori, inoltre, avrebbero disposto, anche per prestazioni di carattere occasionale dei singoli corrieri, l'applicazione di un rapporto a tempo pieno di tipo subordinato, senza distinzioni.


Infatti, il secondo verbale di accertamento avrebbe effettuato un errato calcolo dei contributi, tenendo conto di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno per ogni lavoratore e non delle prestazioni di lavoro effettivo e avrebbe posto quale parametro l'applicazione di un contratto collettivo diverso da quello indicato nel primo verbale di accertamento.


Quindi, la parte ha sottolineato come ogni onere della prova incomberebbe sugli enti e non sulla stessa.


Poi, ha eccepito la prescrizione quinquennale, rilevando come il primo Verbale, notificato in data 24 febbraio 2021, sarebbe inidoneo a interromperla.


Infatti, il primo atto idoneo a tal fine sarebbe il secondo Verbale, notificato in data 8 aprile 2021: da tale data, allora, andrebbe computata, a ritroso, la prescrizione maturata per i periodi anteriori al 8 aprile 2016.


Inoltre, i verbali ispettivi non sarebbero congruamente motivati ai sensi della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 13, co. 4, del D.lgs. n. 124/2004.


Quindi, la opponente ha proceduto a descrivere la propria attività, specificando come passerebbe interamente dalla piattaforma e dall'applicazione («app») omonima che fornirebbe al pubblico la possibilità di ordinare cibo, ai ristoratori di promuovere e vendere i propri prodotti, ai collaboratori la possibilità di offrire o meno la propria prestazione per il trasporto di pasti.


L'opera del rider sarebbe, infatti, meramente eventuale, non esistendo alcuna obbligazione continuativa di fare.


Il rider potrebbe accedere alla piattaforma (loggarsi) e fornire o meno una prestazione, quando ritenga, senza che la declinazione anche totale dei servizi proposti abbia conseguenze. Ugualmente, la D SRL non avrebbe potuto domandare prestazioni ai singoli lavoratori.


In più, a partire dal 2 novembre 2020, i riders attivi avrebbero firmato un nuovo e diverso contratto di lavoro autonomo, con diversi termini e condizioni e il sistema di prenotazione degli slot, cui si fa riferimento nel Primo verbale («SSB») non esisterebbe più.


Nel descrivere l'attività del collaboratore, poi, la società ha specificato che ciascun rider firmerebbe un contratto con la società, dove sarebbero chiaramente descritti i termini e le condizioni applicabili alle eventuali attività che dovessero essere di volta in volta concordate, riceverebbe delle credenziali (login e password) per accedere all'applicazione (App) scaricata sul proprio smartphone. Poi, solo attraverso quest'ultima sarebbe offerta la consegna e potrebbe essere accettata dal corriere.


Peraltro, circa il 10% dei riders che avrebbero firmato il contratto non avrebbe effettuato nemmeno un servizio.


Vi sarebbe la libertà per i collaboratori di lavorare pure per altri committenti.


Anche dopo la prenotazione di uno slot di consegna, ciascun corriere manterrebbe la facoltà di consegnare o non nell'ambito dello stesso.


Peraltro, le prenotazioni degli slot sarebbero avvenute una volta alla settimana, al lunedì, e poi non più fino al lunedì successivo.


Non ci sarebbe, poi stata mai una classifica (punteggio, ranking) relativa alla qualità del servizio o all'effettuazione di consegne.


Il rider, dunque, contrariamente a quanto affermato nel primo Verbale, deciderebbe non solo quando e se fornire l'opera, ma anche, ogni volta, dove e quando effettuarla, secondo la sua unica determinazione, non esistendo da parte della D SRL alcuna imposizione su tempi e luoghi.


Una volta accettata la consegna, il rider potrebbe eseguirla con libertà, senza alcuna direttiva, alcuna indicazione di sorta, nemmeno in merito alle tempistiche in cui effettuarla.


Inoltre, sceglierebbe liberamente il tragitto da effettuarsi per l'esecuzione dell'incarico ricevuto, non ricevendo neppure istruzioni sulle modalità di svolgimento del trasporto. Non gli sarebbe neppure imposto l'uso della attrezzatura della opponente.


Non corrisponderebbe, poi, al vero, l'affermazione del verbale per cui l'algoritmo del'app «secondo cadenze prestabilite determina per ciascun giorno e in maniera diversificata in base alla fascia oraria il numero di rider congruo per garantire il servizio di consegna».


Quanto ai dati numerici, inoltre, la stessa parte ha sottolineato che nell'elenco di cui al primo verbale ci sarebbero 19.000 riders, ma di questi circa 9.000 sarebbero già non più in rapporto con la medesima, con un bacino che si ridurrebbe, dunque, a circa 10.000 persone.


Di questi, circa 1700 (il 17% circa) non avrebbero effettuato alcuna consegna da un anno (1° luglio 2020 - 30 giugno 2021), pur permanendo rider nella relazione giuridica con la opponente.


Quindi, rimarrebbero circa 8.300 rider dell'elenco, dei quali, nel 2020, solo 2324 avrebbero effettuato un numero pari o superiore a 1000 consegne.


Sulla sussistenza di un “ranking”, in relazione al «SSB» (Self-Service Booking), la parte ha precisato come tali statistiche non avrebbero più alcuna rilevanza in merito alla prenotazione degli slot, essendo stato introdotto dalla società un sistema di free log-in a partire dal 2 novembre 2020 in base al quale, indipendentemente dai punteggi statistici, ciascun rider - oltre a poter lavorare liberamente, se e quando voglia, senza alcuna prenotazione (come prima del 2 novembre) - potrebbe acquisire qualsiasi slot in qualsiasi momento al pari di tutti gli altri rider senza alcuna distinzione.


Ad ogni modo, tale sistema sarebbe stato basato su due indici, quello di affidabilità e quello di partecipazione nei picchi e i riders sarebbero stati costantemente informati delle statistiche stesse.


I valori dei due indici sarebbero stati determinati, rispettivamente:


- dal numero delle occasioni in cui il rider, pur avendo prenotato una sessione, non abbia partecipato, dove «partecipare» significherebbe solamente essere loggato per almeno un secondo nei primi 15 minuti della sessione (indice di affidabilità).


- dal numero di volte in cui ci si renderebbe disponibili (essendo online per 1 secondo) per gli orari (20-22 dal venerdì alla domenica) più rilevanti per il consumo di cibo a domicilio (indice di partecipazione nei picchi).


In ogni caso, tali indici sarebbero funzionali solo alla prenotazione della prestazione successiva (a partire dalle ore 11:00 del lunedì, a partire dalle ore 15:00 oppure a partire dalle ore 17:00 dello stesso giorno).


Quindi, la parte ha descritto l'attività di alcuni lavoratori a livello esemplificativo.


Non sarebbe, poi, corretta l'affermazione degli ispettori per cui esisterebbe una piattaforma digitale che «gestisce e dirige la prestazione» dei riders e che costoro sarebbero inseriti in una organizzazione imprenditoriale di mezzi materiali e immateriali <<riconducibili alla società proprietaria della piattaforma».


Sarebbero, inoltre, legittime le soglie di reddito per il lavoro occasionale, sotto le quali è possibile svolgere attività autonoma senza partita IVA.


Ancora, sarebbe inesatta la tesi per cui il corriere non potrebbe accedere a uno slot, se non nell'area geografica stabilita dall'applicativo, perché sarebbe il medesimo ad indicare il tempo e il luogo in cui intenda rendersi disponibile alla ricezione di proposte e non viceversa.


In più, per poter essere ammesso a rendere una prestazione, il rider non dovrebbe necessariamente prenotare uno slot (fascia oraria), perché potrebbe, comunque, anche loggarsi per ricevere proposte senza aver effettuato alcuna previa prenotazione.


Ancora, la difesa della parte ha sottolineato che l'accertamento da cui deriverebbe il Verbale avrebbe interessato un intero settore, il cd. Food Delivery su piattaforma, e la descrizione dei rapporti della D SRL nel medesimo atto conterrebbe elementi totalmente estranei al modello della società, forse provenienti da altre piattaforme.


Inoltre, non sarebbe dato comprendere in base a quale norma o valutazione in fatto gli ispettori avrebbero disposto l'applicazione del CCNL del settore «Logistica», posto che la società applicherebbe ai propri dipendenti il CCNL Terziario.


A ciò deve aggiungersi che la società non sarebbe iscritta ad alcuna delle associazioni datoriali firmatarie del CCNL Logistica, ma alla Assodelivery, che avrebbe sottoscritto, il 15 settembre 2020, uno specifico negozio per il settore.


Inoltre, gli ispettori avrebbero omesso di considerare l'accordo integrativo del CCNL Logistica del 18 luglio 2018.


In più, sarebbero errati i conteggi, perché l'INPS avrebbe utilizzato una base di calcolo concettualmente e tecnicamente errata, senza valutare in alcun modo come il tempo di lavoro possa essersi sostanziato nelle prestazioni dei riders, limitandosi ad eseguire i calcoli dei contributi come se ciascuno fosse un lavoratore subordinato a tempo pieno, tenendo a riferimento sempre la stessa retribuzione giornaliera a partire dall'anno 2016 e fino al 2020 per un V livello del CCNL Logistica, con, però, un'aliquota concettualmente e tecnicamente errata perché relativa al settore Terziario.


Non sarebbe, poi, corretta l'affermazione per cui ogni rapporto di lavoro integrerebbe una collaborazione eterorganizzata con conseguente applicazione dell'art. 2 del d.lgs. 81/2015 e quindi di tutta la disciplina del lavoro subordinato.


Tale norma non sarebbe, infatti, applicabile, in quanto la prestazione non avrebbe natura prevalentemente personale e difetterebbe del requisito della continuatività, nonché di quello dell'eterorganizzazione.


Gli enti, peraltro, non avrebbero considerato la possibile applicazione degli articoli 47 bis e seguenti del medesimo decreto delegato.


Ad ogni modo, per ciò che concerne la richiesta di fornire dispositivi di protezione individuale, la società avrebbe sempre adempiuto ai propri obblighi in materia, mettendo a disposizione gratuita un kit per la consegna di cibo e bevande conforme alla legge, ferma restando la possibilità per i riders di usare l'equipaggiamento che ritenessero purché conforme alla normativa vigente.


In ogni caso, si dovrebbe sostenere solo una estensione parziale delle tutele del lavoro subordinato in caso di applicazione dell'art. 2 del D.lgs. n. 81/2015, risultando diverse norme in materia di subordinazione incompatibili con la fattispecie.


Peraltro, la stessa previsione non sarebbe da applicarsi per i rapporti previdenziali e, in più, correttamente la società collocherebbe le relazioni giuridiche di cui si tratta nell'ambito della Gestione Separata Inps e non in quella dei Lavoratori Dipendenti.


Sulla base di tali argomentazioni, perciò, la D SRL ha domandato, nelle conclusioni, che, accertata l'irregolarità e/o l'infondatezza e/o insufficienza e/o illegittimità dell'accertamento e/o dei verbali stessi, anche singolarmente considerati, si venisse a dichiarare l'archiviazione e/o l'annullamento e/o la revoca e/o l'inefficacia e/o, in via subordinata, la rettifica dei provvedimenti: verbale unico di accertamento e notificazione n. (omissis) del 23 febbraio 2021, verbale di disposizione n. (omissis) del 23 febbraio 2021 n. prot. (omissis), verbale di disposizione n. (omissis)del 23 febbraio 2021 n. prot. (omissis), verbale unico di accertamento e notificazione n. (omissis)/DDL del 8 aprile 2021. Con vittoria di spese di lite.


Costituendosi con articolata memoria difensiva, ciascuna convenuta ha contestato, in fatto e in diritto, le tesi di parte opponente.


Preliminarmente, l'INPS, l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO e l'INAIL hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso, per violazione degli articoli 4 e 5 LAC e per carenza di interesse, poiché il verbale impugnato conterrebbe gli esiti dell'accertamento effettuato, ma non imporrebbe a carico del datore di lavoro alcun adempimento avente immediata efficacia esecutiva, trattandosi di atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile.


Inoltre, ciascuna parte opposta ha evidenziato come il verbale risulterebbe certamente sufficientemente motivato, anche ai sensi della legge n. 241/90 e delle altre norme in materia.


In particolare, è stato sottolineato come, nella fattispecie, l'applicazione della disposizione di cui all'art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 81/15 e la parificazione delle discipline tra collaborazioni eterorganizzate e lavoro subordinato dovrebbe essere effettuata secondo l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, già fornita dalla Suprema Corte con la sentenza n. 1663 del 2020.


Nel concreto, poi, la fornitura effettiva dei servizi di consegna sarebbe stata realizzata dai riders in nome e per conto della D SRL, che resterebbe sempre responsabile del servizio.


La difesa dell'INPS ha, poi, evidenziato che la opponente aderirebbe a Assodelivery, che nel settembre del 2020 avrebbe sottoscritto un contratto nazionale con il sindacato minoritario Ugl per regolare il settore con un accordo contestato dai sindacati maggiormente rappresentativi.


Inoltre, i volumi d'affari e i ricavi della Società sarebbero cresciuti esponenzialmente nel corso del periodo osservato (2015-2020), senza il corrispondente ed atteso incremento della forza lavoro denunciata, che risulterebbe persino ridotta dal 2019 al 2020 (da 135 a 130 dipendenti).


È stato, poi, illustrato, come l'accertamento ispettivo sarebbe stato accompagnato dall'acquisizione di molteplici dichiarazioni di lavoratori, che avrebbero riferito di essere remunerati mensilmente previa emissione di fattura e che, all'approssimarsi ad € 5.000,00 dell'imponibile complessivo percepito nell'anno, sarebbero stati “invitati”, per poter proseguire nel rapporto di lavoro, ad aprire la partita IVA, pena la perdita del lavoro.


Le fatture dei lavoratori, ad ogni modo, indicherebbero esattamente i tempi di lavoro, con le relative loggature.


Sussisterebbe, inoltre, una vera e propria classifica di rendimento collegata all'affidabilità ed alla qualità dei riders, valutate attraverso il monitoraggio tecnico della prestazione, nel corso dell'esecuzione della stessa, sia mediante la geolocalizzazione, nonché mediante i dati raccolti dall'App per il tramite dello smartphone ad essa collegato.


Il criterio preferenziale di accesso alle fasce orarie di turno si baserebbe, infatti, su due criteri: disponibilità dei riders nelle fasce orarie critiche (venerdì, sabato e domenica sera); affidabilità (ovvero partecipazione effettiva del rider ai turni prenotati o cancellazione precedente all'inizio del turno).


La forma contrattuale, poi, non sarebbe stata scelta dai lavoratori, bensì imposta dalla società, con formulari standard e con consegna ai lavoratori degli strumenti di lavoro (zaini e divise loggati, porta cellulare etc).


Quanto alla descrizione dell'attività, la difesa dell'INPS ha precisato che la gestione dell'ordine da parte di un rider prevederebbe diverse fasi scandite dall'azienda, tutte tracciate, tramite l'app, dal sistema anche per successive attività di analisi degli ordini e che sarebbero: accettazione dell'ordine; segnalazione di arrivo al ristorante; segnalazione di ritiro merce; segnalazione di arrivo presso il cliente; segnalazione di ordine consegnato al cliente.


I dati relativi all'ordine nel suo complesso sarebbero conservati nel sistema aziendale.


La localizzazione del rider e la sua posizione nello specifico momento sarebbe utilizzata dal sistema in fase di assegnazione dell'ordine, per consentire la massima efficienza della consegna, tenuto conto anche della sede del ristorante, del cliente e del mezzo di trasporto indicato dal rider stesso.


Qualora, poi, al rider online non venisse assegnato un numero minimo di ordini (1,5), riceverebbe comunque un corrispettivo minimo a ciò connesso.


Il rider, inoltre, avrebbe una limitatissima autonomia poiché, costantemente geolocalizzato dalla piattaforma, dovrebbe rapportarsi continuamente con l'operatore della società per i più piccoli problemi.


A riprova della formale appartenenza alla opponente, i riders lavorerebbero con uniformi e attrezzature di lavoro fornite dalla stessa e contrassegnate dal relativo logo.


L'App, poi, prevederebbe un sistema di turnazione per il quale ogni rider, per poter essere ammesso ad effettuare la prestazione lavorativa, dovrebbe prenotare la fascia oraria (slot) in cui si ponga a disposizione della piattaforma per la consegna e l'utilizzo dell'algoritmo di gestione del lavoro costituirebbe in sé, per definizione, il paradigma di un sistema di lavoro eterorganizzato e controllato.


L'opera del rider non consentirebbe così alcuna discrezionalità e dovrebbe conformarsi all'organizzazione d'impresa della società.


Quindi, le convenute hanno sostenuto l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione, stante la sospensione del decorso del termine prescrizionale prevista dall'art. 37 del Dl. 18/2020 convertito in Legge 27/20, nonché dall'art.11, comma 9 del DL 183/20.


Inoltre, hanno argomentato la piena fondatezza di un inquadramento nell'ambito dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, sussistendone i presupposti della prestazione prevalentemente personale, della continuatività e delle eterorganizzazione, risultando, invece, residuale la tutela di cui agli articoli 47 bis e seguenti dello stesso decreto delegato.


All'applicazione anche ai riders della disciplina dei lavoratori dipendenti, non potrebbe, poi, che seguirne l'assimilazione di trattamento in termini di contributi e prestazioni sociali e previdenziali, ivi compreso il principio di automaticità delle prestazioni che assicurerebbe la copertura contributiva anche nel caso di mancato versamento da parte del soggetto obbligato.


Quanto ai conteggi, la base imponibile sarebbe stata determinata, parametrandola agli importi retributivi giornalieri previsti dal pertinente vigente CCNL Trasporti e Logistica, Quinto Livello, comprensivo di tutti i ratei e l'addebito avrebbe riguardato il periodo di accertamento fino al 31.10.2020.


Per tutti questi motivi, ritenendo legittima l'azione amministrativa, le parti opposte hanno domandato il rigetto del ricorso.


All'udienza di discussione è stata tentata inutilmente la conciliazione.


Quindi, la causa è stata oralmente discussa e decisa come da dispositivo pubblicamente letto, con sentenza definitiva.


Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE


A) LE ECCEZIONI DI INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO.


Preliminarmente, occorre rammentare che l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, l'INPS e l'INAIL hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso.


In particolare, l'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO ha sostenuto una carenza di interesse, poiché il verbale impugnato conterrebbe gli esiti dell'accertamento effettuato, ma non imporrebbe a carico del datore di lavoro alcun adempimento avente immediata efficacia esecutiva, trattandosi di atto endoprocedimentale non autonomamente impugnabile.


Tale eccezione, nel caso, tuttavia, non può essere condivisa.


Infatti, pur essendo noto un orientamento nel senso esposto dalla parte opposta (cfr. Cass. Ordinanza n. 32886 del 19/12/2018; Sentenza n. 16319 del 12/07/2010), si deve ritenere che, nel caso, l'interesse al ricorso della D SRL sussista per l'esigenza di un accertamento negativo che riguardi non solo le posizioni contributive e premiali di pertinenza dell'INPS e dell'INAIL, ma altresì la possibilità di evitare una sanzione amministrativa, con un'ordinanza ingiunzione.


In questo senso, si deve riflettere come il verbale del 23 febbraio 2021 (n. (omissis) del 23/02/2021-prot. ITL n° (omissis) del 23/02/2021-prot. INPS.(omissis)-prot. INAIL n° (omissis)) costituisca “un atto unitario” dell'INPS, dell'INAIL e dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, cosicché si può ben comprendere l'esigenza della opponente di un accertamento negativo unico di fronte a tutti gli enti, anche al fine di evitare contrasti nelle decisioni.


Da un lato, non è contestabile, d'altronde, che vi sia certamente l'interesse al ricorso della D SRL nei confronti dell'INPS e dell'INAIL, posto che indubbiamente l'accertamento dell'applicazione della normativa sul lavoro subordinato ex articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 determinerebbe un credito di questi enti nei confronti dell'opponente (tanto che è stato già emesso un ulteriore Verbale del 8.4.21 per la somma di € 68.160.875,05 a titolo di contributi, interessi e sanzioni Inps, doc. 2 ric.), cosicché, dall'altro, una volta che sussista l'interesse ex articolo 100 cpc nei confronti di tali ultimi soggetti, al fine di evitare un ingiustificato frazionamento del processo, risulta pure esistente quello nei confronti dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, in quanto, con atto del 23 febbraio 2021, è stato realizzato “un verbale unitario” che si pone quale possibile fondamento anche per gli illeciti amministrativi che siano considerati dall'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO.


L'interesse al ricorso della D SRL anche verso tale ultimo ente viene, cioè, a corrispondere all'esigenza, consacrata nell'ultima giurisprudenza della Suprema Corte, di evitare un'inutile frazionamento dei processi, essendo stato chiarito che “le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c.” (cfr. Cass. Sentenza n. 6591 del 07/03/2019; Ordinanza n. 17893 del 06/07/2018).


Nel caso, si deve così prendere atto che la causa nei confronti dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO appare fondata sugli stessi fatti costitutivi rispetto a quella verso l'INAIL e l'INPS, cosicché la materia non potrebbe essere accertata separatamente, se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale.


Sicché, in un'interpretazione costituzionalmente orientata ai sensi dell'articolo 24 e dell'articolo 111 Cost., si deve ritenere sussistente anche l'interesse al ricorso dell'opponente nei confronti dell'ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO e alla materia di pertinenza dello stesso.


Non risulta, poi, fondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso ex articolo 4 e 5 LAC, posto come l'azione di accertamento negativo circa l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai riders, al di là delle conclusioni che possano impropriamente domandare un annullamento degli atti in questione, si pone come di tipo dichiarativo di fatti e di diritti sussistenti tra le parti, con competenza del Giudice Ordinario.


B) IL LAVORO ETERORGANIZZATO NELL'INTERPRETAZIONE DELLA SUPREMA CORTE.


Una volta così valutata l'ammissibilità del ricorso, occorre anche premettere, con riguardo alle eccezioni formali, che il verbale n. (omissis) del 23 febbraio 2021 appaia certamente ampiamente motivato ex articolo 3 della legge n. 241/90 e delle altre norme in materia, fornendo chiara, precisa ed esaustiva indicazione di tutte le circostanze in fatto e in diritto oggetto di accertamento (cfr. pagine 2-11 del documento) e garantendo la possibilità di difesa alla parte interessata.


Venendo, poi, alle ulteriori questioni, le domande attrici sono risultate solo parzialmente fondate.


Occorre, infatti, rammentare che l'articolo 2, co. 1, del D.lgs. n. 81/2015, vigente per il periodo oggetto dell'accertamento per cui è causa, decorrente dal gennaio 2016 a ottobre 2020, sotto la rubrica “collaborazioni organizzate dal committente”, inizialmente, prevedesse che


“a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.


Poi, in seguito alla novella dell'art. 1 del DL n. 101/19, la norma si è presentata nei seguenti termini:


“a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.


Pur essendo note le problematicità interpretative della statuizione in questione, occorre rilevare come con riguardo alla stessa si sia pronunciata la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1663 del 2020, nella quale così è stato illustrato il nuovo istituto:


“22. In effetti, le previsioni dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 vanno lette unitamente all'art.52 dello stesso decreto, norma che ha abrogato le disposizioni relative al contratto di lavoro a progetto previsto dagli artt. da 61 a 69-bis del d.lgs. n.276 del 2003 (disposizioni che continuano ad applicarsi per la regolazione dei contratti in atto al 25 giugno 2015, data di entrata in vigore del decreto), facendo salve le previsioni di cui all'art. 409 cod. proc. civ. Quindi dal 25 giugno 2015 non è più consentito stipulare nuovi contratti di lavoro a progetto e quelli esistenti cessano alla scadenza, mentre possono essere stipulati contratti di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell'art. 409, n. 3 cod. proc. civ. sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato. 23. È venuta meno, perciò, una normativa che, avendo previsto dei vincoli e delle sanzioni, comportava delle garanzie per il lavoratore, mentre è stata ripristinata una tipologia contrattuale più ampia che, come tale, comporta il rischio di abusi. Pertanto, il legislatore, in una prospettiva anti-elusiva, ha inteso limitare le possibili conseguenze negative, prevedendo comunque l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato a forme di collaborazione, continuativa e personale, realizzate con l'ingerenza funzionale dell'organizzazione predisposta unilateralmente da chi commissiona la prestazione. Quindi, dal 10 gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente. 24. Il legislatore, d'un canto consapevole della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad unità tipologica, e, d'altro canto, conscio degli esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell'art. 2094 cod. civ., si è limitato a valorizzare taluni indici fattuali ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) e sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi nella fattispecie concreta e senza che questi possa trarre, nell'apprezzamento di essi, un diverso convincimento nel giudizio qualificatorio di sintesi. 25. In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell'autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l'ordinamento ha statuito espressamente l'applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina. 26. Tanto si spiega in una ottica sia di prevenzione sia "rimediale". Nel primo senso il legislatore, onde scoraggiare l'abuso di schermi contrattuali che a ciò si potrebbero prestare, ha selezionato taluni elementi ritenuti sintomatici ed idonei a svelare possibili fenomeni elusivi delle tutele previste per i lavoratori. In ogni caso ha, poi, stabilito che quando l'etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato. 27. Si tratta di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l'approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di "debolezza" economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea. L'intento protettivo del legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile l'applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza - per l'applicabilità della norma - di prestazioni "prevalentemente" e non più "esclusivamente" personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all'elemento della "etero-organizzazione", eliminando le parole "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro", così mostrando chiaramente l'intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione. 28. Il secondo profilo della doglianza in esame invita proprio questa Corte, invece, a adottare un'interpretazione restrittiva della norma in discorso. 29. Secondo la ricorrente, come si è detto, la Corte territoriale, affermando che la etero-organizzazione disciplinata dall'art. 2 consisterebbe nel potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro, avrebbe trascurato che l'art. 2 richiede, ai fini della sua applicazione, che le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro". La parola "anche" del testo normativo dimostrerebbe che le tutele del lavoro subordinato garantite dall'art. 2 richiedono non una semplice etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione, tantomeno in termini di mera "possibilità", ma "una ingerenza più pregnante nello svolgimento della collaborazione, eccedente quindi tale etero-determinazione". 30. Anche tale censura non può essere condivisa. 31. La norma introduce, a riguardo delle prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative, la nozione di eteroorganizzazione, "anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro". 32. Una volta ricondotta la etero-organizzazione ad elemento di un rapporto di collaborazione funzionale con l'organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione unilateralmente disposta dal primo, opportunamente inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa, si mette in evidenza (nell'ipotesi dell'art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015) la differenza rispetto ad un coordinamento stabilito di comune accordo dalle parti che, invece, nella norma in esame, è imposto dall'esterno, appunto etero-organizzato. 33. Tali differenze illustrano un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell'art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e da un applicativo per smartphone. 34. Ciò posto, se è vero che la congiunzione «anche» potrebbe alludere alla necessità che l'etero-organizzazione coinvolga tempi e modi della prestazione, non ritiene tuttavia la Corte che dalla presenza nel testo di tale congiunzione si debba far discendere tale inevitabile conseguenza. 35. Il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro esprime solo una possibile estrinsecazione del potere di etero-organizzazione, con la parola "anche" che assume valore esemplificativo. In tal senso sembra deporre la successiva soppressione dell'inciso ad opera della novella cui si è fatto più volte cenno. Del resto è stato condivisibilmente rilevato che le modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa lo sono, nell'attualità della rivoluzione informatica, sempre meno significative anche al fine di rappresentare un reale fattore discretivo tra l'area della autonomia e quella della subordinazione. 36. Parimenti si deve ritenere che possa essere ravvisata eteroorganizzazione rilevante ai fini dell'applicazione della disciplina della subordinazione anche quando il committente si limiti a determinare unilateralmente il quando e il dove della prestazione personale e continuativa. 37. Il motivo in esame non critica dunque efficacemente le pertinenti statuizioni della sentenza impugnata. 38. Detto questo, non ritiene la Corte che sia necessario inquadrare la fattispecie litigiosa, come invece ha fatto la Corte di appello di Torino, in un tertium genus, intermedio tra autonomia e subordinazione, con la conseguente esigenza di Firmato selezionare la disciplina applicabile. 39. Più semplicemente, al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l'applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, come detto, di una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie. 40. Del resto, la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile, che non potrebbe essere affidata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici. In passato, quando il legislatore ha voluto assimilare o equiparare situazioni diverse al lavoro subordinato, ha precisato quali parti della disciplina della subordinazione dovevano trovare applicazione. In effetti, la tecnica dell'assimilazione o dell'equiparazione è stata più volte utilizzata dal legislatore, ad esempio con l'art.2 del R.D. n. 1955 del 1923, con l'art.2 legge n.370 del 1934, e con l'art.1, comma 1, legge n. 1204 del 1971, con cui il legislatore aveva disposto l'applicazione al socio di cooperativa di alcuni istituti dettati per il lavoratore subordinato, nonché con l'art. 2 c.1 d.lgs. n. 626 del 1994 e l'art. 2, comma 1 lett. a), del d.lgs. n.81 del 2008 in tema di estensione delle norme a tutela della salute e della sicurezza, e con l'art. 64 del d.lgs. n. 151 del 2001, come successivamente modificato, che ha disposto l'applicazione alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata dell'INPS alcune tutele previste per le lavoratrici subordinate. 41. Non possono escludersi situazioni in cui l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell'ambito dell'art. 2094 cod. civ., ma si tratta di questione non rilevante nel caso sottoposto all'esame di questa Corte. 42. All'opposto non può neanche escludersi che, a fronte di specifica domanda della parte interessata fondata sul parametro normativo dell'art. 2094 cod. civ., il giudice accerti in concreto la sussistenza di una vera e propria subordinazione”.


Dunque, secondo l'interpretazione della Corte di cassazione, si tratta di una “norma di disciplina”, posta in un collegamento con l'articolo 52 dello stesso decreto delegato e volta a tutelare dei prestatori di lavoro, che, pur nell'ambito di un rapporto ex articolo 409, n. 3, cpc, si trovino in una situazione di particolare debolezza, poiché la loro prestazione, comunque di tipo personale e continuativo, risulta eterorganizzata dal preponente.


Ad ogni modo, anche aderendo alla soluzione per cui l'articolo 2 cit. rappresenta una “norma di disciplina” (con soluzione esegetica che risulterebbe, comunque, imprecisa per parte della dottrina perché la norma privatistica “delinea, per definizione, una fattispecie, cui ricollega determinati effetti in termini di disciplina applicabile”), resta che gli effetti previsti dalla stessa conseguono al verificarsi dei suoi presupposti che, dunque, debbono essere individuati nella presente motivazione.


Innanzitutto, pur potendosi porre la disposizione nell'area del lavoro autonomo (è noto il dibattito in materia, ma questa sembra l'interpretazione preferibile da proporsi alla luce della disciplina normativa e della stessa analisi della Suprema Corte, che pur non ha ritenuto di proporre un inquadramento preciso rispetto a tale tematica: cfr. il par. 24 della sentenza citata) e, in particolare, in quello delle collaborazioni continuative ex articolo 409 n. 3, cpc (di cui nella fattispecie si richiamano tutti i caratteri, salvo la coordinazione, sostituita con la eterorganizzazione) e potendosi, così, collocare in tale ambito il nuovo istituto, si deve, tuttavia, mettere subito in evidenza la differenza rispetto ad un “coordinamento” nelle modalità organizzative tra le parti stabilito di comune accordo dalle stesse ai sensi di tale ultima norma, rispetto all'ingerenza unilaterale del preponente che, perché si applichi l'articolo 2 del decreto legislativo n. 81/15, è “imposta dall'esterno”, con lavoro eterorganizzato dal preponente.


Tali distinzioni illustrano, infatti, un regime di autonomia ben diverso, significativamente ridotto nella fattispecie dell'art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015: integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore di obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, connotata da una organizzazione delle modalità operative imposta dal preponente.


Tale ultimo requisito, che si desume anche dalla rubrica dell'art. 2, intitolato “collaborazioni organizzate dal committente”, vale anche, poi, a distinguere la fattispecie in esame dalla differente di cui agli artt. 47 bis e ss. del medesimo decreto delegato.


Infatti, l'articolo 47 bis del decreto legislativo n. 81 del 2015 è introdotto dalla clausola di riserva “fatto salvo quanto previsto dall'articolo 2”, che viene a chiarire come la disciplina prevista dal medesimo non possa trovare applicazione per le fattispecie già regolate dal precedente art. 2, attinente al lavoro eterorganizzato.


In altri termini, il D.lgs. n. 81/15 distingue la figura del lavoro eterorganizzato per l'ingerenza dell'opponente nelle modalità organizzativa della prestazione, rispetto a quello autonomo o semplicemente coordinato e continuativo (ex art. 409, n. 3, cpc) realizzato tramite piattaforma ex articolo 47 bis cit., in cui difettano i requisiti per l'attuazione dell'art. 2.


Quindi, solo qualora il lavoratore su piattaforma non sia qualificato come lavoratore subordinato ex art. 2094 c.c. o eterorganizzato ex art. 2 del D.lgs. n. 81/2015 si applicano le disposizioni di cui al Capo V bis.


Le tutele minime dell'art. 47 bis e ss. si indirizzano, perciò, a quei lavoratori che si gestiscano in regime di autentica autonomia e senza vincolo alcuno “imposto” per il proprio schema organizzativo, operando in piena libertà quanto a modi, tempi e disponibilità del servizio.


Viceversa, l'applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato (salva sua incompatibilità) per i collaboratori di cui all'art. 2 si giustifica in ragione del coordinamento esterno e unilateralmente imposto dal committente al lavoratore, che, per svolgere la prestazione, è obbligato ad adeguarsi alla organizzazione del primo, rendendolo così assimilabile, quanto alle esigenze di protezione lavoristica e previdenziale, al lavoratore dipendente.


C) LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE AI SENSI DELL'ARTICOLO 2 DEL D.LGS. N. 81/15.


È bene, dopo tale analisi, anche precisare che, secondo l'interpretazione della Suprema Corte, il richiamo dell'articolo 2 cit., laddove fa riferimento all'applicazione della “disciplina del rapporto di lavoro subordinato”, la concepisca nella sua interezza, salva incompatibilità, potendosi già qui riflettere come non vi siano motivi, né testuali, né logici, per escludere dalla stessa quella di tipo previdenziale.


In senso contrario a tale impostazione e per una diversa soluzione esegetica, si è, tuttavia, richiamato il comma 2 dello stesso art. 2 cit., per il quale


“la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore. (…)”.


Infatti, poiché, ai sensi del menzionato comma due, la possibilità di deroga al comma primo dell'articolo 2, tramite i contratti collettivi, riguarda la disciplina per il trattamento economico e normativo, nella stessa non potrebbe rientrarvi quella di tipo previdenziale, per la sua “indisponibilità tramite pattuizione negoziale”.


In tale percorso logico, risulterebbe, cioè, che (I) se, dunque, le disposizioni previdenziali non possono essere trattate tramite contratti collettivi, (II) poiché il comma 2 nella deroga, in tal modo, prevista verrebbe ad escludere “l'intera applicazione del comma primo”, (III) a tal punto, quest'ultimo (il co. 1), non potrebbe, per via logica, prevedere l'estensione della disciplina del rapporto subordinato anche dal lato previdenziale, dovendo interpretarsi come limitato all'ambito solo lavoristico.


Ovverosia, il comma due non potrebbe comprendere nella facoltà di deroga la disciplina previdenziale in quanto indisponibile e siccome verrebbe a rendere non applicabile l'intero comma uno, verrebbe anche ad individuare l'ambito dello stesso, escludendo, nella sua possibile interpretazione, l'estensione delle disposizioni sul lavoro subordinato di tipo previdenziale da quest'ultimo.


Tuttavia, tale tesi non può essere condivisa.


Infatti, è noto il principio del parallelismo e automatismo tra la applicazione della disciplina lavoristica e quella previdenziale (cfr., ad es., Cass. Sentenza n. 5097 del 11/10/1984), che deriva dal fatto che la relazione di lavoro è il presupposto che giustifica l'insorgenza del rapporto giuridico, che, una volta qualificato, con individuazione della sua disciplina giuridica, determina, in conseguenza, quella previdenziale.


Cosicché, qualora si debba fare applicazione, sussistendone i presupposti, del primo comma dell'art. 2, con estensione ai collaboratori eterorganizzati della disciplina del lavoro subordinato, evidentemente, ne seguirebbe, per il descritto parallelismo, l'applicazione della relativa normativa stabilita per i lavoratori eterodiretti dal lato previdenziale.


Viceversa, qualora, in virtù delle deroghe degli accordi collettivi ex art. 2, co. 2 cit., non si venga ad applicare la normativa ex articolo 2094 cc ai collaboratori, benché eterorganizzati, per gli stessi principi, non sarà, evidentemente, da estendersi agli stessi neppure quella di tipo previdenziale dei lavoratori subordinati, venendo meno il suddetto parallelismo e non certo per una “disponibilità” dei diritti in materia contributiva tramite pattuizione negoziale.


Dunque, nei casi in cui, per l'applicazione del primo comma dell'articolo 2 cit., si applichi al collaboratore eterorganizzato la disciplina lavoristica ex art. 2094 cc, ne segue, in immediata successione, quella di tipo previdenziale collegata ai prestatori subordinati.


D'altronde all'interpretazione sistematica ora proposta, si deve anche aggiungere quella di tipo teleologico, poiché certamente la ratio legis che ha portato alla novella dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 è stata l'esigenza di assicurare una protezione più intensa a una tipologia di lavoratori ritenuti in qualche modo assimilabili a quelli eterodiretti e, in tale logica, appare non sostenibile, in assenza di una previsione espressa in tal senso, che si sia voluto introdurre tale maggior tutela solo dal lato lavoristico e non per quello previdenziale e per gli infortuni sul lavoro, almeno di analoga importanza, dovendosi, perciò, proporre l'analisi esegetica appena esposta.


Nel presente processo, perciò, si procederà, in questo senso, alla verifica della natura dei rapporti di lavoro con i riders limitatamente ai rapporti con gli enti convenuti (come chiarito dalle parole “con riguardo ai rapporti tra la parte opponente e le parti opposte”, di cui al dispositivo), per verificare quale sia la corretta disciplina da applicarsi agli stessi dal lato previdenziale, non essendovi domande di tipo lavoristico per i singoli collaboratori.


D) IL VERBALE UNICO DI ACCERTAMENTO E NOTIFICAZIONE N. (omissis) DEL 23 FEBBRAIO 2021 E L'ISTRUTTORIA TESTIMONIALE.


Ciò posto, nel caso in questione, è impugnato il Verbale Unico di Accertamento e notificazione n. (omissis) del 23 febbraio 2021, redatto dai Carabinieri del nucleo ispettivo competente e dagli ispettori degli enti convenuti.


Quest'ultimo descrive la fornitura dei servizi di consegna della opponente che viene realizzata dai riders in nome e per conto della stessa che resta responsabile del servizio nei confronti del cliente.


Il corrispettivo della prestazione di consegna è un prezzo che la D SRL paga ai riders.


Il rider, invece, svolge l'attività lavorativa, che è spesso per le consegne a favore di grandi gruppi con cui la società opera in partnership (cap. 109 Inps).


Con il Verbale in parola, in particolare, si è contestato alla D SRL che i riders operanti nel periodo da gennaio 2016 ad ottobre 2020 avrebbero agito come “collaboratori organizzati” ex art. 2 del D.lgs. n. 81 del 2015.


Ora, si deve condividere tale qualificazione.


a) Quanto alla fase genetica, il modello di contratto di lavoro proposto e prodotto dalla stessa opponente (doc. 11 ric.) prevede la libertà del rider di decidere se, quando, dove e per quanto tempo desideri utilizzare l'App SSB e se accettare, rifiutare o ignorare qualunque richiesta per la fornitura di Servizi di Consegna (art. 3), oltre che l'assenza di un vincolo di esclusiva (art. 3.3).


b) Per verificare, poi, in particolare, la fase esecutiva della relazione giuridica, è stata espletata un'istruttoria testimoniale sulle “modalità di funzionamento della piattaforma” in questione, che hanno coinvolto in modo analogo tutti i collaboratori della opponente (era in dotazione a tutti i riders) nel periodo oggetto di causa (gennaio 2016-ottobre 2020), potendo, quindi, ritenersi comuni a tutti i lavoratori coinvolti nel Verbale di accertamento.


Ora, ha dichiarato M.F., rider per la ricorrente nel periodo dal Febbraio 2020 al giugno 2020, che “per lavorare, dovevo accedere all'app il lunedì per prenotare gli slot liberi per la settimana successiva e se cliccavo sullo slot automaticamente potevo lavorare in quella fascia oraria senza necessità di conferme ulteriori. Il giorno del servizio nell'orario stabilito accendevo poi l'app della piattaforma e c'era necessità che io mi trovassi in una zona prestabilita, definita dalla zona a me assegnata che non so definire in termini di metri quadri, perché corrispondeva a una zona colorata all'interno dell'app. Poi, all'interno della stessa, dipendeva da dove mi trovavo la possibilità che ricevessi gli ordini, perché ovviamente vengono dati a chi si trovi nelle vicinanze del locale e del cliente. Poi, una volta accettato l'ordine, mi dovevo recare al ristorante e tramite il GPS la società sapeva che ero arrivato al ristorante , non ricordo se dovevo cliccare qualche pulsante sul l'app per confermare l'arrivo al ristorante, certamente però dovevo cliccare sull'app una volta ritirato il pacchetto per la consegna dal ristorante, dove c'era la banda da cliccare definita “ordine ritirato”. Poi mi recavo dal cliente e effettuata la consegna dovevo cliccare il pulsante sull'app con “consegnato”. Non si poteva accettare più ordini contemporaneamente, solo dopo la consegna dell'ordine si poteva accettare quello successivo. Il corrispettivo veniva calcolato sulla base della distanza del cliente, quindi era misurato in relazione ai chilometri percorsi. Il calcolo del corrispettivo veniva stabilito all'inizio quando accettavo l'ordine su un ipotetico percorso e rimaneva invariato anche se facevo un percorso diverso più lungo o più corto e nessuno mi controllava sul tragitto che facevo. C'era un ranking con il punteggio dei singoli rider, collegato alla disponibilità nelle fasce orarie calde della settimana negli orari di pranzo e cena e all'affidabilità nel mantenere l'impegno. Poi c'era, per mantenere il punteggio nel ranking , l'obbligo di arrivo entro 15 minuti dall'inizio del turno accettato e in caso di disdetta dell'impegno assunto in quel turno, la disdetta doveva avvenire almeno 24 ore prima, pena, in entrambi i casi, la perdita di punti nel ranking. Chi aveva un ranking più alto aveva la possibilità di avere una precedenza nella prenotazione dei turni in quanto ad esempio gli veniva aperta la pagina per la prenotazione nell'app la domenica sera invece che al lunedì e aveva maggiori possibilità di ordini perché chi era più affidabile riceveva anche più ordini. Potevo quando ricevevo una proposta d'ordine anche non accettarla nel mio turno, ma questo impattava sul ranking in senso negativo. L'area di Avellino è quella a me assegnata perché Avellino non è diviso in più aree e è quella che io ho richiesto nel formulare la mia richiesta di divenire rider sul sito ed è quella che mi è stata assegnata dalla piattaforma. All'inizio non so come andava, perché non mi sono mai informato, ma oggi sono certo che potrei consegnare anche in un'area diversa. Quando due persone che hanno il ranking diverso cliccano in contemporanea la casella libera sulla app per scegliere il turno è preferito chi clicca per primo e non chi ha il ranking più alto. Al di fuori delle fasce orarie prenotate non si poteva collegarsi all'app per lavorare. Non era possibile proprio accedere all'app al di fuori delle fasce orarie prenotate”.


Poi, ha attestato S.D.G.


“faccio il rider per la ricorrente da ottobre del 2018 nell'area di Como. Como dal 2020 (non ricordo da quale mese) è divisa in due zone e io sono stato assegnato ad una di queste. Quando ha iniziato nel 2018 c'era una sola zona Como e io ero assegnato a Como e non potevo lavorare in un'altra al di fuori di Como mentre da quando ci sono due zone su Como posso lavorare in entrambe e dopo questa divisione posso lavorare ovunque. Per scegliere il turno, quando ho iniziato, si accedeva all'app e si sceglieva il lunedì il turno per la settimana dopo, cliccando le fasce orarie sull'app. Questo vale certamente sino a tutto il 2020. Non si poteva collegarsi all'app in orari diversi dalle fasce orarie prenotate. Quando io ero nella mia fascia oraria e nella mia zona potevo accettare o non accettare l'ordine che ricevevo e quando lo accettavo mi recavo al ristorante dove c'era la consegna da ricevere e quando ricevevo la consegna da parte del ristorante dovevo cliccare sull'app il pulsante “ordine ricevuto” e poi lo portavo al cliente e lì dovevo cliccare il pulsante “consegnato”. Potevo scegliere liberamente il percorso per recarmi al cliente, anche se eravamo pagati in maniera diversa a seconda della distanza, ma con un corrispettivo predeterminato, secondo un tragitto ipotetico e corrispettivo, dalla piattaforma, nel momento in cui si proponeva l'ordine. C'era poi un ranking collegato alla scelta delle fasce calde nella settimana e all'affidabilità nel mantenerle e questo consentiva, per chi aveva il punteggio più alto, una priorità nell'accesso alla piattaforma nella prenotazione dei turni ; poi invece quando due persone con ranking diverso accedevano a una fascia oraria, nel senso che venivano ammesse alla stessa, non avevano un diverso trattamento per la ricezione degli ordini. Il ranking veniva abbassato solo se uno non faceva la disdetta del turno anche solo appena prima all'inizio dello stesso, cioè se lo faceva durante il turno stesso non poteva far la disdetta se non con abbassamento del ranking. Inoltre il ranking poteva essere abbassato in caso di ritardo rispetto all'inizio del turno perché si aveva 15 minuti dall'inizio del turno per presentarsi a pena dell'abbassamento del ranking. C'era anche un codice di comportamento del Rider presente sulla piattaforma, con ad esempio prescrizioni come la necessità di essere rispettoso con il cliente, inoltre c'erano prescrizioni su come pulire lo zaino e su come portare il cibo al cliente e dei consigli su come gestire il proprio mezzo, che era la bicicletta nel mio caso. C'era infatti poi una valutazione da parte del ristorante e da parte del cliente che incideva sul ranking. Non c'era un tempo di consegna entro cui arrivare dal cliente. Non si poteva accettare più ordini contemporaneamente ma occorreva concludere l'ordine per poter accettare quello dopo. Il punteggio del ranking era dato per 50% in affidabilità circa i ritardi, nel senso che non potevo arrivare in ritardo e disdettare il turno nei termini sopra espressi, poi un 20% per la valutazione del ristorante che effettuava tramite la piattaforma e un'ulteriore 30% per la valutazione da parte del cliente che effettuava sempre tramite la piattaforma. Ho lavorato oltre che per la ricorrente anche per le piattaforme Glovo e Uber e sono sicuro che tutto quello che ho detto è riferibile alla ricorrente e non alle altre piattaforme, sto parlando solo della ricorrente. I tempi di consegna al cliente poi dipendevano anche dalla preparazione delle vivande che potevano richiedere più o meno tempo da parte del ristorante. Io potevo lavorare quando e quanto volevo e di conseguenza il mio reddito mensile poteva oscillare a seconda di quanto avevo lavorato”.


Ancora, M.M. ha deposto che


“nel periodo dal 2016 al fine ottobre 2020 ero responsabile delle operazioni dell'azienda nell'area Italia. Ho competenze manageriali , non ho competenze informatiche certificate, conosco la piattaforma della ricorrente nel periodo sopra espresso. Conosco la piattaforma anche perché nelle mie mansioni c'erano, tramite il mio team, la ricerca dei rider per la consegna ai clienti dei prodotti, i rapporti e le comunicazioni con i rider e infine la risoluzione di eventuali problematiche. Per lavorare, i rider dovevano accedere agli slot che venivano pubblicati per la prima volta il lunedì per la settimana successiva, anche se poi una volta pubblicati potevano essere scelti anche durante tutta la settimana dai rider. C'erano tre fasce orarie per la prenotazione, alle 11, alle 15 e alle 17 e la priorità per l'accesso a queste fasce veniva determinata sulla base di un punteggio che veniva calcolato sulla base della selezione dei turni nelle fasce più calde (partecipazione), cioè il venerdì il sabato e la domenica dalle 19 alle 21 e sull'affidabilità nel turno che era determinata dall'accesso con un login all'interno dello slot prescelto, anche solo per un istante, entro i primi 15 minuti dall'inizio del turno. Per l'affidabilità, poi si poteva cancellare la prenotazione dello slot in qualsiasi momento purché fosse prima dell'inizio del turno. Una volta che poi uno accedeva allo slot prenotato poteva accettare o non accettare liberamente gli ordini e questo non incideva sul punteggio. Qualora avessero prenotato il turno in questo modo i Rider poi potevano accedere solo dalla zona così prenotata e assegnata, mentre era comunque consentito, nei turni non prenotati, ai Rider di accedere all'app e di lavorare anche partendo da zone diverse. Questo so per esperienza diretta e perché so che lo facevano alcuni rider che lavoravano con D. Chiarisco meglio nel senso che questo so per scambi con comunicazioni avvenute con i rider e per l'applicazione che ho io per fare dei test sullo smartphone. Se mi viene chiesto di esibirla ora non funziona perché non ricopro più quella posizione da alcuni mesi. Non ho memoria di aver agito mai direttamente su un profilo di rider, inteso come sull'app del lavoratore. Una volta che il Rider accetta l'ordine poi deve recarsi al ristorante e deve dare una prima conferma dell'arrivo al ristorante sull'app e poi una seconda conferma con la recezione dell'ordine, cliccando sui relativi tasti della piattaforma. Poi si reca dal cliente e anche lì deve cliccare sul tasto “consegnato” della piattaforma. Può effettuare liberamente il tragitto che ritiene e viene pagato a seconda della lunghezza del percorso secondo un tragitto ipotetico predeterminato dall'app . Il corrispettivo poi era determinato anche da altri parametri come il tempo necessario per effettuare una determinata consegna e in ragione di alcuni extra che potevano essere determinati da eventi che potevano rendere particolarmente importante e interessante la consegna per il cliente, come ad esempio una finale di una partita di calcio. Prima di prendere un nuovo ordine il rider deve aver concluso l'ordine accettato prima, tranne che la stessa ricorrente crei un ordine doppio da accettare come tale. Il cliente e il ristorante possono fare delle rimostranze sull'operato del Rider ma questo non può incidere sul punteggio, non c'è alcun tasto sulla piattaforma che determini questo, ma c'era un canale per le rimostranze e questo vale per il periodo dal 2016 al 2020 oggetto di causa. In particolare, queste situazioni rientrano in quelle che ho definito all'inizio problematiche gestite dal mio ufficio e veniva vagliato caso per caso e, ad esempio, se c'era un caso di minaccia al ristorante da parte del rider si suggeriva al ristorante di rivolgersi alle forze dell'ordine, oppure in caso di comportamento poco rispettoso nei confronti del cliente oppure per ritardi significativi si vagliava caso per caso ma si manteneva in tutti i casi finora descritti il rapporto con il Rider. In tutti i casi dunque, il vaglio consiste nel valutare se è una situazione grave o meno e archiviarla o consigliare al cliente o al ristorante di rivolgersi alle forze dell'ordine. Non c'è mai stato un codice di comportamento per i rider, ma delle indicazioni che consistevano in alcuni video con indicazioni su cosa consisteva l'attività, con delle istruzioni su come mantenere l'attrezzatura fornita dalla ricorrente, su come gestire l'applicazione nei termini sovraesposti con i tasti da cliccare nel momento di ricezione e di consegna dell'ordine, secondo quanto già detto e non mi ricordo se ci fossero o meno indicazioni sul rapporto con il cliente o con il ristorante. Per entrare in rapporto con la ricorrente, i rider dovevano accedere a un link che curavamo fosse presente nelle maggiori piattaforme di ricerca di lavoro e dopodiché una volta acquisiti i dati e i documenti di supporto, quando c'era bisogno di inserire nuovi rider verificavamo i documenti prodotti e sceglievamo a seconda della completezza della candidatura. Non c'era una valutazione di merito, bastava la completezza dei documenti prodotti. Quando ho detto che i turni potevano essere prenotati durante la settimana, intendo dire che il calendario poteva anche modificarsi a seconda delle disdette dei turni da parte di quelli che li avevano prenotati e quindi così i turni tornavano a essere disponibili. L'attrezzatura da noi fornita, che si mostrava nei video come utilizzare, riguardava lo zaino, indumenti ad alta visibilità, una borsa termica, il casco per i ciclisti e forse un porta smartphone. In uno dei video si illustravano e si invitavano i Rider al rispetto delle regole stradali. Ad ogni modo, poi il Rider non era obbligato a utilizzare l'attrezzatura fornita, questo so perché come cliente ho visto Rider D. consegnare con lo zaino di altra compagnia. In caso di consegna con auto, non ricordo se al rider venisse chiesto di consegnare copia della polizza assicurativa. In qualunque momento, dopo aver accettato l'ordine il Rider può revocare l'accettazione senza conseguenze anche dopo aver ritirato il cibo, che in quel caso gli si chiede di consegnare nuovamente al ristorante. In questo caso però è il lavoratore che deve contattare l'assistenza per chiedere di essere disassegnato dalla consegna accettata e ritirata e così gli si chiede di riportarla al ristorante. Se il cibo poi è freddo, si chiede, in questo caso, al ristorante, in seguito a questa fattispecie che ha una casistica però molto limitata, di ripreparare il cibo e di gettare quello freddo che viene comunque pagato dalla ricorrente e di fare una nuova consegna a un altro rider. Meglio precisando quanto sopra, la ricorrente interviene anche escludendo dalle possibilità di accedere all'app definitivamente il lavoratore in casi gravi vagliati caso per caso, come l'accertamento di un reato, come ad esempio un furto, oppure in caso di successivi comportamenti reiteratamente aggressivi nei confronti del cliente o del ristorante. Ci sono anche altre casistiche, ma dovrei riprenderle e in questo momento non riesco a ricordarle”.


Quindi ha dichiarato A.ME.


“ho lavorato per la opponente dal settembre 2019 a settembre 2020 e forse qualcosa nel 2021 nel ruolo di Rider. Io potevo lavorare quando volevo, ero in cerca di un'altra occupazione nel frattempo facevo quel lavoro. A lunedì accedevo alla piattaforma per prenotare i turni per quella successiva, ossia non per la stessa settimana ma per quella seguente. Io potevo scegliere tra le caselle libere e le singole caselle erano di un'ora ciascuna. Io ero nella zona di Varese e prima delle 12 non si poteva prenotare e si arrivava sino a massimo alle 22. Mi pare che non ci fosse servizio dalle 15:30 alle 18. Non mi risulta che avessi un punteggio per la copertura delle ore di punta e in termini di affidabilità, dicevano che poteva prenotare prima chi aveva un punteggio alto di questo tipo ma io non ci ho mai creduto. La mia zona era Varese ma se nell'app c'erano ore prenotabili in una diversa città, potevo prenotare anche in diversa città. Una volta che iniziavo il servizio potevo ricevere l'ordine e se lo accettavo iniziava la consegna. Arrivato al ristorante cliccavo il tasto per segnalare che ero arrivato sulla piattaforma, poi cliccavo un ulteriore tasto quando mi davano il cibo in consegna e ancora un terzo tasto quando lo consegnavo al cliente e un quarto per la fine ordine. Un incarico di consegna doppio poteva essere previsto solo se programmato come tale dalla opponente e non potevo diversamente accettare un incarico di ulteriore consegna mentre avevo in esecuzione quello affidato da D.. Durante la consegna ero continuamente geolocalizzato tramite la piattaforma, ma potevo scegliere il tragitto che ritenevo e la geolocalizzazione serviva anche per verificare il Rider più vicino per la successiva consegna. Venivo pagato in base ai chilometri percorsi, cioè alla distanza degli ordini, secondo una tariffa predeterminata secondo un tragitto ipotetico. Io prima della pandemia utilizzavo una bicicletta e dopo, siccome non si poteva portare la bicicletta sul treno, ho utilizzato una macchina per le consegne. Era consegnato a me dalla opponente un manuale con delle indicazioni da parte della stessa circa la modalità con cui tenere in cura il mezzo e per la sua manutenzione, con indicazioni circa il rispetto delle regole della strada e per la pulizia dello zaino e della restante strumentazione. Una volta iniziato il turno potevo finire lo stesso quando volevo, senza che mi risultino penalizzazioni, anche prima della sua conclusione prevista dall'app, anche se a me non è mai capitata una simile circostanza. Era mia abitudine rifiutare gli ordini che mi venivano proposti e questo non mi ha determinato conseguenze che mi risultino. Più di una volta ho rifiutato molteplici ordini, magari eseguendone uno solo. Io ho frequentato come Rider l'app solo prenotando la zona di Varese per i turni , non ho mai provato a cliccare zone di città differenti, anche se le ho visionate. Ovviamente dove il turno era già occupato non potevo prenotare. Nel caso che ci fosse una fascia oraria occupata, potevo chieder la notifica per il caso che venisse liberata e mi arrivava questa notifica e potevo scegliere in questo caso il turno che si era liberato anche in corso di settimana. È stata una mia decisione il cambio di mezzo dalla bicicletta all'auto. Varie volte mi è capitato di trovare il turno che desideravo occupato, soprattutto al sabato e la domenica se non prenotavo tempestivamente al lunedì. Non ho consegnato la polizza assicurativa dell'auto all'opponente. Ho cessato di lavorare per l'opponente perché il guadagno era limitato considerati i costi di benzina e il problema della bicicletta che ho già descritto. Non ho più accesso all'app e non posso proseguire a lavorare finché non faccio un corso sul mantenimento degli alimenti prescritto dalla opponente. Meglio ricordo ora che con riguardo al sistema di ranking, effettivamente se avevo prenotato una zona e un orario e non andavo neppure in zona e non la cancellavo entro 24 ore prima, avevo poi una limitazione a un numero massimo di ore per il periodo successivo, se non sbaglio 8 alla settimana. So che si poteva lavorare in contemporanea anche per altre piattaforme, io non l'ho fatto e non ho fatto mai neppure consegne individuali prescindendo dalla piattaforma dell'opponente”.


Poi ha attestato L.Y.


“ho lavorato come rider ad Alessandria per la D. dal settembre del 2019 circa, ossia da dopo l'estate di tale anno fino al 2021 nel mese di dicembre. Usavo l'auto per le consegne. Ho dovuto consegnare il contratto di assicurazione a D. per poter operare. Non avevo regole di manutenzione da rispettare. Non posso dire che potevo lavorare quando volevo perché se si facevano un certo numero di prenotazioni di slot e di esecuzione degli stessi si aveva un certo punteggio per cui poi si poteva lavorare nel prosieguo del rapporto con maggior disponibilità. In particolare, se avevo un certo punteggio potevo iniziare a prenotare i turni per la settimana dopo il lunedì mattina, mentre se non l'avevo potevo iniziare a prenotarli solo al lunedì pomeriggio. Una volta che avevo prenotato gli slot, potevo disdirli fino a un'ora prima, altrimenti perdevo punteggio se non mi presentavo. Una volta iniziato il turno, con l'accensione della piattaforma sul cellulare, potevo liberamente accettare o non accettare le proposte di consegna che mi venivano inviate. Quando accettavo la consegna dovevo recarmi al ristorante dopo aver cliccato l'accettazione della consegna, poi arrivata al ristorante dovevo cliccare per confermare che ero arrivata al ristorante e poi cliccare quando ritiravo i prodotti da consegnare dal ristorante e poi ancora una volta cliccare quando avevo effettuato la consegna al cliente. Quanto al tragitto potevo scegliere quello che ritenevo anche se ero geolocalizzata per tutto il tragitto. Il compenso veniva stabilito anche in base alla distanza calcolata però in linea d'aria e a prescindere dal tragitto effettivo che poi ciascuno di noi poteva liberamente scegliere. A noi che avevamo la macchina veniva dato uno zaino grande e una borsa piccola dalla D. per conservare i prodotti con delle istruzioni sulla loro manutenzione: c'era scritto che dovevamo tenerli puliti e come pulirli. Non ero vincolata a lavorare solo su Alessandria, ma potevo lavorare anche su altre zone liberamente. Io lavoravo solo per D. e non per altre piattaforme e lo zaino ritengo fosse obbligatorio , non me l'aveva comunicato però la D. ma me lo comunicavano i ristoranti presso cui ritiravo la merce. La scelta degli slot era effettuata su mia iniziativa al lunedì. Preciso però che se al lunedì non prenotavo, perdevo punteggio e quindi dovevo lavorare per forza. Preciso anche che chi poteva prenotare al lunedì mattina aveva più possibilità di lavoro di chi prenotava il pomeriggio perché ovviamente erano residuati meno slot per il pomeriggio. Se non ricordo male all'inizio avevamo l'obbligo di lavorare al sabato sera, anche se poi dopo hanno cambiato questa regola lasciando libera la possibilità di lavorare al sabato sera”.


E) L'ANALISI DELL'ISTRUTTORIA TESTIMONIALE.


Dunque, le dichiarazioni dei testimoni si sono poste in modo tendenzialmente univoco, risultando attendibili e sono da analizzarsi con riguardo al periodo di causa dal gennaio 2016 all'ottobre 2020.


a) In particolare, è emerso che, effettivamente, ciascun lavoratore mantiene un'autonomia nella fase genetica del rapporto, potendo optare se lavorare o meno.


Poi, una volta deciso di offrire la propria prestazione, può scegliere, liberamente, tra i turni disponibili (al momento del suo accesso all'App, secondo la graduatoria del ranking), in quale lavorare, potendo, eventualmente, revocare anche tale disponibilità, comunicando tale decisione normalmente prima dell'inizio del turno.


È emerso, comunque, che, anche in tale fase genetica, i turni proposti ai collaboratori sono collegati a determinate località (da scegliere da parte dei lavoratori), cosicché, una volta optato per uno di questi, è in tale luogo e nell'orario indicato che il collaboratore deve recarsi, come illustrato da M.F. con le seguenti parole


“per lavorare, dovevo accedere all'app il lunedì per prenotare gli slot liberi per la settimana successiva e se cliccavo sullo slot automaticamente potevo lavorare in quella fascia oraria senza necessità di conferme ulteriori. Il giorno del servizio nell'orario stabilito accendevo poi l'app della piattaforma e c'era necessità che io mi trovassi in una zona prestabilita, definita dalla zona a me assegnata che non so definire in termini di metri quadri, perché corrispondeva a una zona colorata all'interno dell'app”.


In più, è risultato che c'è un ranking collegato alla affidabilità e alla scelta di turni nei picchi di lavoro e che chi ha un punteggio più alto ha la possibilità di avere una precedenza nella prenotazione dei turni (cfr. anche, in tal senso, l'art. 3.4 del doc. 11 ric.).


Il che è di grande interesse per il singolo collaboratore, perché non si può, infatti, di norma, accedere all'App in orari diversi dalle fasce orarie “prenotate” collegate a dei luoghi stabiliti mostrati dalla piattaforma (teste S.D.G.), salvo che ci siano ancora delle fasce “non prenotate” disponibili (teste M.M.).


Dunque, l'organizzazione della D SRL tramite la scelta dei turni collegati a determinati luoghi e al vincolo di eseguire la prestazione nell'ambito degli stessi, nonché alle priorità di scelta determinate dal ranking, già influisce sull'organizzazione dei collaboratori, in qualche modo, anche nella fase genetica, che pur si deve ritenere ancora connotata da autonomia per la fondamentale libertà dei prestatori di scegliere o meno se e quando lavorare, di revocare la disponibilità manifestata e di accettare o meno gli ordini proposti.


b) La mancanza di autonomia dei riders è emersa, tuttavia, in modo significativo nella fase funzionale della relazione giuridica.


Infatti, una volta scelto dal corriere, nella fase genetica del rapporto, se rendersi disponibile alla prestazione collegandosi alla App SSB, tutta la restante fase esecutiva è risultata pesantemente definita, in modo unilaterale, dalla D SRL.


I) In particolare, il collaboratore è tenuto a connettersi alla piattaforma entro 15 minuti dall'inizio del turno. Poi, se decide di effettuare la commessa proposta, accetta l'ordine di consegna con un primo tasto sulla App, quindi, deve recarsi al ristorante e cliccare un nuovo pulsante sulla piattaforma, dovendo fornire conferma alla preponente del suo arrivo in tale luogo, quindi deve dare un'ulteriore attestazione sulla piattaforma per la ricezione del cibo da parte del ristoratore e ancora deve cliccare un ultimo tasto sulla stessa al momento della consegna al cliente.


In questo senso, infatti, ha, ad esempio, chiarito M.M. - con dichiarazioni uniformi degli altri testimoni - che “una volta che il rider accetta l'ordine poi deve recarsi al ristorante e deve dare una prima conferma dell'arrivo al ristorante sull'app e poi una seconda conferma con la recezione dell'ordine, cliccando sui relativi tasti della piattaforma. Poi si reca dal cliente e anche lì deve cliccare sul tasto “consegnato” della piattaforma. Puo' effettuare liberamente il tragitto che ritiene e viene pagato a seconda della lunghezza del percorso secondo un tragitto ipotetico predeterminato dall'app”.


Da tali attestazioni, emerge, perciò, che (salva la facoltà per il rider di rifiutare ordini non graditi e di scegliere liberamente il tragitto da effettuare con il proprio veicolo per raggiungere il ristorante e il cliente) resta che l'intera esecuzione della prestazione, una volta accettato l'ordine, tramite il sistema di geolocalizzazione, è controllata e disciplinata, passo a passo, nelle sue singole fasi, dalla piattaforma, che obbliga il collaboratore ad attestare non solo l'accettazione dell'ordine, ma altresì, il suo arrivo al ristorante, l'acquisizione del cibo da recapitare e la consegna dello stesso al cliente, con appositi tasti da cliccare.


Il collaboratore, dunque, è tenuto a presentarsi entro 15 minuti all'inizio del turno ed è costantemente controllato e disciplinato in questo senso nell'esecuzione delle singole fasi della propria prestazione. In più, un ulteriore segno della mancanza di autonomia organizzativa del corriere si rinviene nella disposizione per cui non può accettare contemporaneamente più ordini ed organizzarsi così, per proprio maggior guadagno, per una consegna plurima, secondo le proprie scelte, salva opzione in tal senso della opponente (cfr. i testi M.F., S.D.G., A.ME. e M.M.).


Cioè, solo la D SRL può decidere, disponendo evidentemente, anche sotto questo aspetto, dell'organizzazione del collaboratore, che questi effettui una consegna multipla.


In questo senso, ad esempio, M.M. ha affermato che “prima di prendere un nuovo ordine il rider deve aver concluso l'ordine accettato prima, tranne che la stessa ricorrente crei un ordine doppio da accettare come tale”.


Dunque, si può concludere che ciascun rider, oltre all'autonomia nella fase genetica del rapporto circa la scelta di sé e quando lavorare per la opponente, non conserva un'autonomia di alcun rilievo nella fase funzionale della relazione giuridica, nella quale non solo sono vincolati i luoghi e i tempi di lavoro dopo la scelta del lunedì per la settimana successiva dei turni nella piattaforma, ma soprattutto, nella fase poi esecutiva di tali prestazioni programmate, perde ogni possibilità di autonomia a causa della guida vincolata dell'App SSB che lo impegna a presentarsi entro 15 minuti dall'inizio del turno e, poi, lo controlla nell'intera prestazione, inducendolo non solo a attestare con un pulsante l'accettazione dell'ordine, ma, dopo di ciò, a cliccare il tasto di arrivo al ristorante, quello di recezione del cibo, quello di consegna al cliente, con continua geolocalizzazione del suo operato (cfr. i testi M.F. e A.ME.) e senza possibilità di organizzarsi diversamente, ad esempio, scegliendo di eseguire più ordini contemporaneamente (salvi ordini plurimi così come tali già programmati dalla D SRL).


E' qui da aggiungere, per completare l'analisi dal lato documentale, che, dal negozio tipo (doc. 11 ric.) emerge, comunque, la possibilità per il rider di farsi sostituire da terzi (art. 3.7), ma si tratta di facoltà mai posta in essere nella fase esecutiva del rapporto da parte dei collaboratori, come esplicitato nel verbale del 23 febbraio 2021 (pag. 9) e non contestato nel ricorso (cfr. pag. 57 ric.).


Per quanto, dunque, la facoltà di “subaffidamento” del servizio costituisca un elemento che è stato valorizzato dalla giurisprudenza europea - pur non vincolante per la materia che non implica applicazione del diritto eurounitario, né una qualificazione del collaboratore come “lavoratore” ai sensi delle direttive comunitarie - al fine della conferma dell'autonomia del rapporto (cfr. Corte di giustizia ordinanza del 22 aprile 2020 nella causa C-692/19), nel caso, non essendo stata mai tale facoltà di cui all'art. 3.7 del negozio tipo posta realmente in essere da nessuno tra ben 19.000 lavoratori nell'arco di quattro anni, dal 2016 al 2020, non può costituire elemento probatorio di alcun tipo per asseverare un'autonomia nella “fase esecutiva”. Infatti, mai tale clausola, pur prevista in astratto, è entrata nella sua fase attuativa.


Sicché, si può osservare come l'unica autonomia restata al collaboratore, nella fase funzionale, è quella di scegliere il tragitto da effettuarsi (una strada piuttosto che un'altra) ed eventualmente rinunciare ad eseguire alcuni ordini (con facoltà che sembra, peraltro, più collegata alla possibilità di lavorare se e quando si ritenga, più tipica della fase genetica che di quella esecutiva), risultando certamente come subvalente rispetto al controllo e ai vincoli della prestazione operati tramite l'App nei termini sovraesposti.


Resta, infatti, che il corriere, una volta che accetti di eseguire l'ordine, è pienamente sottoposto, in ogni sua singola fase, all'organizzazione dell'opponente, nella quale è inserito, con modalità esecutive disciplinate unilateralmente dalla stessa e con propria autonomia residua assai limitata.


Dall'altro verso, si osservi pure che l'intera organizzazione della D SRL si fonda, per le consegne da effettuarsi, sulle prestazioni dei riders, pienamente inseriti nella stessa, disciplinata unilateralmente tramite la piattaforma, secondo le modalità suddette.


E' bene, poi, qui precisare che, ai fini del presente giudizio, non rilevano, in alcun modo, le modifiche operate dalla società, per il periodo dal novembre 2020 in avanti, in quanto lasso temporale non oggetto di causa.


Occorre, a tal punto, anche sottolineare come le regole comportamentali finora descritte, che vengono a determinare la modalità esecutiva della prestazione nelle sue fasi (l'esigenza di cliccare i tasti all'arrivo al ristorante, alla consegna del cibo, al momento del suo recapito al cliente, con continua geolocalizzazione e con impossibilità di organizzarsi liberamente con consegne plurime), non possono collocarsi nell'ambito di un coordinamento ai sensi dell'articolo 409 cpc, in quanto sono unilateralmente disposte tramite la piattaforma dalla D SRL per tutti gli operatori in modo indistinto e non frutto di un libero accordo sulle modalità operative tra le parti.


i) Cioè, poiché si tratta di disposizioni imposte generalmente dalla opponente a tutti i lavoratori che vogliano collaborare con la piattaforma della stessa, senza evidentemente possibilità alcuna di trattativa sulle medesime da parte dei singoli prestatori, non resta che concludere come siano di provenienza unilaterale della committente e come non si possa configurare, per le stesse, quindi, l'elemento della coordinazione di cui all'articolo 409 n. 3 cpc, che, diversamente richiede un accordo tra le parti e non una prescrizione vincolante di una sola di esse.


ii) Poi, una volta che si sia così esclusa la possibilità di ricadere nell'ambito di un rapporto di coordinazione ex articolo 409 n. 3 cpc, per l'esame delle stesse si può notare come tali disposizioni, per i motivi finora esposti, rendano l'eterorganizzazione marcata al punto da “rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente”, vincolandolo in modo pregnante nell'intera esecuzione della prestazione, secondo le parole utilizzate dalla Suprema Corte nella sentenza menzionata, e non siano così compatibili nemmeno con una prestazione puramente autonoma ex art. 2222 cc e, dunque, neanche con quella, sempre di tipo autonomo, di cui all'art. 47 bis e ss. del D.lgs. n. 81/15, in cui il lavoratore, ricevuta la commessa, dovrebbe potersi gestire liberamente nella esecuzione dell'incarico.


Vengono, del resto, a riguardare aspetti importanti delle modalità dell'esecuzione della prestazione che, nell'ambito del rapporto di lavoro autonomo, normalmente, sono lasciati alla valutazione e alla responsabilità del singolo lavoratore.


Infatti, qualora si trattasse di lavoro autonomo, dovrebbe permanere nella libertà del rider la gestione della prestazione dopo l'accettazione dell'ordine di consegna tramite la piattaforma, non dovendo render conto del momento di suo arrivo al ristorante, di quello di ricezione del cibo e di quello di consegna al cliente e potendo organizzarsi nella gestione del tempo lavorativo anche per poter realizzare il recapito di ordini plurimi, senza continua geolocalizzazione.


Proprio mantenendo l'esempio contenuto nel ricorso (pag. 65), d'altronde, un lavoratore autonomo come un elettricista, qualora possa considerarsi effettivamente tale, se debba recarsi in un magazzino per eseguire una prestazione, non è tenuto a comunicare al committente, passo passo, l'esecuzione della stessa, con l'effetto di sottoporsi al suo pregnante controllo, a pena della perdita dell'autonomia nella gestione dell'incarico.


II) A ciò, si possono, poi, aggiungere, ad abundantiam, ed ad ulteriore conferma, altri elementi emersi nell'istruttoria testimoniale, laddove è stato dichiarato che venivano pure date ulteriori istruzioni sulla modalità della prestazione.


Ad esempio, Sabatini Diaz ha affermato che c'era anche un codice di comportamento del rider presente sulla piattaforma, con prescrizioni come la necessità di essere rispettoso con il cliente, inoltre c'erano regole su come pulire lo zaino e su come portare il cibo al cliente e dei consigli su come gestire il proprio mezzo.


M.MA. ha affermato che, in un video, si illustravano le regole della strada ai rider e si invitava gli stessi al loro rispetto.


A.ME. ha riportato di un manuale con delle indicazioni da parte della stessa opponente circa la modalità con cui tenere in cura il mezzo e per la sua manutenzione, con indicazioni circa il rispetto delle regole della strada e per la pulizia dello zaino e della restante strumentazione.


Pure L.Y. ha affermato l'esistenza di una disciplina della ricorrente per conservare i prodotti con delle istruzioni sulla loro manutenzione (“c'era scritto che dovevamo tenerli puliti e come pulirli”).


Anche in tal caso, si tratta di aspetti importanti delle modalità dell'esecuzione della prestazione che, nell'ambito del rapporto di lavoro autonomo, rimangono nella valutazione e nella responsabilità del singolo lavoratore, non rientrandovi normalmente disposizioni del committente circa il rispetto da tenere nei confronti degli altri, circa l'esigenza di mantenere una condotta consona alle leggi nella guida e per le regole stradali, circa la cortesia da utilizzare nei confronti dei clienti, circa la modalità con cui tenere in cura il mezzo e per la sua manutenzione e con indicazioni circa la pulizia dello zaino e della restante strumentazione.


La D SRL, quindi, è venuta a disciplinare, ulteriormente, ogni passaggio della procedura di ritiro e consegna, con le regole impartite dalla stessa nel senso appena illustrato.


Si tratta, dunque, in modo evidente, di ulteriori significative indicazioni che vengono a caratterizzare e disciplinare la fase esecutiva della consegna da parte del lavoratore per opera della committente, in maniera per alcuni versi comparabile a un rapporto di lavoro dipendente e in modo diverso rispetto alla fattispecie di cui all'articolo 2222 cc (e di cui all'art. 47 bis del D.lgs. 81/15), nella quale tali scelte sono lasciate nell'ambito di valutazione e responsabilità del lavoratore (e non potendo integrare nemmeno quella del rapporto di lavoro coordinato e continuativo ex articolo 409, n. 3, cpc, essendo unilateralmente imposte alla generalità dei collaboratori e non concordate).


Appare palese, infatti, come qualora un preponente affidi una commessa di lavoro autonomo senza entrare nell'organizzazione di chi debba eseguirla, debbano restare nella valutazione e nella responsabilità di quest'ultimo, ossia nella propria libera organizzazione, le scelte circa le già esaminate modalità della consegna e del ritiro (nel caso, cadenzate puntualmente in ogni fase), ma anche quelle concernenti il rispetto da tenere nei confronti degli altri, la condotta consona alle leggi, una corretta condotta di guida, la cortesia da utilizzare nei confronti dei clienti le valutazioni di opportunità circa la manutenzione del mezzo di trasporto e della strumentazione.


Per la complessiva indagine svolta, perciò, si può confermare che al rider, viceversa, resta solo la libertà decidere se e quando lavorare e se accettare o meno la consegna da effettuare e, una volta che abbia aderito all'incarico, scarsissima autonomia in quella esecutiva, dovendo recarsi presso il ristorante, ricevere la merce e consegnarla al cliente, secondo le indicazioni dei luoghi di ritiro e consegna stabiliti dall'App, con un'esecuzione dettagliata nei termini sovraesposti.


Nella fase esecutiva, vi è, quindi, sostanzialmente, solo la facoltà di scegliere, a proprio piacimento, il tragitto da effettuarsi (una strada piuttosto che un'altra) e di rinunciare ad alcune consegne (con facoltà che sembra, peraltro, più collegata alla possibilità di lavorare se e quando si ritenga, più tipica della fase genetica che di quella esecutiva), con autonomia minimale che risulta, dunque, certamente subvalente rispetto alle indicazioni comportamentali sopra riportate.


Si deve, perciò, convenire come, nel caso in questione, per i collaboratori della opponente, che hanno ricevuto prescrizioni unilaterali provenienti dalla stessa e non concordate con i medesimi (cosicché non si può rientrare in un'ipotesi ex articolo 409 n. 3 cpc), con assai contenuta residua possibilità di propria organizzazione nella fase funzionale del rapporto, si sia configurata una ipotesi di lavoro eterorganizzato, ai sensi dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15.


Appare, infatti, palese come al lavoratore non sia riconosciuta quella autonomia e discrezionalità operativa propria del lavoratore autonomo ex articolo 2222 cc, né una facoltà di accordarsi con il preponente in termini differenti, ai sensi dell'articolo 409, n. 3, cpc, trattandosi di direttive vincolanti per tutti i riders, che non hanno alcun potere contrattuale in merito alle stesse.


Nell'ipotesi in parola, si possono, perciò, riscontrare i caratteri dell'art. 2 d.lgs. n. 81 del 2015: un regime di autonomia integro nella fase genetica dell'accordo (per la rilevata facoltà del lavoratore ad obbligarsi o meno alla prestazione), ma non nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto, relativamente alle modalità di prestazione, determinate in modo sostanziale da una piattaforma multimediale e dalla disciplina unilateralmente impartita dalla opponente e finora descritta.


Tramite le disposizioni suddette, cioè, si realizza pienamente il requisito della “eterorganizzazione”, che rappresenta qualcosa di più invasivo rispetto al mero “coordinamento” con il committente, tipico delle co.co.co. di cui all'articolo 409 n. 3 c.p.c., nelle quali le modalità di esecuzione della prestazione sono solo il frutto di un accordo tra le parti.


Rappresenta, ad ogni modo, qualcosa di meno rispetto all'esercizio del potere direttivo e di conformazione (eterodirezione) della prestazione da parte del datore di lavoro, con valutazione, comunque, nel caso non di rilievo, non avendo domandato le parti opposte l'accertamento di una natura subordinata dei rapporti.


F) GLI ULTERIORI ELEMENTI DI CUI ALL'ARTICOLO 409, N. 3, CPC.


Neppure, poi, si può porre in discussione la sussistenza degli ulteriori elementi di cui all'articolo 409, n. 3, cpc, oltre alla eterorganizzazione, per l'integrazione della figura di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015.


a) Innanzitutto, infatti, si deve riconoscere la natura personale della prestazione, che è ravvisabile in caso di prevalenza del lavoro del prestatore d'opera, sia sull'attività svolta dai suoi collaboratori, sia sull'utilizzazione di strutture e mezzi.


Costituisce, infatti, orientamento tradizionale quello per cui, nell'ambito dei rapporti ex articolo 409, n. 3, cpc, la “personalità” si ha “in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura di natura materiale” (cfr. Cass. Sentenza n. 5698 del 19/04/2002; sentenza n. 3485 del 09/03/2001).


Sempre per la stessa giurisprudenza di legittimità, quindi, tale carattere è da escludere quando il collaboratore abbia trattato la propria attività con criteri imprenditoriali, tali da far concludere che egli si limiti ad organizzare e a dirigere i suoi collaboratori, non realizzando una collaborazione meramente ausiliaria dell'attività altrui, ma gestendo “un'impresa autonoma propria” (cfr., ad es., Cass. Sentenza n. 709 del 24/01/1998; Sentenza n. 14636 del 28/12/1999; Sentenza n. 9547 del 13/07/2001).


Dunque, il carattere meramente personale della prestazione si contrappone a una gestione imprenditoriale dell'attività con organizzazione di mezzi e persone.


Perciò, per verificare la natura personale della prestazione, non si deve fare un confronto con i mezzi del preponente (per le collaborazioni coordinate e continuative e per quelle eterorganizzate), quanto, piuttosto, tra il lavoro del prestatore d'opera e l'attività svolta dai suoi collaboratori o le strutture e i mezzi di cui fruisca.


Non si tratta, quindi, di fare un paragone con la piattaforma di proprietà della preponente D SRL, quanto piuttosto tra il lavoro personale del singolo corriere e i mezzi da questi utilizzati, quali uno smartphone e un veicolo, come può essere una bicicletta, un monopattino, un motorino o, a volte, un'auto.


Ora, in tale valutazione, appare chiaramente come, nel caso dei riders, si debba giungere a un giudizio di una natura prevalentemente personale della prestazione, poiché, certamente elementari mezzi quali uno smartphone e un veicolo di uso comune, come quelli sopra menzionati, non possono assumere preminenza nella gestione del rapporto di lavoro in questione. L'uso di elementi così semplici conferma, piuttosto, la prevalenza del fattore umano nella prestazione.


Parimenti, l'utilizzo di uno smartphone e di un veicolo per svolgere un'attività non complessa e l'assenza assoluta di collaboratori per il rider (come argomentato, la facoltà di subaffidamento, di cui all'art. 3.7 del negozio tipo di cui al doc. 11 ric., non è stata mai posta in essere: cfr. anche pag. 57 ric.) avvalorano come non si possa ipotizzare per questi un'attività di impresa, dovendosi, quindi, giudicare la prestazione come prevalentemente personale.


Una volta, compiuta tale analisi, con i passaggi così delineati, con riguardo a tale requisito, non pare assumere particolare differenza la distinzione che vi è stata nella prima versione dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 e quella successiva al DL n. 101/19, con la sostituzione dell'avverbio “esclusivamente” con la parola “prevalentemente”.


Infatti, appare che anche la prima versione della disposizione con il termine “esclusivamente” non potesse richiedere che il prestatore fosse totalmente privo di ogni proprio bene d'uso per rendere l'attività, ma solo che tali attrezzature non fossero particolarmente significative.


Altrimenti, qualora così non si interpretasse la norma, si giungerebbe a una conclusione irragionevole, poiché un'attività, come ad esempio quella del rider, sarebbe da considerarsi “esclusivamente personale” con la possibile tutela della normativa del lavoro subordinato ex articolo 2 cit. nei soli casi di totale assenza di strumentazione propria in uso, mentre perderebbe una simile protezione chi esegua la “stessa identica prestazione”, solo per il fatto di fruire, ad esempio, di un telefono cellulare proprio, cioè di un mezzo minimale.


Si deve, quindi, addivenire ad una soluzione esegetica costituzionalmente orientata ex art. 3 Cost., interpretandosi la locuzione originaria “prestazioni di lavoro esclusivamente personali” nel senso che il lavoratore non deve essere dotato di strumentazione particolarmente significativa (o di collaboratori propri) tale da porre in dubbio la natura personale della sua opera.


Al termine dell'analisi, pertanto, si deve ritenere che i corrieri della D SRL che utilizzano attrezzature davvero minimali quali uno smartphone e un veicolo e che rendono il proprio operato con attività strettamente collegata alla propria persona, hanno svolto una attività frutto di una prestazione “esclusivamente personale”, in termini compatibili dunque anche con la versione originaria dell'articolo 2 cit. e senza un'autonoma organizzazione d'impresa.


b) Quanto, poi, al requisito della continuatività della collaborazione, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale, ma perduri nel tempo, nel caso, la lettura del modello di contratto prodotto dall'opponente (doc. 11 ric.) mostra come il negozio sia destinato a regolare una molteplicità di prestazioni che possono susseguirsi nel tempo, secondo la libera volontà del collaboratore e non prestazioni di tipo occasionale.


Quand'anche, infatti, poi la scelta del lavoratore fosse di non collegarsi affatto o solo raramente alla App, resta che il contratto stipulato - e, dunque, già la fase negoziale dei rapporti tra le parti - prevedesse e regolasse la possibilità di una molteplicità di prestazioni continuative, cosicché presentava una vocazione di tipo continuativo, nel senso che era destinato a regolare una prestazione perdurante nel tempo.


In altri termini, l'esecuzione e la ripetizione della prestazione lavorativa considerata costituisce l'oggetto e il presupposto del contratto.


E' qui bene pure osservare come non possa essere accolta una diversa impostazione per cui il requisito della continuatività non sussisterebbe perché non vi sarebbe, nell'ipotesi, alcun impegno contrattuale ad assicurare la prestazione di consegna e, dunque, a soddisfare “stabilmente/continuativamente” l'interesse della committenza.


Infatti, si è anticipato che caratteristica del lavoro eterorganizzato, nella sua fattispecie tipica, è proprio l'ampia autonomia nella fase genetica, cosicché, nell'interpretare il requisito della continuatività, per come testualmente richiesto dall'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15, non può essere ritenuto come proprio dello stesso “un impegno contrattuale ad assicurare la prestazione di consegna”, ossia un'obbligazione del rider a una prestazione ripetuta e continuativa nel tempo, ma, al contrario, pur essendo negozialmente contemplata la possibilità di una ripetitività della prestazione, deve essere sempre lasciata la facoltà allo stesso di optare se svolgere o meno l'attività lavorativa.


Sicché, in virtù della autonomia nella fase genetica da considerarsi quale elemento della figura giuridica in esame, si deve intendere la continuatività come mera “possibilità” (a scelta del collaboratore) di continua e ripetuta prestazione nei termini descritti dallo stesso contratto.


Avendone tali caratteri, non si può, dunque, qualificare anche solo il negozio stipulato tra le parti in termini di occasionalità e si deve ritenere sussistente il requisito della continuatività.


G) LA DISPOSIZIONE INCOMPATIBILE DI CUI ALL'ARTICOLO 10, CO. 1 DEL D.LGS. N. 81/15.


Pertanto, essendovi tutti gli elementi della fattispecie, si deve affermare che, correttamente, nel verbale impugnato, si sia fatta applicazione per i collaboratori della D SRL dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che, quale regola di disciplina, estende agli stessi la normativa del lavoro subordinato, salvo il limite dell'incompatibilità.


Come, infatti, chiarito dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 1663/20, si deve fare piena applicazione della regolamentazione dei rapporti di lavoro subordinato, salvo si ravvisi un'incompatibilità.


Occorre, perciò, una volta stabilita, ex articolo 2 cit., la necessità di estensione della disciplina di cui all'art. 2094 cc, procedere a una valutazione di compatibilità delle singole previsioni previste per il lavoro eterorganizzato (nei limiti di quanto rilevi per il giudizio) ed è bene qui precisare che, sebbene nella causa in esame si stia valutando solo la relazione dell'opponente con gli enti pubblici, in virtù del parallelismo tra il rapporto di lavoro e quello previdenziale, tale stima debba involgere anche la relazione lavorativa nelle sue caratteristiche, dovendosi, cioè, considerare le peculiarità dell'istituto in questione.


I) Ora, nel caso, tale ultima tematica della valutazione di compatibilità delle previsioni applicabili è di assoluto rilievo perché gli enti convenuti hanno proposto l'attuazione, ex articolo 2 cit., anche della regola di cui all'articolo 10, co. 1 del D.lgs. n. 81/15 per cui qualora non sia data dimostrazione di un contratto a tempo parziale, il rapporto tra le parti deve considerarsi a tempo pieno, con computo conseguente da parte degli stessi di contributi, di interessi e di sanzioni tenendo conto di un full time, indipendentemente dalla prestazione effettivamente eseguita.


Dispone, infatti, l'articolo 10, co. 1, cit. che


“in difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore e' dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese”.


Senonché, tale norma, deve considerarsi strutturalmente incompatibile con il rapporto di lavoro finora descritto e inquadrato nell'ambito dell'art. 2 cit.


Infatti, a differenza che nell'ordinario rapporto di lavoro subordinato, in quello in questione, per la sua figura normativa finora astrattamente delineata, il collaboratore mantiene un'ampia autonomia nella fase genetica, potendo scegliere se lavorare o meno e in quali periodi.


Rimane pur vero che, poi, perché si configuri un'ipotesi ex articolo 2 cit., perde tale autonomia nella fase esecutiva, allorché decida di iniziare il lavoro accedendo alla piattaforma, ma, nella fase genetica, ossia nella scelta se prestare o meno la propria opera e per quanto tempo, resta non intaccata l'autonomia del medesimo.


Questa caratteristica induce a ritenere, perciò, strutturalmente incompatibile l'articolo 10 cit. con l'istituto di cui all'articolo 2 cit., poiché, anche dopo l'accertamento in questione, per il prosieguo della relazione lavorativa, il collaboratore, una volta correttamente inquadrato, deve pur mantenere la possibilità di scegliere liberamente, con ampia autonomia, se lavorare o meno e con quali turni (essendo presupposto della figura giuridica un'ampia autonomia nella fase genetica), con un risultato che sarebbe inconciliabile con l'accertamento di un rapporto a tempo pieno.


Infatti, qualora si dichiarasse la sussistenza di un rapporto di lavoro full time ai sensi dell'articolo 10, comma primo, del D.lgs. n. 81/15, in virtù di tale riconoscimento, poi, il prestatore sarebbe tenuto a recarsi al lavoro secondo le disposizioni vincolanti del datore di lavoro per l'ordinario orario settimanale (esattamente come accade in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno), risultando assente ingiustificato qualora non si presenti e perdendosi, così, le possibilità di autonomia nella fase genetica del rapporto di cui all'art. 2 cit.


Ne deriva, come, per conservarsi l'autonomia nella fase genetica della relazione lavorativa in parola, non possa che ritenersi incompatibile l'articolo 10 cit. laddove prescrive che “in difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, su domanda del lavoratore e' dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno”.


II) In proposito, è bene anche riflettere che neppure si potrebbe ritenere che il presente accertamento renda applicabile la disciplina del rapporto il lavoro subordinato solo per la fase esecutiva dello stesso “già posta in essere” e non per il futuro.


Infatti, per quanto la verifica dell'elemento della eterorganizzazione riguardi la fase funzionale della relazione lavorativa, è escluso, nell'interpretazione proposta dalla dottrina, che l'applicazione della disciplina ex articolo 2094 cc abbia una natura sanzionatoria (e solo per il passato), dovendosi, perciò, riconoscere alla stessa capacità regolativa anche per il prosieguo dell'attività tra le parti.


D'altronde, in proposito alla capacità della decisione giudiziaria di regolamentare anche il prosieguo della relazione lavorativa (e qui precisandosi ancora che, comunque, l'oggetto dell'accertamento non perviene a valutare le modifiche rappresentate nel ricorso dal novembre del 2020 in avanti, in quanto non rilevanti), si può anche aggiungere che costituisce orientamento consolidato della Suprema Corte quello per cui nell'ambito dei rapporti giuridici di durata  e delle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, il giudicato formatosi sull'accertamento relativo a una fattispecie attuale spiega la propria efficacia anche per il periodo successivo alla sua formazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (cfr., ad es., Cass. Ordinanza n. 37269 del 29/11/2021; Sentenza n. 20765 del 17/08/2018; Ordinanza n. 10174 del 27/04/2018; Sentenza n. 15493 del 23/07/2015).


Pertanto, si deve concludere per la non applicabilità, per incompatibilità, nella regolazione del rapporto di lavoro dei riders per cui è causa dell'articolo 10, co. 1, cit., cosicché, conseguentemente, non può trovare accoglimento la tesi per cui, anche in caso di svolgimento di poche ore di lavoro all'interno di un'unica settimana, il collaboratore debba vedersi accreditati i contributi (con interessi e sanzioni) come in un rapporto a tempo pieno ex art. 10 cit.


Viceversa, i contributi possono essere conteggiati solo e nei limiti prestazioni orarie effettivamente svolte, con l'aggiunta dei relativi interessi e delle sanzioni civili.


Ad ogni modo, si deve anche aggiungere, ad abundantiam, che, qualora secondo diversa interpretazione, si ritenesse compatibile anche l'articolo 10, comma primo, del D.lgs. n. 81/15, almeno per la parte di rapporto di lavoro già eseguita ed oggetto della presente causa dovrebbe farsi attuazione della previsione, comunque insita nello stesso, per cui si deve computare, “per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese”.


Dunque, in ogni caso, risulta corretta l'impostazione dell'opponente volta a richiedere che sia considerata quale presupposto per il calcolo della contribuzione solo la prestazione effettivamente resa.


D'altronde, poi, anche nella parallela materia della subordinazione, si può rammentare un caso similare, con riguardo alla peculiare fattispecie degli sportellisti delle agenzie ippiche, per i quali anche la Suprema Corte è venuta a chiarire che


“il fatto che il lavoratore sia libero di accettare o non accettare l'offerta e di presentarsi o non presentarsi al lavoro e senza necessità di giustificazione, non attiene a questo contenuto, bensì è esterno, sul piano non solo logico bensì temporale (in quanto precede lo svolgimento). Tale fatto è idoneo solo (eventualmente) a precludere (per l'assenza di accettazione) la concreta esistenza d'un rapporto (di qualunque natura); e comporta la conseguente configurazione di rapporti instaurati volta per volta (anche giorno per giorno), in funzione del relativo effettivo svolgimento, e sulla base dell'accettazione e della prestazione data dal lavoratore. L'accettazione e la presentazione del lavoratore, espressioni del suo consenso, incidono (come elemento necessario ad ogni contratto) sulla costituzione del rapporto e sulla sua durata: non sulla forma e sul contenuto della prestazione (e pertanto sulla natura del rapporto)” (cfr. Cass. Sentenza n. 9343 del 05/05/2005; cfr. anche Cass. n. 3457/2018; Cass. nn. 6761/1999, 12458/2003 e 23846/2017).


Pure, in quell'ipotesi, dunque, la Corte di cassazione, peraltro nella materia del lavoro subordinato, seppur per un caso particolare, ha considerato il rapporto di lavoro solo per le volte in cui il dipendente abbia accettato di svolgerlo.


H) LA PRESTAZIONE DI LAVORO EFFETTIVA.


Considerato, quindi, come i contributi e i premi, con le relative sanzioni e gli interessi debbano essere computati solo con riguardo alla “prestazione effettivamente svolta”, occorre, a tal punto, andare ad individuarla in modo preciso dal lato temporale.


Nel caso in questione, appare corretto misurare il tempo della prestazione, da retribuirsi secondo i parametri della subordinazione, dall'accensione da parte del collaboratore della piattaforma (login), in modo da rendersi disponibile a ricevere gli incarichi da parte della D SRL, sino allo spegnimento della stessa (logout).


Infatti, si è descritta, finora, un'attività che consiste nella scelta del lavoratore di rendersi disponibile a ricevere ordini da parte della opponente e a cui deve applicarsi la disciplina del lavoro subordinato.


Tale “disponibilità” inizia con l'attivazione della piattaforma e si mantiene fino al suo spegnimento, dovendosi, computare, pertanto, il “tempo lavorato” ai fini della retribuzione conforme a un lavoro subordinato nei suddetti limiti.


A ulteriore supporto di tale soluzione, d'altronde, si può rilevare come l'esecuzione di un rapporto di tal fatta secondo buona fede, normalmente presupponga che chi attivi la piattaforma con il login si renda anche disponibile per le consegne, mentre, qualora, differentemente, un prestatore accendesse fraudolentemente il dispositivo solo per mostrarsi attivo e far decorrere il tempo di prestazione effettiva, si rientrerebbe in una ipotesi patologica, assoggettabile al potere disciplinare del preponente, sempre in virtù dell'estensione della normativa ex articolo 2094 cc.


Quale ulteriore riprova della correttezza di tale soluzione si pongono, poi, le fatture dei riders (doc. 6 Inps) che vengono a misurare la prestazione individuando con precisione proprio l'orario del login e quello del logout, risultando il tempo intermedio tra tali limiti così come lavorato ogni giorno.


Con tale soluzione, anche una prestazione minima che sia stata considerata dall'amministrazione pubblica, in tali limiti (login e logout), come “lavorata” risulta correttamente assoggettata a contribuzione, non essendovi ragioni per stabilire una soglia al di sotto della quale l'attività, da regolarsi secondo la disciplina del lavoro subordinato ai sensi dell'articolo 2 cit., non debba essere assoggettata a contribuzione.


I) IL CCNL APPLICABILE.


Quanto, poi, all'inquadramento, risulta contestato nel ricorso (pag. 46) quello proposto nel Verbale ispettivo di cui al V livello del CCNL Logistica.


In merito ai conteggi effettuati nel secondo verbale, la D SRL osserva, altresì che, pur richiamando gli ispettori quale riferimento il CCNL Logistica, poi avrebbero applicato il CCNL Commercio, per il quale, parimenti, la opponente ha affermato che non comprenderebbe i criteri di collegamento con le fattispecie in esame (cfr. pag. 49 ric.).


Dunque, con la memoria, la parte sembra, perciò, contestare sia l'applicazione del CCNL Logistica che del CCNL Commercio (cfr. anche il verbale di causa) alla fattispecie dei riders che venissero a dover essere inquadrati ai sensi dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15.


I) Viceversa, come anche chiarito in udienza, propende per un'applicazione al caso in questione del CCNL Rider sottoscritto il 15.9.2020 dalla Assodelivery con la UGL (doc. 27 ric.).


Senonché, tale soluzione non può essere condivisa, innanzitutto, in quanto tale ultima normativa non risulta pertinente per la pressoché totalità della presente causa, che riguarda il diverso periodo dal 1 gennaio 2016 al 31 ottobre 2020, potendo evidentemente trovare l'attuazione solo dal 15 settembre 2020 in avanti.


In secondo luogo, anche per tale limitato ultimo periodo, si può notare come tale contrattazione non appaia utile per regolare la fattispecie in questione, in quanto la opponente non ha dimostrato come la UGL possa essere considerata tra le organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale nel settore di riferimento ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 che statuisce che


“la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all'importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.


In più, nella stessa materia, si può rammentare che l'articolo 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 ha introdotto una norma interpretativa stabilendo che “l''articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”.


Dunque, in alcun modo, può essere preso in considerazione il CCNL Rider del 15 settembre 2020 per regolare la fattispecie in questione, in assenza della prova della maggiore rappresentatività dello stesso.


II) Quanto, poi, all'accordo integrativo del 18 luglio 2018 (doc. 29 ric.) in attuazione dell'accordo di rinnovo del 3 dicembre 2017 del CCNL Logistica, appare di problematica applicazione alla tematica per cui è causa, poiché viene a disciplinare parametri retributivi per il “personale viaggiante” ed a prevedere un orario di lavoro di 39 ore settimanali a tempo pieno e un part time minimo di 10 ore settimanali, laddove, come anticipato, viceversa, i collaboratori eterorganizzati ex art. 2 del D.lgs. n. 81/15 sono liberi di lavorare se e quando vogliono, per l'autonomia ampia nella fase genetica del rapporto che li caratterizza, cosicché non risultano assoggettabili a vincoli orari a tempo pieno o a tempo parziale.


Sicché, non trovando applicazione tale accordo integrativo, non può applicarsi neppure l'articolo 2 dello stesso per la definizione di prestazione effettiva (cfr. pag. 49 ric.).


III) Per la pluralità e l'importanza delle associazioni sindacali sottoscrittrici (cfr. pag. 5 – 7 di tale accordo, che contempla, peraltro anche, Cgil, Cisl e Uil), invece, si può presumere, in assenza di deduzioni e allegazioni di ciascuna parte che riportino elementi di fatto differenti, come maggiormente rappresentativo, ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, il CCNL Logistica (doc. 13 Inps), nel cui 5 livello rientrano i “fattorini addetti alla presa e consegna” e che viene a specificare che le mansioni proprie dello stesso sono svolte sulla base di disposizioni o procedure predeterminate e comportano responsabilità e autonomia limitatamente alla corretta esecuzione del proprio lavoro, con parole che sembrano corrispondenti alla descrizione dell'attività propria dei riders, già svolta nella presente motivazione (art. 6 del CCNL, doc. 13 Inps).


IV) In un'analoga maniera si potrebbe pure ritenere maggiormente rappresentativo il CCNL Commercio, ma l'“applicazione diretta” di tale contratto (in quanto regolerebbe i rapporti di lavoro subordinato presso l'opponente) non appare proposta dalla D SRL (cfr. anche il verbale di causa di cui all'udienza del 13 settembre 2023) e, ad ogni modo, una decisione in tal senso non appare connotata da interesse giuridico ex articolo 100 cpc, in quanto ha sostenuto la difesa della opponente che, pur anche facendosi nel Verbale impugnato richiamo al CCNL Logistica, poi, sarebbero stati applicati dagli ispettori parametri corrispondenti al CCNL Commercio nella quantificazione del dovuto (cfr. pag. 49 ric.). Cosicché, allo stato, con tale ultima constatazione della stessa parte opponente, non risulterebbe poter variare l'esito del processo circa il dovuto per una applicazione del CCNL Commercio (in tal caso, l'inquadramento sarebbe nel sesto livello che contempla parimenti la figura del fattorino: cfr. doc. 13 Inps), in luogo di quello Logistica.


Pertanto, si può confermare come legittima la scelta degli ispettori di applicare ai sensi dell'art. 1, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338 il CCNL Logistica, con inquadramento dei riders secondo i parametri del quinto livello.


Dal lato della collocazione previdenziale, poi, dovendosi fare applicazione della intera disciplina del lavoro subordinato in quanto compatibile ex articolo 2 del decreto legislativo n. 81/15, appare corretta la scelta dell'INPS di porre la fattispecie nell'ambito della Gestione Dipendenti con le aliquote contributive per il lavoro subordinato e non nella Gestione Separata, non risultando elementi di incompatibilità sotto questo aspetto e considerato come il puntuale riferimento alla normativa ex articolo 2094 cc, di cui alla norma in esame sul lavoro organizzato, venga ad escludere le possibilità di applicazione dell'art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995 e dell'art. 50, comma 1, lett. c-bis, TUIR.


D'altronde, si può anche riflettere che qualora un collaboratore dovesse impugnare il contratto per ottenere la tutela di cui all'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15, se fosse accertata la eterorganizzazione, si dovrebbe applicare “la disciplina del lavoro subordinato”. Questo comporterebbe il riconoscimento per l'interessato della retribuzione, al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, prevista per i lavoratori subordinati. Il meccanismo di estensione della tutela retributiva, dunque, trascinerebbe con sé anche gli aspetti contributivi, con inquadramento corretto nella Gestione Dipendenti.


J) L'ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE E I CONTEGGI DETERMINABILI.


La difesa dell'opponente ha eccepito la prescrizione quinquennale e sottolineato come il primo atto idoneo a interromperla sarebbe il Secondo Verbale, notificato in data 8 aprile 2021: da tale giorno, allora, andrebbe computata, a ritroso, la prescrizione maturata per i periodi anteriori al 8 aprile 2016.


Senonché, tale eccezione non può essere accolta, in quanto non tiene conto della sospensione della prescrizione nel periodo emergenziale.


In particolare, l'art. 37 del DL n. 18/2020 ha previsto la stessa per 129 giorni dal 23 febbraio al 30 giugno 2020 e, successivamente, il DL n. 183/2020, con l'art. 11, co. 9, ha aggiunto un ulteriore periodo pari a 182 giorni dal 31 dicembre 2020 e fino al 30 giugno 2021.


Dunque, nella presente fattispecie, anche reputando quale atto interruttivo il verbale notificato l'8 aprile 2021, per il periodo di causa dal 1° gennaio 2016 al 31 ottobre 2020, considerando anche i suddetti periodi di sospensione, non risulta maturata alcuna prescrizione quinquennale.


Con tali chiarimenti, l'importo dovuto dalla D SRL è determinabile con un conteggio matematico, cosicché si può giungere a una sentenza generica, ma definitiva (cfr. Cass. Sentenza n. 4051 del 18/02/2011; Sentenza n. 4653 del 02/04/2002; Ordinanza n. 9952 del 28/03/2022), come richiesto dai difensori di tutte le parti, che hanno domandato un accertamento che venga a definire i rapporti di lavoro, riservandosi i conteggi per eventuali somme dovute al di fuori del giudizio (cfr. il verbale di causa).


Pertanto, è possibile pervenire alle conclusioni di cui al dispositivo.


Quanto alle spese di lite, appare congrua una loro compensazione tra tutte le parti, in ragione della reciproca soccombenza, nonché della peculiarità e della novità della materia trattata.


PQM



Con riguardo agli accertamenti di cui ai Verbali Unico di Accertamento e notificazione n. 264-283-261 del 23 febbraio 2021, n. 2019018759/DDL del 08/04/2021 e n. 2021-00006 del 28/07/2021, dichiara la legittimità dell'inquadramento dei singoli lavoratori, per il periodo dal gennaio 2016 al 31 ottobre del 2020, nell'ambito dell'articolo 2 del D.lgs. n. 81/15 nel rapporto con la D SRL.


Accerta come agli stessi lavoratori, con riguardo ai rapporti tra la parte opponente e le parti opposte, debba essere applicata la disciplina del lavoro subordinato, con inquadramento nel V livello del CCNL Logistica, con eccezione dell'articolo 10, co. 1, del D.lgs. n. 81/15, con conseguente obbligazione per contributi, interessi e sanzioni nei rapporti con l'INPS e per premi nei rapporti con l'INAIL unicamente per l'orario effettivamente svolto dai collaboratori, da determinarsi dal Login fino al Logout dalla piattaforma per ogni singolo giorno lavorativo e con versamenti da effettuarsi nella Gestione Dipendenti, con le aliquote contributive per il lavoro subordinato, per quanto riguarda il debito nei confronti dell'INPS.


Compensa le spese di lite.


Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.


Milano, 09/10/2023