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mercoledì 30 novembre 2011

Cass. sentenza n. 42003/2011: Appalto di fatto - responsabilità infortunio



(OMISSIS)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

La Corte di Appello di Catania, con sua sentenza pronunziata all’udienza del 18/1/2010 ha confermato la sentenza di pronunziata dal Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Adrano, che aveva assolto R.E. amministratore unico della C. srl., che aveva fornito i pannelli termoisolanti utilizzati per la sostituzione delle lastre di copertura in eternit di un capannone di pertinenza dell’officina E. D. di C.F., sostituzione in occasione della quale il lavoratore B.A. era deceduto a seguito di precipitazione da una altezza di circa cinque metri.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catania ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.
Il Procuratore generale ricorrente denunzia
Erroneità della motivazione che dopo aver disarticolato il compendio probatorio, aveva omesso di considerare che dalla stessa certificazione camera commercio industria e artigianato risultava avere ad oggetto della attività sociale la realizzazione di tetti e aveva omesso la coordinata valutazione delle indicazioni della prova dichiarativa e, tra esse, delle stesse dichiarazioni dell’imputato tutte attestanti un coinvolgimento di fatto dell’imputato nella gestione (regia, controllo e direzione) della sostituzione della copertura in eternit con la nuova copertura e nella fornitura di 2 automezzi ( autogru e autocarro), legname di cantiere, scale e materiale occorrente e forza lavoro occorrente.
La sentenza aveva violato l’art. 2087 del codice civile.
Anche C.M., costituita parte civile per sé e per la figlia minore, ha proposto ricorso per cassazione al fine di ottenere la riparazione, con tutte le conseguenze di legge, dell’ingiustizia realizzata dalla sentenza impugnata.
La parte civile censura la mancanza e la scorrettezza della motivazione circa la pur risultata esistenza di un cantiere diretto alla sostituzione del tetto di un capannone, cantiere organizzato diretto e controllato dall’amministratore di C. che aveva assunto, a nero, anche l’infortunato. La ricorrente addebita alla sentenza un procedimento di scomposizione e disarticolazione della prova pur raccolta, tale da smarrirne le più significative indicazioni e da ometterne una compiuta lettura (C. non era la venditrice dei pannelli isotermici documentatamente venduti invece al C. da altra società che li aveva consegnati in cantiere).
La valutazione della prova sarebbe operata con operazione viziata da errori di diritto, da pregiudizio e da un metodo di parcellizzazione e scomposizione, tale da pervenire alla individuazione arbitraria di assenza di prove che invece sono piene e da negare circostanze pur risultate certe (la stipula tra C. e C. di un contratto di appalto per la copertura chiavi in mano l’assunzione in nero del lavoratore B.A. a iniziativa di R.G. socio (oltre che fratello) di R.E., amministratore di C. Srl., secondo un modulo collaudato in altre precedenti vicende, la presenza in cantiere della gru C. per innalzare i pannelli e dell’autocarro C. per trasportare la calce di C. necessaria a legare i pannelli in opera) utilizzando condizioni di esistenza della prova ignote al diritto processuale.
All’udienza pubblica del 14/7/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

MOTIVI DELLA DECISIONE 

La sentenza impugnata, conforme a quella di primo grado, accertato il nesso di causalità tra l’evento mortale e la mancata adozione di qualsiasi misura di protezione del lavoratore, ha escluso la responsabilità penale dell’imputato negando la sua qualità di obbligato per la protezione antinfortunistica del lavoratore, dal momento che non era risultata provata la stipula di un contratto di appalto, avente ad oggetto la sostituzione della copertura del capannone, tra C. srl., che in tesi aveva fornito i pannelli isotermici della nuova copertura, e C.F., titolare dell’officina, presso il capannone della quale si svolgevano i lavori di rifacimento del tetto.
Secondo la sentenza impugnata l’amministratore della C. srl, non risultava essere datore di lavoro del B. (che normalmente svolgeva attività di bracciante agricolo) né risultava avere assunto di fatto la direzione del cantiere e dei lavori nel corso dei quali l’infortunio avvenne.
Per la sentenza impugnata l’eventuale accordo intercorso tra R.G. socio C. e fratello dell’imputato, e il committente dell’appalto dei lavori (identificato in C.F.) per una consegna del nuovo tetto con la formula ”chiavi in mano”, non costituiva adeguato fondamento giuridico della responsabilità penale di R.E. a causa della sua qualità di amministratore unico di C. srl., che da sola non comportava la sua responsabilità penale per atti di gestione posti in essere dal socio R.G. per effettuare forniture di coperture chiavi in mano.
Le censure proposte dai ricorrenti sono fondate secondo quanto qui di seguito si scrive.
La sentenza impugnata ha applicato alla lettura dei dati raccolti un filtro costituito dalla opinione che possa costituire fondamento di responsabilità penale o prova di rapporti di lavoro, solo la acquisizione di documentazione formale che quei rapporti inquadri in cornici di regolarità e conformità alle regole legali di settore, o la emersione di volontarie rappresentazioni cartolari ancorché relative a rapporti economici tra terzi e destinate a scopi del tutto estranei a quello della tutela della salute e della incolumità stessa dei lavoratori ben altrimenti coinvolti neIIe vicende scrutinate.
Mentre entrambe le sentenze di merito danno per certa la esistenza di un nesso di causalità tra la morte del lavoratore ufficialmente addetto a una normalità di lavoro bracciantile in agricoltura e la violazione di tutte le regole cautelari concretizzata nella assenza di qualsiasi misura di protezione antinfortunistica sul luogo di svolgimento effettivo di lavori edili di copertura/sostituzione di un tetto, la sentenza impugnata non ha ritenuto di poter accertare in un quadro probatorio così ricco, alcuna causalità della colpa e non ha ritenuto che fosse individuabile il responsabile ( per la legge penale) dell’omicidio indubitabilmente verificatosi. La sentenza impugnata ha proceduto con metodo di frammentazione e di rimozione degli elementi di prova suscettibili di individuare il quadro reale dei rapporti, il quadro reale delle obbligazioni di garanzia connesse alla fattualità di quei rapporti.
A fronte di una descritta complessità ed equivocità di intrecci economici e di collaborazioni produttive tra imprenditori, a fronte della accertata presenza in cantiere di mezzi e materiali della srl C. e della accertata partecipazione attiva di un socio C. , a fronte della accertata singolarità del ripetuto utilizzo di un bracciante agricolo in attività pericolose, e in nessun modo garantite operazioni edili, e a fronte della mancanza di assunzioni formali che giustificassero quell’utilizzo, doveva la sentenza impugnata motivare in ordine ai significati che l’intero materiale probatorio acquisito rivestiva in termini di individuazione delle reali obbligazioni di garanzia derivanti da assunzione di fatto di tali obbligazioni, senza operare alcuna rimozione con lo strumento di schermi o apparenze cartolari che, invece, dovevano essere confrontate con le risultanze di fatto pur ritualmente acquisite al processo e menzionate nelle sentenze di merito e nel fuoco del contraddittorio.
Né formule negoziali (effettive o simulate) né apparenze cartolari, possono fare velo alla tutela penale della salute posto che il vigente ordinamento positivo costruisce quella tutela in relazione ai rapporti reali di produzione e lavoro e in relazione alla concretezza delle dinamiche nelle quali essi si inverano.
La motivazione della sentenza impugnata è viziata da tali errori di applicazione della legge processuale e da tali vizi logico-giuridici da risultare inadeguata a sostenere le statuizioni adottate e ad esistere ancora come motivazione, ove quegli errori e quei vizi siano emendati.
La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania. L’imputato E.R. deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di Cassazione sostenute da C.M. in proprio e quale esercente la potestà dei genitori sulla figlia minore, spese liquidate in € 2.000,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M. 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catania e condanna E.R. alla rifusione in favore di C.M., in proprio e nella qualità, delle spese sostenute dalla parte civile e liquidate in € 2.000,00 oltre accessori come per legge.

Depositata in Cancelleria il 15.11.2011