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mercoledì 30 novembre 2011

Corte di Cassazione - Sentenza n. 24216/2011: Licenziamento per soppressione delle mansioni - Illegittimo se le mansioni sono state redistribuite



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.Q.M.


(OMISSIS)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza emessa il 3.2.09 e depositata il 30.3.09 la Corte d’Appello di Torino confermava - per quel che rileva in questa sede - la sentenza con cui il Tribunale della stessa sede, dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato dalla I. S.p.A. nei confronti di G. D., ne aveva ordinato la reintegra nel posto di lavoro.

Statuivano a riguardo i giudici del merito che, contrariamente a quanto enunciato nella lettera di recesso, vi era stata non la soppressione delle mansioni assegnate al D., ma una loro mera redistribuzione fra altri dipendenti, redistribuzione a sua volta conseguente - anziché causalmente precedente - alla scelta aziendale di licenziare il lavoratore.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la I. S.p.A. formulando due motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso il D.

MOTIVI DELLA DECISIONE



1- Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3 legge n. 604/66 per avere l’impugnata sentenza negato che nel caso di specie vi fosse stata una vera e propria soppressione delle mansioni di vendita affidate al D. nelle zone di sua competenza, ma solo una loro redistribuzione fra altri dipendenti: in realtà, obietta la I. S.p.A. mentre la competenza delle zone a suo tempo coperte dal D. era stata ridistribuita fra altri lavoratori, le altre mansioni proprie della soppressa figura di funzionario commerciale rivestita dal D., come quelle di organizzazione e coordinamento con le altre figure aziendali, erano state soppresse; infatti, non vi era un unico ufficio commerciale costituito da vari dipendenti, ma un solo soggetto - il D. - che nella sua qualità di funzionario commerciale svolgeva attività in specifiche zone e che era stato licenziato perché il rapporto costi/ricavi era risultato antieconomico per l’azienda.

Tale doglianza è fatta valere anche con il secondo motivo di ricorso, sotto forma di denuncia di vizio di insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Le due doglianze - da esaminarsi congiuntamente perché intimamente connesse fra loro - sono infondate.

È sostanzialmente pacifico inter partes che la preesistente rete commerciale di agenti e venditori diretti della I. ha assorbito tutte le zone un tempo di competenza dell’odierno controricorrente, che nella propria qualità di funzionario commerciale responsabile di una determinata area si occupava, in essa, di mansioni di vendita.

Ciò detto, è pur vero che, in linea di principio, non è esatta l’affermazione in punto di diritto che si legge nell’impugnata sentenza, secondo cui esulerebbe dal concetto di giustificato motivo oggettivo l’esigenza di una miglior redditività dell’impresa raggiunta attraverso una mera redistribuzione fra altri dipendenti delle mansioni del lavoratore licenziato.

Infatti, secondo la più recente giurisprudenza di questa S.C. (cfr., ex aliis, Cass. 4.11.04 n. 21121, seguita da altre conformi), cui va data continuità, nel concetto di giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva rientra anche l’ipotesi del riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, senza che sia necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite.

Si tratta di una scelta che costituisce espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 co. 1° Cost., sicché non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato.

In questo senso va corretta ex art. 384 ult. co. c.p.c. l’iniziale affermazione operata dalla Corte territoriale.

Nondimeno, la summenzionata giurisprudenza di questa S.C. è altresì chiara nello statuire che spetta al giudice il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, nel senso che ne risulti l’effettività e la non pretestuosità (cfr., ancora, Cass. n. 21121/04 cit. e successive conformi).

In altre parole, il diritto del datore di lavoro di ripartire diversamente determinate mansioni non deve far perdere di vista la necessità di verificare il rapporto di congruità causale fra la scelta imprenditoriale e il licenziamento, nel senso che non basta che i compiti un tempo espletati dal lavoratore licenziato risultino essere stati poi distribuiti ad altri, ma è necessario che tale riassetto sia all’origine del licenziamento anziché costituirne effetto di risulta.

Nel caso di specie l’impugnata sentenza ha evidenziato - con motivazione immune da vizi logici o giuridici - non solo che la I. S.p.A. non ha neppure allegato il nesso causale tra esigenza aziendale e licenziamento (allegazione e prova di cui era onerata ex art. 5 legge n. 604/66), ma anche che ha prima deciso di espellere dal proprio organico l’odierno controricorrente perché non soddisfatta del suo rendimento e, solo dopo averlo licenziato, ne ha suddiviso le mansioni fra gli altri dipendenti e agenti già in forza, per non lasciare scoperta l’area territoriale un tempo curata dal D.

Si tratta di snodo argomentativo fondamentale che non è stato specificamente investito dall’impugnazione della società ricorrente che, invece, si concentra sull’assunto secondo cui non tutte le mansioni del D. sarebbero state poi ripartite fra gli altri dipendenti e agenti, nel senso che sarebbero state definitivamente soppresse quelle di organizzare le vendite sul territorio e di coordinare tale attività con le esigenze dell’azienda.

In proposito, però, il ricorso non rispetta il principio di autosufficienza, non chiarendo in quale atto o verbale di causa la I. S.p.A. abbia allegato lo svolgimento, da parte del D., di tali pretese ulteriori mansioni di organizzazione e coordinamento.

Anzi, come obiettato in controricorso, nel proprio atto di appello la società, lungi dal parlare delle anzidette mansioni, aveva riconosciuto di aver assegnato a ciascuno degli altri funzionari commerciali esistenti in azienda una porzione dell’area territoriale precedentemente affidata al D.

Né va taciuta la genericità stessa dell’allegazione formulata in ricorso, non essendo chiarito neppure in cosa consistessero i compiti di organizzazione e coordinamento con le altre figure aziendali che, affidati un tempo al controricorrente, sarebbero stati poi soppressi: è appena il caso di notare che ogni lavoratore dipendente, proprio perché ex art. 2094 c.c. collabora con l’impresa, deve necessariamente coordinarsi con altre figure aziendali e che nel caso di specie non si comprende neppure se tali funzioni organizzative fossero svolte dal D. in posizione apicale o comunque gerarchicamente sovraordinata rispetto ad altri funzionari commerciali della società.

Quanto all’assunto, che si legge in ricorso, secondo cui il D. sarebbe stato licenziato perché il rapporto costi/ricavi della sua attività sarebbe risultato antieconomico per l’azienda, basti osservare che l’allegazione o sostanzialmente riconosce proprio quanto ricostruito dai giudici del merito (ossia che all’origine del licenziamento non vi era una esigenza di riorganizzazione produttiva, ma un caso di scarso rendimento, in quanto tale da trattare diversamente) oppure involge meri apprezzamenti in punto dì fatto, in quanto tali estranei alla presente sede.

2- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 50,00 nonché euro 3.000,00 per onorari, oltre rimborso spese generali. IVA e CPA.
Depositata in Cancelleria il 21.11.2011