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lunedì 21 novembre 2011

sent. Cass. SU n. 17389/2002 - Ind. disoccupazione - decadenza

sent17389/2002

QS 0001

sent. Cass. SU n. 17389/2002

Con ricorso al Pretore del lavoro di Firenze, la signora S.A.ed altri sedici ex dipendenti della G.e V. snc di E. esponevano di essere stati licenziati con effetto dal 14 agosto 1995, a seguito dell'espletamento della procedura di mobilità di cui alla legge 23 luglio 1991 n. 223; di essere quindi divenuti soci della società cooperativa a.r.l. Dolciaria Toscana, che aveva rilevato dalla ex datrice di lavoro un ramo dell'azienda, provvedendo all'assunzione di una parte dei lavoratori in mobilità; di aver presentato, nel novembre del 1995, domanda di anticipazione del contributo di mobilità, peraltro respinta dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) per avvenuta decadenza. Chiedevano quindi l'accertamento del loro diritto a tale prestazione e la conseguente condanna dell'Istituto alla sua erogazione unitamente agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria.
L'INPS contestava la fondatezza della domanda, eccependo la decadenza dei ricorrenti dal diritto all'indennità per non aver presentato la domanda amministrativa nel termine di 68 giorni previsto dall'art. 129 legge 4 aprile 1936 n. 1155, applicabile alla fattispecie per espressa previsione dell'art. 7 legge n. 223 del 1991.
Il Pretore adito, ritenuta l'inapplicabilità del termine di decadenza eccepita dall'INPS, accoglieva la domanda e condannava l'Istituto alla corresponsione dell'indennità, aumentata della rivalutazione monetaria e degli interessi.
II Tribunale di Firenze, adito con atto di appello dell'INPS, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, ritenendo non dovuta la rivalutazione. Osservava in particolare il giudice del secondo grado, quanto alla decadenza, che il fatto costitutivo del diritto all'indennità di mobilità era costituito dalla semplice iscrizione nelle liste di mobilità, senza bisogno di alcuna domanda, mentre la legge n. 223 del 1991 non prevedeva, fra le varie forme di decadenza, quella eccepita dall'INPS, né questa era applicabile per analogia, dato che la previsione normativa delle decadenze è di natura eccezionale e che, comunque, l'art. 7 legge n. 223 del 1991 richiama la normativa dell'indennità di disoccupazione solo "in quanto applicabile". Osservava poi, quanto alla rivalutazione monetaria, che questa non poteva spettare in ogni caso, sia a volere riconoscere all'indennità di mobilità natura previdenziale, trovando in tal caso diretta applicazione l'art. 16, sesto comma, legge 30 dicembre 1991 n. 412, sia a voler invece riconoscere a tale prestazione natura assistenziale, trovando in tal caso comunque vigore lo stesso art. 16 cit., in virtù dell'applicabilità di tale disposizione anche agli emolumenti assistenziali, ai sensi dell'art. 22, comma trentaseiesimo, legge 23 dicembre 1994 n. 724.
Avverso tale decisione l'INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo di impugnazione.
Le controparti hanno presentato controricorso, proponendo contestualmente ricorso incidentale, fondato su un motivo di impugnazione, e ricorso incidentale condizionato, fondato su due motivi.
I ricorsi sono stati rimessi dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite, per la composizione del contrasto giurisprudenziale sulla questione sollevata nel ricorso principale e cioé sull'applicabilità della norma relativa alla necessità, per l'assicurato, di presentare la domanda di prestazione all'INPS entro il termine di decadenza di cui alla legge n. 1155 del 1936.

Motivi della decisione

I ricorsi debbono preliminarmente essere riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art: 335 cod. proc. civ.).
L'Istituto ricorrente, deducendo violazione degli artt. 7, dodicesimo comma, legge n. 223 del 1991, 129, quinto comma, e 73, secondo comma, r.d.l. n. 1827 del 1935, convertito in legge n. 1155 del 1936, e 14 disp. sulla legge in generale, assume quanto segue.
Il licenziamento costituisce l'evento produttivo dello stato di disoccupazione e il presupposto per l'iscrizione dei lavoratori nelle liste di mobilità, per cui tale fatto è determinante per l'individuazione dell'inizio del termine di cui al quinto comma dell'art. 129 r.d.l. n. 1827 del 1935, applicabile indistintamente sia in relazione al trattamento di disoccupazione che all'indennità di mobilità, in base al rinvio generale stabilito per quest'ultima prestazione dall'art. 7, dodicesimo comma, legge n. 223 del 1991, con la conseguenza che la domanda per l'erogazione dell'indennità di mobilità deve essere presentata a pena di decadenza entro il termine di 68 giorni dalla data del licenziamento di cui all'art. 24 o del recesso di cui all'art. 4 della stessa legge n. 223 del 1991. D'altra parte, l'applicazione diretta della normativa dell'assicurazione obbligatoria non può ritenersi impedita dall'inciso "in quanto applicabile" contenuto nel citato dodicesimo comma dell'art. 7, non apparendo giustificata l'ipotesi di una duplicità di disciplina per le due prestazioni, in presenza della sostanziale identità del comune presupposto costituito dal licenziamento. Infine, la recente legge n. 135 del 1997, peraltro non applicabile nella specie "ratione temporis", prevede, all'art. 20 ter (aggiunto in sede di conversione del decreto legge n. 67 del 1997), la conservazione del diritto all'indennità per coloro che ne siano decaduti per avere presentato tardivamente la domanda, ma comunque entro il 31 marzo 1992: ciò confermerebbe il principio che la prestazione può essere erogata solo previa domanda dell'interessato entro il termine di decadenza di cui al citato art. 129 r.d.l. n. 1827 del 1935.
Con il ricorso incidentale le controparti, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 22, trentaseiesimo comma, legge n. 724 del 1994, in riferimento all'art. 429 cod. proc. civ., nonché erronea e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, assumano che il Tribunale abbia errato nel ritenere applicabile nella specie l'art. 22, trentaseiesimo comma, legge n. 724 del 1994 (che estende il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione ex art. 16 legge n. 412 del 1991 ai crediti di natura retributiva e pensionistica maturati dopo il 31 dicembre 1994), trattandosi nella specie di rapporto di lavoro privatistico e connesso rapporto previdenziale. D'altra parte, il saggio legale degli interessi è stato riportato al 5% ex art. 2 legge n. 662 del 1996, e pertanto sarebbe venuto a cadere l'onere della prova del maggior danno e troverebbe nuovamente applicazione in sostanza la disciplina dell'art. 429 cod. proc. civ., mentre, per di più, lo stesso INPS nulla avrebbe mai opposto riguardo alla rivalutazione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, le controparti, deducendo violazione e falsa applicazione del capo primo della legge n. 241 del 1990, nonché vizi di motivazione, assumono che il provvedimento di diniego del trattamento di mobilità sia viziato, oltre che per l'insussistenza di un termine di decadenza, per la violazione delle disposizioni di cui al capo primo della legge n. 241 del 1990, recante nuove norme sul procedimento amministrativo (mancanza di motivazione, dell'indicazione dell'autorità competente per l'impugnazione e del termine di impugnazione).
Con il secondo motivo del medesimo ricorso le controparti, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 2033 cod. civ., assumono che, avendo la ex datrice di lavoro già versato il contributo anticipato di mobilità, l'Istituto otterrebbe, in caso di decadenza, un indebito arricchimento in danno dei lavoratori subentrati nella conduzione dell'impresa della ex datrice di lavoro.
In relazione al ricorso principale, occorre premettere che il trattamento di mobilità, di cui all'art. 7 legge 23 luglio 1991 n. 223, è riconosciuta in favore dei lavoratori dipendenti di imprese rientranti nel campo di applicazione dell'integrazione salariale straordinaria che, in possesso di una determinata anzianità aziendale, si trovino ad essere disoccupati in conseguenza dell'impossibilità da parte dell'impresa, che si sia avvalsa dell'intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni, di reimpiegare tutti i lavoratori sospesi, ovvero siano stati licenziati, indipendentemente dall'intervento di integrazione salariale, per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro.
L'indennità sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione ed è erogata dall'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), con il concorso finanziario del datore di lavoro, mediante pagamento rateale di un contributo per ogni lavoratore posto in mobilità.
Il diritto alla prestazione si estingue per scadenza del termine finale di durata della mobilità, per l'assunzione del lavoratore disoccupato con contratto a tempo pieno e indeterminato, per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, per il rifiuto dello stesso lavoratore di frequentare regolarmente corsi di formazione professionale o di essere impiegato temporaneamente in opere o servizi di pubblica utilità, per la mancata comunicazione all'INPS da parte dello stesso disoccupato del lavoro prestato a tempo parziale o determinato.
Per la disciplina del trattamento, lo stesso art. 7, al comma dodicesimo, rinvia alla normativa disposta per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, "in quanto applicabile".
Circa la portata di tale rinvio, peraltro, sono sorti notevoli dubbi interpretativi, con riferimento alla individuazione dei margini di applicabilità della predetta normativa sulla disoccupazione.
In particolare, è controverso se trovi applicazione anche per il trattamento di mobilità il termine di decadenza stabilito per l'indennità di disoccupazione dall'art. 129 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito in legge 6 aprile 1936 n. 1155 (sessanta giorni dall'inizio della disoccupazione indennizzabile, e cioé dall'ottavo giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro). Del pari è controverso se anche per il trattamento in questione trovi applicazione, come per l'indennità di disoccupazione e comunque per il principio generale della domanda valevole per le prestazioni previdenziali, la necessità di un'apposita domanda amministrativa.
Correlativamente, si è osservato, ove si ritenesse esclusa l'applicabilità delle norme sulla domanda e sui relativi termini decadenziali, resterebbe difficile individuare altre norme sulla disoccupazione applicabili al trattamento di mobilità, sì da poter giustificare il rinvio di cui all'art. 7, dodicesimo comma.
D'altra parte, un ausilio interpretativo è stato ravvisato nella disposizione di "sanatoria" di cui all'art. 20 ter, legge 23 maggio 1997 n. 135, secondo cui il diritto all'indennità di mobilità viene riconosciuto anche a coloro che non abbiano presentato nei termini "la relativa domanda", purché i connessi adempimenti siano stati compiuti entro il 31 marzo 1992: tale disposizione parrebbe presupporre per la concessione dell'indennità in questione la necessità della domanda degli interessati e la sussistenza di termini di decadenza per la presentazione della stessa.
Orbene, i cennati dubbi interpretativi - variamente risolti - si sono puntualmente manifestati nel contrasto giurisprudenziale rilevato in materia.
L'orientamento prevalente (Cass. 6 dicembre 2000 n. 15479; 5 dicembre 2000 n. 15453; 27 novembre 2000 n. 15244; 23 dicembre 1999 n. 14484; 3 novembre 1998 n. 11033), secondo cui anche per l'indennità di mobilità il lavoratore è soggetto all'onere di presentazione della domanda ed al relativo termine di decadenza, si fonda sulle seguenti argomentazioni.
Per effetto del rinvio contenuto nell'art. 7 della legge n. 233 del 1991, la domanda per la fruizione dell'indennità di mobilità soggiace al termine di decadenza, di cui al quinto comma dell'art. 129 legge n. 1155 del 1936. In tal caso non si tratta dell'applicazione analogica di una norma eccezionale, qual è quella che dispone la decadenza, ma dell'applicazione diretta della normativa che disciplina l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, sicché resta estraneo alla regolamentazione della fattispecie l'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, che sancisce il divieto di applicazione analogica delle norme eccezionali. Inoltre, l'indennità di mobilità, per quanto speciale per alcuni suoi aspetti (condizioni obiettive costituenti il suo presupposto, procedura da seguire e finanziamento), rientra, unitamente all'indennità di disoccupazione, fra gli strumenti intesi a tutelare lo stesso evento protetto, costituito dallo stato di disoccupazione da licenziamento, tant'é che sostituisce ogni altra prestazione di disoccupazione (art. 7, comma ottavo), con la conseguenza che il rinvio operato dal comma dodicesimo dello stesso art. 7 cit. alla normativa sull'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria "in quanto applicabile" non può non riguardare anche i termini per la presentazione della domanda della prestazione, atteso che la legge n. 223 del 1991 nulla dispone circa detti termini. La presentazione della domanda, d'altra parte, è resa necessaria anche dalla regola generale per la quale i trattamenti previdenziali presuppongono di regola una domanda che assume rilevanza costitutiva, tanto più che l'INPS non è a conoscenza e non può quindi controllare se l'interessato sia in possesso dei requisiti necessari per accedere al trattamento in questione, in quanto le comunicazioni previste dalla legge del 1991 sono inviate esclusivamente alle associazioni di categoria, all'ufficio provinciale del lavoro ed alla commissione regionale per l'impiego. Il rapporto previdenziale, poi, avente per oggetto l'erogazione del trattamento di mobilità, è distinto e successivo all'estinzione del rapporto di lavoro, sorgendo non in via automatica in tale momento, ma solo in via eventuale, subordinatamente alla ricorrenza dei prescritti requisiti di legge rispetto al singolo interessato, così confermandosi la necessità della presentazione della domanda, al fine di consentire all'INPS di prendere in considerazione la sua posizione ed avviare il procedimento diretto al riconoscimento della prestazione. Inoltre, l'applicazione dei termini perentori non può essere esclusa dalla previsione, da parte dell'art. 9 della legge n. 223 del 1991, di specifiche ipotesi di cancellazione dalle liste di mobilità e di decadenza dalla relativa indennità, posto che tale norma nulla dispone circa i tempi e i modi di presentazione della domanda, mentre la norma relativa si rinviene, per effetto del rinvio operato dall'art. 7 cit., nella disciplina sull'assicurazione contro la disoccupazione. Infine, e ad ulteriore conferma dell'operatività del termine di decadenza, l'art. 20 ter legge n. 135 del 1997 ha introdotto una "sanatoria" per le domande presentate anteriormente al 31 marzo 1992 per le quali si era già avverata la decadenza del relativo diritto all'indennità, presupponendo evidentemente l'operatività della decadenza di cui all'art. 129 legge del 1936. L'opposto orientamento (Cass. 27 marzo 2000 n. 3670), che esclude la necessità della domanda e l'applicazione del relativo termine di decadenza, si fonda invece sulle seguenti considerazioni. Il carattere eccezionale del termine di decadenza, in rapporto ai principi generali previsti dall'ordinamento per l'esercizio di un diritto, rende inammissibile l'applicazione analogica di norme che prevedano per determinate fattispecie termini decadenziali. Non vale, d'altra parte, qualificare applicazione diretta quella della norma cui è fatto rinvio dal più volte richiamato art. 7, posto che a base dell'applicazione diretta deve pur esserci una valutazione di analogia fra le ipotesi a confronto che ne permetta l'applicabilità. Inoltre, l'art. 7 legge n. 223 del 1991 non prevede alcun termine per la presentazione della domanda diretta al conseguimento della prestazione, ed anzi addirittura non prevede neanche che sia presentata alcuna domanda. Infine, il generico richiamo alle disposizioni sull'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria non vale a giustificare una vera e propria estensione di quella disciplina, in base ad un processo interpretativo del tutto antitetico rispetto all'esigenza di chiarezza che l'applicazione dell'istituto della decadenza comporta, sicché, se termine di decadenza sussiste, questo deve scaturire direttamente ed inequivocabilmente dalla stessa normativa che riconosce il diritto. D'altra parte, il riferimento all'art. 20 ter legge n. 135 del 1997 non è decisivo, atteso che tale disposizione non indica quale sia il termine di decadenza, né da quale norma esso sia desumibile. Gli stessi opposti dubbi interpretativi, quanto alla portata ed ai limiti del rinvio operato dal legislatore alla disciplina dell'assicurazione contro la disoccupazione, sono stati espressi anche dalla dottrina con analoghe argomentazioni. Ora, da quanto sinora rilevato può affermarsi per certo che: 1^) l'indennità di mobilità, introdotta dall'art. 7 della legge n. 223 del 1991, tiene luogo di ogni altra prestazione di disoccupazione, pur nell'ambito degli strumenti legislativi diretti alla tutela del medesimo evento costituito dallo stato di disoccupazione; 2^) nella norma istitutiva di detta indennità non sono contenute testuali statuizioni sulle modalità per ottenerne la corresponsione (neppure in ordine all'ente erogatore); 3^) a questa apparente carenza viene ovviato con la specifica disposizione contenuta nel dodicesimo comma dello stesso art. 7 che, come già detto, statuisce che l'indennità di mobilità è regolata dalla normativa che disciplina l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria "in quanto applicabile"; 4^) nell'ambito di quest'ultima normativa è specificamente disposto che l'indennità ivi prevista viene corrisposta dall'INPS, a domanda del disoccupato, a decorrere dall'ottavo giorno successivo a quello della cessazione del rapporto di lavoro, ovvero, nel caso di corresponsione all'assicurato dell'indennità di preavviso, dall'ottavo giorno successivo a quello della scadenza del periodo corrispondente a detta indennità (artt. 73 e 77 legge n. 1155 del 1936) ed è previsto il termine di decadenza dal diritto al godimento dell'indennità qualora siano decorsi sessanta giorni da quello di inizio della disoccupazione indennizzabile senza che l'assicurato abbia presentato domanda di ammissione al pagamento dell'indennità. Orbene, il segnalato contrasto giurisprudenziale si fonda essenzialmente in ordine al cd. rinvio operato dall'art. 7 della legge n. 223 del 1991 alla normativa sull'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione ed in particolare all'applicabilità del termine di decadenza, previsto per l'indennità di disoccupazione, all'indennità di mobilità. Si afferma, invero, da un lato, che l'operatività, nella specie, di detto termine di decadenza consegue all'applicazione "diretta" dell'art. 129 legge n. 1155 del 1936, e invece, dall'altro, che tale operatività potrebbe conseguire solo a seguito di un'applicazione "analogica" di tale norma (da escludersi, peraltro, nella specie in forza anche del principio che vieta il ricorso all'analogia per le disposizioni "eccezionali", come quella concernente l'istituto della decadenza). Occorre peraltro subito rilevare in proposito che, come è noto, l'interpretazione analogica è costituita da quel procedimento mediante il quale chi interpreta ed applica il diritto può sopperire alle eventuali deficienze di previsione legislativa (cd. lacuna dell'ordinamento giuridico) facendo ricorso alla disciplina normativa prevista per un caso simile, ovvero per materie analoghe, in forza dei principi fondamentali del nostro ordinamento secondo cui il giudice deve decidere in ogni caso che venga sottoposta al suo esame e deve assumere la relativa decisione applicando una norma dell'ordinamento positivo. In particolare, il ricorso a tale interpretazione presuppone che manchi una norma di legge atta a regolare direttamente un caso su cui il giudice sia chiamato a decidere e che sia possibile ritrovare una o più norme positive (cd. analogia legis) o uno o più principi giuridici (cd. analogia iuris), la cui valenza sia tale che le rispettive conseguenze possano essere applicate alla fattispecie originariamente carente di una specifica regolamentazione, sulla base dell'accertamento di un rapporto di somiglianza tra alcuni elementi di fatto o di diritto della fattispecie regolata ed alcuni elementi di quella non regolata, così realizzando l'autointegrazione dell'ordinamento. Ora, che nella questione in esame non possa parlarsi di carenza di previsione normativa e non sussista, di conseguenza, alcun presupposto per far ricorso al procedimento per analogia deve ritenersi evidente per il rilievo che il legislatore ha inteso disciplinare gli aspetti non regolamentati in ordine alla corresponsione dell'indennità di mobilità, rifacendosi testualmente alla normativa già emanata per la regolamentazione di altra indennità avente identica matrice causale (la tutela del lavoratore per l'evento della disoccupazione). Il legislatore, cioé, invece di trascrivere pedissequamente il testo della normativa che disciplina l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, si è riportato espressamente alla cennata normativa che, in tal modo, deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell'indennità di mobilità, con la conseguenza che, più che di "rinvio" da una norma ad un'altra, deve parlarsi di applicazione diretta di una norma nel suo effettivo contesto letterale e sostanziale, avente per contenuto tutta la disciplina idonea a regolare l'indennità di mobilità. Ne consegue che l'inciso "in quanto applicabile" non può indurre a ritenere necessaria una valutazione di "analogia", quasi fosse non completa la disciplina da applicare, ma rappresenta una opportuna precisazione del legislatore che, posta la diretta applicabilità all'indennità di mobilità della specifica normativa che disciplina l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, ha sottolineato che a tale generale applicabilità fanno eccezione quelle disposizioni intrinsecamente incompatibili, per il loro contenuto, con la disciplina generale. E così, in effetti, mentre l'indennità di disoccupazione è dovuta in ogni caso di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro (art. 37 legge n. 1155 del 1936), tale essenziale requisito può mancare nel caso particolare dei lavoratori in mobilità che intraprendano lo specifico lavoro rappresentato "da un'attività autonoma o", come nella specie, "dall'associarsi in cooperativa", e, quindi, pure in carenza del requisito generale della disoccupazione, hanno ugualmente diritto all'indennità di mobilità (quinto comma dell'art. 7 legge n. 223 del 1991).
Non è quindi condivisibile la tesi secondo cui sarebbe configurabile una differenza tra "rinvio diretto" e "rinvio in quanto applicabile", poiché, quando una norma si rifà ad altra precedente norma, tale precedente disposizione di riferimento viene a disciplinare interamente l'ambito applicativo della norma successiva, ad eccezione di ipotesi non compatibili con la precedente regolamentazione. Conclusivamente deve dunque dirsi che l'indennità di mobilità costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione di una domanda all'INPS - che non potrebbe altrimenti attivarsi nella mancanza di conoscenza delle condizioni relative - entro il termine di decadenza di sessanta giorni da quello di inizio della disoccupazione indennizzabile (ottavo dalla cessazione del rapporto) (art. 129 legge n. 1155 del 1936 ex art 7 legge n. 223 del 1991). E riguardo alla sussistenza di tale termine di decadenza, se ne ha conferma nell'art. 20 ter della legge n. 135 del 1997, che ha introdotto una sanatoria per le domande di concessione dell'indennità presentate anteriormente al 31 marzo 1992, per le quali si fosse già avverata la decadenza dal relativo diritto. Tale norma, invero, non avrebbe avuto motivo di essere emanata se non fosse stata operativa la decadenza sancita dagli artt. 77 e 129 legge n. 1155 del 1936, che, sanata per le domande presentate fino al 31 marzo 1992, conserva la propria operatività per tutte le domande di concessione presentate dopo tale data o, ovviamente, in caso di mancata presentazione della relativa domanda.

In definitiva, condiviso il primo degli orientamenti
giurisprudenziali sopra esposti, il ricorso principale deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti della censura accolta, mentre, ai sensi dell'art. 142 disp. att. Cod. proc. civ., gli atti debbono essere rimessi alla Sezione Lavoro per il prosieguo del giudizio in ordine alle altre censure ed alle relative statuizioni conseguenti anche alla pronunciata cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta, e rimette gli atti per il prosieguo alla Sezione Lavoro.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2002.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 DIC. 2002.