Conteggi lavoro

martedì 31 gennaio 2012

MUTUO CONSENSO - CONTRATTO A TERMINE - CASS. ORD. N. 26561 DEL 12.12.2011

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1.- P.N. chiedeva al giudice del lavoro di Roma che fosse dichiarato nullo il termine apposto alla sua assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 6-30.11.99.

2.- Rigettata la domanda, la predetta proponeva appello e la Corte d'appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 4.09.09, rigettava l'impugnazione. Accogliendo la riproposta eccezione di risoluzione per mutuo consenso, la Corte rilevava che il contratto era cessato il 30.11.99 ed era durato di meno di un mese e che la richiesta di nullità del termine era stata proposta dopo più di cinque anni; riteneva pertanto che la lavoratrice avesse prestato adesione alla risoluzione del contratto e, quindi, non vantasse un interesse al suo ripristino.

3.- Proponeva ricorso per cassazione P., Rispondeva con controricorso Poste Italiane. Il Consigliere relatore, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti, assieme all'avviso di fissazione dell'adunanza.

4.- P. deduce: 1) violazione dell'art. 1372 c.c., in quanto il rapporto di lavoro non poteva risolversi per mutuo consenso dato che l'inerzia assume rilevanza sul piano giuridico - nel senso di tacita dichiarazione - allorchè la condotta della parte contrattuale possa essere apprezzata come oggettiva manifestazione di volontà; 2) carenza di motivazione in quanto il giudice di merito non ha preso in esame i motivi posti a fondamento della domanda di nullità del termine.

5.- E' fondato il primo motivo.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554) ritiene che nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) è configurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso ove sia accertata - per il tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto, nonchè, per le modalità di tale conclusione, per il comportamento tenuto dalla parti e per altre eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà di porre fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutatone del significato e della portata di tali elementi compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

6.- Nel caso di specie il giudice di merito ha fatto applicazione meramente formale di questo principio, atteso che ha desunto l'esistenza della comune volontà di porre fine al rapporto lavorativo sulla base di una sola circostanza oggettiva, quale la durata del lasso temporale intercorso tra cessazione del contratto e proposizione della domanda in sede giudiziaria (oltre quattro anni e mezzo), che ha ritenuto del tutto sovradimensionata rispetto alle esigenze di ponderazione e riflessione che l'azione giudiziaria impone, anche per la mancanza di prova di iniziative prodromiche all'azione giudiziaria.

Tale motivazione è da considerare insufficiente in quanto non idonea a qualificare il fatto - di per sè giuridicamente non rilevante - del mero trascorrere del tempo come chiara volontà delle parti di considerare definitivamente chiuso il rapporto lavorativo. Non viene, infatti, individuata alcuna ulteriore significativa circostanza di fatto, nè viene svolta ulteriore considerazione che non sia meramente formale a sostegno della tesi della realizzazione del mutuo consenso.

Giova al riguardo rammentare, invece, che la giurisprudenza di questa Corte ha osservato che, ai fini dell'esaustività della motivazione, la formulazione del giudizio di carenza di interesse alla continuazione del rapporto trova nella lunghezza del tempo trascorso tra cessazione del termine e promovimcnto dell'azione in sede giudiziaria solo uno dei necessari riferimenti argomentativi. Deve, infatti, essere tenuto in adeguato conto anche il comportamento ulteriore tenuto dalla parti e debbono essere indicate eventuali ulteriori circostanze significative (Cass. 10.11.08 n. 26935 e 28.9.07 n. 20390), la cui prova è onere della parte che abbia dedotto la risoluzione (Cass. 1.2.10 n. 2279).

7.- Accolto il primo motivo, il secondo è assorbito, con conscguente accoglimento del ricorso.

La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame che tenga conto dei principi sopra indicati.

Il giudice del rinvio procederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.