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martedì 27 marzo 2012

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E TRASFERIMENTO D'AZIENDA - CASS. SENT. N. 4706 DEL 23.03.2012

Svolgimento del processo

1. Con ricorso del 7.02.2004 l'A. s.p.a. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n, 3407/04 del Tribunale di Taranto sezione Lavoro, messo ad istanza di Dott. O.M. in data 12.05.2004 e notificato, unitamente al ricorso, il 28 maggio 2004.

A supporto della richiesta formulata in sede monitoria, O. M. aveva dedotto di esser stato nominato revisore dei conti dell'allora Azienda municipalizzata A., poi divenuta A. S.p.A., per il triennio 1994 - 1996, con deliberazione del Consiglio Comunale di Taranto del 29.06.1994. Lo stesso organo, con delibera del 28.09.1994, aveva determinato il compenso per tale attività in lire 20.000.000 annue lorde. Esponeva di aver partecipato alle riunioni del collegio dei revisori fino all'aprile 1996 non avendo successivamente ricevuto alcuna comunicazione di invito. Aveva così maturato il diritto ad un compenso globale di lire 60.000.000, a fronte di una somma effettivamente percepita di lire 32.055.550 sicchè residuato un credito per differenza (L. 27.944.450 pari a Euro 14.432.10).

Con l'opposizione l'A. chiedeva al Giudice adito di revocare l'opposto decreto ingiuntivo ed in accoglimento dei motivi di opposizione, rigettare la domanda ex adverso proposta perchè inammissibile, infondata in fatto e diritto e, in ogni caso, perchè prescritto il credito con essa fatto valere.

In particolare sosteneva l'Azienda che la pretesa di pagamento non poteva essere commisurata alla durata dell'incarico, ma doveva tener conto che la cessazione dell'incarico di revisore attribuito al dott. O. coincise con il momento della trasformazione (L. n. 142 del 1990, ex art. 23) dell'A. da azienda municipalizzata in azienda speciale, avvenuta con deliberazione del consiglio comunale del 29.09.1995.

Pertanto la pretesa di pagamento, arbitrariamente estesa all'intero triennio, non aveva tenuto conto che l'incarico di revisore, conferito dalla azienda municipalizzata, doveva considerarsi - al momento della cessazione di quest'ultima e della formazione di un nuovo soggetto (l'azienda speciale) - non suscettibile di prosecuzione in capo ad un soggetto giuridico nuovo(Azienda speciale). E quindi la somma di L. 32.055.550 che l'opposto dichiarava di aver percepito, in effetti, copriva l'intero ammontare del compenso maturato a fronte della prestazione di revisore resa dall'interessato.

2. Pronunciandosi nell'instaurato contraddittorio delle parti, il tribunale del lavoro di Taranto, con sentenza n. 765/2006, accoglieva l'opposizione; revocava il decreto ingiuntivo opposto; condannava l'azienda al pagamento della residua somma netta oltre accessori di legge, compensando per metà le spese di lite e condannando la società a rimborsare all'opposto l'altra metà.

Osservava il tribunale che: a) l'attività professionale era stata svolta in regime di parasubordinazione, perchè continuativa, coordinata e prevalentemente personale, e dunque rientrava nella fattispecie di cui all'art. 409 c.p.c., n. 3, con conseguente radicamento della competenza del giudice del lavoro; b) non era fondata l'eccezione di prescrizione, in quanto il relativo termine era stato interrotto con lettera del luglio del 1999 ed il ricorso introduttivo del giudizio era stato depositato il 7 febbraio 2004, a nulla rilevando che la lettera interruttiva fosse stata inviata al presidente dell'A., in quanto era importante che ne fosse stato destinataria la società; c) il professionista aveva diritto alle differenze retributive richieste, giacchè egli, partecipe delle riunioni del collegio di revisore dei conti fino all'aprile del 1996, era comunque stato a disposizione dell'ente per tutto il triennio, rinunciando così ad altri incarichi, ciò che, secondo la giurisprudenza della cassazione, da diritto al pagamento del compenso pattuito; d) il decreto ingiuntivo recava somme la cui determinazione non teneva conto che le somme corrisposte erano al netto, sicchè dovendosi modificare l'importo da riconoscere, era necessario revocarlo.

3. Proponeva appello la società A. cui resisteva l'appellato.

La corte d'appello di Lecce con la sentenza del 27 maggio 2009 - 12 ottobre 2009 respingeva il gravame compensando le spese del grado.

4. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l'A. con tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo l'azienda ricorrente denuncia la violazione dell'art. 1362 c.c., commi 1 e 2, e dell'art. 1363 c.c., oltre a vizio di motivazione. Secondo la ricorrente la sentenza impugnata ha accolto una lettura "mutila ed a senso unico" della Delib. 29 settembre 1995, del consiglio comunale.. In particolare osserva la ricorrente che aver stabilito gli organi sociali e le attribuzione degli stessi, senza prevedere espresse deroghe transitorie, non offriva spazio alcuno alla sopravvivenza dell'attività dei revisori ipotizzata dalla sentenza come effetto di un obbligo trasmissibile dall'azienda municipalizzata. Inoltre - osserva sempre la ricorrente - il consiglio comunale si era riservato di provvedere con separato provvedimento alla nomina di un nuovo collegio dei revisori dei conti.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione dell'impugnata sentenza. Sostiene essere immotivata l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui era infondata la censura dell'appellante che aveva lamentato che il tribunale non avesse rilevato che, con la trasformazione dell'azienda municipalizzata, si era estinto il collegio dei revisori.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 142 del 1990, artt. 22 e 23. Pone in rilievo, in particolare, che il tenore letterale delle disposizioni contenute soprattutto nell'art. 23 citato consente di escludere l'esistenza di qualsivoglia elemento di continuità - e comunque di identità - tra la estinta azienda municipalizzata e la nuova azienda speciale.

2. Il ricorso - i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato.

La corte appello ha puntualmente fatto riferimento all'assunzione da parte dell'azienda speciale di tutti gli obblighi gravanti sull'azienda municipalizzata. Quindi anche l'obbligo assunto nei confronti dell'attuale resistente di un rapporto di collaborazione triennale a carattere professionale (revisore dei conti) a fronte di un compenso complessivo, pattuito in complessive L. (Ndr: testo originale non comprensibile) transitava dall'azienda municipalizzata all'azienda speciale. Ove quest'ultima avesse ritenuto che il nuovo assetto societario rendeva non utilizzabile - nel corso del previsto triennio di durata del rapporto - la prestazione dell'attuale resistente avrebbe dovuto risolvere il contratto di collaborazione comunicando il recesso ovvero domandando in giudizio la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta. Ciò che la società invece non ha fatto con la conseguenza che la stessa è rimasta obbligata - e quindi in mora crederteli - nei confronti dell'attuale resistente fino alla scadenza del triennio; sicchè correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che all'originario ricorrente spettasse per intero il compenso pattuito.

Nè dalla L. n. 142 del 1990, artt. 22 e 23, è possibile desumere la risoluzione ex lege del contratto di collaborazione professionale.

Anzi ha affermato in proposito questa corte (Cass., sez, lav., 8 novembre 2004, n. 21248) che il trasferimento di azienda, ancorchè risulti da decisioni unilaterali delle pubbliche amministrazioni, rientra nel campo di applicazione della direttiva CEE del Consiglio n. 77/187 del 14 febbraio 1977, e quindi deve ritenersi che l'art. 2112 c.c., in tema di trasferimento di impresa, sia applicabile anche al trasferimento di impresa che sia disposto con atto unilaterale della pubblica amministrazione. Sicchè nella specie gli obblighi assunti nei confronti dell'originario ricorrente dall'azienda municipalizzata sono transitati in capo all'azienda speciale di nuova costituzione.

3. Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 (tremila) per onorario d'avvocato ed oltre IVA, CPA e spese generali.