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lunedì 28 maggio 2012

Distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorative e contratto di lavoro subordinato - Cass. sez. lavoro, sent. n. 290 del 12.01.2000

Svolgimento del processo

Con atto depositato in data 15 febbraio 1994 la signora A. S. proponeva appello avverso la sentenza non definitiva n. 632 del pretore di Oristano in data 9 novembre - 2 dicembre 1993, con la quale era stata rigettata l'opposizione della predetta avverso i decreti ingiuntivi INPS n. 228/88 e 229/88 ed avverso l'ordinanza ingiunzione I.N.A.I.L. n. 159/89, ed era stato dichiarato che il rapporto di lavoro intercorso tra la medesima e la signora R. M. aveva avuto natura di lavoro subordinato, con rimessione della causa in istruttoria per la determinazione del "quantum" dovuto a quest'ultima.

Nel primo grado del giudizio erano state, invero, proposte, separatamente, tre distinte cause contro la S., l'INPS e l'INAIL.

I decreti ingiuntivi erano stati emessi a seguito di ispezioni da parte dell'Istituto, avendo gli incaricati di questo accertato che tra la S. ed il personale impiegato nella sua azienda era intercorso un rapporto di lavoro subordinato e che la datrice di lavoro non aveva ottemperato agli obblighi contributivi e previdenziali.

Anche l'ordinanza-ingiunzione INAIL era stata emessa sulla base di accertamenti ispettivi.

La signora M., poi, aveva proposto autonomo ricorso finalizzato a far dichiarare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la S. ed ad ottenere le differenze retributive dovute a tale titolo.

Il pretore, ravvisando nelle tre distinte controversie, ragioni di connessione, ne aveva disposto la riunione, di tal che esse, dopo una separata fase istruttoria iniziale, erano proseguite congiuntamente fino alla sentenza, oggetto dell'appello della S..

L'appellante chiedeva la riforma della sentenza appellata, in considerazione dell'erroneità della qualificazione giuridica del rapporto.

L'INAIL contestava "in toto" le osservazioni della appellante - esclusa quella relativa alla tempestività dell'opposizione -, ed, in particolare, il fatto che l'attività dell'azienda non rientrasse tra quelle per le quali era prevista l'assicurazione obbligatoria.

L'INPS chiedeva la conferma della sentenza appellata, stante l'esatta qualificazione del rapporto di lavoro da parte del pretore.

La signora M. confermava la posizione assunta nel ricorso introduttivo, chiedendo la conferma della sentenza appellata.

Con sentenza n. 379/96 il Tribunale di Oristano rigettava l'appello e dichiarava le spese processuali interamente compensate tra le parti.

Osservava il Tribunale che il contratto ex art. 2549 c.c. è un contratto a forma libera, ma che, in assenza di un supporto cartaceo, s'imponeva un onere probatorio più gravoso per la sedicente associante, e che un contratto scritto all'inizio dell'attività lavorativa non esisteva, essendo questo stato redatto nel 1986, in epoca successiva agli accertamenti degli enti pubblici; che, nonostante la fondatezza di talune doglianze della S., l'analisi delle deposizioni testimoniali dei testi escussi in istruttoria conduceva alle medesime conclusioni del pretore.

Ai fini della qualifica del rapporto ex art. 2549 il Tribunale riteneva elemento imprescindibile il tipo di retribuzione pattuita, oltre che, in assenza di forma scritta, l'individuazione delle volontà delle parti.

Il Tribunale osservava poi che l'unico apporto delle lavoratrici all'azienda avrebbe dovuto essere l'attività lavorativa, ed esse dovevano infilare gli "anellini nelle spalline dei reggiseni", senza alcuna ingerenza nella gestione dell'azienda, affidata alla sola associante; che il sistema retributivo pattuito aveva, quale unico presupposto, un rapporto tra la quantità di lavoro eseguito ed il prezzo pattuito per ciascun pezzo, e nessun effettivo riferimento al fatturato ed agli utili, in relazione ai quali non vi era alcuna effettiva verifica da parte delle lavoratrici per constatare la percentuale di loro pertinenza; che anche la descrizione del sistema retributivo, fornita dal coniuge della S. in sede di interrogatorio libero, appariva carente ed in contrasto con le affermazioni dei testi; che, al momento dell'assunzione, ogni lavoratrice era al corrente del fatto che la sua retribuzione sarebbe stata variabile in base al numero dei pezzi lavorati sulla base delle percentuali pattuite e che la volontà delle lavoratrici non era certo finalizzata a costituire un rapporto di associazione in partecipazione, ma solo un rapporto di lavoro subordinato, retribuito in maniera difforme alle regole, e tale circostanza risultava confermata dall'analisi degli altri elementi rilevanti, ma non determinanti (orario di lavoro, assenza dal lavoro, lavoro straordinario, retribuzione legata al fatturato, gestione dell'azienda).

Non poteva, poi, secondo il Tribunale, attribuirsi valore negoziale ai contratti di associazione in atti, e l'opposizione all'ordinanza ingiunzione INAIL andava rigettata, risultando, dai verbali ispettivi in atti, presenti nell'azienda macchinari ed attrezzature, per i quali è imposta la tutela assicurativa obbligatoria, indipendentemente dall'uso concreto che ne faccia ogni singola dipendente.

Avverso detta sentenza, con atto notificato il 18 febbraio 1997, la signora A. S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro.

L'INPS ha depositato solo procura speciale.

L'intimata signora R.M. non si è costituita in giudizio.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 c.c. e segg. e degli artt. 2549 e segg. c.c., nonché vizi di motivazione, la ricorrente deduce inadeguatezza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta irrilevanza delle due dichiarazioni con valore negoziale firmate dalle "associate" nel 1986 e nel 1989; che le affermazioni del Tribunale si risolvevano in mere petizioni di principio indimostrate ed immotivate, ed in contrasto con le risultanze testimoniali comprovanti che le associate erano state rese edotte fin dal principio del tipo di rapporto instaurato, da esse accettato in piena consapevolezza e senza alcuna costrizione; che nella specie risultava insussistente una concreta limitazione dell'autonomia negoziale del lavoratore; che vi era pure contraddittorietà della motivazione del Tribunale in relazione all'analisi del tipo di retribuzione pattuita, della partecipazione delle lavoratrici al rischio d'impresa, e del controllo esercitato dalle associate sui guadagni realizzati; che vi erano vizi di motivazione in ordine alla sussistenza o meno della subordinazione.

Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del D.P.R. n. 1124 del 1965, nonché vizi di motivazione, la ricorrente deduce che nel verbale di accertamento INAIL non si fa cenno alla presenza in laboratorio di macchinari di qualsiasi genere, né tanto meno all'uso di macchinari da parte delle associate, ed in particolare non si fa cenno a macchinari il cui utilizzo rende obbligatoria la copertura assicurativa; che le deposizioni testimoniali erano nel senso indicato dalla ricorrente e l'attività svolta dalle associate non rientrava tra quelle protette dal D.P.R. n. 1165 del 1924.

Il ricorso, articolato in due motivi, non è fondato.

Riguardo al primo mezzo va osservato che, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema (v. "ex plurimis" Cass., 6 novembre 1998 n. 11222), in tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorative da parte dell'associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell'impresa, la riconducibilità del rapporto all'uno od all'altro degli schemi predetti esige un'indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo importa l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza per l'associato di un rischio d'impresa, non immutabile dall'associante e non limitato alla perdita della retribuzione, con salvezza del diritto alla retribuzione minima proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere dell'associante d'impartire direttive ed istruzioni al cointeressato.

Non è necessario peraltro, nella specie, determinare l'esatta natura del rapporto associativo, e neppure se esso sia vero o simulato, potendo coesistere nello stesso soggetto la duplice qualità di associato e quella di lavoratore subordinato.

Occorre, invece, accertare se il corrispettivo dell'attività lavorativa escluda o meno un apprezzabile rischio, se colui che la esplica sia assoggettato al potere disciplinare e gerarchico della persona o dell'organo che assume le scelte di fondo nell'organizzazione delle persone e dei beni, e, ancora, se il prestatore abbia un potere di controllo sulla gestione economica dell'impresa, in particolare in relazione ad un obbligo di rendiconto periodico da parte degli organi amministrativi.

Trattasi di un accertamento di fatto, esclusivamente devoluto al giudice del merito, non sindacabile in questa sede se risulti - come nella specie - sufficientemente e correttamente motivato, sulla base di una valutazione logica ed esauriente delle risultanze istruttorie.

Il Tribunale è pervenuto al convincimento che nella specie si trattava di un rapporto di lavoro subordinato, considerando in particolar modo il sistema retributivo, il limitato controllo che le lavoratrici potevano effettuare, l'osservanza di un orario di lavoro, la subordinazione alle direttive dell'attuale ricorrente, cui interamente facevano capo la gestione dell'azienda, nonché l'organizzazione del lavoro ed i rapporti con i committenti; la mancata assunzione del rischio d'impresa da parte delle lavoratrici; l'individuazione della volontà delle parti e l'esclusione di qualsiasi ingerenza delle lavoranti nella gestione dell'azienda, affidata alla sola ricorrente, sulla quale non gravava alcun obbligo di rendiconto nei confronti delle dipendenti.

Tutto ciò comportava la qualificazione del rapporto come di lavoro subordinato, in assenza peraltro di qualcosa di definito che deponesse per l'associazione in partecipazione.

Anche il secondo motivo è privo di pregio, in quanto anch'esso ha per oggetto un apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede, e tenuto conto che, ai sensi dell'art. 1 del T.U. n. 1124 del 1965, l'obbligo assicurativo sussiste anche a favore delle persone comunque occupate in uffici, laboratori od ambienti organizzati per lavori, opere o servizi che comportano l'impiego di macchine, apparecchi od impianti elettrici; e nel caso specifico dai verbali ispettivi - come accertato dal Tribunale - era risultata la presenza nell'azienda di quei macchinari ed attrezzature per i quali si impone la tutela assicurativa obbligatoria.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza nei confronti dell'INPS e dell'INAIL, con la liquidazione come da dispositivo.

Non deve provvedersi in ordine alle spese nei confronti dell'intimata non costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti dell'INPS, liquidate in lire 20.000 oltre lire 3.000.000 (tremilioni) per onorario difensivo, e nei confronti dell'INAIL, liquidate in lire 27.000, oltre lire 4.000.000 (quattromilioni) per onorario difensivo. Nulla per le spese del predetto giudizio nei confronti dell'intimata non costituita.

Così deciso in Roma il 21 aprile 1999.