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lunedì 28 maggio 2012

Elementi sintomatici della situazione di subordinazione - Cass., sez. lavoro, sent. n. 11502 del 02.09.2000

Secondo la sentenza che segue, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo ha carattere sintetico (nel senso che, rilevati alcuni indici significativi, li valuta nel loro insieme, in relazione alle peculiarità del caso concreto).

Testo sentenza

Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Civitavecchia S.T. chiedeva la condanna della società G. al pagamento di compensi dovuti per prestazioni di lavoro subordinato svolte dal 1983 al 1991, osservando un costante orario di lavoro, presso lo stabilimento denominato S. G., con varie mansioni di addetto alla pulizia e disinfestazione delle piscine, nonché alla manutenzione degli impianti e alla pulizia degli spogliatoi. Il Pretore adito rigettava la domanda e il Tribunale di Civitavecchia riformava in appello tale decisione con sentenza del 30 luglio 1997, condannando la società appellata al pagamento di differenze retributive per oltre 60 milioni. Il giudice dell'appello affermava l'esistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato, rilevando che il sig. T. era stabilmente inserito nell'organizzazione della G. ed assoggettato al controllo e alle direttive della società; che le attività lavorative di vario genere erano svolte osservando un orario fisso di lavoro, con l'utilizzazione di strumenti della società, e retribuite con un compenso mensile fisso.

Avverso tale decisione la S.p.a. G. propone ricorso per cassazione con due motivi. L'intimato non si è costituito.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società ricorrente, denunciando, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 409 n. 3 cod. proc. civ., 2094 e 2222 cod. civ., deduce che il giudice dell'appello ha erroneamente qualificato la fattispecie, includendo nei caratteri della subordinazione tratti comuni alla categoria della parasubordinazione, enunciando criteri di discriminazione sbagliati ed attribuendo valore determinante a semplici presunzioni. Il dato dell'inserimento del lavoratore nell'azienda, utilizzato dal Tribunale, corrisponde, infatti, al coordinamento dell'attività prestata con gli altri fattori produttivi organizzati dall'imprenditore, ed è proprio anche della prestazione continuativa e coordinata in assenza di subordinazione; nel caso concreto, il tipo di servizio prestato poteva svolgersi solo all'interno dell'azienda, compatibilmente con gli orari di apertura al pubblico e con le attività previste nel complesso sportivo. Ai fini dell'accertamento del requisito della subordinazione, era decisivo accertare se le modalità di svolgimento del lavoro erano state predeterminate con l'accordo originario tra le parti o se, invece, erano il frutto di direttive impartite dal datore di lavoro in ogni momento e fase della lavorazione.

Analogamente, la previsione di un orario fisso di attività non poteva essere considerata elemento sufficiente per ravvisare il vincolo di subordinazione, da escludere quando la prestazione, per sua natura o per altri fattori, debba essere effettuata in tempi non modificabili.

La retribuzione in misura costante di prestazioni rese con continuità non appartiene poi in via esclusiva al contratto di lavoro subordinato.

La ricorrente rileva, inoltre, l'erroneità dei criteri usati per la qualificazione del rapporto con riferimento alla predeterminazione delle modalità della prestazione (non essendo sufficiente l'assoggettamento a mere direttive generali, dettate in via programmatica, perché quando si tratta, come nella specie, di attività di tipo materiale, il vincolo della subordinazione si realizza con un potere continuativo di intervento del datore di lavoro) agli strumenti di lavoro usati, all'oggetto della prestazione (riferibile non ad un'opera ma ad energia lavorativa) nonché all'assoggettamento a controllo del datore di lavoro, dovendosi distinguere la manifestazione di autorità gerarchicamente sovraordinata, diretta a verificare la conformità delle prestazioni alle direttive impartite, dall'esercizio del potere di controllo sull'esecuzione dell'opera o del servizio che caratterizza il lavoro autonomo.

Si osserva, infine, che la sussistenza di connotati normalmente propri del lavoro subordinato resta irrilevante, ove difetti l'assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisca all'intrinseco svolgimento delle prestazioni.

Il motivo non merita accoglimento. In relazione alla configurabilità, da un lato, di una nozione giuridica di subordinazione nella prestazione di lavoro (assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporne secondo le mutevoli esigenze di tempo e luogo proprie dell'organizzazione imprenditoriale e di determinarne le concrete modalità con l'imposizione di decisioni e istruzioni alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, nella permanenza dell'obbligazione del medesimo di mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie energie lavorative), e, dall'altro, di elementi sintomatici della situazione di subordinazione (quali la continuità dello svolgimento delle mansioni, il versamento a cadenze periodiche del relativo compenso, la presenza di direttive tecniche e di poteri di controllo e disciplinari, il coordinamento dell'attività lavorativa rispetto all'assetto organizzativo aziendale e l'alienità del risultato, l'esecuzione del lavoro all'interno della struttura dell'impresa con materiali ed attrezzature proprie della stessa, l'osservanza di un vincolo di orario, l'assenza di rischio economico), il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo ha carattere sintetico (nel senso che, rilevati alcuni indici significativi, li valuta nel loro insieme, in relazione alle peculiarità del caso concreto). Esso integra un giudizio di fatto censurabile, in sede di legittimità, solo per ciò che riguarda la individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, mentre è insindacabile, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la scelta degli elementi di fatto cui attribuire, da soli o in varia combinazione tra loro, rilevanza qualificatoria e la riconduzione o meno degli stessi allo schema contrattuale del lavoro subordinato (Cass. 14 dicembre 1996 n. 11178). L'esistenza del vincolo della subordinazione implica la messa a disposizione da parte del lavoratore delle proprie energie a favore del datore di lavoro, con l'assoggettamento al potere direttivo e disciplinare di questi; la giurisprudenza di questa Corte ha peraltro, più volte precisato (anche con specifico riferimento ad ipotesi di attività prestata presso palestre o società sportive: cfr. Cass. 18 dicembre 1996 n. 11329, 18 giugno 1998 n. 6114, 19 novembre 1998 n. 11711) che quando non sia agevole, in base a tale fondamentale criterio, l'apprezzamento della subordinazione o dell'autonomia, possono soccorrere, ai fini della qualificazione del rapporto, quali elementi indiziari rilevanti nell'ambito di una valutazione globale della vicenda, criteri distintivi sussidiari, come l'esistenza in capo al lavoratore di un'organizzazione imprenditoriale, sia pure in termini minimi, che nel lavoro autonomo non può mancare, ovvero l'incidenza del rischio economico attinente all'esercizio dell'attività lavorativa, che nel lavoro autonomo grava sullo stesso lavoratore.

La decisione impugnata, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non si discosta da tali principi, perché la natura del vincolo obbligatorio tra le parti è stata identificata accertando che nel caso concreto l'attività lavorativa veniva esplicata dal sig. T., come elemento inserito nell'organizzazione dell'impresa, sotto la vigilanza e le direttive dell'imprenditore. Il Tribunale ha ritenuto che una conferma in questo senso potesse desumersi dalla circostanza che il T. richiese un permesso per assentarsi dal servizio nell'unica occasione di mancata presenza al lavoro; si tratta, evidentemente, di un tipico apprezzamento di fatto, (insindacabile in questa sede di legittimità) relativo alla scelta degli elementi di fatto posti a base del convincimento espresso.

Analoghe considerazioni valgono per le altre circostanze utilizzate, in base ai criteri sopra richiamati, come dati sintomatici della situazione di subordinazione.

Con il secondo motivo si denuncia ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. un vizio di omessa motivazione, rilevandosi che il giudice di merito non ha valutato due circostanze rilevanti ai fini dell'indagine. La prima riguarda le dichiarazioni dell'unico teste escusso, secondo cui in occasione di un incidente in cui era incorso il sig. T. "uno dei soci della G. aveva sconsigliato di denunciare il fatto, perché si trattava di un rapporto di collaborazione e non di dipendenza". Secondo la ricorrente, tale elemento doveva essere utilizzato ai fini della ricostruzione della volontà negoziale delle parti, per il valore da attribuire a tal fine al "nomen iuris" adottato dal contraenti.

Il Tribunale non ha poi tenuto conto del sistema di pagamento del corrispettivo della prestazione, operato attraverso versamenti con ritenuta d'acconto; tale circostanza doveva essere considerata in relazione alla "volontà esecutiva delle parti nel dare al contratto una veste giuridica".

Le censure appaiono inammissibili, perché le deduzioni della ricorrente non consentono di apprezzare la rilevanza, e quindi la decisività, delle circostanze di cui sarebbe stato omesso l'esame.

Non è, infatti, dato comprendere come la valutazione espressa da un terzo in ordine alla natura del rapporto di lavoro possa fornire indicazioni sulla volontà negoziale espressa dalle parti stipulanti; a tal fine, è poi certamente irrilevante la modalità adottata per il pagamento del compenso.

Il ricorso deve essere, quindi, respinto. Non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio, data la mancata costituzione dell'intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma il 13 marzo 2000

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 2 SETT. 2000.