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martedì 29 maggio 2012

Elementi sussidiari al lavoro subordinato - Cass. sent. n. 2553 del 29.03.1990

Svolgimento del processo

La F. S.r.l., con atto notificato il 7 agosto 1987, propone ricorso per cassazione, affidato a due mezzi di annullamento, avverso la sentenza del 9 luglio-13 agosto 1986, con cui il Tribunale di Nuoro conferma le sentenze del 20 luglio 1985 ("sull'an") e del 16 aprile 1986 (sul "quantum") con le quali il Pretore della stessa città aveva ritenuto di natura subordinata il rapporto di lavoro tra la società e A. P., per la pulizia dei locali, e liquidato le conseguenti spettanze.

A. P. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società ricorrente denunzia "violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 2697, 2730 c.c. e dell'art. 420 c.p.c..; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio" e lamenta che la sentenza impugnata non appare corretta alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in quanto attribuisce valore determinante, per dimostrare la continuità caratteristica del lavoro subordinato, al fatto che la prestazione veniva svolta giornalmente; trascura o non tiene nel debito conto ai fini della personalità della prestazione che l'attività veniva spesso svolta con l'aiuto delle figlie o di una signora (come ammette la stessa Porcheri); fonda il ritenuto esercizio del potere direttivo, ai fini della coordinazione e dell'inserimento stabile nell'organizzazione dell'impresa, su argomentazioni erronee, generiche ed insufficienti.

Deduce anche che il Tribunale sembra muovere dal presupposto, erroneo in base al principio dell'onere della prova, che debba essere la società a provare la inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato e non la lavoratrice a provarne l'esistenza.

Ed indica la contraddittorietà denunziata nel passo della sentenza che afferma l'esistenza di un orario di lavoro predeterminato, aggiungendo subito dopo "ma con una certa elasticità".

Il motivo è fondato e va accolto.

Ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto, come è pacifico in dottrina e giurisprudenza, sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità concrete del suo svolgimento.

Ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, in questa sede di legittimità è censurabile soltanto la individuazione dei criteri distintivi, generali ed astratti, da applicare al caso concreto per la definizione del rapporto stesso, mentre costituisce apprezzamento di fatto incensurabile, se adeguatamente motivato, la valutazione da parte del giudice di merito delle circostanze concrete che fanno rientrare il rapporto sottoposto al suo esame nell'uno o nell'altro schema.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema, pur avendo, a seconda dei casi, dato rilievo a vari elementi sintomatici del rapporto di lavoro subordinato, attribuisce valore determinante alla "subordinazione", cioè a quel "vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore d'opera ad un potere direttivo (con direttive che ineriscano di volta in volta all'intrinseco svolgimento delle prestazioni) del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua libertà". Mentre si è ritenuto che altri elementi, quali la collaborazione, l'assenza di rischio, la natura dell'oggetto della prestazione, la continuità di essa, la forma della retribuzione e l'osservanza di un orario, possono avere una portata sussidiaria e non decisiva ai fini della individuazione del rapporto di lavoro subordinato e della sua distinzione rispetto a quello di lavoro autonomo.

La giurisprudenza di questa Corte è altresì nel senso che, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, non si può prescindere dalla preventiva ricerca della volontà delle parti, giacché il principio secondo cui ai fini della distinzione in questione è necessario avere riguardo allo effettivo contenuto del rapporto stesso, indipendentemente dal "nomen iuris" usato dalle parti, non implica che la dichiarazione di volontà di queste in ordine alla fissazione di tale contenuto o di un elemento di esso qualificante ai fini della distinzione medesima debba essere stralciata dall'interpretazione del precetto contrattuale e che non debba tenersi conto del relativo reciproco affidamento delle parti stesse e della concreta disciplina giuridica del rapporto quale voluta dalle medesime nell'esercizio della loro autonomia contrattuale. Sicché, quando le parti, nel regolare i loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere l'elemento della subordinazione, non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto se non si dimostra che in concreto l'elemento in questione si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo.

Un tale modo di procedere assume, poi, una rilevanza particolare nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili con l'uno e con l'altro tipo di rapporto, nei quali le parti, che non possono non averli presi in considerazione, manifestano la volontà di instaurare uno piuttosto che un altro tipo di rapporto, in correlazione all'esigenza di realizzare una struttura organizzativa diversificata attraverso il supporto di lavoratori esterni autonomi ed un organico di lavoratori subordinati, che sia funzionale all'esercizio dell'attività imprenditoriale secondo i canoni dell'economia (cfr. Cass. Sez. Lav. n. 6284-1987 e la giurisprudenza ivi citata).

Con specifico riferimento al servizio di pulizia di locali, che ricorre nella specie, questa Corte ha precisato che:

1°) "né la ripetizione giornaliera della prestazione, né la corresponsione di un compenso fisso sono elementi sufficienti a rendere configurabile la continuità del rapporto tipica del lavoro subordinato allorché manchi lo stabile inserimento del lavoratore nell'impresa che fa sì che egli sia tenuto, anche negli intervalli tra le singole prestazioni, alla osservanza degli obblighi giuridici inerenti al rapporto stesso" (Cass. n. 708-1986);

2°) il vincolo della subordinazione non può essere affermato "in base al mero riscontro che la suddetta attività (pulizia di uffici) sia regolata dalle direttive del datore di lavoro, anche se relative ad orari e modalità di esecuzione della prestazione, tenuto conto che anche nel lavoro autonomo e nell'appalto di servizi è configurabile l'ingerenza del creditore della prestazione in ordine ai tempi ed ai modi dell'adempimento" (Cass. n. 1242-1986).

La sentenza impugnata che basa la conclusione della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sulla periodicità giornaliera del servizio, sulla personalità della prestazione "sebbene alcuni testi abbiano detto di aver visto la Porcheri insieme ad un'altra persona" dalla quale la stessa Porcheri ammette di essere stata aiutata "in una sola occasione, dietro autorizzazione dell'amministrazione della società"; sul fatto che il denaro necessario per l'acquisto dei materiali per le pulizie le veniva dato dalla società, da cui sembra desumere che la Porcheri non avesse una sua autonoma organizzazione di mezzi e di persone; sulla presunta esistenza del requisito della coordinazione o direzione che trae, nella riconosciuta mancanza di "tracce probatorie di un continuo ed incisivo controllo nell'attività lavorativa della Porcheri; dal fatto che questa "svolgesse il suo lavoro secondo le direttive che erano state oggetto di accordo, osservando l'orario e le modalità della prestazione della attività così come erano state stabilite", impinge certamente nel vizio denunziato con il motivo in esame, alla stregua dei principi anzidetti affermati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema.

Infatti si affida ad elementi equivoci quali la periodicità giornaliera della prestazione, le direttive nello svolgimento del lavoro e l'osservanza dell'orario (che contraddittoriamente definisce predeterminato, "sebbene con una certa elasticità"), e delle modalità di prestazione dell'attività, "così come erano state stabilite"; specificamente contestati con riferimento alla personalità della prestazione e non logicamente sviluppati quando dalla semplice consegna del denaro per l'acquisto dei materiali (che evidentemente doveva avvenire o era avvenuto a cura ed opera della Porcheri) perviene prima all'affermazione dell'acquisto da parte della Società e poi dello svolgimento dell'attività "con mezzi predisposti dal datore di lavoro".

Il secondo motivo di ricorso con il quale denunziandosi "violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost., art. 2099 c.c., omessa insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia proposto dalle parti o rilevabile d'ufficio" si contesta la determinazione del "quantum", proposto in via subordinata rispetto al primo, resta evidentemente assorbito nell'accoglimento di questo.

La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altro Tribunale che la deciderà uniformandosi ai principi enunciati in motivazione e che provvederà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, al Tribunale di Oristano.

Così deciso in Roma il 24 ottobre 1988.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 29 MARZO 1990.