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martedì 5 marzo 2013

Infortunio e comportamento abnorme del lavoratore - responsabilità penale

Secondo la sentenza in commento, la condotta pur maldestra o disorientata (nella specie determinata dallo stato di ebbrezza alcolica) consiste in un comportamento imprudente, per il quale anche è posto l'obbligo del datore di lavoro di prevenire l'infortunio. Nel caso, quindi, non ricorre il comportamento anomalo del lavoratore qualificabile come causa sufficiente a produrre l'evento.

In particolare, lo stato di incapacità di intendere e volere del lavoratore non sarebbe comunque in grado di  liberare il datore di lavoro dalla propria responsabilità per eventuali omissioni antinfortunistiche (nella specie,  il lavoratore avrebbe usato la cintura di sicurezza in modo errato) 

Di seguito la sentenza della Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 36272 del 2012

OMISSIS

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Torino con sentenza del 19 novembre 2010 confermava la condanna inflitta dal Tribunale di Acqui Terme a M.G., ritenuto responsabile del decesso di C. G., lavoratore che mentre era intento alle sue occupazioni quale dipendente di fatto del M., precipitava da un vano finestra posto a cinque metri di altezza dal suolo, riportando lesioni personali che ne cagionavano la morte.

I giudici di merito ritenevano accertato che il lavoratore era impegnato nei lavori di sigillatura del vano finestra di un locale sito al primo piano di un edificio presso il quale la ditta del M. stava eseguendo dei lavori edili. Onde operare presso il vano finestra era stato allestito all'interno del locale un ponteggio alto circa un metro dal pavimento, ma non erano state apprestate opere provvisionali all'esterno del vano, sul lato prospiciente il vuoto.

All'esito dei giudizi non era stato possibile stabilire con assoluta certezza quale specifica operazione il lavoratore stesse eseguendo al momento della caduta e quindi per quale ragione egli avesse perso l'equilibrio, anche in considerazione dell'accertato stato di ebbrezza alcolica del lavoratore al momento dell'incidente. Infatti dopo il decesso era stato accertato che il C. presentava un tasso alcolemico pari a 2,40 grammi al litro, quindi un valore implicante una marcata alterazione delle performance psicofisiche con disturbi di equilibrio, atassia, sensazione di instabilità ed ebbrezza.

L'incertezza sulle caratteristiche dell'operazione che il lavoratore stava eseguendo prima di precipitare tuttavia non veniva ritenuto preclusiva del giudizio di responsabilità perchè decisivo risultava il fatto che dovesse escludersi con assoluta certezza che il lavoratore fosse precipitato nel vuoto mentre si trovava con i piedi poggiati sul pavimento e cioè in una posizione che non avrebbe richiesto l'apprestamento di misure provvisionali secondo la previsione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16 a mente del quale i lavoratori impegnati ad un'altezza superiore a metri due dal suolo devono essere protetti da adeguate misure precauzionali. Poichè il lavoratore si trovava, per ragioni inerenti allo svolgimento delle sue mansioni in piedi su un piano sopraelevato rispetto al pavimento della stanza, con maggiori probabilità sul ponteggio, risultava violata la previsione normativa in quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto apprestare opere provvisionali atte a prevenire il rischio di caduta non solo verso l'interno della stanza ma soprattutto verso l'esterno dell'edificio. Osservava la Corte di Appello che era infatti quello della caduta dalla finestra nel vuoto esterno dell'edificio il pericolo maggiore che doveva essere prevenuto con l'apprestamento delle misure previste dalla normativa antinfortunistica. Su questo presupposto risultava irrilevante stabilire se al momento dell'evento il lavoratore fosse sul ponteggio piuttosto che sul davanzale, se stesse lavorando su un lato piuttosto che su l'altro del telaio e quindi se stesse operando in un punto posto al di sopra o al di sotto dei due metri rispetto al piano del pavimento.

Quanto allo stato di ebbrezza del C., la Corte territoriale rilevava che era probabile che tale condizione avesse reso il lavoratore imprudente ma ciò rappresentava causa concorrente con il fatto ascrivibile al datore di lavoro e quindi non un fatto interruttivo del rapporto causale tra questo e l'evento medesimo.

Ciò in quanto l'osservanza della normativa antinfortunistica è prescritta anche allo scopo di evitare che al lavoratore derivino danni da propri comportamenti imprudenti, negligenti o imperiti, con l'esclusione del solo comportamento assolutamente abnorme.

Comportamento che non poteva individuarsi nel caso di specie.

2. Ricorre per cassazione il M. a mezzo del proprio difensore di fiducia censurando la sentenza della Corte di appello con due motivi.

2.1. Un primo attiene all'illogicità della motivazione in ordine alla rilevanza dello stato di ubriachezza della vittima e comunque all'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 41 c.p., comma 2.

Infatti, sottolineando la gravità dello stato di ebbrezza in cui si era venuto a trovare il C. al momento della precipitazione, l'esponente ritiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che proprio in ragione di tale stato il lavoratore non era in grado di apprezzare la presenza di presidi regolarmente posti, secondo quanto prescrive la normativa, e di utilizzare gli eventuali dispositivi in dotazione. Con una duplice conseguenza: da un canto il comportamento del lavoratore non poteva dirsi semplicemente negligente, imprudente, imperito, palesandosi all'inverso come egli fosse in condizione di incapacità di intendere e di volere;

dall'altro canto le (contestate) omissioni del datore di lavoro dovrebbero essere qualificate come occasione e non come causa dell'infortunio, atteso che il lavoratore non sarebbe stato comunque in grado di utilizzare correttamente le misure adottate.

Qualora all'imputato si volesse ascrivere di non aver vigilato affinchè il C. non svolgesse il lavoro pericoloso nelle descritte condizioni psicofisiche, dovrebbe essere rilevato che tale contestazione non è stata formulata nè in atti sussistono elementi che permettono di affermare che il M. disponeva di elementi in quel giorno tali da indurlo ad effettuare un controllo sulle condizioni del proprio dipendente.

2.2. Con un secondo motivo si deduce la contraddittorietà ed illogicità della motivazione e travisamento di una prova decisiva con riferimento allo stato di ubriachezza della vittima in quanto la Corte, pur dando atto della grave imperizia del lavoratore, non ne ha tenuto conto in alcun modo nella ricostruzione della dinamica dell'infortunio; essa ha operato tale ricostruzione come se il lavoratore fosse stato sobrio. Ciò si tradurrebbe in un travisamento della prova oltre che nella manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato e pertanto non merita accoglimento.

3.1. Con il primo motivo il ricorrente non contesta il giudizio espresso dai giudici di merito in ordine alla sussistenza della violazione prevenzionistica, solo rappresentando che l'eventuale comportamento alternativo lecito del trasgressore non sarebbe comunque valso ad evitare l'evento luttuoso per l'incapacità del lavoratore di operare correttamente, in ragione dello stato di grave ebbrezza alcolica.

Senonchè, la tesi proposta dall'esponente risulta puramente congetturale. La verifica della capacità del comportamento alternativo lecito di evitare il prodursi dell'evento che l'ordinamento mira a prevenire (cd. giudizio contro-fattuale) va condotta alla luce del parametro della "elevata credibilità razionale", il quale chiama in causa l'utilizzo di leggi scientifiche di copertura o a massime di esperienza riconosciute, che permettono di ricostruire in via ipotetica quale sarebbe stato il divenire ordinario degli eventi una volta assunte determinate premesse fattuali. Sicchè il giudizio contro-fattuale non solo fa riferimento "al medesimo evento che si è verificato e non ... ad un evento diverso anche se analogo nelle conseguenze" (Cass. sez. 4, sent. n. 28782 del 9/6/2011, Cezza, rv. 250713), ma non è di per sè incompatibile con la presenza di ipotesi alternative, le quali vanno tuttavia scartate perchè non convalidate dalle citate massime di esperienza (e quindi meramente congetturali).

Orbene, che il lavoratore si fosse privato della cintura di sicurezza se fornita o l'avesse usata in modo errato; che egli avesse posto le protezioni del piano di lavoro verso il centro della stanza piuttosto che verso il vuoto sono appunto ipotesi in linea astratta non incompatibili con la condizione di ebbrezza alcolica, ma certo non convalidate da massime di esperienza.

In ogni caso, una volta stabilito che il vano finestra entro il quale doveva operare il C. doveva essere provvisto di protezioni sul vuoto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che l'essersi posto all'opera in stato di ebbrezza rappresenta una condotta colposa del lavoratore avente valore di concausa dell'evento prodottosi; come tale non idoneo ad escludere l'efficienza causale dell'inosservanza ascritta al M.. La condotta maldestra, inavvertita, scoordinata, confusionale per effetto dell'ebbrezza alcolica, null'altro è che un comportamento imprudente, anche a fronteggiare Il quale è posto l'obbligo prevenzionistico facente capo al datore di lavoro. E' immune da censure, quindi, la Corte di appello quando ha ritenuto che non ricorre nel caso di specie alcun comportamento anomalo del lavoratore e che quindi non è rinvenibile In esso una causa da sola sufficiente a produrre l'evento.

3.2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

La Corte di Appello ha puntualmente preso in considerazione lo stato di ebbrezza del lavoratore agli effetti della ricostruzione dell'accaduto, deducendone l'impossibilità di pervenire a una precisa descrizione dello svolgimento dei fatti. Il ragionamento della Corte territoriale risponde perfettamente ai dati processuali e non indulge in una ricostruzione congetturale pur di colmare la lacuna cognitiva derivante dall'impossibilità di ipotizzare un comportamento del lavoratore rispondente alla logica dell'uomo comune. Nè tale limitazione dell'accertamento ha effetti sul giudizio di attribuzione del fatto all'imputato, per le ragioni che si sono già evidenziate nell'esame del primo motivo di ricorso.

4. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.