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lunedì 26 maggio 2014

NULLITA' DEL TERMINE E RIAMMISSIONE IN SERVIZIO IN UNA SEDE DIVERSA

Secondo la sentenza in commento, se da una parte, in caso di riammissione in servizio in adempimento di un provvedimento giudiziale il datore di lavoro è tenuto a riassumere il lavoratore nello stesso posto di lavoro e nelle stesse mansioni precedentemente svolte, dall'altra, se non sussistono più le condizioni oggettive per la riammissione nello stesso posto e quindi nella stessa sede di lavoro e nelle stesse mansioni, è legittimo che il datore di lavoro, per causa a lui non imputabile e soprattutto non per sua volontà e scelta, riammetta in servizio il lavoratore anche in una sede diversa da quella originaria ed in mansioni equivalenti alle precedenti.

Tribunale di Milano sentenza del 19/08/2013
OMISSIS
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. e contestuale 700 c.p.c., la ricorrente (nonché Ai.Lu., Ma.Ba., Pr.Va., Ro.El., Sa.Ti. che hanno raggiunto un accordo conciliativo), premesso che con sentenza n. 3336/2011 del 28.6.2011 il Tribunale di Milano - non passata in giudicato essendo pendente appello - dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati tra le parti e la conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto a tempo indeterminato a decorrere dall'1.9.2007, e conseguentemente condannava l'odierna convenuta atta riammissione in servizio delta ricorrente con mansioni di cui al livello 3 CCNL di settore sin dall'1.9.2007, oltre alle conseguenze di tipo economico; che la convenuta solo con comunicazione del 3.10.2012 provvedeva a riammettere in servizio la ricorrente destinandola alla sede di Torino, sede diversa da Palermo individuata net contratto a termine convertito, adiva il Tribunale di Milano in funzione di Giudice del lavoro per sentire accertare e dichiarare la nullità del trasferimento ai sensi dell'art. 2103 c.c. per carenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e/o perché ritorsivo e/o discriminatorio, con condanna della convenuta a riassegnare la ricorrente presso la sede di Palermo indicata nel contratto a termine convertito. In via cautelare chiedeva la sospensione degli effetti del trasferimento. Si costituiva la convenuta in fase cautelare chiedendo il rigetto del ricorso. Veniva esperito il tentativo di conciliazione che a seguito di diversi rinvii aveva esito positivo solo per le altre ricorrenti.

Giunti ormai all'udienza di merito, per la quale la convenuta si costituiva regolarmene contestando in fatto e diritto le avverse domande e chiedendone il rigetto, veniva ritenuta superata la fase cautelare e, non essendo necessario procedere ad attività istruttoria, sulle conclusioni dei procuratori delle parti, la causa veniva decisa come da dispositivo di cui si dava lettura. Il ricorso non è fondato e va rigettato.

Va innanzitutto evidenziato che, se da una parte, in caso di riammissione in servizio in adempimento di un provvedimento giudiziale il datore di lavoro è tenuto a riassumere il lavoratore nello stesso posto di lavoro e nelle stesse mansioni precedentemente svolte, è pur vero che, dall'altra, se non sussistono più le condizioni oggettive per la riammissione nello stesso posto e quindi nella stessa sede di lavoro e nelle stesse mansioni, è legittimo che il datore di lavoro, per causa a lui non imputabile e soprattutto non per sua volontà e scelta, riammetta in servizio il lavoratore anche in una sede diversa da quella originaria ed in mansioni equivalenti alle precedenti. E' quanto verificatosi nel caso in esame.

E' documentalmente provato, e comunque non è contestato, che il servizio 114 Linea "Emergenza Infanzia" cui era adibita la ricorrente fosse, all'epoca del contratto a termine convertito, operativo per il solo triennio 2007-2009, prorogato fino ad aprile 2010; che successivamente TA si è aggiudicato nuovamente il Servizio Pubblico di Emergenza 114 con decorrenza dal "maggio 2010, per una durata di tre anni subordinatamente alla disponibilità per il secondo ed il terzo anno, dell'importo del contributo che allo stato alcun bando è stato emesso dal Ministero delle Pari opportunità per la selezione del nuovo gestore del servizio 114 né è stata disposta una proroga del servizio in corso, per cui il servizio è effettivamente cessato alla scadenza del triennio.

Tra l'altro, al momento della riammissione della ricorrente a decorrere dal 5.11.2012, addette al predetto servizio vi erano solo due lavoratrici dipendenti e per giunta a termine, di cui una assente per maternità e non sostituita, circostanze non contestate. Va comunque osservato che. in ogni caso, nel ricorso non si nega che il servizio non fosse destinato alla cessazione nel mese di aprile 2013 né si sostiene che la riammissione in servizio dovesse avvenire nell'ambito del predetto servizio. Anzi, proprio nella consapevolezza della cessazione del servizio, la ricorrente sostiene il diritto ad essere riammessa in servizio a Palermo nell'ambito del "Progetto ...", io stesso progetto cui è stata adibita presso la sede di Torino, sostenendo che, trattandosi di progetto di volontariato e quindi presente su tutto il territorio italiano, lo stesso sia presente anche presso la Casa Circondariale Pa. di Palermo.

Che il Progetto possa essere attuato anche a Palermo non è escluso, trattandosi di un progetto, per ammissione della stessa convenuta, a respiro nazionale. Sta di fatto però che lo stesso non è stato attuato a Palermo.

Del resto parte ricorrente nemmeno deduce e soprattutto offre di provare che tale progetto sia in vigore a Palermo e che allo stesso siano assegnati altri dipendenti. Come dedotto e documentato da parte convenuta il progetto in questione è un progetto promosso da TA e che ha portato prima a stipulare dei protocolli di intesa con i singoli istituti, tra i quali non vi è quello di Palermo, e poi a siglare in data 5.2.2013 un Protocollo d'Intesa tra TA ed il DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) per dare uniformità al progetto senza più necessità di stipulare specifici protocolli di intesa con i singoli istituti.

Proprio la stipula prima dei protocolli d'intesa con i singoli istituti e poi di quello con il DAP, e quindi l'assunzione per TA di un impegno più stabile, continuativo e pregnante, ha determinato la necessità di avvalersi anche di personale dipendente e non solo di volontari, il cui apporto, proprio perché volontario, non consente di effettuare un programma continuativo e sicuro. La conseguenza è stata la riammissione in servizio della ricorrente (e non solo) presso la sede di Torino. La scelta di TA di non avviare il progetto a Palermo non può essere sindacata rientrando la stessa nell'ambito della insindacabile libertà imprenditoriale. Né vi sono elementi concreti per ritenere che la mancata attuazione del progetto a Palermo rientri in un più ampio disegno dell'ente finalizzato esclusivamente a non riammettere in servizio la ricorrente e le altre lavoratrici i cui rapporti di lavoro a termine sono stati parimenti convertiti in rapporti a tempo indeterminato. Né tali elementi possono essere desunti dal fatto che la riammissione non sia stata immediatamente consecutiva alla sentenza, peraltro appellata dalla convenuta, considerato che la stessa ricorrente mai ha sollecitato la convenuta a dare esecuzione alla sentenza, provvedendo solo ad instaurare altro giudizio per la rivendicazione delle retribuzioni.

La cessazione del sevizio 114; la non attuazione a Palermo del ''Progetto Bambini e carcere"; l'inesistenza di altre attività a Palermo da parte di TA, tra l'altro nemmeno dedotte dalla ricorrente la quale, si ribadisce, impugna l'assegnazione presso la sede di Torino unicamente sul ritenuto e non dimostrato presupposto che tale progetto esista anche a Palermo; l'esistenza invece di un'esigenza lavorativa presso la sede di Torino; sono tutte circostanze che concretizzano anche quelle "ragioni tecniche, organizzative e produttive" che giustificano e legittimano il trasferimento. Quindi anche sotto tale aspetto il ricorso non è fondato.

In ragione della soccombenza e della reiterata proposta conciliativa formulata dalla convenuta e non accettata, la ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando in funzione di giudice del lavoro sulla domanda proposta, con ricorso depositato da Ta.Da. nei confronti di TA , ogni diversa domanda od eccezione reietta e/o disattesa, così provvede: rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite nella misura di Euro 1.000,00.

Indica in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Milano il 9 luglio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2013.