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lunedì 2 gennaio 2023

Assunzione Colf contratto lavoratore domestico

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Codice Fiscale rilasciato dall'agenzia dell'entrate

Eventuale delega.

LAVORATORE e LAVORATRICE

Documento di riconoscimento valido, Carta d'identità (e stato estero di appartenenza) o Passaporto; Codice Fiscale, Permesso di lavoro se lavoratore extracomunitario


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Segue:


Sentenza Corte appello Firenze sez. lav., 29/12/2021, (ud. 07/12/2021, dep. 29/12/2021), n.863


Fatto

FATTO E DIRITTO

Questa in sintesi la vicenda controversa, ricostruita sugli atti ed i documenti delle parti.


C.R. aveva convenuto avanti al Tribunale di Pisa la madre F.F. e, dopo la sua morte, aveva riassunto il giudizio nei confronti delle sorelle C.M.G., S. e A. nonché del fratello G., per chiedere di accertare la prestazione di lavoro domestico convivente che affermava di avere svolto in favore della madre dal gennaio 2014 al suo decesso del (OMISSIS), con inquadramento al livello D super CCNL e relativo diritto alla retribuzione mensile di Euro 1.381, lamentando che tale somma non le era mai stata pagata, e chiedendo che la relativa condanna fosse posta pro quota a carico delle sorelle e del fratello in quanto tutti coeredi della madre, originaria debitrice in quanto datrice di lavoro.


Dopo la riassunzione del ricorso, le sorelle C.M.G. e C.S. si erano costituite, con unica memoria dello stesso difensore, dando atto di avere nelle more rinunciato alla eredità della madre, e chiedendo pertanto di essere estromesse dal giudizio.


Il fratello C.G., erede della madre, si era costituito con altro difensore, svolgendo domanda riconvenzionale di condanna contro la ricorrente (senza tuttavia chiedere il relativo spostamento dell'udienza ex art. 418 c.p.c., motivo per cui la stessa domanda era poi ritenuta inammissibile).


Il minore T.N. (figlio di C.R., erede testamentario della nonna F.F.) si era costituito in persona del padre, aderendo sostanzialmente alla domanda della madre.


C.A. non si era costituita, rimanendo contumace.


Con la decisione impugnata, il Tribunale respingeva il ricorso in riassunzione, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di C.M.G., S. e G., liquidate per ciascuno di loro in Euro 7.025 oltre spese generali 15%, Iva e Cpa, e compensando invece le spese di lite nei confronti di T.N..


Secondo il primo giudice, la ricorrente non aveva allegato né provato il carattere subordinato della pretesa prestazione di lavoro domestico in favore della madre, che si doveva piuttosto presumere gratuita a causa dello stretto legame familiare fra le due. Per di più, le difese del fratello G., facendo riferimento al fatto che la sorella R. avrebbe gestito in proprio i redditi ed il patrimonio della madre, appropriandosi delle relative utilità, "allungavano sulla ricorrente l'ombra di un approfittamento della situazione".


C.R. appellava la sentenza nei confronti di C.M.G., S. e C.G., nonché T.N., censurandola con i seguenti motivi.


1) Rito.


L'appellante affermava nel corso del primo grado non le era stato consentito il pieno esercizio del diritto di difesa, poiché:


- dopo che il giudizio era stato interrotto per la morte della madre, e riassunto nei confronti delle sorelle e del fratello, nonché del proprio figlio T.N., il Tribunale aveva fissato la trattazione scritta per l'udienza di discussione del 19 novembre 2020;


- l'appellante aveva chiesto la revoca del medesimo provvedimento, con ulteriore termine a difesa, rappresentando che le controparti potevano costituirsi fino al giorno dell'udienza e che quindi essa non avrebbe avuto tempo e modo per replicare adeguatamente alle loro difese;


- in seguito alla costituzione del fratello G., l'appellante aveva potuto replicare con articolate difese;


- invece, contro la successiva costituzione delle sorelle M.G. e S., avvenuta a ridosso della stessa udienza di discussione, l'appellante aveva potuto contestare i loro argomenti solo con le note di udienza, ribadendo invano la richiesta di un termine per articolare meglio le proprie repliche;


- anche T.N. si era costituito chiedendo, invano, per controdedurre alla stessa memoria di costituzione delle zie M.G. e S..


Ciò premesso, secondo l'appellante l'intero giudizio di primo grado era nullo.


2) Merito.


L'appellante censurava la sentenza anche nel merito, per avere erroneamente escluso la subordinazione del proprio rapporto di lavoro nei confronti della madre.


In proposito, il Tribunale aveva errato prima assumendo la causa affettiva delle prestazioni di lavoro rese nell'ambito familiare (motivo che in concreto aveva portato la stessa appellante ad abbandonare la propria attività lavorativa all'esterno della famiglia per trasferirsi nell'abitazione della anziana madre, invalida e totalmente dipendente dall'aiuto di terzi, dedicandosi in modo esclusivo alla sua assistenza, senza alcun contributo delle sorelle e del fratello), e poi aveva errato confondendo tale causa affettiva con la rinuncia alla relativa retribuzione da parte della figlia che invece non era mai avvenuta.


Inoltre, il criterio ordinario con il quale nelle relazioni fra estranei si accertavano gli indici qualificanti della subordinazione (soggezione del dipendente al potere datoriale di direzione tecnica ed organizzativa), in concreto avrebbe dovuto essere sostituito del "criterio della necessità fisica della madre di ricevere una assistenza continuativa" (documentato dai verbali delle commissioni mediche che ben prima del preteso inizio della subordinazione nell'anno 2014 ritenevano la madre già invalida al 100%, condizione che a sua volta aveva imposto all'appellante di chiedere la nomina di un amministratore di sostegno) nonché dal correlativo "criterio dell'imperativo morale della figlia a fornire tale assistenza", anche a causa del totale disinteresse delle sorelle e del fratello.


Di conseguenza, la qualificazione del caso in esame doveva riflettere "l'eterodirezione della coscienza" dell'unica figlia sensibile all'imperativo morale di sostenere un genitore in estrema difficoltà, del quale occuparsi in modo continuativo, sacrificando ogni altro interesse ed attività professionale, personale e familiare. La presunzione di gratuità della prestazione di lavoro resa nell'ambito familiare si sarebbe forse potuta invocare in caso di figlia unica, ma non anche nel caso in esame in cui il genitore bisognoso aveva "messo al mondo 5 figli, ed una soltanto ha garantito la presenza e l'assistenza necessaria".


La prestazione corrispondeva al livello D Super del CCNL, come Collaboratore familiare con mansioni con responsabilità, autonomia decisionale o coordinamento, per l'assistenza specifica di persone non autosufficienti (il profilo professionale pertinente era quello di "governante").


L'interpretazione della disciplina primaria (art. 2240 c.c. per lavoro domestico; art. 2094 c.c. per gli indici di subordinazione in generale) sostenuta dal tribunale era illegittima dal punto di vista costituzionale per violazione dell'art. 3, poiché ai fini dei requisiti per l'accertamento della subordinazione assimilava condizioni diversissime fra di loro, ovvero quella dei lavoratori estranei da un lato e quella dei familiari che si assistono fra di loro dall'altro. Era altresì prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 2240 c.c. sul lavoro domestico per violazione degli artt. 36 e 37 Cost..


L'appellante richiamava quindi il D.P.R. n. 1403 del 1971, art. 1 in materia di assistenza a varie categorie di soggetti bisognosi, fra cui invalidi di guerra, invalidi per causa di servizio e di lavoro, invalidi civili, sacerdoti e componenti di comunità religiose militari, con particolare riferimento alla previsione secondo la quale "l'esistenza di vincoli di parentela... fra datore di lavoro e lavoratore non esclude l'obbligo assicurativo quando sia provato il rapporto di lavoro. L'onere della prova non è tuttavia richiesto quando si tratti di persone che, pur in presenza di vincoli di.. parentela.. svolgono le seguenti mansioni.. 2) assistenza degli invalidi civili..". Insomma, pur in presenza di vincoli di parentela, era consentito assicurare il lavoratore addetto all'assistenza dell'invalido civile, con esonero dall'onere di provare il rapporto di lavoro, purché la prestazione di lavoro fosse provata, anche sulla base di autocertificazione del datore.


In proposito, l'appellante precisava che non aveva ritenuto di "auto iscriversi" come dipendente della madre per evitare che le sorelle ed il fratello potessero accusarla di avere così abusato della procura generale conferita dalla madre in suo favore.


Invocava l'applicazione anche al caso in esame della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 19304/2015, n. 3602/2006) secondo la quale un rapporto che oggettivamente rappresentava lavoro subordinato si presume a titolo oneroso, mentre per qualificarlo come gratuito, in virtù della relazione sentimentale o religiosa che legava le due parti, deve essere dimostrata la finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa.


Aggiungeva che il fratello G., accusandola di avere riscosso ed utilizzato in proprio l'indennità di accompagnamento della madre, e affermando che la madre disponeva in proprio di liquidità sufficienti a garantirsi le cure e l'assistenza di personale esterno, avrebbe finito per riconoscere l'onerosità della sua prestazione di lavoro, che in tal modo sarebbe stata compensata.


Il Tribunale, invece di decidere allo stato degli atti in applicazione di asseriti principi di diritto, avrebbe dovuto piuttosto esercitare in concreto di poteri istruttori d'ufficio.


Infine, contestava le affermazioni del fratello G. a proposito dell'asserito approfittamento da parte sua nei confronti dei genitori, censurava la sentenza per averle recepite in modo acritico.


In rito, ribadiva che le sorelle M.G. e S. avevano rinunciato alla eredità fra la notifica del ricorso in riassunzione dopo la morte della madre e la prima udienza del giudizio riassunto, motivo per cui il Tribunale avrebbe dovuto semplicemente estrometterle dal giudizio, compensando le spese.


3) Spese di lite.


L'appellante censurava la sentenza per avere liquidato il relativo importo a suo carico in violazione del D.M. n. 55 del 2014, nonché per non averne disposto la compensazione integrale o almeno parziale.


Evidenziava che in primo grado non si era svolta alcuna attività istruttoria, motivo per cui il compenso per quella fase non spettava. Inoltre, il Tribunale non aveva specificato le voci di tabella applicate, né lo scaglione di valore nel quale aveva ricondotto la controversia. Era altresì ingiustificato che ciascuna delle parti resistenti avesse vinto il medesimo importo di spese di lite, nonostante che le due sorelle si fossero costituite con un'unica memoria ed un unico difensore, limitandosi ad eccepire il loro difetto di legittimazione passiva per avere rinunciato all'eredità della madre. La parziale soccombenza reciproca, dovuta alla dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale di C.G., avrebbe imposto una compensazione quantomeno parziale delle stesse spese.


L'appellante chiedeva inoltre la sospensione della provvisoria esecuzione della condanna relativa alle spese, rappresentando di essere disoccupata e di non disporre di fonti di reddito sufficienti per fare fronte al pagamento, che le controparti avevano già preteso nei suoi confronti avanzando richieste che complessivamente superavano Euro 30.000. Gli appellati C.M.G., S. e G. depositavano memorie chiedendo il rigetto dell'istanza per difetto dei relativi presupposti.


Con ordinanza del 12 gennaio 2021, il collegio rilevava che in punto di gravi motivi richiesti dall'art. 431 c.p.c. per sospendere la provvisoria esecuzione della sentenza di condanna a carico del "lavoratore", emergevano numerosi e seri motivi di censura alla decisione in punto di riparto e quantificazione delle spese di lite di primo grado, sospendeva la provvisoria esecuzione della sentenza appellata.


Nel merito, C.G. si costituiva per eccepire l'inammissibilità o comunque la infondatezza nel merito dell'appello in punto di subordinazione (motivi 1 e 2), poiché la sorella C.R. non solo non aveva mai lavorato alle dipendenze della madre bensì si era sempre ingerita nella gestione del patrimonio di quest'ultima, dalla quale si era fatta rilasciare procura generale impossessandosi quindi delle sue sostanze a danno dei fratelli. Resisteva anche all'appello in punto spese (motivo 3).


C.M.G. e S. si costituivano con unica memoria per eccepire l'inammissibilità o comunque la infondatezza nel merito dell'appello, e ribadivano il loro difetto di legittimazione passiva avendo rinunciato alla eredità della madre (circostanza pacifica perché ne dava atto lo stesso appello che evidenzia come tale rinuncia fosse avvenuta 20 giorni dopo la notifica del ricorso in riassunzione del giudizio di primo grado dopo l'interruzione per morte della madre originaria resistente, pag. 28 appello).


Il minore T.N. si costituiva in persona del padre T.R. per chiedere un rinvio all'eventuale fine di integrare il contraddittorio nei confronti delle figlie di C.M.G. e C.S., ipotizzando che le stesse potrebbero avere accettato per rappresentazione l'eredità della nonna F.F. in seguito alla rinuncia da parte delle rispettive madri.


Alla odierna udienza di discussione anche la difesa dell'appellante si associava alla richiesta di rinvio per verificare la eventuale successione per rappresentazione delle figlie di C.M.G. e C.S. dopo la rinuncia delle rispettive madri.


La difesa degli appellati C.M.G., S. e G. si opponeva invece al rinvio chiedendo che il giudizio fosse deciso.


Secondo il collegio, in base al principio della ragione più liquida, per essere comunque infondato sulle questioni di rito (motivo 1) e di merito (motivo 2), l'appello può essere deciso a prescindere dal fatto che l'appellato C.G. sia erede della madre F.F., mentre le appellate C.M.G. e S. abbiano rinunciato alla medesima eredità, e senza gli ulteriori approfondimenti sulle sorti della quota di eredità di queste ultime, sollecitati da C.R. e da T.N..


La più recente giurisprudenza di legittimità valorizza in modo sempre più esteso il principio della ragione più liquida quale strumento per concentrare il processo sulle questioni fondamentali, evitando di disperdere tempo ed energie su questioni ulteriori che non sarebbero comunque in grado di influire su quelle fondamentali, uniche ad improntare la soluzione finale del caso concreto.


"In tema di ricorso per cassazione, il principio di salvaguardia dell'ordine logico nella trattazione delle questioni, secondo il criterio di graduazione che impone prima lo scrutinio di quelle introdotte con il ricorso principale e poi di quelle di cui al ricorso incidentale, può cedere al cospetto delle esigenze sottese al principio della ragionevole durata del processo, sicché le questioni pregiudiziali sollevate a mezzo del ricorso incidentale dalla parte totalmente vittoriosa possono formare oggetto di esame prioritario quando la loro definizione, rendendo ultroneo l'esame delle questioni sollevate con il ricorso principale, consenta una più sollecita definizione della vicenda in giudizio in base al principio della ragione più liquida", Cass. n. 14039/2021. Analogamente, "la Corte di cassazione, ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentata, in applicazione del principio della "ragione più liquida", dall'esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l'esercizio di attività defensionali delle parti poiché, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo", Cass. n. 10839/2019. L'appello va invece accolto in punto spese (motivo 3), questione che riguarda esclusivamente le parti appellate in quanto (a prescindere dall'essere o meno eredi di F.F.) erano costituite in primo grado ed avevano ottenuto la condanna dell'appellante soccombente al pagamento delle spese di lite in loro favore.


Motivo 1) Diritto di difesa.


Secondo il collegio, il primo motivo è infondato dal momento che, seppur con le modalità della trattazione scritta, in primo grado l'appellante aveva comunque avuto modo di replicare alle difese delle parti appellate costituite dopo che il giudizio era stato interrotto per la morte della madre, originaria convenuta. Peraltro, con il motivo in esame l'appellante individuava la più significativa violazione del diritto di difesa nel non aver potuto disporre di un'ulteriore termine per replicare alla costituzione delle sorelle C.M.G. e C.S., le quali tuttavia fondamentalmente avevano fatto presente di avere rinunciato all'eredità della madre, chiedendo quindi di essere estromesse dal giudizio, richiesta alla quale anche l'appellante aveva aderito.


Motivo 2) Subordinazione.


Secondo il collegio, il secondo motivo è infondato.


L'appellante rivendicava la subordinazione del proprio lavoro domestico convivente che in realtà coincideva con l'assistenza continuativa alla propria madre, anziana e già riconosciuta invalida civile, prestata nell'ambito della convivenza fra le due nell'arco di tempo dal gennaio 2014 al decesso del maggio 2019.


E, sulla base di tale solo presupposto, affermava di avere diritto all'inquadramento al livello D super CCNL con retribuzione mensile di Euro 1.381.


La domanda era proposta in via originaria nei confronti della madre e, in seguito al suo decesso, era riproposta nei confronti delle sorelle e del fratello, qui appellati.


Le censure svolte nei confronti della motivazione di rigetto riguardavano fondamentalmente l'onere della prova, poiché l'appellante negava di dover affermare e provare i generali indici qualificatori della subordinazione (eterodirezione da parte della datrice di lavoro domestico, nonché onerosità della prestazione necessaria per superare la presunzione di gratuità tipica del lavoro svolto nell'ambito di relazione familiare). Piuttosto, pretendeva che la medesima subordinazione si dovesse presumere nel fatto che, dedicando l'intera sua esistenza ad assistere le necessità della madre, essa non aveva comunque rinunciato ad un compenso, anche in considerazione del fatto che le sorelle ed il fratello si disinteressavano totalmente delle, pur gravi e continue, necessità della medesima assistenza.


Allo stesso fine di invertire l'onere della prova, l'appellante richiamava il D.P.R. n. 1403 del 1971, art. 1 in materia di assistenza agli invalidi civili, secondo il quale "l'esistenza di vincoli di parentela... fra datore di lavoro e lavoratore non esclude l'obbligo assicurativo quando sia provato il rapporto di lavoro. L'onere della prova non è tuttavia richiesto quando si tratti di persone che, pur in presenza di vincoli di.. parentela.. svolgono le seguenti mansioni.. 2) assistenza ad invalidi civili..".


Secondo il collegio gli argomenti non sono significativi.


Da un lato, la giurisprudenza anche recente di legittimità è costante nel ritenere che "tra persone legate da vincoli di parentela o di affinità opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa, che trova la sua fonte nella circostanza che la stessa viene resa normalmente affectionis vel benevolentiae causa; con la conseguenza che, per superare tale presunzione, è necessario fornire la prova rigorosa degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto, l'assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l'onerosità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 8364/2014; 9043/2011; 8070/2011; 17992/2010; per ciò che più specificamente attiene a tutti gli indici di subordinazione, cfr., ex multis, Cass. n. 7024/2015)", Cass. n. 30899/2018.


Dall'altro lato, il richiamo al D.P.R. n. 1403 del 1971 non è pertinente poiché nel caso in esame non si trattava di verificare la genuinità di un rapporto di lavoro domestico che la madre (invalida civile) avesse già assicurato nei confronti della figlia, situazione presupposta dall'art. 1 di tale D.P.R. richiamato dall'appellante.


In conclusione, non vi è dubbio che l'appellante avesse fin dal primo grado l'onere di allegare e provare gli indici della propria subordinazione nei confronti della madre.


Per contro, il collegio sottolinea che nel caso in esame mancava non solo la prova ma, ancora prima, la allegazione di un rapporto di lavoro subordinato.


Infatti, le uniche deduzioni che riguardavano il sostanziale accordo fra la figlia e la madre si riferivano al fatto che la prima subisse l'imperativo morale di assistere la seconda (anziana, malata e bisognosa, ma del tutto trascurata dagli altri figli), e pertanto avesse deciso di trascurare ogni altro impegno professionale, personale e familiare per dedicarsi esclusivamente a tale assistenza.


A base della domanda mancava quindi qualsiasi deduzione relativa al fatto che si trattasse di una prestazione che le stesse parti avevano inteso, e concordato, essere obbligatoria anche dal punto di vista giuridico (oltre che morale), e che pertanto fondasse il diritto ad un compenso per la figlia, al quale era tenuta la madre.


Nessuna questione di legittimità costituzionale potrebbe prospettarsi per il fatto che la normativa primaria, così come interpretata da costante giurisprudenza, esiga che anche per il lavoro domestico il familiare che affermi di avere lavorato come subordinato dia prova degli indici qualificatori della medesima subordinazione, al pari di un lavoratore estraneo.


E' vero che, nella sintesi del secondo motivo di ricorso, anche Cass. n. 30899/2018 menzionava la circostanza che di fatto la relazione familiare fra le parti potrebbe rappresentare "un formidabile elemento di attenuazione dei fattori rivelatori della subordinazione, diversamente da quanto avverrebbe in un normale rapporto di lavoro subordinato fra estranei". L'argomento, tuttavia, era menzionato nello svolgimento, di tale sentenza, e quindi non aveva alcun peso ai fini del riparto dell'onere della prova ribadito nella motivazione.


Secondo il collegio nella valutazione dei casi concreti lo stesso argomento potrebbe essere adeguatamente considerato solo nel senso che, nel valutare il contenuto delle prove comunque fornite sugli indici di subordinazione, il giudice di merito debba dare adeguata considerazione all'influenza di fatto della stessa relazione familiare fra le parti del rapporto.


In applicazione della costante giurisprudenza di legittimità qui richiamata, anche la Corte d'Appello Roma, Sezione Lavoro, con Sentenza 26 giugno 2019, n. 2637, ribadiva che in materia di lavoro reso in ambito familiare, caratterizzato quindi dalla particolarità della prestazione di accudimento personale del parente, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l'accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera "ipso iure" una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Pertanto, il familiare che vuole far valere i diritti derivanti da questo rapporto ha comunque l'onere di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della eterodirezione.


Motivo 3) Spese di lite di primo grado.


Il Collegio concorda invece con l'appellante sul fatto che la liquidazione ed il riparto delle spese di lite contenuto nella sentenza appellata violasse le regole del D.M. n. 55 del 2014, in applicazione delle quali ritiene necessario effettuare il seguente ricalcolo:


- applicazione degli importi previsti per le cause di lavoro;


- scaglione di valore fra Euro 52.000 ed Euro 260.000;


per essere la domanda pari alla somma corrispondente alla rivendicazione oggetto del ricorso introduttivo della retribuzione mensile di Euro 1.381,00 dal gennaio 2014 (inizio della pretesa subordinazione) al maggio 2019 (morte della madre);


- applicazione degli importi minimi in considerazione della semplicità delle questioni controverse (la domanda di accertamento della subordinazione era respinta per difetto di allegazione dei fatti costitutivi);


- riconoscimento di tale importi minimi per le sole fasi di studio, introduzione e decisione della causa (ad esclusione della fase istruttoria, non svolta perché la domanda era respinta per difetto di allegazione);


Ciò premesso, per le tre fasi di primo grado sono dovuti complessivi Euro 5.103, in favore:


- delle sorelle C.M.G. e S. in via solidale fra di loro (e senza alcuna ulteriore maggiorazione per il difensore di queste ultime ex art. 4, comma 2 D.M. cit. dal momento che la loro posizione processuale era del tutto sovrapponibile, limitandosi entrambe ad argomentare l'avvenuta rinuncia all'eredità della madre e perciò il difetto di legittimazione passiva nei confronti del ricorso della sorella);


- del fratello C.G., per il quale tuttavia la parziale soccombenza reciproca dovuta alla dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale a sua volta proposta nei confronti della ricorrente imponeva la compensazione al 50%.


In conclusione, riformata la sentenza appellata in punto spese di lite, l'appellante va piuttosto condannata al pagamento delle spese di primo grado liquidate in:


- Euro 5.103 in favore solidale delle appellate C.M.G. e S.;


- Euro 2.551 in favore dell'appellato C.G..


Spese di lite di secondo grado.


Sempre nell'ambito del D.M. n. 55 del 2014, Cause di appello, scaglione di valore fra Euro 52.000 ed Euro 260.000, la presente liquidazione riguarda nuovamente gli importi minimi delle fasi di studio, introduzione e decisione (Euro 4.758), ancora una volta senza riconoscimento della fase istruttoria.


Va infine disposta la compensazione nella misura di 1/3 delle spese di secondo grado, per la parziale soccombenza reciproca dovuta all'accoglimento del motivo 3) di appello, da cui consegue la condanna dell'appellante, soccombente sui motivi 1) e 2), al pagamento dei restanti 2/3 pari ad Euro 3.172.


Considerata la peculiarità della sua posizione processuale, come del resto già ritenuto dal Tribunale, nei confronti di T.N. vanno compensate per intero le spese di lite di primo e di secondo grado.


PQM

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento dell'appello, riforma la sentenza appellata in punto spese di lite e per l'effetto condanna l'appellante C.R. al pagamento delle spese di primo grado liquidate in:


- Euro 5.103,00 in favore solidale delle appellate C.M.G. e S.;


- Euro 2.551,00 in favore dell'appellato C.G..


Per il resto, nel merito conferma la sentenza appellata quanto al rigetto della domanda di C.R..


Compensa per 1/3 le spese di lite di secondo grado e condanna l'appellante al pagamento dei restanti 2/3 liquidati in:


- Euro 3.172,00 in favore solidale delle appellate C.M.G. e S.;


- Euro 3.172,00 in favore dell'appellato C.G..


Compensa per intero le spese di lite di primo e di secondo grado nei confronti dell'appellato T.N..


Così deciso in Firenze, il 7 dicembre 2021.


Depositato in Cancelleria il 29 dicembre 2021