Conteggi lavoro

martedì 25 aprile 2023

Il professionista che reclama il proprio compenso deve provare il conferimento dell'incarico, anche per presunzioni

 Tribunale Teramo sez. I, 28/04/2022, n.414

Massima

Qualora il professionista reclami il diritto al proprio compenso per l'opera prestata, presupposto essenziale è la prova dell'esistenza del rapporto attraverso l'avvenuto conferimento dell'incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà del cliente di avvalersi della sua opera. Quando il cliente contesta il diritto al compenso per mancata instaurazione di un simile rapporto, la prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico grava sull'attore professionista, anche ricorrendo alla prova per presunzioni.

Sentenza

Fatto

Espletata CTU e mutato nel frattempo l'organo giudicante, la causa veniva riservata in decisione.

In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa proposta dalla parte opposta solo nella comparsa di costituzione, in ragione del noto principio giurisprudenziale secondo cui la domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall'opposto nel giudizio incardinato ai sensi dell'art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo dallo stesso conseguito per il pagamento di prestazioni professionali, non potendo egli far valere in tale sede domande nuove, rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alla domande ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall'opponente, determinanti un ampliamento dell'originario "thema decidendum" fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. . (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la corte d'appello aveva escluso che, nel caso di decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento di prestazioni professionali, la proposizione, da parte dell'opponente, delle sole eccezioni di inesigibilità e prescrizione del credito avessero comportato l'introduzione di nuovi temi di indagine, tali da legittimare la proposizione di una nuova domanda, di arricchimento senza causa, da parte degli opposti)." (Cass, Sez. 1 - , Ordinanza n. 27124 del 25/10/2018; Cass. civ. Sez. I, Ord., 25-10-2018, n. 27124; Cass., Sez. 3^, 9/04/2013, n. 8582; 18/11/2003, n. 17440; Cass., Sez. 1, 29/11/2007, n. 24949).


Ebbene, nel caso di specie, la domanda in esame, essendo volta ad ottenere il pagamento della medesima somma ingiunta, sulla base di una causa petendi totalmente diversa da quella dedotta in sede di ricorso monitorio, integra una vera e propria domanda nuova.


La Corte di Cassazione ha infatti statuito che l'art. 183 c.p.c., comma 4 - inserito nell'ambito di un contesto normativo volto a circoscrivere, sin dal suo inizio, l'oggetto del processo attraverso un rigido sistema di preclusioni - nel consentire all'attore di formulare nella prima udienza di trattazione la nuova domanda o la nuova eccezione che siano conseguenza, oltre che della domanda riconvenzionale, dell'eccezione proposta dal convenuto con la comparsa di risposta, è rivolto unicamente a tutelare la parte attrice a fronte di iniziative difensive della parte convenuta che mutino, con la sua prima difesa, i termini oggettivi della controversia, o comunque introducano nel processo ulteriori questioni. Pertanto la norma, ove contempla l'eccezione dell'avversario, deve intendersi riferita all'eccezione in senso stretto, non alla semplice contro deduzione del convenuto che sia rivolta a contestare le condizioni dell'azione. Rispetto a tale eccezione, inoltre, la nuova domanda o la nuova eccezione dell'attore devono presentarsi come consequenziali, e quindi configurarsi come una contro - iniziativa necessaria per replicare all'eccezione medesima (Cass. 11 marzo 2006, n. 5390; Cass., 8 luglio 2004, n. 12545).


Deve pertanto ritenersi che l'art. 183 c.p.c., comma 4, mentre consente all'attore nella prima udienza di trattazione di proporre le domande e le eccezioni, anche nuove, che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni in senso stretto del convenuto, non attribuisce alle parti la facoltà di proporre domande nuove che potessero essere proposte con la citazione o la comparsa di risposta (Cass. 2 settembre 2005, n. 17699).


La Corte, in conseguenza di tali principi, ha parallelamente statuito che nell'ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, solo l'opponente, nella sua sostanziale posizione di convenuto, può proporre domande riconvenzionali mentre l'opposto, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quelle proposte con il ricorso per l'ingiunzione, essendogli consentito solamente di modificarle nei ristretti limiti del disposto dagli artt. 183 e 184 c.p.c. (Cass. 29 marzo 2004, n. 6202).


Egli, pertanto, non può proporre ulteriori domande, salvo il caso in cui siano conseguenti alle domande ed eccezioni in senso stretto proposte dall'opponente, il quale con l'atto di opposizione abbia ampliato il thema decidendum rispetto alla domanda proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. 20 novembre 2002, n. 16331).


Nel caso in esame, in applicazione di tali principi di diritto, il ricorrente non poteva proporre l'azione di arricchimento poiché sapendo che, per quanto attiene nello specifico alle prestazioni svolte dall'1.1.2005 al 2.5.2005 (data di redazione del contratto), il contratto non era ancora vigente (non potendo quindi costituire valido supporto probatorio per l'emissione del decreto ingiuntivo), avrebbe dovuto iniziare una causa con il rito ordinario e non chiedere il decreto ingiuntivo. Avendo scelto la via del decreto ingiuntivo il ricorrente ha agito in base alle prestazioni professionali svolte in forza del contratto del 2.5.2005 (come, tra l'altro, emerge chiaramente dalla semplice lettura del ricorso monitorio), tra le quali non sono ricomprese quelle poste in essere nel primo quadrimestre del 2005, per cui gli rimane preclusa la via dell'arricchimento senza causa che costituisce una domanda del tutto diversa e quindi nuova.


Lo stesso dicasi per la domanda ex art. 2041 c.c. avanzata in rapporto alle prestazioni professionali compiute in vigenza di contratto per le quali ha allegato di aver lavorato oltre le ore pattiziamente previste (15 ore mensili). A tal proposito, come anticipato, affinché la domanda di arricchimento senza causa possa dirsi validamente proposta nella comparsa di costituzione depositata dall'opposto nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo occorre che essa sia conseguenza delle domande e delle eccezioni in senso stretto proposte dall'opponente, determinanti un ampliamento dell'originario "thema decidendum" fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c.


Tale ampliamento, nella specie, non è tuttavia ricollegabile alle eccezioni proposte dall'opponente, le quali, riflettendo esclusivamente l'inesigibilità e la non corretta quantificazione del credito azionato, non comportavano l'introduzione nel giudizio di nuovi temi d'indagine, la cui prospettazione da parte dell'opponente potesse considerarsi idonea a legittimare la formulazione di una nuova domanda da parte dell'opposto, ma si mantenevano nell'ambito delimitato dagli elementi costitutivi della domanda avanzata con il ricorso per decreto ingiuntivo, senza lasciare spazio a nuove iniziative processuali fondate su titoli diversi.


Pertanto, la presente sentenza terrà conto della sola domanda di adempimento contrattuale avanzata dall'opposto in sede monitoria al fine di verificare la spettanza dei compensi relativi al periodo di vigenza del contratto (dal 2.5.2005 al 2008), come indicati nel decreto ingiuntivo.


Ciò detto, occorre procedere ad un breve inquadramento giuridico della fattispecie in disamina che, ai sensi dell' art. 2230 c.c., fonda su un contratto d'opera intellettuale avente ad oggetto il conferimento al dott. R. Di O., dottore commercialista e revisore contabile, di un incarico in favore dell'opponente, consistente in attività di assistenza e consulenza fiscale ed aziendale continuativa e generica con relativi adempimenti civilistici e fiscali, come meglio indicata nell'art. 2 del contratto del 2.5.2005, attività 'da intendersi riferita anche alle prestazioni di consulenza ed assistenza relative alle imprese la cui elaborazione dati è curata da CST srl, ivi compreso Confartigianato Teramo, Cooperativa 'Città di Teramo e provincia', Creditabruzzo e clienti vari, nonché alle formalità relative a prestazioni di consulenza, assistenza e controllo inerenti, afferenti e dipendenti dall'operante CAAF Confartigianato, ossia tutte le attività esercitate dal CST'.


Come sancito da costanti pronunce giurisprudenziali, presupposto essenziale ed imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico, in qualsiasi forma idonea a manifestare, chiaramente ed inequivocabilmente, la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera, da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso.


La prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un simile rapporto, grava sull'attore, anche ricorrendo alla prova per presunzioni, mentre compete al Giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova, anche presuntiva, del conferimento dell'incarico professionale e del suo espletamento, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità (Cassazione civile sez. VI - 10/05/2018, n. 11283Tribunale - Grosseto, 06/07/2018, n. 646Tribunale - Siena, 10/01/2019, n. 41); prova che può ritenersi assolta dall'allegazione della documentazione in possesso del medesimo professionista, da questi assunta in base ai suoi atti, trattandosi di elementi incompatibili con la semplice versione orale dei fatti offerta dalla parte rappresentata o dai suoi eredi (Corte appello sez. II - Bari, 22/10/2012, n. 1100).


Nel caso di specie, dalla documentazione prodotta dall'opposto, appare incontestato l'effettivo conferimento dell'incarico professionale in data 2.5.2005 per la durata di un anno (dall'1/1 al 31/12), tacitamente rinnovabile in assenza di formale disdetta da comunicare almeno tre mesi prima della naturale scadenza annuale, tramite fax e/o email, come in effetti avvenuto sino alla disdetta del 26.6.2008.


Pertanto, gli unici aspetti in contestazione tra le parti attengono alla spettanza del compenso relativo all'anno 2008, alla sua quantificazione, nonché all'effettivo espletamento dell'incarico oltre l'impegno orario pattuito (circa 15 ore mensili), alla riconducibilità o meno delle ore di lavoro asseritamente svolte 'in esubero' alle prestazioni contrattualmente indicate ovvero a prestazioni extra-contrattuali e al criterio di quantificazione da osservare per l'eventuale retribuzione delle stesse.


Quanto alla questione inerente alla spettanza del compenso maturato dal Di O. nell'anno 2008, va premesso che, con comunicazione del 26.6.2008, l'opponente provvedeva ad inoltrare disdetta dell'incarico conferito all'opposto, al fine di evitare il tacito rinnovo del medesimo per l'anno successivo.


In diritto, è utile ricordare che l'art. 2233 c.c. stabilisce una scala preferenziale di determinazione del compenso, che indica al primo posto l'accordo delle parti, in subordine le tariffe professionali ovvero gli usi ed, infine, la decisione del giudice.


Pertanto, il ricorso ai criteri sussidiari (tariffe professionali, usi, decisione giudiziale) è precluso al giudice quando esista uno specifico accordo tra le parti, le cui pattuizioni risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass. n. 29837/2011). Qualora il compenso del professionista sia stato liberamente pattuito con il cliente, il giudice non ha il potere di modificarlo al fine di adeguarlo, ai sensi dell'art. 2233, comma 2, c.c. all'importanza dell'opera prestata ed al decoro della professione (Cass. n. 12095/1995).


Nella specie, incontestata la spettanza del compenso pattuito per il primo semestre dell'anno 2008 nella misura negozialmente prevista (E 780,00 mensili ex art. 3 del contratto) per un totale di E 4680,00, di cui l'opponente non ha neppure allegato l'avvenuto pagamento, occorre chiarire che la stessa tariffa dev'essere applicata per il secondo semestre 2008, in ragione della previsione contenuta nell'art. 6, ove le parti hanno previsto un compenso ridotto del 20% solo per la diversa ipotesi di mancato espletamento dell'incarico da parte del professionista, per volere della società cliente, nel periodo ricompreso tra la data della disdetta e quella della naturale scadenza contrattuale (31/12), dovendo altrimenti ritenersi confermato il compenso integrale.


Sul punto, l'opponente, la quale pretenderebbe la decurtazione del compenso nella misura innanzi indicata, tuttavia, non ha fornito elementi tali da giustificare detta riduzione, non avendo dimostrato né di aver espressamente rappresentato, al momento della disdetta, la volontà di non avvalersi dell'opera del professionista per le restanti mensilità dell'anno (da luglio a dicembre 2008), né di non aver beneficiato di tale attività, essendo emerso, al contrario, l'espletamento da parte del Di O. dell'attività concordata fino alla fine del 2008.


Invero, il CTU ha riscontrato che sino al dicembre 2008, il commercialista ha svolto, in favore, dell'opponente le attività professionali pattuite contrattualmente, occupandosi della trasmissione telematica dei modelli dichiarativi fiscali Unico SC 2008 compilati precedentemente alla disdetta della convenzione e meglio specificate nella relazione (cfr. p. 24 CTU).


Al contrario, alcun pagamento è stato effettuato dall'opponente in relazione a detto periodo. Pertanto, il compenso integralmente maturato dal Di O. nell'anno 2008 ammonta ad E 9360,00 (ossia E 780,00 per 12 mensilità).


Passando ora alla questione concernente l'espletamento dell'incarico oltre l'impegno orario pattuito (circa 15 ore mensili) nel periodo di vigenza del contratto, alla riconducibilità o meno delle ore di lavoro asseritamente svolte 'in esubero' alle prestazioni contrattualmente indicate ovvero a prestazioni extra-contrattuali e al criterio di quantificazione da osservare per l'eventuale retribuzione delle stesse, mette conto rilevare che, in disparte quanto già detto in relazione all'inammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c., l'istruttoria condotta ha permesso di accertare che le prestazioni pretesamente poste in essere oltre le 15 ore rientrassero tra quelle indicate all'art. 2 della convenzione (come meglio descritte alla p. 14 della CTU e nella tabella riepilogativa allegata), non necessitando, quindi, per il relativo espletamento, di apposita autorizzazione scritta da parte dell'opponente, come stabilito dall'art. 3 della convenzione, che impone la preventiva autorizzazione per le sole prestazioni extra contrattuali ('Ogni qualsiasi ulteriore attività non riconducibile a quanto oggetto della presente convenzione deve essere preventivamente concordata ed autorizzata per iscritto tra le parti ed ogni attività, in assenza di specifica autorizzazione, verrà considerata come ricompresa nel compenso di cui alla presente convenzione').


Gli elementi di prova acquisiti al processo non hanno tuttavia consentito di ritenere raggiunta la dimostrazione dell'effettivo svolgimento di attività professionale da parte del Di O. oltre l'orario pattuito, come sarebbe stato suo onere provare.


Invero, a fronte delle contestazioni avversarie dirette a contestare la suddetta circostanza, il commercialista si è limitato ad articolare una generica e valutativa prova testimoniale, non ammessa dal precedente Giudicante, finalizzata perlopiù a dare dimostrazione della tipologia di attività posta in essere (redazione pratiche) e dell'impegno orario richiesto per il relativo svolgimento, senza premurarsi di dimostrare la congruità delle ore dichiarate impiegate rispetto a quelle effettivamente occorrenti per il disbrigo di pratiche similari, tenuto conto altresì dell'assenza in atti di contestazioni scritte, antecedenti all'instaurazione del giudizio, circa l'inidoneità del compenso concordato, anzi presumendosi, al contrario, che il tacito rinnovo del contratto dal 2005 di anno in anno fosse indice della sua congruità, anche in ragione della qualifica professionale rivestita dal Di O.; qualifica certamente idonea a valutare la convenienza economica dell'affare.


Alle stesse conclusioni si perviene leggendo la relazione del CTU che ha riferito che 'non appare accertabile sulla base di criteri oggettivi il tempo minimo, medio o massimo, necessario per l'espletamento delle 10 pratiche in atti, essendo un parametro avente natura soggettiva variabile da professionista a professionista' ed ha inoltre evidenziato alcune perplessità circa la congruità delle ore di lavoro dichiarate dal professionista, le quali confliggerebbero con quelle parimenti dichiarate per le medesime attività in periodi diversi. A titolo esemplificativo, il CTU ha osservato che nell'esercizio 2005 il Di O. ha dichiarato impiegato un tempo di 14 ore per la redazione e l'invio telematico del modello Unico, il doppio delle ore dichiarate per la redazione e l'invio telematico del medesimo modello redatto nell'esercizio 2008. Ancora, è stato riscontrato, previa verifica del carattere similare delle deleghe di pagamento F24 predisposte, che l'impegno orario dichiarato dal professionista nel 2008 per la predisposizione di sette deleghe è stato pari a quattro ore, mentre le stesse ore sono state dichiarate impiegate dal professionista per l'elaborazione di tredici deleghe nell'esercizio 2007.


La lacunosità del quadro probatorio relativo allo svolgimento di attività extra orario impone il rigetto della relativa domanda di pagamento.


L'opponente va, quindi, condannato al pagamento del solo compenso maturato nel 2008, pari ad E 9360,00 oltre IVA e CAP (come richiesto in sede monitoria), oltre interessi legali dalla domanda (luglio 2010) al saldo, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo.


In considerazione della parziale soccombenza reciproca le spese di lite e di CTU vengono integralmente compensate tra le parti.


PQM

P.Q.M.

Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa così provvede:


- dichiara l'inammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c. avanzata dall'opposto;


- accoglie parzialmente, per le causali di cui in motivazione, l'opposizione e, per l'effetto,


- revoca il decreto ingiuntivo n. 638/2010 (R.G.N. 1923/2010), emesso dal Tribunale di Teramo;


- condanna l'opponente al pagamento, per le causali di cui in motivazione ed in favore dell'opposto, di complessivi E 9360,00, oltre IVA e CAP, oltre agli interessi al saggio legale dal luglio 2010 e fino al soddisfo;


- compensa integralmente tra le parti, per le causali di cui in motivazione, le spese di lite, ex art. 92, comma 2, cod. proc. civ.;


- pone definitivamente a carico solidale delle parti le spese di CTU, già liquidate con decreto del 9.10.2012.


Teramo, 26.4.2022