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venerdì 25 novembre 2011

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30.12.2010, n. 26499

Cassazione Civile, Sez. Lav., Sentenza 26499/2010

immodificabilità bando, pubblico impiego

FATTO

DIRITTO

P.Q.M.


Cass. sent. n. 12318/2010


FATTO

Con sentenza in data 9.2.2006 il Tribunale di Pescara accoglieva il ricorso proposto da B.L. e dagli altri ricorrenti indicati in epigrafe, i quali, esponendo di aver partecipato alle procedure di riqualificazione interna finalizzate all'inquadramento in posizione economica superiore e di essersi collocati utilmente in graduatoria, chiedevano di essere inquadrati in tale posizione con decorrenza giuridica ed economica dalla pubblicazione del bando, in conformità a quanto previsto nel bando medesimo ed in aderenza a conforme previsione della contrattazione collettiva, e non dall'11.2.2004, per come previsto con successivo atto dirigenziale Proposta impugnazione, la Corte di appello di L'Aquila, con sentenza del 4.10.2007/2.11.2007, in accoglimento del gravame, rigettava il ricorso. Osservava in sintesi la corte territoriale che il principio di immodificabilità del bando non poteva essere utilmente invocato dalla ricorrente per trattarsi di istituto privatistico incompatibile con la peculiare disciplina del pubblico impiego e che,comunque, la stessa doveva ritenersi "tamquam non esset" in quanto, lungi dal costituire un elemento essenziale della proposta di partecipazione al concorso, ne costituiva un elemento accidentale, ed, in ogni caso, in quanto introdotta da una disposizione della contrattazione collettiva integrativa in contrasto con la contrattazione collettiva nazionale, cui era riservata in via esclusiva la disciplina del trattamento economico e normativo dei dipendenti, ispirata dal principio di necessaria corrispondenza tra l'inquadramento contrattuale, le mansioni richieste al lavoratore ed il corrispondente trattamento economico, salva l'ipotesi di esercizio di fatto di mansioni superiori. Osservava, altresì, che l'amministrazione aveva, comunque, operato nel rispetto dei principi di buon andamento e nel perseguimento del superiore interesse pubblico, modificando una previsione che non aveva considerato l'"incolpevole dilatarsi dei tempi...per l'espletamento delle procedure di selezione". Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i ricorrenti indicati in epigrafe con sette motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Istruzione.

DIRITTO


1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i ricorrenti prospettano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, degli artt. 2077, 1326, 1336 e 1375 c.c., nonchè vizio di motivazione, ed, al riguardo, osservano che la corte territoriale aveva immotivatamente escluso che il bando concorsuale fosse riconducibile allo schema dell'art. 1336 c.c. e che la clausola relativa alla decorrenza della riqualificazione costituisse un mero elemento accidentale della proposta contrattuale, senza considerare che tanto la contrattazione collettiva di settore che il bando contrattuale avevano concordemente determinato la decorrenza della riqualificazione, sia ai fini giuridici che economici, sicchè non poteva consentirsi al datore di lavoro di modificare unilateralmente la previsione contrattuale collettiva ed il bando concorsuale, con conseguente violazione del diritto soggettivo sorto in capo al dipendente positivamente selezionato.

Con il secondo e terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione di legge (D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40, 40 bis e 45, art. 437 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) rilevando che non era ipotizzabile alcuna nullità del bando e della pertinente disposizione del contratto collettivo integrativo (art. 19 CCNL 21.9.2000), atteso che il contratto collettivo del Comparto ministeri non prevedeva alcun vincolo espresso ed anzi demandava alla contrattazione integrativa la disciplina della progressione economica all'interno dell'area, legittimando la stessa ad intervenire per la determinazione dei criteri generali per la definizione delle procedure per le selezioni, nè, comunque, l'amministrazione appellante o organi di controllo avevano mai assunto che il contratto integrativo era privo di copertura finanziaria, nè la questione, peraltro, aveva formato oggetto di controversia fra le parti nel corso del primo grado del giudizio. Con il quarto motivo la sentenza impugnata viene denunciata, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione degli artt. 1336, 1326 e 1375 c.c. in relazione al bando concorsuale e al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2, 40 e 40 bis, nonchè per vizio di motivazione, considerando che, pur dovendosi escludere che sussistesse alcuna violazione del principio di riserva della materia economica e retributiva alla contrattazione collettiva, in ogni caso doveva riconoscersi, diversamente da quanto ritenuto dalla corte territoriale, che il bando concorsuale costituiva un atto unilaterale, che non derivava la sua validità ed efficacia da alcun'altra fonte negoziale. Con il quinto motivo viene ancora denunciata violazione di norme di diritto (art. 2077 c.c. e art. 4 accordo collettivo 9.2.2004 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) ed, al riguardo, i ricorrenti osservano che, fermo restando che la contrattazione collettiva non poteva modificare precedenti accordi che avessero determinato il sorgere di diritti in capo ai dipendenti, la corte territoriale aveva, comunque, trascurato di considerare che l'accordo del 9.2.2004 non modificava la decorrenza economica e giuridica degli inquadramenti, ma aveva ad oggetto solo la determinazione delle percentuali per l'accesso dall'esterno. Con il sesto motivo, i ricorrenti, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, rilevano che le "ragioni di equità e di omogeneità di trattamento", invocate dalla corte per giustificare il riconoscimento della posizione economica superiore dalla data di approvazione delle graduatorie definitive, non legittimavano, in realtà, il riconoscimento di tale situazione dalla pubblicazione dell'ultima delle graduatorie dei vari corsi di riqualificazione ed ancora che risultava priva di alcun riscontro l'affermazione che alle nuove condizioni avevano prestato adesione i dipendenti (per come escluso dal primo giudice, con statuizione, peraltro, priva di specifica censura).

Con l'ultimo motivo, infine, la ricorrente si duole, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all'art. 437 c.p.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2, che la corte territoriale, non considerando la palese violazione del principio di equità e di pari trattamento realizzatasi, avesse giustificato che, per i 51 dipendenti centrali del Ministero, la decorrenza del superiore inquadramento fosse stata fissata alla data del bando di concorso "solo perchè questi (erano) stati i primi ad essere selezionati". 2. I primi tre motivi vanno esaminati congiuntamente per la connessione logico-giuridica delle relative argomentazioni, e meritano di essere accolti.

2.1 Circa la natura e l'efficacia del bando per la selezione ai fini dell'avanzamento interno di carriera, ha già precisato questa Suprema Corte che ove il datore di lavoro abbia manifestato la volontà di provvedere alla copertura di posti di una determinata qualifica attraverso il sistema del concorso interno ed abbia, a questo fine, pubblicato un bando che contenga tutti gli elementi essenziali (numero dei posti disponibili, qualifica, modalità del concorso, criteri di valutazione dei titoli ecc), prevedendo, altresì, il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile e la data a decorrere dalla quale è destinata ad operare giuridicamente l'attribuzione della nuova posizione, sono rinvenibili in un siffatto comportamento gli estremi della offerta al pubblico, che impegna il datore di lavoro non solo al rispetto della norma con la quale esso stesso ha delimitato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere l'obbligatorie secondo correttezza e buona fede. Sicchè il superamento del concorso, indipendentemente dalla successiva nomina, consolida nel patrimonio dell'interessato l'acquisizione di una situazione giuridica individuale, non disconoscibile alla stregua della natura del bando, nè espropriabile per effetto di diversa successiva disposizione generale, in virtù del disposto dell'art. 2077 c.c., comma 2 (così da ultimo SU n. 8595/1998; Cass. n. 16501/2004).

Tale principio di diritto, che il Collegio condivide e che merita, pertanto, di essere riconfermato, risulta, del resto, pienamente coerente, per come già ritenuto da questa Corte in analoghe fattispecie (cfr. Cass. n. 14478/2009), con la posizione che il datore di lavoro pubblico riveste nell'ambito del pubblico impiego c.d. privatizzato e con la conseguente natura delle situazioni soggettive tutelabili che fanno capo ai dipendenti.

La tesi svolta dalla corte territoriale, per cui il principio dell'immodificabilità del bando deve ritenersi "recessivo" rispetto all'esigenza di buon andamento amministrativo e di perseguimento del superiore interesse pubblico, non considera, infatti, che, a seguito della riforma, la pubblica amministrazione non esercita più, nel rapporto di pubblico impiego, poteri di supremazia speciale, ma opera con la capacità del datore di lavoro privato e nell'ambito di un rapporto contrattuale paritario, e che, non configurandosi in capo ai dipendenti situazioni di interesse legittimo di diritto pubblico, la posizione degli stessi (integralmente riportabile alla categoria dei diritti soggettivi o, a fronte di specifici poteri discrezionali, degli interessi legittimi di diritto privato, pur sempre, comunque, riconducibili alla categoria dei diritti di cui all'art. 2907 c.c.:

cfr. SU n. 14625/2003; Cass. n. 3880/2006) non è degradatole per effetto di atti unilaterali del datore di lavoro, per come per l'innanzi avveniva, allorchè la tutela del lavoratore pubblico era riconducibile (ed era connessa) all'esercizio del potere amministrativo pubblico.

In tal contesto, quindi, la persistente rilevanza che assume l'interesse generale rispetto al datore di lavoro pubblico (dal momento che la privatizzazione del rapporto di impiego non ha certo determinato la privatizzazione della pubblica amministrazione, nè delle sue finalità generali, alla luce dei principi di buon andamento ed imparzialità costituzionalmente rilevanti) non determina e non si risolve, quindi, nella funzionalizzazione dei singoli atti, quanto dell'attività complessiva della stessa, di guisa che i singoli atti di gestione o di organizzazione (per la parte questi ultimi che si collocano al di sotto dell'"alta organizzazione", mantenuta in regime pubblicistico) non sono sindacabili per contrasto col pubblico interesse, come i provvedimenti amministrativi, ma nei limiti consentiti dal programma negoziale e dalle relative fonti - legali e contrattuali- di riferimento (e quindi, non alla stregua dei tradizionali vizi dell'atto amministrativo, ma secondo quelli propri della patologia dei negozi giuridici, derivanti dalla violazione della disciplina legale o contrattuale che presiede all'attività paritetica della pubblica amministrazione: cfr. Cass. n. 21660/2008; Cass. n. 11103/2006)). Il che implica, fra l'altro, che, al di fuori dei casi in cui viene eccezionalmente riconosciuto al datore di lavoro, pubblico o privato, il potere di incidere unilateralmente sul vincolo contrattuale (come nei casi di esercizio del potere disciplinare o di legittimo esercizio dello ius variandi), non risulta configurabile un potere di autotutela della pubblica amministrazione, che costituiva in precedenza espressione delle prerogative unilaterali di cui la stessa era titolare nella regolamentazione del rapporto di impiego, e, più in generale, che la specialità del rapporto non è riferibile (come era nel testo originario della riforma) al "perseguimento di interessi generali", ma alle singole disposizioni (essenzialmente concernenti le modalità dell'assunzione, l'irrilevanza dei fatti concludenti e l'obbligo di assicurare "parità di trattamento" per i dipendenti) che determinano una regolamentazione specifica per il pubblico impiego.

In tal contesto, i poteri discrezionali o valutativi che sono riconosciuti al datore di lavoro pubblico (anche in tema di procedure di avanzamento in carriera) si collocano sempre, come nel lavoro privato, sul piano del regime di diritto comune, e costituiscono espressione di "potere privato", e non anche di discrezionalità amministrativa, risultando censurabili in conformità alle disposizioni di legge e di contratto, e comunque sulla base delle regole di correttezza e buona fede (in quanto espressive dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all'art. 97 Cost.: cfr. SU n. 9332/2002; Cass. n. 9814/2008; Cass. n. 28274/2008) ed in conformità a criteri di adeguatezza e ragionevolezza.

Solo a queste condizioni, del resto, resta superata quella distinzione ontologica fra lavoro pubblico e privato che costituisce l'effetto portante della riforma, che limita la riserva di potestà normativa alla "configurazione strutturale" degli apparati e devolve la residua regolamentazione alle fonti privatistiche, nell'ambito di un "equilibrato dosaggio di fonti regolatrici" ritenuto idoneo a coniugare nel suo complesso l'efficienza ed il buon andamento con la conservazione del necessario valore dell'imparzialità dell'azione amministrativa (Corte Cost. n. 88/1996; Corte Cost. n. 313/1996;

Corte Cost. n. 309/1997; Corte Cost. n. 275/2001).

2.2 Quanto, poi, alla asserita incompatibilità della previsione del contratto integrativo del 21.9.2000, che ha stabilito la decorrenza giuridica ed economica delle riqualificazioni dalla data di pubblicazione del bando, con i vincoli posti dalla contrattazione collettiva nazionale, ed in particolare con la riserva a quest'ultima della materia del trattamento economico e normativo dei dipendenti, deve osservarsi come neanche per tal parte la decisione impugnata riesca ad individuare ragioni idonee a giustificare l'illegittimità del bando, in particolare per l'asserita violazione del principio di competenza che regola i rapporti fra il contratto collettivo nazionale e quello di livello decentrato.

Prevede il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40, comma 3 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2009 ed applicabile, nella fattispecie, ratione temporis) che "...La contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere ambito territoriale e riguardare più amministrazioni. Le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate". In tal contesto, la corte territoriale ha ritenuto di individuare nella previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 1, che prevede che "il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi", e, più in particolare, nel principio, che da tale norma deriverebbe, di necessaria corrispondenza fra l'inquadramento contrattuale dei lavoratori, le mansioni agli stessi richieste ed il corrispondente trattamento economico, le ragioni della nullità della clausola del contratto collettivo integrativo in punto di decorrenza delle procedure di riqualificazione e del corrispondente riconoscimento del trattamento giuridico ed economico.

E' agevole, tuttavia, osservare che i vincoli richiamati dalla norma non possono che essere vincoli specifici, connessi a specifiche materie e ad ambiti di disciplina espressamente esclusi dalla contrattazione collettiva nazionale e riservati a quest'ultima, laddove, invece, la norma dell'art. 45 si limita ad introdurre una riserva di regolamentazione collettiva in materia di trattamento economico dei pubblici dipendenti e le disposizioni del contratto collettivo del Comparto Ministeri non prevedono alcun limite espresso nella materia in esame ed anzi demandano alla contrattazione integrativa la disciplina della progressione economica all'interno dell'area, legittimando la stessa ad intervenire per la "determinazione dei criteri generali per la definizione delle procedure per le selezioni di cui all'art. 15, lett. b" (art. 20)" (vedi sentenza impugnata e sentenza di primo grado, richiamata in ricorso). E ciò anche a non considerare che il principio della normale coincidenza fra la data di inizio dell'attività lavorativa e il riconoscimento del relativo trattamento non risulta puramente speculare alla posizione del personale che sia già dipendente dell'amministrazione e che pur acceda alla superiore posizione economica per effetto di concorso interno, ben potendo la retrodatazione degli effetti trovare, in questi casi, giustificazione in particolari valutazioni di tipo organizzativo relative alle posizioni di lavoro legittimanti la partecipazione al concorso ed all'esigenza di assicurare la parità di trattamento dei dipendenti positivamente selezionati, indipendentemente dai tempi di definizione delle relative procedure.

Giova soggiungere che la sentenza impugnata non contiene, peraltro, alcun rilievo neppure in ordine a quanto era stato eccepito dalla parte ricorrente in sede di costituzione nel giudizio di secondo grado, e precisamente, per come si è documentato in seno al ricorso, che "in nessuna circostanza l'amministrazione appellante o organi di controllo di qualsiasi genere e tipo hanno ritenuto che il CCNL del 2000 fosse privo di copertura finanziaria, nè la questione è stata oggetto di controversia fra le parti nel corso del primo grado del giudizio", sicchè, anche sotto tale aspetto, la questione del superamento dei vincoli richiamati dall'art. 40 del T.U. appare preclusa.

3. Il ricorso -assorbiti gli ulteriori motivi- va, pertanto, accolto e la causa rimessa ad altro giudice di pari grado, il quale, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità, la deciderà attenendosi al seguente principio di diritto:

"Ove il datore di lavoro abbia manifestato la volontà di provvedere alla copertura di posti di una determinata qualifica attraverso il sistema del concorso interno ed abbia, a questo fine, pubblicato un bando che contenga tutti gli elementi essenziali (numero dei posti disponibili, qualifica, modalità del concorso, criteri di valutazione dei titoli ecc), prevedendo, altresì, il riconoscimento del diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione di lavoro disponibile e la data a decorrere dalla quale è destinata ad operare giuridicamente l'attribuzione della nuova posizione, sono rinvenibili in un siffatto comportamento gli estremi della offerta al pubblico, che impegna il datore di lavoro non solo al rispetto della norma con la quale esso stesso ha delimitato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere l'obbligazione secondo correttezza e buona fede. Sicchè il superamento del concorso, indipendentemente dalla successiva nomina, consolida nel patrimonio dell'interessato l'acquisizione di una situazione giuridica individuale, non disconoscibile alla stregua della natura del bando, nè espropriabile per effetto di successiva determinazione del datore di lavoro".

P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma.




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