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martedì 13 dicembre 2011

Lavoro, part time, non discriminazione, riproporzionamento. Cassazione Civile, Sez. Lav., 29 agosto 2011, n. 17726


(OMISSIS)



Con sentenza dei 30/10 - 18/12/07 la Corte d'appello di Milano rigettò l'impugnazione proposta dalla società Alfal'. s.p.a avverso la sentenza n. 4423/05 del giudice del lavoro del Tribunale di Milano, con la quale, in accoglimento della domanda proposta da Tizio , era stata dichiarata la nullità dell'articolo 4, comma 5, del CCNL per il personale dipendente da società e consorzi concessionari di (OMESSO) per violazione del divieto di discriminazione di cui al Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4 e conseguentemente confermò la sentenza gravata, mentre compensò tra le parti le spese del grado, sia in considerazione della soccombenza del lavoratore in ordine all'appello incidentale dal medesimo svolto con riferimento al mancato accoglimento del domanda inerente il riconoscimento del diritto alla maggiorazione per lavoro notturno, sia per l'esistenza di pronunce contrastanti sulla questione. Il giudice d'appello motivò il rigetto dell'appello principale spiegando che la violazione, da parte della società, della norma di cui al Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4, era dipesa dal fatto che al Tizio , esattore autostradale "part time", non era stato corrisposto un trattamento retribuivo riproporzionato per la ridotta entità della prestazione lavorativa eseguita rispetto a quella normalmente prestata dai lavoratori a tempo pieno, bensì un trattamento differenziato e deteriore per il solo fatto di aver svolto lavoro a tempo parziale.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Alfa l'. S.p.a che affida l'impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso il Tizio. . Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c..


1. Col primo motivo la ricorrente si duole dell'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5) contestando che la Corte d'appello abbia potuto ritenere comparabile il lavoro svolto dal Tizio , che opera su turni caratterizzati dalle sequenze di lavoro e di riposo meno gravose di quelle osservate dai lavoratori a tempo pieno, a quello eseguito da questi ultimi, nonostante il medesimo giudicante avesse correttamente escluso il diritto del ricorrente a ricevere le maggiorazioni previste dall'articolo 11, comma 10, del suddetto c.c.n.l. per il personale impegnato in turni continui ed avvicendati come gli esattori di livello "C".

2. Col secondo motivo ci si duole dell'insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5) obiettandosi che la Corte territoriale aveva preso atto che vi erano ragioni oggettive che giustificavano un trattamento differenziato per l'indennità del lavoro notturno tra lavoratori "part-time" e quelli "full time", per cui non poteva non ritenersi essere caduta in contraddizione laddove aveva, poi, affermato che vi era stata violazione del divieto di discriminazione di cui al Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4 per la sola ragione che la retribuzione del Tizio era risultata essere meno che proporzionale rispetto a quella percepita dagli esattori del livello "C", impegnati in turni continui ed avvicendati, asseritamente individuati come lavoratori comparabili. Ritiene la Corte che i due motivi di censura del ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto gli stessi impogono nel loro insieme di stabilire se il mancato riproporzionamento della retribuzione oraria di un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato in regime di "pari time verticale" rispetto a quella dei suoi colleghi impiegati a tempo pieno in analoghi turni avvicendati costituisca o meno violazione del divieto di discriminazione di cui al del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4. La società contesta, infatti, che la retribuzione oraria del lavoro a tempo parziale sia meno che proporzionale rispetto a quella prevista per il lavoro a tempo pieno, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata in cui si afferma che, a differenza di quello che accade per i turnisti a tempo pieno, i lavoratori assunti col sistema "part time" si vedono applicare tale divisore su tutte le voci stipendiali, conseguendo, in tal modo, una retribuzione non esattamente proporzionale per il numero di ore lavorate a quella erogata ai dipendenti impegnati in regime "full time".

La materia in esame è disciplinata dai decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (G.U. n. 66 del 20/3/2000) che è attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dai CEEP e dal CES che tra le proprie finalità prevede, alla lettera a), quella di assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale.

La clausola 3) di tale accordo, riguardante le definizioni, stabilisce che si intende per: 1) "lavoratore a tempo parziale", il lavoratore il cui orario di lavoro normale, calcolato su base settimanale o in media su un periodo di impiego che può andare fino ad un anno, è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile; 2) "lavoratore a tempo pieno comparabile", il lavoratore a tempo pieno dello stesso stabilimento, che ha lo stesso tipo di contratto o di rapporto di lavoro e un lavoro/occupazione identico o simile, tenendo conto di altre considerazioni che possono includere l'anzianità e le qualifiche/competenze.

Nella stessa clausola è stabilito che, qualora non esista nessun lavoratore a tempo pieno comparabile nello stesso stabilimento, il paragone si effettui con riferimento al contratto collettivo applicabile o, in assenza di contratto collettivo applicabile, conformemente alla legge, ai contratti collettivi o alle prassi nazionali.

Inoltre, ai primi tre punti della clausola 4) sul principio di non-discriminazione è previsto che per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive (1), che dove opportuno, si applica il principio "pro rata temporis" (2) e che le modalità di applicazione della presente clausola sono definite dagli Stati membri e/o dalle parti sociali, tenuto conto della legislazione Europea e delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali (3).

Nel dare attuazione a tale direttiva Europea il legislatore nazionale ha introdotto, con il Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4, il principio di non discriminazione, stabilendo quanto segue:

1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta ed indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale.

2. L'applicazione del principio di non discriminazione comporta che:

a) il lavoratore a tempo parziale benefici dei medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione oraria; la durata del periodo di prova e delle ferie annuali; la durata del periodo di astensione obbligatoria e facoltativa per maternità; la durata del periodo di conservazione del posto di lavoro a fronte di malattia; infortuni sul lavoro, malattie professionali; l'applicazione delle norme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro; l'accesso ad iniziative di formazione professionale organizzate dal datore di lavoro; l'accesso ai servizi sociali aziendali; i criteri di calcolo delle competenze indirette e differite previsti dai contratti collettivi di lavoro; i diritti sindacali, ivi compresi quelli di cui al titolo 3 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. I contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, possono provvedere a modulare la durata del periodo di prova e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia qualora l'assunzione avvenga con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale;

b) il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa; l'importo della retribuzione feriale; l'importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità. Resta ferma la facoltà per il contratto individuale di lavoro e per i contratti collettivi, di cui all'articolo 1, comma 3, di prevedere che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare a carattere variabile, sia effettuata in misura piu' che proporzionale.

Orbene, alla luce di tali disposizioni normative deve trarsi la conclusione che il rispetto del principio di non discriminazione, di cui al Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, articolo 4, attuativo della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo - quadro sul lavoro a tempo parziale, per effetto del quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale, secondo tale disposizione, quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, del citato decreto (contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente piu' rappresentativi, contratti collettivi territoriali stipulati dai medesimi sindacati e contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali, di cui alla Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 19 e successive modificazioni), esclude che la suddetta comparazione possa eseguirsi in base a criteri diversi da quello contemplato dalla norma con esclusivo riferimento all'inquadramento previsto dalle fonti collettive, per cui non possono valere criteri alternativi di comparazione, quale quello del sistema della turnazione continua ed avvicendata seguita dai lavoratori a tempo pieno.

Ne consegue che il richiamo operato dalla ricorrente a quest'ultimo sistema di turnazione a sostegno delle proprie censure è infondato.

Egualmente privo di pregio è il tentativo della ricorrente società diretto a sostenere che la figura dei lavoratori a tempo pieno alle sue dipendenze non può essere presa come punto di riferimento nell'applicazione del concetto di "lavoratore a tempo pieno comparabile", svolgendo i medesimi dei turni continui ed avvicendati, in quanto, come evidenziato sopra, la norma in questione, nel prevedere espressamente che per "lavoratore a tempo pieno comparabile" deve intendersi quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, esclude che ci si possa riferire a circostanze di fatto diverse, quali quelle inerenti le caratteristiche della continuità e dell'avvicendamento dei turni in cui sono impegnati i lavoratori a tempo pieno. Ne consegue, altresì, l'infondatezza dei rilievi che poggiano sulla assenta validità del metodo di calcolo adoperato, vale a dire quello che contempla l'applicazione dello stesso divisore in misura diversa tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale, ove la diversità deriva dal fatto che solo per questi ultimi il divisore 170 è commisurato a tutte le voci stipendiali, posto che un tale metodo non contribuisce di certo al pieno rispetto del principio della non discriminazione cui al citato Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 4 la cui priorità è, invece, assicurata sia dalla normativa Europea che da quella nazionale.

Non va, infatti, sottaciuto che il citato articolo 4, comma 2, prevede alla lettera b) che il riproporzionamento debba avvenire in particolare per l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, con ciò lasciando intendere che il metodo del riproporzionamento deve essere esaustivo. Una tale soluzione è confortata anche dalla considerazione per la quale il citato comma, dell'articolo 4 prevede che la corresponsione ai lavoratori a tempo parziale di emolumenti retributivi, in particolare quelli a carattere variabile (cioè proprio quelli per i quali è esclusivamente applicato il divisore 170 in favore dei soli lavoratori a tempo pieno), sia effettuata in misura più che proporzionale. Tale principio si salda con quello contenuto nel citato articolo 4, comma 1, per il quale il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale, come già visto, quello inquadrato nello stesso livello di fonte collettiva.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo.


La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di euro 2500,00 per onorario, oltre euro 46,00 per esborsi, nonchè IVA, CPA e spese generali ai sensi di legge.