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lunedì 13 febbraio 2012

CASS., SEZ. LAVORO, SENT. N. 18378 DEL 23.08.2006 - CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E DELEGA IN BIANCO

Svolgimento del processo

Con separate sentenze il Tribunale di Milano dichiarava la nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati fra i lavoratori indicati in epigrafe da una parte e le Poste Italiane s.p.a. dall'altra e condannava la società a riammettere i lavoratori nel posto di lavoro ed a pagare loro le retribuzioni maturate.

Avverso le suddette sentenze proponevano appello le Poste Italiane s.p.a. deducendo la legittimità dell'apposizione del termine ai contratti de quibus.

Disposta la riunione dei giudizi, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza depositata in data 2 giugno 2003, confermava l'illegittimità del termine apposto ai contratti de quibus. Per quanto ancora rileva in questa sede osservava che la fattispecie era disciplinata dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, - che attribuisce alla contrattazione collettiva la possibilità di definire nuove ipotesi di legittima apposizione del termine rispetto a quelle previste dalla legge - e dall'art. 8 del c.c.n.l. del settore integrato dall'accordo integrativo 25 settembre 1997 che aveva consentito l'assunzione a termine per esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell'attuazione del progressivo completo equilibrio sul territorio delle risorse umane. Ad avviso della Corte di merito il ricorso ai contratti a termine ai sensi della suddetta clausola collettiva poteva avere solo carattere temporaneo. Nella specie era consentita la stipulazione di contratti a termine solo fino al 30 aprile 1998, avendo le stesse parti valutalo l'eccezionalità della situazione nel suo concreto sviluppo ed avendo stipulato in proposito i c.d. accordi attuativi. Doveva pertanto escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 non potendosi attribuire alcun valore alla circostanza che successivamente era stato siglato altro accordo in data 18 gennaio 2001.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Poste Italiane s.p.a. affidato ad un unico, complesso motivo. I lavoratori resistono con controricorso illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c. in relazione alla L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, e L. n. 56 del 1987, art. 23, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce in particolare l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, in sostanza, ha ritenuto che la sussistenza di un piano di ristrutturazione e trasformazione aziendale di lungo periodo non possa costituire legittima causale per i contratti a termine, ancorché tale causale sia prevista dalla contrattazione collettiva, rispetto alla sussisterebbero pertanto limitazioni sostanziali in ordine alla possibilità di individuare liberamente le ipotesi di legittima opponibilità del termine finale al contratto di lavoro subordinato. Sottolinea in proposito che la soluzione adottata dalla Corte di merito si pone in contrasto con la disposizione di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23, comma 1, che ha affidato alla contrattazione collettiva il compito di introdurre nuove ed ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine alla durata del rapporto di lavoro subordinato imponendo come unico limite all'autonomia collettiva l'individuazione di una quota di lavoro temporaneo negli organici aziendali (c.d. quota di contingentamento).

Sotto altro profilo la società ricorrente deduce che la Corte di merito, negando rilevanza ai verbali di riunione con cui le parti sociali hanno riconosciuto il permanere della validità ed efficacia del citato accordo integrativo del 25 settembre 1987, avrebbe violato i criteri di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. Sottolinea, fra l'altro, che ancora nel maggio del 1999 le organizzazioni sindacali avevano convenuto sul perdurare delle esigenze di ristrutturazione e rimodulazione e che, nel verbale di riunione del 18 gennaio 2001, le parti sociali avevano fornito un'interpretazione autentica dell'accordo del 25 settembre 1997 ribadendo che lo stesso non era mai scaduto ed era, pertanto, tuttora in vigore.

Il ricorso è infondato e deve essere pertanto rigettato, anche se la motivazione della sentenza merita di essere parzialmente corretta ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2.

Deve premettersi, conformemente, sul punto, a quanto recentemente affermato da questa Corte con le sentenze n. 14011/2004 e 7745/2005 (ed in parziale contrasto con le precedenti sentenze n. 18354/2003 e n. 995/2004), che la L. n. 56 del 1987, art. 23, sancisce, al comma 1, che l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 e successive modificazioni e integrazioni, nonché al D.L. n. 17 del 1983, art. 8 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 79 del 1983, è consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. I contratti collettivi stabiliscono il numero in percentuale dei lavoratori che possono essere assunti con contratto di lavoro a termine rispetto al numero dei lavoratori impegnati a tempo indeterminato. L'ipotesi in esame è quella individuata dall'accordo sindacale 25 settembre 1997, sottoscritto ad integrazione dell'art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, che fa riferimento alle esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell'ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, della sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell'attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane; ipotesi che è stata precisata dall'accordo sindacale, stipulato anch'esso in data 25 settembre 1997, intitolato accordo attuativo per assunzioni con contratto a termine, a norma del quale, in relazione all'art. 8 del c.c.n.l., così come integrato con accordo 25 settembre 1997, le parti si danno atto che, fino al 31 gennaio 1998, l'impresa si trova nella situazione che precede, dovendo affrontare il processo di ristrutturazione della sua natura giuridica con conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione. In conseguenza di ciò e per far fronte alle suddette esigenze si potrà procedere ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Il termine del 31 gennaio 1998 è stato, poi, definitivamente prorogato al 30 aprile 1998 in forza dell'accordo sindacale "attuativo" sottoscritto in data 16 gennaio 1998.

La norma della L. n. 56 del 1987, art. 23, rappresenta uno sviluppo, indubbiamente innovativo, del modello dei contratti a termine "autorizzati", per i quali, cioè, l'autorizzazione costituiva il presupposto necessario per la valida apposizione del termine di durata, già introdotto nell'ordinamento dal D.L. n. 876 del 1977, convertito in L. n. 18 del 1978, (con le successive modificazioni di cui alla L. n. 737 del 1978, L. n. 79 del 1983, di conversione del D.L. n. 117 del 1983 e L. n. 84 del 1986), mediante l'attribuzione ad un organo pubblico (Ispettorato del lavoro) del potere autorizzativo all'esito di un accertamento preventivo degli elementi della fattispecie normativa. Con tale modello, in effetti, sono state create aree di lavoratori precari e stagionali in funzione d'integrazione ricorrente dell'organico normale dell'impresa.

Le riserva all'autonomia collettiva dell'individuazione di ipotesi di contratti a termine, ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge, ha inteso creare, evidentemente, un diverso sistema di controllo sulle modalità di utilizzazione dello strumento contrattuale, parallelo e alternativo rispetto a quello della L. n. 18 del 1978, per cui, accanto all'area originaria del contratto a termine per esigenze organizzative qualitativamente straordinarie, è stata introdotta la possibilità di prevedere un'area di impiego normale e ricorrente di tale tipo di rapporto, del quale risulta in parte modificata la funzione economico-sociale, restando la tutela del lavoratore affidata non più alle previsioni di norme inderogabili, generali e astratte, ma allo strumento negoziale collettivo.

Peraltro, sulla portata della delega alla contrattazione collettiva, è sorto un problema interpretativo. Ci si è chiesto, cioè, se il contratto a termine autorizzato dalla contrattazione collettiva costituisca, essendone mutata la funzione economico-sociale, un tipo contrattuale a sé stante, interamente sottratto all'area di applicazione della L. n. 230 del 1962, rimasta, fino all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, la legge generale che regola la materia. Tale problema può considerarsi definitivamente risolto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., SS.UU. n. 13343/1993; Cass. n. 18354/2003) con l'affermazione del principio di diritto secondo cui la disposizione della L. n. 56 del 1987, art. 23, che consente alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto individuale di lavoro, opera sul medesimo piano della disciplina generale in materia e si inserisce nel sistema da questa delineato. Consegue, a questo principio di diritto i che l'applicazione di detta disposizione non si sottrae alla sanzione della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e non deroga al principio dell'onere della prova a carico del datore di lavoro.

Il rinvio della legge alla contrattazione collettiva, per l'individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle già previste dalle norme richiamate dalla stessa L. n. 56 del 1987, art. 23, reca la precisazione del livello della stessa contrattazione (nazionale o locale) con esclusione di quella aziendale, nonché gli agenti contrattuali (sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale); ma nessun principio o criterio direttivo viene contestualmente enunciato in ordine alle ipotesi da individuare, prevedendosi soltanto che le stesse debbano essere ulteriori e, perciò, diverse rispetto a quelle già previste dalla legge. Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all'individuazione di ipotesi comunque omologhe rispetto a quelle già previste dalla legge (Cass. n. 14011/2004).

In tale contesto è altresì da precisare che la fattispecie contrattuale ora in contestazione si è esaurita anteriormente all'entrata in vigore del sopra ricordato D.Lgs. n. 368 del 2001, che ha modificato in senso abrogativo la precedente normativa di cui alla L. n. 230 del 1962. Non sono poi neppure applicabili ratione temporis le disposizioni derogatorie del regime di diritto comune di cui al D.L. n. 510 del 1996, art. 9, comma 21, convertito in L. n. 308 del 1996, secondo cui le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'Ente Poste Italiane, a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997, non possono dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato e decadono invece allo scadere del termine finale di ciascun contratto.

In forza della sopra citata "delega in bianco" ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, le parti sindacali ivi indicate hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella determinata da esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali quale condizione per la trasformazione giuridica dell'Ente (Accordo sindacale 25 settembre 1997).

La legge da ultimo citata, con la sua portata applicativa affidata all'autonomia sindacale, si inserisce nel complesso sistema delineato dalla L. n. 230 del 1962, nel senso che restano applicabili le regole da questa prescritte, come ad esempio la trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato dei successivi contratti a termine posti in essere con intento elusivo delle disposizioni di legge (Cass. n. 7519/1998) ed anche la regola per cui l'onere probatorio sulle condizioni che giustificano sia l'assunzione a termine, sia la sua temporanea proroga, resta a carico del datore di lavoro (Cass. n. 19695/2003, Cass. n. 8532/2003, Cass. n. 3843/2000).

Ciò premesso appare parzialmente inesatta la statuizione contenuta nella sentenza impugnata nel punto in cui rinviene nel sistema delineato dalla legge la necessità che, ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell'assunzione a tempo indeterminato e l'assunzione a termine, la norma contrattuale deve naturalmente avere, di per sé, un'efficacia temporale limitata, perché, come già rilevato, nella particolare fattispecie normativa l'autonomia sindacale non trova limiti nella legge per quanto riguarda la tipologia delle nuove ipotesi di contratti a termine da introdurre. E in tal senso va corretta la motivazione della sentenza, la quale resta comunque conforme a diritto, avendo ancorato, mediante specifica ragione motivazionale autonoma e autosufficiente, il termine di validità alle pattuizioni contrattuali e, più precisamente, ai termini del 31 gennaio 1998 e 30 aprile 1998 specificamente previsti dai sopra citati accordi sindacali "attuativi" rispettivamente del 25 settembre 1997 e del 16 gennaio 1998.

La Corte di merito ha, infatti, statuito, sulla base di argomentazioni da sole sufficienti a sorreggere il decisum di rigetto dell'impugnativa della Poste Italiane s.p.a. e, conseguentemente, di accoglimento dell'originaria domanda giudiziale, che comunque la legittimità dei contratti a termine viene esclusa per i contratti stipulati dopo il 30 aprile 1998 (nel cui ambito di tempo rientrano le fattispecie contrattuali in contestazione), avendo le stesse parti sindacali valutato l'eccezionalità della situazione nel suo concreto sviluppo ed avendo stipulato i cosiddetti accordi attuativi. Di conseguenza, con riferimento a quanto ritenuto con orientamento giurisprudenziale consolidato e che nella specie deve trovare ulteriore conferma, ove una sentenza (o un "capo" di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia avuto esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell'impugnazione; questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza nella sua interezza, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano; è sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che, come nella specie, sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni perché il ricorso debba essere respinto integralmente (Cass. n. 5149/2001).

Tanto precisato, si conferma che la Corte territoriale ha correttamente osservato che le parti collettive avevano fissato un limite di tempo alla facoltà di procedere a assunzioni a termine in deroga alla normativa di cui alla L. n. 230 del 1962 e la cennata statuizione non viene inficiata dal precedente errore di diritto per cui l'apposizione del termine medesimo sarebbe necessitata ex lege, poiché la disposizione normativa-sindacale viene considerata un motivo in più per conferire valore alla volontà delle parti, la quale viene in rilievo anche come elemento autonomo (così, con motivazione sostanzialmente analoga, Cass. n. 19695/2003, Cass. n. 2866/2004).

Conformemente con le sentenze da ultimo citate deve ritenersi che non sia ravvisabile la violazione di alcun canone ermeneutico nell'interpretazione della clausola contrattuale, avendo la Corte d'Appello rilevato che le parti avevano stipulato accordi attuativi dei quali quello in data 16 gennaio 1998 aveva differito il termine fino al 31 gennaio 1998, termine poi prorogato con successivi accordi fino a 30 aprile 1998, di talché l'assunzione a termine effettuata dopo il 30 aprile 1998 era priva di strumento derogatorio.

In merito alle censure formulate con riguardo all’interpretazione degli accordi sindacali sopra citati, si rileva che la motivazione addotta dal giudice dell'appello appare, al riguardo, sinteticamente congrua e sicuramente rispettosa dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. in quanto nell'interpretazione degli accordi sindacali succedutisi per introdurre la possibilità di una nuova ipotesi di contratto a termine ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23, - costituiti da: a) il primo accordo in data 25 settembre 1997 per individuare la causale della nuova ipotesi di contratto a termine ("esigenze eccezionali collegate alla trasformazione giuridica dell'Ente"); b) il secondo (e contestuale al primo) accordo, attuativo per assunzioni con contratto a termine, sempre del 25 settembre 1997, per indicare fino a quando l'Ente avrebbe potuto fare ricorso alla cennata ipotesi di contratto a termine(fino al 31 gennaio 1998); c) l'accordo, sempre attuativo, del 16 gennaio 1998 per prorogare la summenzionata data (sino al 30 aprile 1998) - il significato letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti. Infatti nell'interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente i tre accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 12245/2003, Cass. n. 12453/2003).

In ogni caso, la sentenza impugnata ha correttamente, sia pure implicitamente, rispettato il canone ermeneutico di cui all'art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, attribuendo così significato agli accordi attuativi con cui erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997 (che peraltro si riferiva espressamente alle esigenze conseguenti agli assetti occupazionali collegati alla trasformazione giuridica dell'ente effettivamente avvenuta con trasformazione dell'Ente Poste in società per azioni in data 28 febbraio 1998) in quanto, diversamente opinando, ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, erano "senza senso" (così testualmente Cass. n. 2866/2004).

Le censure contenute in ricorso non valgono ad inficiare la ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito: in particolare è da considerare inidoneo all'annullamento della statuizione il richiamo all'accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell'ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato. In relazione a questi eventi, non sussiste la violazione dell'art. 1363 c.c., siccome la Corte territoriale ha valutato tale accordo come irrilevante alla luce del sistema di gestione concordata delle assunzioni recato dagli accordi attuativi. Deve osservarsi che non può certamente ritenersi illogico il suddetto convincimento del giudice di merito ove si consideri che, ammesso che le parti abbiano espresso l'intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell'accordo 25.0.1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la Corte di merito ha comunque deciso in modo conforme alla regula iuris dell'indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, escludendo che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell'interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004, n. 5141).

In conclusione, l’interpretazione che la sentenza impugnata ha dato ai contratti ed accordi succedutisi nel tempo, in relazione all'ambito di operatività dei termini di durata apposti ai singoli contratti di lavoro, risulta adeguatamente motivata, priva di salti logici e del tutto rispondente ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2006.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2006