Conteggi lavoro

martedì 13 marzo 2012

RIORGANIZZAZIONE AZIENDALE PER CRISI - LICENZIAMENTO - LEGITTIMITA' - CASS. SEZ. LAVORO, SENT. N. 3629 DEL 08.03.2012

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 29.10.2004 F.R., premesso di aver lavorato dal maggio 1982 per la F. s.a.s. di R. R. e, quindi, dall'1.4.1989 come impiegato di 3^ livello, per la C. il cui legale rapp.te, M.G., era marito della prima, occupandosi della gestione del flusso di informazioni provenienti dalle società del gruppo Miceli (F. s.r.l., Farelauto s.r.l., Effeserervice) esclusivamente in favore delle quali la predetta C. svolgeva un'attività terminale (la contabilità), esponeva di essere stato licenziato con nota 30.1.2004 per riduzione del personale conseguente ad una presunta crisi del settore.

Sottolineando l'inesistenza della predetta crisi e della prospettata impossibilità di collocamento, da valutarsi con riguardo a tute le società del gruppo, chiedeva dichiararsi la illegittimità del recesso con tutte le conseguenze (reintegratorie e risarcitorie) previste dall'art. 18 St,. lav. o, in subordine, con quelle stabilite dalla L. n. 604 del 1966, art. 8.

Instauratosi il contraddittorio, la C. s.r.l. chiedeva il rigetto delle domande, in particolare, contestando che l'eventuale sussistenza di un gruppo di imprese potesse comportare la costituzione di un distinto centro di interessi e giustificando il licenziamento con la informatizzazione dell'attività di ufficio. Con sentenza del 12.1.2007 il G.L. del Tribunale di Trapani - ritenuto che il licenziamento era stato intimato con riferimento ad una "crisi di settore" (da identificarsi con una perdita economica o con una diminuzione delle commesse) non emergente dalla compiuta istruttoria e, quindi, avuto riguardo ad una motivazione diversa da quella prospettata con la memoria di costituzione (introduzione di sistemi informatizzati di gestione dell'attività); che, in ogni caso, non era stata provata l'impossibilità di adibizione del lavoratore a mansioni equivalenti; che sussistevano i presupposti per la configurazione di un collegamento tra tutte le società del gruppo Miceli - dichiarava l'illegittimità del recesso ed ordinava la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, condannando la società convenuta al risarcimento del danno ex art. 18 St. lav. nonchè alla regolarizzazione previdenziale.

Avverso tale decisione proponeva appello la C. s.r.l., con ricorso depositato il 20 marzo 2007, deducendone l'erroneità sia con riferimento alla declaratoria di illegittimità del licenziamento sia in ordine alle ritenute conseguenze di tale pronuncia.

Con sentenza del 17 gennaio-5 febbraio 2008, l'adita Corte d'appello di Palermo, in riforma della impugnata decisione, rigettava la domanda proposta dal F. con il ricorso introduttivo.

A sostegno del decisum osservava che la dedotta sussistenza della crisi di settore risultava provata dalla svolta istruttoria mentre la scelta del lavoratore da licenziare - caduta proprio sul F. in quanto gli altri dipendenti, adibiti a mansioni equivalenti alle sue nel periodo in esame, possedevano competenze specifiche di cui il ricorrente era sprovvisto ovvero non potevano essere estromessi dal posto di lavoro perchè beneficiari (come la Adamo, in maternità) di uno speciale regime di protezione legislativa- non era stata contestata dal lavoratore, che aveva ribadito la illegittimità del recesso per carenza di prova in ordine all'impossibilità di repechage con riferimento a tutte le imprese del c.d. "Gruppo Miceli", del quale avrebbero fatto parte, oltre alla C. s.r.l., la F. s.a.s., ed altre società.

Tuttavia, non avendo il lavoratore fornito alcuna indicazione per individuare la esistenza di realtà idonee ad una sua possibile diversa collocazione (Cass. n. 6556/2004), la sua richiesta non poteva essere accolta.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre F.R. con due motivi.

Resiste la C. s.r.l. con controricorso, proponando altresì ricorso incidentale e ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. 15 luglio 1966, n. 604, artt. 2 e 5, censura la decisione dei giudici palermitani per non aver desunto dalle risultanze di causa la violazione del "disposto della L. n. 604 del 1966, art. 2"; per aver ricompreso "la diminuzione del lavoro manuale, derivante dall'introduzione di nuove tecniche di lavoro", nel concetto di "crisi settoriale"; per aver negato, di conseguenza, l'ipotizzata modificazione "dei motivi del licenziamento"; per aver affermato la legittimità del recesso non avendo dimostrato "la possibilità di essere impiegato in altre mansioni".

Il motivo è infondato, avendo la Corte di merito adeguatamente motivato perchè la "crisi di settore", posta a base del licenziamento, e le risultanze istruttorie confermassero la legittimità della determinazione assunta dalla società. Infatti, il Giudice a quo ha osservato che, benchè la sintetica formula adottata non permettesse di pervenire univocamente alla conclusione che ci si fosse voluti riferire alla esistenza di una perdita economica ovvero di una diminuzione delle commesse della C. s.r.l. (la cui attività si concretizzava nella gestione informatizzata degli archivi nonchè nella elaborazione della contabilità magazzino e delle vendite), essa consentiva di ritenere -a prescindere dall'indicazione dell'"oggetto" della lettera di licenziamento e con specifico riferimento al "contenuto" della stessa (necessità di sopprimere dei posti di lavoro con la contestuale impossibilità di adibirla ad altre mansioni) - che, attraverso il generico richiamo alla "crisi settoriale", comportante la riduzione del personale, si fosse voluto aver riguardo, come specificato nella memoria di costituzione, alla rarefazione del classico lavoro manuale di ufficio conseguente alla introduzione di nuove tecnologie informatiche necessarie al fine di mantenere la competitività della impresa; con la conseguenza che la specificazione contenuta nella memoria di risposta di primo grado, non poteva ritenersi lesiva, in assenza di una precedente apposita richiesta del lavoratore, del principio di immutabilità dei motivi di recesso.

Al riguardo va ricordato che, come chiarito da questa Corte, nel caso in cui le generiche espressioni contenute nella lettera di licenziamento non si prestino ad essere intese come specifica indicazione dei motivi posti a base del provvedimento espulsivo, e tale specificazione non sia stata richiesta dall'interessato nell'esercizio della facoltà attribuitagli dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, legittimamente le ragioni del recesso possono essere esposte dal datore di lavoro in sede contenziosa all'atto della sua costituzione in giudizio e le stesse devono essere valutate dal giudice di merito per stabilire la legittimità del licenziamento intimato (per questo principio, v. Cass. n. 4807/1995). La sussistenza della crisi nel senso così specificato - prosegue la Corte territoriale - aveva, poi, trovato pieno riscontro probatorio, essendo stati dimostrati, sia l'effettiva introduzione di nuove tecnologie informatiche, peraltro mai negata dal ricorrente, sia il conseguente notevole risparmio di tempo tale da rendere esuberante l'organico.

Osserva il Collegio come, sulla base di tali osservazioni, risulti evidente che l'esposta censura si risolva in una generica contestazione della valutazione fatta dal Giudice d'appello, mediante la contrapposizione di una lettura della stessa con quella richiamata del Giudice di primo grado, ritenuta maggiormente conforme a giustizia.

Va in proposito rammentato che questa Corte non può essere adita per invocare una mera difformità dell'apprezzamento dei fatti, rispetto a quello a cui aspira la parte, poichè la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice del merito, il quale ha il solo obbligo di far risultare dalla motivazione che il proprio convincimento si sia formato attraverso una ponderata stima delle risultanze processuali considerate nel loro complesso, così come avvenuto nel caso in esame (ex plurimis, Cass. Sez. Un. n. 13045/1997).

Con il secondo motivo, il ricorrente denunciando "violazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia", censura la Corte di merito per avere "omesso di valutare le prove emerse nel corso del giudizio di 1 grado, che postulerebbero l'accoglimento del ricorso ed, in ogni caso, non avrebbe motivato in ordine alla loro rilevanza".

In dettaglio, si sostiene che dall'istruttoria svolta sarebbe "emersa chiaramente l'assenza dell'asserita diminuzione del lavoro manuale, a seguito dell'acquisto di un nuovo prodotto informatico. Inoltre, difetterebbe ogni motivazione "in ordine all'obbligo della C. s.r.l. di utilizzare il ricorrente sia all'interno della stessa C. sia all'interno del gruppo; e ciò malgrado tale motivo di doglianza avverso il licenziamento fosse stato avanzato nel ricorso e malgrado la sentenza di primo grado avesse affermato espressamente l'esistenza del "gruppo", e non solo della C. presso cui il ricorrente avrebbe lavorato "con la conseguenza che l'obbligo di repechage avrebbe dovuto essere valutato in relazione anche a detto gruppo e non alla sola C.".

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Invero, nella decisione impugnata non sono ravvisabili le lamentate insufficienze argomentative, non potendo essere ricondotta nel quadro del difetto di motivazione l'ipotesi in cui la sentenza, come nel caso in esame, abbia compiutamente esaminato tutti i punti in contestazione, se pur traendone conseguenze giuridiche difformi da quelle pretese dalla parte, ricorrendo il vizio denunziato solo quando le argomentazioni svolte siano inconciliabili fra loro in modo da elidersi vicendevolmente, e tali da rendere impossibile la identificazione del procedimento logico giuridico seguito. Al contrario la Corte di Palermo ha chiarito, con motivazione ampia ed esauriente, come l'ipotizzato collegamento societario, oltre che indimostrato nei suoi presupposti, doveva considerarsi privo di ogni rilevanza, per non aver il F. individuato in quale delle società, ritenute parte di un unico gruppo avrebbe potuto essere utilmente impiegato e con quali mansioni.

Giova, in proposito, rimarcare che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico nostro a base della decisione (ex plurimis, Cass. n, 3476/1990; Cass. n. 6765/2002;

Cass. 3761/2004).

Vizi di tal fatta non sono comunque ravvisabili nella motivazione espressa dal Giudice di appello, alla quale è stata in buona parte contrapposta quella del primo Giudice.

Il rigetto del ricorso principale consente di ritenere assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dalla C.. Infondato è, invece il ricorso incidentale (non condizionato) proposto dalla società, con cui, denunciando la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione, lamenta che la Corte di merito, senza fornire alcuna indicazione delle sue determinazioni, aveva ritenuto la sussistenza dei "giusti motivi", posti a base della integrale compensazione delle spese dei due gradi di giudizio.

Invero, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte, nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese "per giusti motivi" deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che deve ritenersi assolto l'obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per là statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come - a titolo meramente esemplificativo - nel caso in cui si da atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali. (Cass. Sez. Un. n. 20598/2008). Nella specie, l'avvenuta compensazione delle spese trova evidente ragione nel contrasto del giudizio del Giudice d'appello rispetto alla decisione di primo grado, significativo delle difficoltà di valutazione della situazione di fatto, posta a base del provvedimento di recesso.

L'infondatezza di quest'ultimo ricorso induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del presente giudizio.