Svolgimento del processo
1.- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello della Regione Calabria avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro del 27 luglio 2007, di condanna dell'appellante alla corresponsione in favore di G.L. della somma di Euro 483.100,83, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dal recesso anticipato della Regione dal rapporto di lavoro instauratosi tra le parti sulla base di un contratto stipulato l'11 giugno 1999, prevedente la durata quinquennale dell'incarico di dirigente generale del Dipartimento regionale di pubblica istruzione e cultura (conferito con Delib. Giunta Regionale 3 giugno 1999, n. 1752) e il relativo trattamento economico.
La Corte d'appello di Catanzaro, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è da condividere l'assunto della Regione secondo cui quando, come nella specie, una amministrazione pubblica agisce nell'ambito del pubblico impiego privatizzato - cioè con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2 - ugualmente mantiene il potere di ritirare un proprio atto datoriale se questo è in contrasto con norme imperative inderogabili;
b) è altresì da condividere la tesi della Regione in base alla quale la mancanza del requisito della pregressa esperienza professionale, richiesto dalla L.R. Calabria 13 maggio 1996, n. 7, art. 26, comma 1, lett. b), comporterebbe la nullità, per contrarietà a norma imperativa, del contratto stipulato sul presupposto della sua esistenza;
c) va, però, precisato che, nella specie, non è proprio riscontrabile la suddetta mancanza in capo al G. perchè alla data (11 giugno 1999) della stipulazione del contratto la L.R. n. 7 del 1996, art. 26, lett. b, risultava essere stato modificato dalla L.R. 24 maggio 1999, n. 14, il cui art. 1 bis ha soppresso l'inciso "per almeno un decennio", prima previsto con riguardo alla pregressa esperienza nelle funzioni dirigenziali;
d) conseguentemente, al momento della conclusione del contratto era sufficiente, per il conferimento dell'incarico di dirigente generale, il possesso di una pregressa esperienza nelle funzioni dirigenziali non qualificata sotto il profilo temporale, quale era quella pacificamente svolta dal G., dal 4 giugno 1990 al 7 agosto 1994, come dirigente della Cassa di risparmio di Calabria e Lucania;
e) ne deriva che, non essendo rinvenibile alcun contrasto con norme imperative, il contratto in oggetto era ritenersi valido ed efficace e, specularmente, deve considerarsi del tutto illegittimo il recesso anticipato della Regione;
f) sono da respingere anche le censure relative alla determinazione dei danni da liquidare, effettuata prendendo come riferimento il trattamento economico stabilito nel contratto per lo svolgimento dell'incarico e sulla base dei conteggi del c.t.u. di primo grado, che risultano conformi ai parametri contrattuali e privi di errori di calcolo;
g) conclusivamente, la sentenza di primo grado va integralmente confermata e le spese seguono la soccombenza.
2- Il ricorso della Regione Calabria domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, G.L. che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato e ricorso incidentale autonomo, ciascuno, rispettivamente, per un motivo.
Il G. deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
Preliminarmente i ricorsi devono essere riuniti perchè proposti avverso la medesima sentenza.
1 - Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia: a) in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alla pregressa esperienza dirigenziale idonea ad integrare il requisito prescritto dalla L.R. Calabria 13 maggio 1996, n. 7, art. 26, comma 1, lett. b; b) in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione e falsa applicazione della cit.
L.R. Calabria n. 7 del 1996, art. 26, comma 1, lett. b.
Si premette che quando, come nella specie, una amministrazione pubblica agisce nell'ambito del pubblico impiego privatizzato - cioè con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2 - ugualmente mantiene il potere di ritirare un proprio atto datoriale se questo è in contrasto con norme imperative inderogabili.
Nella presente fattispecie la mancanza originaria, da parte del G., del requisito richiesto dalla L.R. Calabria n. 7 del 1996, art. 26, lett. b, per il conferimento dell'incarico di dirigente generale di dipartimento della Regione Calabria, del pregresso svolgimento di attività in organismi oppure in aziende pubbliche o private in funzioni dirigenziali "per almeno un decennio" comporterebbe la nullità - per contrarietà a norma imperativa - del contratto di lavoro stipulato tra le parti, sull'erroneo presupposto della sussistenza del requisito stesso.
Tale revoca (di cui alla Delib. Giunta Regionale n. 1018 del 2000) configurerebbe un recesso per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 cod. civ. (ipotesi, peraltro, contemplata nel contratto relativo all'incarico in oggetto), cui fa riferimento anche l'art. 27, comma 2, del c.c.n.l. per il Comparto Regioni e autonomie locali - Area dirigenziale del 10 aprile 1996 (non modificato sul punto dai successivi contratti collettivi).
Ciò in quanto non potrebbero esservi dubbi sul mancato possesso del suddetto requisito da parte dell'interessato, la cui unica pregressa esperienza di funzioni dirigenziali sarebbe stata svolta dal 4 giugno 1990 al 7 agosto 1994 (quindi, per un periodo complessivo di 4 anni e due mesi) come dirigente della Cassa di risparmio di Calabria e Lucania.
La Corte territoriale ha, invece, escluso la configurabilità dell'ipotesi della mancanza del requisito in oggetto sul rilievo secondo cui alla data (11 giugno 1999) della stipulazione del contratto in oggetto la L.R. n. 7 del 1996, art. 26, lett. b, risultava essere stato modificato dalla L.R. 24 maggio 1999, n. 14, il cui art. 1 bis ha soppresso l'inciso "per almeno un decennio", prima previsto in riferimento alla pregressa esperienza nelle funzioni dirigenziali.
La Corte catanzarese ha ritenuto che, per effetto della suddetta modifica, il requisito del possesso di una pregressa esperienza nelle funzioni dirigenziali non era più qualificato sotto il profilo temporale, sicchè per il conferimento dell'incarico di cui si tratta doveva considerarsi sufficiente la pregressa esperienza di dirigente svolta dal G..
La Regione ricorrente sostiene che la motivazione adottata sul punto sia, però, lacunosa in quanto da essa non risulterebbero esplichiate le ragioni che hanno indotto il Giudice del merito a pervenire alla suddetta conclusione, tanto più che l'intervenuta modifica del dato normativo non può certamente indurre a ritenere del tutto irrilevante il dato quantitativo della pregressa esperienza dirigenziale, nonostante il silenzio della legge regionale.
Il Giudice del merito, in questa situazione, avrebbe dovuto considerare la normativa prevista per situazioni analoghe. E, cioè, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 6, e la cit. L.R. Calabria n. 7 del 1996, art. 25, i quali, rispettivamente, richiedono: 1) il primo, per il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all'amministrazione statale, l'esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali; 2) il secondo, per il conferimento di incarichi di dirigente generale ai dirigenti di ruolo dell'amministrazione regionale, cinque anni di anzianità in qualifica dirigenziale.
Specialmente, con riguardo al mancato esame di tale ultima disciplina riguardante i dirigenti interni, la motivazione sarebbe del tutto insufficiente, non giustificando adeguatamente per quale ragione per un soggetto esterno possa essere considerata sufficiente un'esperienza dirigenziale -oltretutto n un settore completamente diverso da quello dell'incarico da ricoprire per un periodo inferiore al quinquennio, mentre per un dirigente interno ciò non sarebbe sufficiente.
2- Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 1, erronea individuazione della giurisdizione in capo al giudice ordinario, in violazione del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, artt. 13 e 62 e dei principi generali in materia di riparto di giurisdizione.
Si ribadisce l'eccezione di difetto di giurisdizione - proposta in primo grado e poi in appello -in ordine al capo della sentenza relativo alla condanna della Regione al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali per il periodo compreso tra il 4 gennaio 2001 e il 10 giugno 2004.
Si sostiene che tale statuizione riguarderebbe la materia pensionistica dei pubblici dipendenti, devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti e si sottolinea che il Tribunale ha accolto la domanda del G. sulla suddetta regolarizzazione contributiva e la Corte catanzarese ha confermato integralmente la decisione del primo giudice senza alcuna motivazione sul punto.
3- Con il terzo motivo del ricorso principale si denuncia: a) in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, violazione della L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 11; b) in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alle conclusioni contenute nella c.t.u. di primo grado in punto di contribuzione previdenziale.
In via subordinata rispetto al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata ove, confermando integralmente la sentenza del Tribunale, ha pronunciato la suindicata condanna della Regione al pagamento dei contributi previdenziali, in primo luogo perchè, essendo stata la somma di denaro riconosciuta al G. a titolo risarcitorio per ritenuto illegittimo recesso della Regione senza ricostruzione giudiziale del rapporto, la suddetta condanna violerebbe la L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 11, che fa esclusivo riferimento alla retribuzione per la determinazione della misura dei contributi previdenziali.
In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la Corte d'appello, nel condividere il giudizio del Tribunale sulla quantificazione della somma di denaro da corrispondere al G., ha omesso di esporre le ragioni che l'hanno indotta a confermare anche il dissenso espresso dal primo giudice rispetto alla conclusione del c.t.u. sulla non riconoscibilità della regolarizzazione contributiva, in considerazione del mancato svolgimento della prestazione professionale di cui si tratta.
2 - Sintesi del ricorso incidentale condizionato.
4.- Con il motivo di ricorso incidentale condizionato il G. si duole del mancato accoglimento, da parte della Corte catanzarese, della propria domanda di condanna della Regione al risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., a causa del comportamento gravemente colposo consistente nel non aver verificato con sufficiente attenzione il possesso, da parte del soggetto cui veniva conferito l'incarico di dirigente generale in argomento, dei requisiti legislativamente prescritti.
Si precisa che a tale pronuncia dovrebbe pervenirsi, sia che la posizione soggettiva dell'interessato in merito alla suddetta domanda si configuri come diritto soggettivo perfetto sia che la si configuri come interesse legittimo.
3 - Sintesi del ricorso incidentale autonomo.
5.- Con il motivo del ricorso incidentale autonomo si denuncia, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 429 cod. proc. civ., del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 4, nonchè dell'art. 132 cod. proc. civ., n. 4 e dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ..
Si contesta che la Corte territoriale, senza adeguata motivazione, abbia liquidato le spese processuali in misura inferiore sia ai minimi previsti dalla tariffa professionale vigente sia a quanto richiesto nella nota spese prodotta in giudizio, contenente l'analitica indicazione delle diverse voci.
4 - Esame dei motivi del ricorso principale.
6.- I motivi del ricorso principale non sono da accogliere.
6.1.- Per una migliore comprensione della presente vicenda giudiziaria appare opportuno ricordare che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, nel procedimento di assegnazione incarichi di funzioni dirigenziali da parte di un ente pubblico a soggetti esterni alla struttura organica dell'ente medesimo, vanno distinte due fasi: quella relativa agli atti preliminari (atto di conferimento dell'incarico dirigenziale ed ogni altro atto che, parimenti, preceda la stipulazione del contratto) e quella successiva alla stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo determinato con l'amministrazione abilitato a definire il corrispondente trattamento economico, il tutto in vista di determinati obiettivi.
Entrambe le fasi sono rette dal diritto privato con devoluzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice ordinario (del lavoro), però le conseguenze dell'eventuale inadempimento dell'amministrazione sono rispettivamente diverse nelle due fasi.
Infatti, mentre nella prima fase è riconosciuta all'amministrazione un'ampia discrezionalità nella scelta del contraente.
Conseguentemente in essa non sorge un diritto soggettivo pieno alla stipulazione del contratto dal quale dipende, in via esclusiva, l'assunzione dell'incarico della funzione dirigenziale (vedi, per tutte; Cass. 20 febbraio 2007, n. 3929; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4275), pur essendo configurabili in favore dell'interessato situazioni soggettive di diritto privato, derivanti dalla soggezione della PA ai principi di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., da applicare in modo analogo alle clausole di buona fede e correttezza che presiedono i rapporti interprivati, visto che le valutazioni che la PA compie in questa fase sono analoghe a quelle che potrebbe compiere un privato committente (vedi: Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370; Cass. SU 3 gennaio 2007, n. 4).
Nella fase successiva alla stipulazione del contratto, invece, la tutela del privato è piena e quindi se l'amministrazione recede unilateralmente dal contratto illegittimamente, questo atto ha gli stessi effetti di un recesso contrattuale fra privati, visto che anche la delibera di revoca dell'incarico non ha natura autoritativa (al pari di quella iniziale del conferimento dell'incarico), sicchè il suddetto atto appartiene alla gestione di un rapporto di lavoro assunto dalla PA con le capacità e i poteri del datore di lavoro privato (vedi, per tutte: (Cass. SU 19 ottobre 1998, n. 10370; Cass. 16 febbraio 2009, n. 3677).
Dalle suesposte considerazioni si desume che l'atto che ha dato origine alla presente controversia è un atto di quest'ultimo tipo, essendo stato adottato dopo la stipulazione da parte del G. del contratto individuale di lavoro a tempo determinato con la Regione Calabria diretto a definire il corrispondente trattamento economico, in vista degli obiettivi determinati.
6.2.- Ne deriva l'infondatezza del primo motivo del ricorso principale.
Va osservato al riguardo che l'assunto della Corte d'appello sull'assenza di un termine per la pregressa esperienza di funzioni dirigenziali, derivante dalla modifica della L.R. Calabria 13 maggio 1996, n. 7, art. 26, lett. b, non si pone in contrasto con la normativa invocata dalla ricorrente e, se valutato con riferimento al quadro normativo e giurisprudenziale esistente all'epoca dello svolgimento dei fatti, appare sostenuto da una motivazione coerente, logica e giuridicamente ineccepibile.
In primo luogo, deve essere precisato che è indubbio che - come rileva la Corte territoriale -la modifica del suddetto L.R. n. 7 del 1996, art. 26, lett. b - consistente nell'abolizione delle parole "per almeno un decennio" ove si prevede il requisito del pregresso svolgimento di funzioni dirigenziali - è antecedente all'11 giugno 1999, data di stipulazione del contratto in oggetto, visto che la L.R. 24 maggio 1999, n. 14, il cui art. 1 bis contiene la suddetta modifica, è entrato in vigore lo stesso 24 maggio 1999, in base all'art. 43 della legge stessa.
Detto questo, anche l'affermazione della conseguente inesistenza di un termine temporale minimo di pregressa esperienza di svolgimento di funzioni dirigenziali appare del tutto plausible, soprattutto se contestualizzata.
Infatti, la riforma del titolo 5 della Parte 2 della Costituzione (disposta con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) è entrata in vigore il giorno 8 novembre 2001, d'altra parte il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (che, agli artt. 88 e 111, stabilisce un raccordo tra la disciplina degli uffici e del personale, anche di livello dirigenziale, degli enti locali e quella del D.Lgs. n. 29 del 1993 e successive modificazioni) è entrato in vigore il 13 ottobre 2000.
All'epoca vi erano riferimenti, nella contrattazione collettiva, alle norme del D.Lgs. n. 29 del 1993, però nel CCNL del Comparto Regioni- Autonomia locali vigente dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 2001, all'art. 22, comma 2, si faceva esclusivo riferimento ai principi stabiliti dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, commi 1 e 2 e quindi non al comma 6 richiamato dalla Regione ricorrente (che stabilisce, tra l'altro, che gli incarichi dirigenziali possano essere conferiti a persone esterne all'amministrazione che siano in possesso di una "esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali").
Va considerato, altresì, che solo con il D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 40, comma 1, lett. f), in sede di modifica del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19 (nel quale, com'è noto, sono confluiti i corrispondenti articoli contenuti nei precedenti decreti legislativi, in materia) si è espressamente estesa l'applicazione del comma 6 cit. (oltre che del nuovo comma 6 bis) alle amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, tra le quali rientrano anche le Regioni (vedi, sul punto, Corte Cost. sentenza n. 310 del 2011).
Comunque, in linea generale, solo in epoca relativamente recente si è consolidato nell'ambito della giurisprudenza costituzionale l'orientamento secondo cui la normativa statale in materia di incarichi dirigenziali conferiti a soggetti esterni all'amministrazione è "riconducibile alla materia dell'ordinamento civile di cui all'art. 117 Cost., comma 2, lett. l), poichè il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato", sicchè le Regioni non possono legiferare in materia senza rispettare i precetti stabiliti dalla suddetta legislazione statale (vedi, per tutte: Corte cost. sentenza n. 324 del 2010).
Ne consegue che, all'epoca in cui si è svolta la presente vicenda (e, in particolare, quando è intervenuta la L.R. n. 14 del 1999), l'individuazione da parte delle Regioni dei soggetti esterni all'amministrazione idonei a ricoprire l'incarico dirigenziale era altamente discrezionale e subordinata unicamente all'impossibilità di reperire le speciali professionalità nell'ambito della dirigenza di ruolo, senza necessità di richiedere ai destinatari il possesso degli stessi requisiti stabiliti per le amministrazioni statali, ritenendosi sufficiente la verifica della sussistenza dei requisiti indicati dalla normativa (nella specie regionale) di riferimento in capo al soggetto destinatario dell'incarico.
D'altra parte, la posizione dei soggetti esterni all'amministrazione scelti per svolgere, con contratto a tempo determinato, un certo incarico dirigenziale era - e tuttora è - imparagonabile rispetto a quella dei dirigenti interni. Conseguentemente, l'interpretazione adottata dalla Corte territoriale appare esente da critiche, anche ove non ha espressamente preso in considerazione i requisiti richiesti dalla cit. L.R. n. 7 del 1996, art. 25, per l'attribuzione delle funzioni di dirigente generale ai dirigenti di ruolo.
6.3.- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Da quanto si desume dalla costante giurisprudenza di questa Corte in materia si deve considerare inammissibile il motivo di ricorso per cassazione, inerente a questione di giurisdizione, che, richiamando genericamente l'art. 360 cod. proc. civ., n. 1, non abbia indicato le norme o i principi di diritto per i quali la giurisdizione non apparterrebbe, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'appello, al giudice ordinario, nè abbia evidenziato, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la sussistenza in concreto dei presupposti del sostenuto difetto di giurisdizione (arg. ex Cass. SU 4 maggio 2006, n. 10220; Cass. SU 18 dicembre 2009, n. 26644).
Ne deriva che, la formulazione della presente censura, appare ictu oculi carente degli elementi richiesti per la deduzione, come motivo di ricorso per cassazione, di una questione riguardante la giurisdizione, da sottoporre al sindacato delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 360 cod. proc. civ., n. 1, artt. 362 e 374 cod. proc. civ., in quanto essa non risulta fondata sui presupposti di fatto tipici di tale tipo di questione (arg. ex Cass. 8 luglio 2004, n, 12561; Cass. 9 maggio 2000, n. 5885; Cass. 15 luglio 1977, n. 3185; Cass. 30 gennaio 2007, n. 1947; Cass. 16 febbraio 2010, n. 3548).
Infatti, l'assunto della Regione ricorrente secondo cui la questione relativa al versamento dei contributi previdenziali in favore del G. e alla relativa condanna sarebbe devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti e non a quella del giudice ordinario (perchè riguarderebbe la materia pensionistica del settore pubblico) è del tutto sfornito di adeguata dimostrazione e si risolve quindi un una mera enunciazione, che risulta palesemente priva di collegamento con l'oggetto del presente giudizio, tanto più che la sentenza impugnata non contiene sul punto alcuna statuizione specifica.
D'altra parte, anche il contestato omesso esame della questione sulla giurisdizione da parte dei Giudici del merito, nonostante l'asseritamente rituale proposizione, è del tutto indimostrato e, comunque, non risulta essere ritualmente prospettato come vizio di omessa pronuncia su un motivo di gravame (vedi, sul punto: Cass. 4 giugno 2007, n. 12952; Cass. 10 dicembre 2009, n. 25825).
6.4- Il terzo motivo del ricorso non è fondato.
Va precisato al riguardo che nell'ipotesi in cui sia giudizialmente accertata la violazione di norme imperative da parte di un ente pubblico non economico datore di lavoro nella fase gestionale di un rapporto di lavoro, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2126 cod. civ., sorge nell'interessato il diritto non solo ai compensi previsti per quel tipo di rapporto, ma anche a non subire pregiudizi nella propria posizione previdenziale (arg. ex Cass., 20 maggio 2008, n. 12749).
Del resto, in linea generale, come più volte affermato da questa Corte, in tutti i casi in cui, per effetto di un vizio della risoluzione del rapporto imputabile al datore, sia sancita la continuità del rapporto di lavoro, permane a suo carico, anche a prescindere dalla reintegrazione, l'obbligo contributivo, a questi soli fini considerandosi "conseguito" quanto nell'ambito del rapporto di lavoro il prestatore non ha potuto ricevere (arg. ex Cass. 27 luglio 2007, n. 16675; Cass. 10 novembre 2003, n. 16849).
Ne consegue che l'assenza di un ordine di reintegrazione nelle ipotesi come la presente è del tutto ininfluente rispetto alla sicura compatibilità della condanna risarcitoria di cui si tratta (che nasce da un illecito contrattuale) con la condanna alla regolarizzazione della posizione previdenziale del G..
Inoltre, appare esente da censure anche la implicita conferma, da parte della Corte d'appello, del dissenso formulato dal Tribunale rispetto alla conclusione del c.t.u. di non attribuibilità della regolarizzazione contributiva in oggetto, a causa della mancata prestazione professionale corrispondente.
Infatti, a parte il mancato rispetto del principio di autosufficienza nella formulazione di tale profilo di censura, va ricordato che, come di recente ribadito (Cass. 29 agosto 2011, n. 17720), la consulenza tecnica ha un limite intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico, sicchè così come i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti, analogamente se per ipotesi il consulente effettua, di propria iniziativa, simili valutazioni non se ne deve tenere conto, a meno che esse vengano vagliate criticamente e sottoposte al dibattito processuale delle parti (arg. ex Cass. SU 6 maggio 2008, n. 11037; Cass. 4 febbraio 1999, n. 996).
Nella specie, a quanto risulta dal ricorso, il consulente ha impropriamente espresso sul punto una valutazione di tipo tecnico- giuridico, sicchè opportunamente i Giudici, sottoponendola al proprio vaglio critico, se ne sono discostati.
5 - Dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
7- Al rigetto del ricorso principale consegue la dichiarazione di assorbimento del ricorso incidentale condizionato (vedi, per tutte: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787).
6 - Esame del ricorso incidentale autonomo.
8- Il ricorso incidentale autonomo deve, invece, essere respinto.
Si deve ricordare al riguardo che, per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, la liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. 14 luglio 2011, n. 14542; Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 24 maggio 2000, n. 6824).
Nella specie il G. non ha indicato con precisione e analiticamente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e asseritamente spettanti, in tal modo non consentendo al giudice di legittimità il controllo - senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti - degli errori di quantificazione delle spese solo astrattamente enunciati in ricorso, tra i quali anche la violazione dei minimi inderogabili di tariffa non risulta adeguatamente specificata.
Conclusioni.
9.- Per le suesposte considerazioni, il ricorso principale e quello incidentale autonomo vanno respinti, il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito.
Le spese del presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza prevalente della ricorrente principale e vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e quello incidentale autonomo, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Condanna la Regione Calabria ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, euro 6000,00 (seimila/00) per onorari di avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali.