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giovedì 26 aprile 2012

Qualificazione di rissa - Corte d'Appello di Milano, sent. del 23.07.2007

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza in data 16 giugno 2006 il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, giudicando con rito abbreviato, dichiarava gli appellanti R.J.M. e A.C., nonché B.R.G. (non appellante), colpevoli dei reati:

a) di cui all'art. 588 c.p., per aver partecipato ad una rissa, entrando in violenta colluttazione tra di loro;

b) del reato di cui agli artt. 119, 337 c.p. perché, in concorso tra loro, colpendoli con pugni e calci, avevano usato violenza nei confronti dei pubblici ufficiali, Agenti dello Polizia di Stato, N.A., Ag. di P.S. E.D.A., C.C. e P.A., allo scopo di opporsi agli stessi, intervenuti a sedare la rissa e quindi mentre stavano compiendo un atto del loro ufficio.

(omissis)

Ritenuta la continuazione, concesse le attenuanti generiche ed applicata la diminuente del rito, condannava ciascuno alla pena di mesi tre di reclusione, accordando il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Per i medesimi reati altro imputato, O.M. aveva diversamente definito la propria posizione, con richiesta di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p.

L'episodio si é svolto (omissis), ove la Centrale Operativa inviava una pattuglia POLFER, essendo stata ivi segnalata una rissa.

Ed infatti, come descritto dal teste A., al cui esame era stata condizionata la richiesto di rito abbreviato, gli agenti operanti avevano trovato i quattro rumeni predetti prendersi reciprocamente a calci e pugni.

Intervenuti nel vano tentativo di dividerli, gli agenti - tutti in divisa - erano stati a loro volta colpiti da costoro che avevano reagito a tale intromissione. In tale frangente l'Agente A. era stato colpito ad una spalla ed era caduto, ma ciò non aveva fermato la lite che era proseguita.

Gli imputati negavano finanche il litigio, asserendo di essersi limitati a parlare a voce alta, in particolare lo aveva fatto il B. discorrendo con l'O; e di essersi dati alla fuga, alla vista della Polizia, nel timore di essere condotti in Questura.

Sin qui i fatti che il primo Giudice ha ritenuto integrare le due fattispecie sopra indicate, considerata anche - a smentita dell'assunto difensivo - in uno con gli atti di polizia utilizzabili in sede di giudizio abbreviato, la deposizione del teste operante e l'oggettiva circostanza dell'invio disposto dalla Centrale operativa, in seguito alla segnalazione di una rissa.

Con l'appello proposto si chiede l'assoluzione degli imputati, ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p., da entrambi i reati per insussistenza del fatto; in subordine la riduzione della pena e per A. anche il beneficio della non menzione.

Non vi sarebbero prove sufficienti della partecipazione di R., né questa potrebbe trarsi dalla deposizione del teste A. "precisa circostanziata" a fronte di un verbale di arresto in flagranza che il Giudice stesso ha ritenuto "redatto in forma alquanto generica".

Inoltre, sottolinea la difesa appellante di A., se nella rissa é necessaria la presenza di più centri di aggressione con volontà contrapposta e vicendevole di attentare alla altrui incolumità, non ci sono elementi sicuri per affermare che si versasse in siffatta ipotesi e non piuttosto nel caso di aggressione di tre persone contro una quarta.

Sicché verrebbe meno uno degli elementi costitutivi del reato di rissa.

Quanto al reato di resistenza a pubblico ufficiale, il fatto che - secondo lo stesso teste - i quattro non abbiano nemmeno interrotto la lite a fronte dell'intervento degli operanti dimostra che era estranea a loro l'intenzione di aggredirli o comunque di opporsi, tanto da aver poi cercato di sfuggire alla pattuglia. Ogni conseguenza in danno del personale di Polizia era dunque stata solo accidentale e, anche in tal caso, faceva venir meno l'elemento oggettivo della fattispecie criminosa ovvero la opposizione all'attività d'ufficio.

L'appello non può essere accolto.

Il reato di rissa è infatti integrato quando si verifica una violenta contesa, con vie di fatto e con il proposito di ledersi reciprocamente, tra tre o più persone; contesa che, anche per la possibilità che altre persone intervengano a prendere le parti dei contendenti, costituisce di per sé un pericolo per l'incolumità pubblica.

Per la configurazione di tale reato è sì necessario che in tale contesa violenta esistano più fronti di aggressione, con volontà vicendevole di attentare all'altrui personale incolumità; ma ciò può realizzarsi anche quando qualcuna delle "parti" protagoniste sia rappresentata da un solo soggetto, con l'unico limite che il numero dei corrissanti non sia inferiore a quello di tre.

Pertanto nel caso di specie, gli elementi costitutivi della fattispecie devono ritenersi presenti ed adeguatamente provati da quanto emerge dai verbali di arresto in atti e dalle dichiarazioni rese ad ulteriore chiarimento dal teste A. (alla cui deposizione venne condizionata la richiesta del rito speciale), dichiarazioni che, rese a pochi giorni dai fatti, non sono affatto inficiate dal sospetto di inattendibilità avanzato, giacché la deposizione in aula può e deve consentire l'esplicazione meno frettolosa e riassuntiva di un verbale di arresto in flagranza.

Quanto al reato di resistenza a pubblico ufficiale, occorre considerare che, come anche confermato dal teste, gli operanti intervennero in divisa, cercando di riportare alla calma i corissanti che, sobri (né hanno sostenuto il contrario) e in grado di percepire la dichiarata qualifica del personale intervenuto, non solo hanno continuato nella violenta contesa, ma hanno specificamente e deliberatamente diretto la violenza - come confermato dal teste - anche nei confronti del personale intervenuto a sedare la rissa e ad immobilizzare i vari contendenti, operazione nel corso della quale l'Agente A. veniva colto riportando la lussazione di una spalla.

La condotta oggettivamente violenta nei confronti del personale di Polizia non é stata, alla stregua di quanto risulta, una involontario riflesso della rissa in atto, bensì la modalità scelta per riprendere le reciproche ostilità, nonostante l'intervento della Polizia e dunque, in primo luogo, l'intenzionale e violenta opposizione all'atto di ufficio degli operanti intervenuti a bloccare i contendenti.

Ribadita la penale responsabilità di entrambi gli appellanti per i reati contestati, la Corte ritiene di dover confermare la sentenza impugnata anche con riferimento al trattamento sanzionatorio che, con il riconoscimento delle attenuanti generiche e l'equa applicazione dei criteri dettati dall'art. 133 c.p. ha commisurato la sanzione - inflitta peraltro con il beneficio della sospensione condizionale - in termini che non consentono ulteriori giustificabili riduzioni.

Per quanto riguarda l'ulteriore richiesta avanzata in favore dell'appellante A., le condizioni soggettive dello stesso, senza fissa dimora nello Stato, ed il tenore della condotta non depongono a favore della concessione della non menzione della condanna sul certificato penale rilasciato a richiesta di privati.

Alla conferma della sentenza consegue per legge la condanna degli appellanti la pagamento delle spese del grado.

P.Q.M.

LA CORTE

Visti gli artt. 605 e 592 c.p.p.,

conferma

la sentenza emessa in data 16/6/2006 dal Tribunale di Milano nei confronti degli appellanti R.J. e A.C. che condanna, in solido, al pagamento delle spese del grado.

Così deciso in Milano il 16 luglio 2007.

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2007.