Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Roma dell'8 marzo 1991 la Federazione Regionale Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL denunciava il comportamento antisindacale del Comandante provinciale dei Vigili del Fuoco di Roma e per esso del Ministero dell'Interno.
Esponeva la ricorrente che il 12 gennaio 1991 aveva richiesto al Comandante predetto un permesso sindacale per il successivo giorno 15 in favore del dipendente Mauro Bergamini, dirigente sindacale componente di organi collegiali e statutari; che il permesso era stato negato con la motivazione che la Direzione generale del Ministero dell'Interno, per l'aggravarsi della situazione internazionale, aveva espresso l'esigenza di assicurare in quei giorni la massima presenza, ma poi che per gli stessi giorni era stato concesso un permesso sindacale in favore di altro dipendente, E. La P., componente di organi statutari di altra associazione sindacale. Argomentava la ricorrente che un siffatto comportamento era da considerarsi antisindacale, sia per la concessione di analogo permesso ad un dirigente di altra organizzazione sindacale, sia perché la raccomandazione del Ministero riguardava gli Ispettori regionali ed i Comandanti provinciali dei Vigili del Fuoco.
L'adito Pretore, con decreto 6 giugno 1991, dichiarava antisindacale il diniego del permesso in favore del Bergamini e tale decisione confermava con sentenza 18 maggio 1992 in sede di opposizione al decreto stesso.
L'appello proposto dal Ministero veniva rigettato dal Tribunale di Roma con sentenza 18 novembre 1994 2 giugno 1995.
Avverso tale sentenza ricorre il Ministero dell'Interno con quattro motivi.
Resiste con controricorso la Federazione Regionale Lavoratori della Funzione Pubblica CGIL del Lazio e di Roma.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il Ministero ha denunziato violazione falsa applicazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, degli artt. 6 e 7 l. 12 giugno 1990 n. 146 e dell'art. 4 l. 2248/1965 (NDR: così nel testo) all. E, per avere il Tribunale erroneamente ritenuto la propria giurisdizione, mentre la stessa doveva essere devoluta alla cognizione del giudice amministrativo.
La questione di giurisdizione in questione è stata risolta da Cass. sez. un. 24 ottobre 1997 n. 10454, che ha rigettato il motivo, avendo ritenuto che la controversia ritualmente è stata proposta dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, per cui non resta che da procedere all'esame delle altre censure.
2. Con il secondo motivo il Ministero denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 d.p.r. 4 agosto 1990 n. 335 e dei principi generali in materia di eccesso di potere, carenza di potere e cattivo esercizio del potere della P.A. ed assume che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che nella fattispecie l'Amministrazione abbia agito al di fuori dei presupposti di fatto, cui la vigente normativa si riferisce.
Assume il ricorrente che, in base a valutazioni discrezionali, rimesse alla P.A., circa la ricorrenza di "inderogabili ed eccezionali esigenze di servizio dirette ad assicurare i servizi minimi essenziali" - tra i quali rientra la protezione civile - non poteva essere negato il suo potere di negare il permesso.
La censura non può comportare la cassazione della sentenza impugnata.
La Corte, pur dovendo rilevare l'errore di diritto, nel quale è incorso il Tribunale (il quale ha ritenuto che l'art. 10 D.P.R. 4 agosto 1990 n. 335 non fosse riferibile ai permessi sindacali, mentre tale norma riguardava, all'epoca dei fatti in questione, proprio tale materia), deve dare atto che lo stesso giudice ha posto in evidenza che le disposizioni impartite dal Ministero dell'Interno riguardavano esclusivamente gli Ispettori Regionali ed i Comandanti Provinciali dei VV.FF. e non già tutto il personale, per cui il richiamo a tale direttiva interna non poteva avere alcun rilievo per giustificare il diniego del permesso.
3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 28 dello statuto dei lavoratori, nonché vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in quanto il Tribunale ha erroneamente ed immotivatamente rigettato l'eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza dei requisiti di urgenza e della persistenza degli effetti dannosi del provvedimento.
Con il quarto motivo il Ministero censura la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per avere il Tribunale ravvisato un comportamento antisindacale, senza tener conto che la concessione di altro permesso sarebbe del tutto irrilevante, considerata la situazione concreta in cui il permesso è stato negato.
Per la connessione tra i due motivi, è il caso di procedere al loro esame congiunto.
Questa Corte ha avuto modo di ricordare, anche in epoca abbastanza recente (Cass. 2 settembre 1996 n. 8032) che il requisito dell'attualità della condotta antisindacale costituisce un presupposto necessario per l'esperibilità dell'azione ex art. 28 l. 20 maggio 1970 n. 300, in quanto diretta ad una pronuncia costitutiva e non di mero accertamento, ma ha aggiunto che l'esaurirsi della singola azione antisindacale del datore di lavoro non può costituire preclusione alcuna alla pronuncia di un ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo nel caso in cui questo risulti ancora persistente ed idonea a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne deriva, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale.
Orbene, a questo principio si è correttamente adeguato il Tribunale, il quale ha posto in evidenza come l'interesse attuale della organizzazione sindacale era dato dal fatto che l'Amministrazione ha ritenuto sussistente nella materia dei permessi sindacali una sua discrezionalità amministrativa: che di tale asserito (ma inesistente) potere l'attuale ricorrente intendesse avvalersi, è dimostrato dal fatto che a dipendente dirigente sindacale di altra associazione - per la stessa giornata e pur essendo quindi identica la situazione allegata come impeditiva del diniego in questione - era stato invece riconosciuto il permesso; ha aggiunto ancora il giudice del merito che il diritto, sul quale il comportamento denunciato è andato ad incidere, non è altro che un aspetto del più generale diritto al libero svolgimento dell'attività sindacale, compresso dall'asserita esistenza di un potere discrezionale dell'Amministrazione.
Con siffatte osservazioni quel giudice ha dato congruamente conto dell'attualità degli effetti del diniego del permesso e di come l'intervento del giudice fosse anche necessario per eliminare incertezze sulla configurabilità di un potere discrezionale dell'Amministrazione al riguardo. Gli stessi fatti sono stati valutati dal Tribunale come espressione di un comportamento discriminatorio nei confronti del controricorrente, considerando appunto che, nelle medesime circostanze di allegata emergenza per la sicurezza e senza alcuna spiegazione, il permesso, accordato anche per più giorni a dirigente di altra sigla sindacale, sia stato poi negato al dirigente E. La P. della CGIL.
Ritenuto, quindi, che caso in esame si è avuto un comportamento antisindacale, i cui effetti erano attuali al momento della emissione del decreto ex art. 28 dello statuto dei lavoratori, anche gli ultimi due motivi sono infondati.
4. Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in L. 16.000 e degli onorari in L. tremilioni.
Così deciso il 17 dicembre 1997