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martedì 22 maggio 2012

In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato alla prova dell'"aliunde perceptum" - Cass. sent. n. 7863 del 18.05.2012

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26.4.2010, la Corte di appello di Roma rigettava il gravame proposto dalla società B.P.A. s.p. a. avverso la decisione di primo grado che, accogliendo la domanda proposta da A.F., aveva annullato il licenziamento del predetto, disposto dalla società in relazione a contestazione riguardante l'assenza ingiustificata dal lavoro per ferie richieste dal 6 all'11 ottobre 2005, e condannato quest'ultima alla reintegra del lavoratore, oltre che al risarcimento del danno nella misura di legge.

Sosteneva il giudice del gravame che non era stato contestato dalla società che l'e-mail del 26.9.2005, recante la comunicazione dell' A. di volere fruire di un periodo di ferie nel periodo sopra indicato, fosse effettivamente pervenuta a conoscenza del Presidente e del Capo del personale, C.G., che il documento prodotto in appello relativo ad una disposizione aziendale riguardante la necessità di preventiva autorizzazione scritta alle ferie richieste fosse stato tardivamente prodotto ed osservava che il giuramento deferito in merito a tale circostanza non rivestiva il carattere della decisorietà, non essendo idoneo ad escludere l'esistenza di una prassi in virtù della quale l'autorizzazione veniva sostanzialmente concessa in forma tacita, occorrendo soltanto che il dipendente comunicasse il periodo a mezzo posta elettronica al Presidente ed al Responsabile dell'Ufficio del personale. Anche la documentazione depositata dall' A., relativa a ferie richieste nel mese di aprile 2005, confortava l'esistenza di tale prassi, non smentita dalla società attraverso la produzione di autorizzazioni scritte del Presidente atte a giustificare la concessione di ferie di cui ai suddetti documenti. Il C., poi, escusso come teste, aveva riferito che di solito non richiedeva di visionare le autorizzazioni scritte del Presidente e la prassi era stata confermata anche dal teste L.F.. L' A. aveva, dunque, agito sulla base di un legittimo affidamento e le ferie erano state concesse dal Capo dell'Ufficio del Personale, nè poteva ravvisarsi una insubordinazione - pure contestata disciplinarmente - avendo il ricorrente agito nella consapevolezza di avere ricevuto in forma tacita l'autorizzazione dal Presidente, il quale nulla aveva opposto nel lasso di tempo intercorrente tra la comunicazione del 26 settembre e la concessione delle ferie del 5.10.2005. La misura del risarcimento non poteva, poi, essere decurtata, atteso che l'eventualità che l' A. avesse reperito altre occupazioni dopo il licenziamento era stata prospettata in modo affatto generico, mancando i presupposti per dare ingresso alle prove richieste di natura meramente esplorativa.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società con sette motivi, illustrati con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..

Resiste l' A., con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la società denunzia la violazione dell'art. 2736 c.c., n. 1, e art. 2739 c.c., nonchè l'insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo che non era possibile ritenere non decisorio il giuramento deferito sull'esistenza della circolare del giugno 2004 e sulla conoscenza della stessa da parte del ricorrente e della sua obbligatorietà e denunzia, altresì, il vizio logico della pronunzia su un punto decisivo, per avere la Corte di merito ritenuto non decisorio il giuramento che, in quanto diretto a provocare la confessione dell'esistenza dell'obbligo che si assume violato dal lavoratore, avrebbe consentito di definire immediatamente il capo della controversia relativo all'ingiustificatezza dell'assenza.

Con il secondo motivo, la B.P.A. s.p.a. lamenta la violazione dell'art. 2736 c.c., n. 1, e art. 2739 c.c., e dei principi generali in tema di presunzione, nonchè la violazione dell'art. 2697 c.c., in tema di riparto dell'onere della prova, evidenziando che la Corte del merito ha inammissibilmente finito per accordare prevalenza ai risultati della prova indiziaria offerta ex adverso rispetto al risultato del giuramento, contro il principio per il quale il giuramento è un mezzo negoziale di soluzione della controversia non soggetto a valutazione discrezionale.

Con il terzo motivo, si duole della violazione dell'art. 2739 c.c., e art. 115 c.p.c., nonchè della insufficienza e/o illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia e deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5. Osserva che la sussistenza dell'obbligazione del lavoratore di chiedere ed ottenere il permesso per il godimento delle ferie a prescindere dall'esistenza della contestata circolare era incontestabile e che la prova della prassi non può desumersi dalle e-mail esibite; che non poteva, comunque, dal fatto noto (richiesta di ferie) desumersi il fatto ignoto della supposizione che l'autorizzazione fosse stata data in modo tacito, desumendosi ulteriormente da ciò anche che questa fosse la regola generale applicata in azienda. Aggiunge che erroneamente è stato ritenuto che, poichè la società non ha prodotto autorizzazione successiva rispetto a precedenti richieste di ferie concesse, ciò conforterebbe l'esistenza di un uso aziendale.

Con il quarto motivo, assume il travisamento delle risultanze istruttorie e l'insufficiente ed illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, deducendo ancora la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, e la violazione dell'art. 115 c.p.c.. Rileva che incongruamente la Corte ha ritenuto l'esistenza di elementi probatori a conforto dell'esistenza di prassi ed osserva che il teste L. nulla aveva precisato in ordine alla questione decisiva della necessità che alla informativa del dipendente dovesse seguire l'approvazione del superiore e che, pertanto, la sentenza deve ritenersi affetta da vizio logico di insufficiente esame su punto decisivo.

Con il quinto motivo, la società denunzia la illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, e la illogicità manifesta della decisione in ordine al ritenuto accertamento della esistenza dell'uso aziendale, atteso che la prassi come configurata dal giudice del merito contraddice il principio secondo il quale le ferie devono essere sempre preventivamente autorizzate, e considerato che, se il direttore del personale non ricevesse autorizzazione scritta, non sarebbe mai certo del consenso tacito del superiore gerarchico.

Con il sesto motivo, la B. P. A. rileva l'omesso esame di un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, osservando che, nella lettera di contestazione, si faceva riferimento alla circostanza che la mancata risposta all'e-mail da parte del Presidente non consentiva all' A. di presumere l'esistenza dell'autorizzazione e che la condotta andava esaminata anche in relazione all'intensità del dolo dell' A. che, ove avesse fornito una risposta genuina al C. sulla mancanza di autorizzazione, non avrebbe di certo ottenuto il modulo di autorizzazione alle ferie sottoscritto dal predetto.

Infine, in relazione al rigetto delle istanze istruttorie finalizzate al riscontro dell'aliunde perceptum, con il settimo motivo, la società ascrive alla sentenza la violazione dell'art. 115 c.p.c., e l'insufficiente motivazione, sostenendo che il ricorso alle presunzioni è consentito in base al criterio della vicinanza della prova e cioè in base all'effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla, considerato che il decorso del tempo dal licenziamento rende difficoltosa la ricerca della prova in capo all'obbligato, laddove il lavoratore, a dimostrazione del suo danno (mancata percezione di retribuzioni), può produrre certificazione degli enti competenti (Centro regionale dell'Impiego).

Le norme del codice civile che si assumono violate con il primo motivo di ricorso, relative al giuramento decisorio, prevedono che la formula di tale speciale mezzo di prova - attese le sue finalità - deve essere tale che, a seguito della prestazione dello stesso, altro non resti che verificare l'an iuratum sit e senz'altro accogliere o respingere la domanda sul punto che di esso ha formato oggetto, con la conseguenza che detto mezzo probatorio non può servire per l'acquisizione di elementi probatori presuntivi, da valutarsi in concorso ed in relazione con gli altri elementi istruttori già raccolti (cfr. Cass. 22.2.2001 n. 2601 e, in senso conforme, Cass. 2.12.2002 n. 17096, Cass. 23.2.2006 n. 4001, Cass. 13.11.2009 n. 24025). Per stabilire se la formula del giuramento rivesta o meno carattere decisorio, questa va considerata in se stessa e non in rapporto ai risultati delle prove già espletate (cfr. Cass. 14.4.1995; in senso conforme, Cass. 6.12.2001 n. 15494). Inoltre, il giuramento, quale mezzo di prova deferito per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa, deve essere ammesso anche se diretto ad escludere o a provare fatti che dalle risultanze di causa sono rispettivamente provati o esclusi (cfr. Cass. 18.2.1997 n. 1505) ed anche se abbia ad oggetto circostanze che la parte deferente intendeva dimostrare con un diverso mezzo di prova, documentale o testimoniale, dal quale la parte stessa sia decaduta e può essere deferito per la prima volta in grado di appello, pur non potendo essere ammesso quando verta su fatti la cui deduzione in secondo grado risulta preclusa in relazione al divieto di nuove domande in grado di appello (cfr. Cass. 27.2.1995 n. 2250).

Il giudice de gravame ha giudicato correttamente attenendosi a tali principi, escludendo il carattere di decisorietà della formula del mezzo istruttorio sul presupposto che lo stesso fosse diretto a provocare la confessione limitatamente all'esistenza di una circolare aziendale che era stata tardivamente prodotta e non ammessa in atti, che non assumeva carattere dirimente in presenza di una contraria prassi aziendale in materia di autorizzazione al godimento di ferie.

In proposito vale osservare che è principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la valutazione (positiva o negativa) della decisorietà della formula del giuramento decisorio è rimessa all'apprezzamento del giudice del merito, il cui giudizio circa l'idoneità della formula a definire la lite è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all'apprezzamento espresso dal predetto giudice (cfr. Cass. 13.11.2009 n. 24025, nonchè Cass. 3.1.2011 n.39).

Anche il motivo sub 2) in tema di riparto dell'onere della prova risulta prospettato in modo inidoneo a porre in evidenza l'erroneità della valutazione espressa dalla Corte del merito, che ha rilevato il differente piano della prova relativa alla esistenza di una prassi aziendale circa i modi di autorizzazione alla fruizione di ferie rispetto a quello della esistenza di urei circolare, i cui termini non erano inidonei a smentire la vigenza della prima, che ben poteva essere invalsa indipendentemente dalla cogenza e vincolatività attribuita alla seconda. Peraltro, neanche risulta che la prova della differente modalità di concessione delle ferie sia stata desunta da elementi indiziar), così come prospettato dalla ricorrente, avendo piuttosto il giudice del gravame, in base ad un processo di corretta valutazione, secondo i principi validi in materia, del materiale probatorio acquisito, ritenuto che prove di carattere documentale (concessione di ferie in relazione a precedenti richieste inoltrate a mezzo posta elettronica del 20.4.2005 e del 26.4.2005, attraverso modulo predisposto e sottoscritto dal responsabile del personale in assenza di autorizzazione scritta del Presidente) fossero state confermate da prove testimoniali assunte (testi C. e L.F., il quale ha riferito dell'esistenza di una prassi secondo la quale non era normalmente richiesto dal capo del personale la visione delle autorizzazioni scritte del Presidente), ritenute idonee a confortare la valenza probatoria di circostanze comprovate per via documentale. Ciò smentisce la prospettazione di parte ricorrente secondo cui il giudice del merito avrebbe attribuito valore preponderante ad elementi indiziari rispetto a quanto si intendeva dimostrare, con valore di prova piena, attraverso il deferito giuramento decisorio.

Deve, pertanto, essere disatteso anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si svaluta la consistenza probatoria conferita alle risultanze documentali, ritenute idonee a confortare la normalità di un iter secondo il quale l'autorizzazione veniva rilasciata in modo tacito, non essendo quella indicata dalla ricorrente la valutazione seguita dal giudice del merito.

Quanto alla sufficienza della prova confermativa della prassi invalsa in azienda in materia di concessione delle ferie ai dipendenti, vale osservare che, ai fini dell'adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 115 e 116 c.p.c., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell'esito dell'esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite (cfr. Cass. 4.3.2011 n. 5241). E peraltro, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale "il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (cfr. da ultimo Cass. 18 marzo 2011 n. 6288).

Negli stessi termini vanno disattesi i rilievi formulati nel quarto motivo con riguardo alla interpretazione della deposizione del teste L. ed alla asserita mancanza di ogni decisività della stessa ai fini ritenuti in sentenza, avendo il giudice del gravame, come già detto, attribuito alla deposizione resa da tale teste valore indiziario confermativo di circostanze già dimostrate documentalmente.

Il quinto motivo si fonda sul presupposto, ritenuto smentito dalla ricostruzione cui è pervenuta la Corte del merito, che l' A. non avesse fornito alla domanda del capo del personale C., in ordine all'avvenuto rilascio di autorizzazione preventiva da parte del Presidente, risposta genuina, da ciò dovendo desumersi, secondo la società, l'intensità del dolo ai fini della valutazione della condotta ascritta al dipendente. Ed invero, dalla valutazione complessiva del contesto probatorio la Corte d'appello di Roma ha tratto il motivato convincimento che tale autorizzazione ben potesse ritenersi tacitamente rilasciata, donde l'assoluta inconferenza del rilevo svolto.

Ogni altra censura avanzata in merito alla erroneo svolgimento di attività istruttoria in relazione all'aliunde perceptum dedotto dalla società, è da ritenere infondata alla luce di quanto affermato con orientamento consolidato di questa Corte, secondo il quale, in tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l'ausilio di presunzioni semplici, della prova dell'"aliunde perceptum" o dell'"aliunde percipiendum", a nulla rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione del dipendente estromesso dall'azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l'onere di farsi carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito del licenziamento, riduttiva del danno patito (cfr. Cass. 17.10.2010; Cass., ord., sez 6, 26.10.2010, n. 21919).

Il ricorso va, pertanto, complessivamente, respinto.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della società e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 3000,00 per onorario, Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.