Svolgimento del processo
A.G. impugnava dinanzi al Giudice del lavoro di Rieti il licenziamento irrogatogli dall'Istituto di Vigilanza Notturna e Diurna "M." di F.I., del quale era stato dipendente con mansioni di guardia giurata, chiedendo, in via cautelare, la reintegra nel posto di lavoro. Concesso detto provvedimento e promosso dal lavoratore il giudizio di merito, in contraddittorio con il datore di lavoro, l'adito Tribunale annullava il licenziamento per insussistenza della giusta causa e condannava l'Istituto alla riassunzione ovvero al risarcimento del danno nella misura di sei mensilità dell'ultima retribuzione.
L' A. proponeva appello in punto di mancata applicazione della richiesta tutela reale.
Con sentenza 30.12.04 - 8.2.06 la Corte di appello di Roma rigettava l'impugnazione, rilevando che il lavoratore appellante avrebbe dovuto provare il requisito dimensionale, trattandosi di fatto costitutivo della domanda, e che, in ogni caso, non aveva mai specificato che il datore occupasse un numero di dipendenti tale da consentire la tutela reale, sicchè neppure poteva ritenersi che la circostanza potesse darsi per accertata per mancata contestazione di parte convenuta alla costituzione in giudizio.
Avverso tale sentenza l' A. ricorreva per cassazione con due motivi. L'intimato non si costituiva in sede di giudizio di legittimità. Con sentenza n. 10445 del 23.3-6.5.2009, questa Corte accoglieva il ricorso, ritenendo fondato il primo motivo, con il quale veniva contestata l'erronea applicazione, da parte del Giudice di secondo grado, dell'onere probatorio in ordine alla sussistenza del requisito dimensionale, facendo gravare lo stesso sul lavoratore.
L' A. riassumeva il giudizio dinanzi alla designata Corte d'appello di Roma, insistendo per l'accoglimento dell'impugnazione.
Conveniva a tale proposito gli eredi di F.I. (medio tempore defunto), la società S. M. s.r.l. e, quale soggetto incorporante quest'ultima, la società S. M. Rieti s.r.l..
Si costituiva la S. M. Rieti s.r.l., negando l'avvenuta incorporazione nella società S. M. s.r.l. e contestando nel merito la fondatezza del ricorso.
Con sentenza del 6 luglio 2009-16 settembre 2010, il Giudice del rinvio, rilevato che gli appellati non avevano assolto l'onere della prova in ordine ai requisiti dimensionali dell'impresa datrice, considerato anche l'assenza di tempestive allegazioni in ordine a tali requisiti, in quanto inammissibilmente documentate solo nella fase di rinvio, in riforma della sentenza di primo grado dichiarava l'illegittimità del licenziamento impugnato e condannava la società S. M. Rieti s.r.l., "quale soggetto attualmente titolare del rapporto di lavoro", a reintegrare l'appellante A.G. nel posto di lavoro; condannava gli eredi di F.I., impersonalmente e in proporzione delle rispettive quote ereditarie, in solido con la società S. M. Rieti s.r.l., ai sensi dell'art. 2112 c.c., per il periodo dal licenziamento impugnato sino al 30 gennaio 2007, data in cui il suddetto F., per effetto della cessione del ramo di azienda, aveva perso la titolarità del rapporto di lavoro, a corrispondere all' A., le retribuzioni globali di fatto, rapportate all'ultima retribuzione percepita nella misura di Euro 785,53, dalla data del licenziamento sino al 30/1/2007, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione sino saldo e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, detratta la somma corrisposta a seguito dell'ordinanza emessa ex art. 423 c.p.c., nel corso del giudizio di primo grado; condannava la società S. M. Rieti s.r.l. a corrispondere al suddetto appellante le retribuzioni globali di fatto, rapportate all'ultima retribuzione percepita nella misura di Euro 785,53, dalla data del licenziamento sino al 30/1/2007, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione sino saldo e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la S. M. Rieti srl con un unico motivo.
L' A. e gli eredi F. non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con l'unico mezzo d'impugnazione la ricorrente società, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte d'appello abbia considerato inammissibile, siccome tardiva, la produzione documentale, diretta a dimostrare, ai fini della individuazione della forma di tutela - reale od obbligatoria - applicabile nella specie, il requisito dimensionale, limitandosi ad osservare come l'onere di detta dimostrazione gravi sul datore di lavoro.
Così argomentando, la Corte territoriale - ad avviso della ricorrente - avrebbe omesso del tutto di motivare tale decisione, trascurando di considerare il radicale mutamento giurisprudenziale occorso nel 2006, ovvero in un momento in cui tutte le preclusioni capo al datore di lavoro erano già maturate. Tale omissione e contraddittorietà nelle motivazioni della sentenza riguarderebbero - sempre secondo la ricorrente - un aspetto decisivo e controverso per il giudizio, in quanto la produzione del libro matricola - denegata dal Giudice a quo - avrebbe consentito al datore di lavoro di assolvere un onere probatorio fino a quel momento non dovuto, tenuto conto dell'orientamento maggioritario, sancito, peraltro, dalle Sez. Un. (Cass. n. 2249/1988), per la quale, nel caso in cui lavoratore non si limiti a richiedere la tutela obbligatoria contemplata dalla L. 604 del 1966, ma proponga la domanda di reintegra L. n. 300 del 1970, ex art. 18, lo stesso rimane gravato dall'onere di dimostrare il requisito dimensionale dell'impresa, essendo Io stesso elemento costitutivo del diritto alla reintegrazione (Cass. n. 3965/1994, Cass. n. 4844/1994, Cass. n. 2268/1996).
Orbene - evidenzia la società -, proprio in linea con tale maggioritario orientamento giurisprudenziale, non veniva depositata la documentazione tesa a dimostrare l'insussistenza del requisito dimensionale, stante la scarna ed insufficiente produzione ed allegazione del ricorrente; e, poichè, solo dopo il 2006, in virtù di un nuovo riparto dell'onere probatorio, era sorta tale esigenza, la Corte d'appello, pena la violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, avrebbe dovuto ammettere la produzione documentale nuova o quantomeno motivare la decisione di non ammetterla.
Peraltro, decidendo nel senso contestato, la Corte di merito - a parere della ricorrente- si sarebbe anche discostata dalla pronuncia n. 8202 del 24.4.2005 di questa Corte a Sez. Un., che, nell'escludere la produzione di nuovi documenti, aveva fatto salvo il caso in cui la produzione non fosse giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso e alla memoria di costituzione.
Il ricorso è infondato.
Costituisce principio, ormai pienamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità, che il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia (c.d. "overruling"), il quale porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera - laddove il significato che essa esibisce non trovi origine nelle dinamiche evolutive interne al sistema ordinamentale - come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale "ora per allora", nel senso di rendere irrituale l'atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all'orientamento precedente (Cass. Sez. Un. n. 15144/2011).
La stessa giurisprudenza ha tenuto a precisare che il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all'interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicchè essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la "lex temporis acti", ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell'atto compiuto in correlazione temporale con l'affermarsi dell'esegesi del giudice. Tuttavia, ove l'"overruling" si connoti del carattere dell'imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante "expost" non conforme alla corretta regola del processo) e l'effetto, di preclusione o decadenza, che ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che - in considerazione del bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l'effettività dei mezzi di azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda, essenzialmente, alla decisione di merito - deve escludersi l'operatività della preclusione o della decadenza derivante dall'"overruling" nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa, la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l'apparenza di una regola conforme alla legge del tempo. Ne consegue ulteriormente che, in siffatta evenienza, lo strumento processuale tramite il quale realizzare la tutela della parte va modulato in correlazione alla peculiarità delle situazioni processuali interessate dall'"overruling" (cfr. Cass. Sez. Un. n. 15144/2011 cit.).
Nel caso in esame, la pronuncia n. 141 del 2006 delle Sez. Un., che, in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l'invalidità, ha ritenuto doversi far gravare sul datore di lavoro il relativo onere probatorio, è stata emessa in seguito ad ordinanza del 27 gennaio 2005 della Sezione lavoro di questa Corte, la quale, avendo ravvisato un contrasto giurisprudenziale sulla questione della distribuzione dell'onere di provare il numero dei dipendenti dell'organizzazione datrice di lavoro, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni unite ai sensi dell'art. 374 c.p.c..
Dunque, non si era in presenza di un consolidato orientamento in materia bensì di una situazione di contrasto (ampiamente descritta nella motivazione della ordinanza e poi della stessa sentenza) che giustificava, previa valutazione del Primo Presidente, una pronuncia della Corte di legittimità a Sezioni Unite. Non ricorrendo, quindi, i presupposti invocati dalla ricorrente, per superare le accertate decadenze, rettamente il Giudice a quo, nel rispetto del principio sancito dalla sentenza rescindente, ha ritenuto non provato dal datore di lavoro la sussistenza del requisito dimensionale dallo stesso dedotto. Giova in proposito rammentare che nel giudizio di rinvio, configurato dall'art. 394 c.p.c., quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, in cui è preclusa la formulazione di nuove conclusioni e, quindi, la proposizione di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, i limiti all'ammissione delle prove concernono l'attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitabili d'ufficio, sicchè, dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, tale giudice, come può avvertire la necessità, secondo le circostanze, di disporre una consulenza tecnica o di rinnovare quella già espletata nei pregressi gradi del giudizio di merito, così può ben preferire, salvo l'obbligo della relativa motivazione, di fondare la decisione su tale primitiva consulenza, laddove la ritenga meglio soddisfacente, anche rispetto a quella eventualmente espletata in sede di rinvio, avendo egli il potere di procedere (nuovamente) all'accertamento del fatto valutando liberamente le prove già raccolte (Cass. n. 341/2009).
Sennonchè, nel giudizio di rinvio non risulta posta alcuna questione circa l'esercizio dei poteri ufficiosi del giudice; pertanto, anche sotto questo profilo, la ricorrente non ha ragione di dolersi.
Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.