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giovedì 17 maggio 2012

Ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo - Cass., sez. lavoro, sent. n. 2093 del 23.02.2000

Svolgimento del processo

Con sentenza 8 marzo 1995 - 31 marzo 1995 il Pretore di Treviso, giudice del lavoro, respingeva l'opposizione proposta dal signor G. F. e dalla T. S.r.l., avverso l'ordinanza, ingiunzione, datata 13 settembre 1989 n. 140, e notificata il 21 settembre 1989, con la quale il Dirigente della Sede provinciale dell'INPS di Treviso aveva ingiunto al predetto F. il pagamento di lire 1.990.000 a titolo di sanzione amministrativa e spese, nonché avverso il decreto ingiuntivo, emesso in data 6 febbraio 1992 e notificato il 16 marzo 1992, con il quale il Pretore di Treviso aveva ingiunto alla T. il pagamento in favore dell'INPS della complessiva somma di lire 314.763.960, a titolo di contributi omessi e sanzioni aggiuntive, sul presupposto della natura subordinata e non autonoma del rapporto con alcuni lavoratori per il periodo dall'ottobre 1983 all'agosto 1984. Il Pretore di Treviso, giudice del lavoro, aveva conseguentemente confermato l'ordinanza ingiunzione ed il decreto ingiuntivo opposti ed aveva compensato le spese del giudizio.

Nel primo grado di giudizio gli opponenti, con due distinti ricorsi, poi riuniti per connessione oggettiva, in via preliminare avevano lamentato l'illegittimità dell'ordinanza ingiunzione sia per violazione di legge che per eccesso di potere, in quanto totalmente carente di motivazione con riferimento al fatto ed alla sanzione irrogata e, nel merito, avevano contestato l'insussistenza del credito contributivo, in quanto i lavoratori avevano svolto lavori di sub - appalto per la T. S.r.l. senza vincolo di subordinazione.

Il Pretore, soprassedendo alle eccezioni preliminari cui gli opponenti, nel corso del giudizio, avevano dichiarato di rinunciare, nel merito riteneva infondate le opposizioni, rilevando che dall'istruttoria testimoniale espletata e sulla base della documentazione acquisita doveva ritenersi provata la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra i dodici dipendenti lavoratori nominativamente indicati nel verbale di accertamento dell'INPS e la T. S.r.l. Per il Pretore di Treviso, invero, la sussistenza degli elementi caratteristici del rapporto di subordinazione escludeva la rilevanza della pretesa esistenza di contratti di sub - appalto intercorsi tra i lavoratori e la T. S.r.l.

Avverso detta sentenza il signor G. F., in proprio e nella qualità, proponeva appello.

L'Istituto appellato resisteva.

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Treviso rigettava l'appello e condannava gli appellanti alle spese del grado.

Osservava il Tribunale che, come correttamente rilevato dal Pretore, per insegnamento prevalente del giudice di legittimità, ai fini della distinzione fra lavoro autonomo e subordinato, risulta determinante il criterio della subordinazione, intesa come vincolo di natura personale, che assoggetta il prestatore di lavoro al potere direttivo del datore nello svolgimento dell'attività di esso lavoratore, con inserimento continuativo e sistematico nell'organizzazione dell'impresa - per il raggiungimento dei fini produttivi della stessa -, essendo irrilevante, in presenza di concreti elementi in tal senso, anche una manifestazione di volontà delle parti nel senso dell'autonomia; che l'accertamento della natura del rapporto era avvenuto in base a tali criteri.

Avverso detta sentenza, con atto notificato il 16 dicembre 1997, il signor G. F., in proprio ed in qualità di legale rappresentante della T..SIM S.R.L., ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L'Istituto intimato ha resistito con controricorso notificato il 15 gennaio 1998, deducendo tra l'altro l'inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Va pregiudizialmente esaminata la questione dedotta dall'INPS, relativa all'asserita inammissibilità del ricorso, per essere "pacifico in atti" che la controparte ha perfezionato il condono previdenziale ex art. 18 legge n. 724/94, di tal che l'avvenuto integrale pagamento avrebbe comportato l'estinzione del giudizio in corso (e quindi sostanzialmente l'inammissibilità del ricorso per cassazione in relazione ad un giudizio estinto).

La questione è infondata sotto un duplice profilo.

Innanzi tutto invero la "pacificità" dei fatti dedotta dall'INPS si risolve in una mera affermazione apodittica, mancando alcuno specifico richiamo ad atti, che consentano di ritenere pacifico o comunque accertato l'avvenuto integrale pagamento delle somme previste per beneficiare del condono previdenziale da parte dei ricorrenti.

Ma l'affermazione dell'INPS dell'intervenuta richiesta di condono e del pagamento delle somme conseguenti è tanto più irrilevante, in quanto l'INPS non specifica se la richiesta di condono sia stata proposta o meno con clausola di riserva di ripetizione, subordinata agli effetti del contenzioso per il disconoscimento del debito, laddove invece risulta dall'atto di appello che la società dichiarò di aver presentato domanda di condono, con espressa riserva di ripetizione all'esito del giudizio di gravame.

E poiché, a seguito dello "jus superveniens" (art. 81, comma 9, l. 23 dicembre 1998 n. 448), applicabile anche ai giudizi in corso, le clausole di riserva in questione sono valide e non precludono la possibilità di accertamento negativo in fase contenziosa della sussistenza del debito, ed è ammissibile, in presenza di detta clausola, l'azione dell'interessato diretta all'accertamento negativo del suo debito contributivo (Cass. 8 giugno 1999 n. 5655), non può essere dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio una causa d'inammissibilità del ricorso di cui non risultino accertati o pacifici in fatto tutti i requisiti costituenti causa d'inammissibilità del ricorso stesso.

Ciò detto, si osserva che con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione di legge (artt. 20949, 2083 e 2222 c.c.), i ricorrenti lamentano erronea qualificazione della fattispecie da parte del Tribunale, in particolare con riferimento al mancato rilievo dell'importanza della volontà della parti nella qualificazione di un rapporto di lavoro.

Con il secondo motivo, denunziando vizio di motivazione, i ricorrenti lamentano che il Tribunale non avrebbe motivato in ordine agli elementi - a suo dire - tipici del rapporto, emersi in primo grado, ed avrebbe fornito una motivazione solo apparente, in quando fondata su di una generica affermazione di principio, e d'altra parte avrebbe privilegiato, nella sua valutazione, circostanze non univoche ed irrilevanti, sottovaluntando, invece, altre circostanze ben più significative, ed in particolare la volontà delle parti di costituire rapporti di lavoro autonomo, estrinsecatasi peraltro anche nel concreto svolgimento dei rapporti stessi.

I motivi di ricorso, strettamente connessi tra loro, devono essere congiuntamente esaminati, ed al riguardo - osserva la Corte - il ricorso è infondato.

Invero non sono condivisibili le censure formulate dai ricorrenti in merito alla qualificazione dei rapporti di lavoro in questione, quali rapporti di lavoro subordinato, affermata dal Tribunale, in conformità a quanto già affermato dal Pretore.

In proposito, infatti, secondo l'orientamento ripetutamente espresso da questa Suprema Corte, ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, i quali si distinguono per la presenza nel primo del vincolo di soggezione del lavoratore al Potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, vincolo la cui esistenza va apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore ed al modo della sua attuazione (v. ex plurimis Cass. 15 giugno 1999, n. 5960).

La valutazione del giudice del merito circa la ricorrenza in concreto di un rapporto di lavoro subordinato, se condotta nel rispetto dell'indicato principio e con motivazione immune da vizi logici, come verificatosi appunto nella specie, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 10 agosto 1999 n. 8574).

II Tribunale ha invero correttamente evidenziato che, anche a fronte di una manifestazione di volontà delle parti nel senso dell'autonomia (contratti "d'opera" stipulati dai lavoratori con la società),é stata accertata la sussistenza in concreto di elementi da cui desumere che la prestazione del lavoro è stata regolata da parte datoriale nel suo svolgimento, con inserimento continuativo e sistemativo nell'organizzazione dell'impresa per il raggiungimento dei fini produttivi della stessa, con assoggettamento dei lavoratori in questione al potere organizzativo e direttivo dell'imprenditore, e con conseguente natura subordinata dei rapporti, in quanto la manifestazione di volontà delle parti - estrinsecatasi in detti contratti "d'opera" - non ha concretamente avuto alcuna attuazione nello svolgimento dei rapporti, realizzatisi nelle forme proprie della subordinazione del lavoratore alla società datrice.

Se, dunque, nella qualificazione del rapporto di lavoro quale autonomo o subordinato, non può prescindersi dal "nomen juris" utilizzato dalle parti, il giudice del merito deve tener conto prevalentemente - come esso ha fatto - del comportamento in concreto tenuto dalle stesse nell'esecuzione del contratto, e tale accertamento, risolvendosi in un accertamento di fatto, soggiace solo al principio della correttezza e dell'adeguatezza della motivazione (Cass. n. 8574 del 1999 cit.).

Il Tribunale ha invero accertato che dall'istruttoria del giudizio di primo grado sono risultate provate circostanze e concrete modalità di svolgimento dei rapporti, che, ben lungi dal poter essere considerate ambivalenti, individuano l'esistenza di un vero e proprio vincolo di assoggettamento dei lavoratori al potere organizzativo e direttore dell'imprenditore ed, insomma, complessivamente, individuano la sussistenza della "subordinazione", proprio per il concreto atteggiarsi degli elementi emersi, e già evidenziati dal Pretore; laddove invece il Tribunale ha chiaramente evidenziato che le affermazioni di parte datoriale si rivelavano astratte e smentite dai dati oggettivi e non corrispondenti al concreto e complessivo svolgersi del rapporto. Né alcuna irrazionalità può riscontrarsi nell'affermazione del Tribunale che osserva, tra l'altro, nell'esaminare il concreto atteggiarsi del rapporto, che l'esistenza del cartellino da timbrare, all'entrata ed all'uscita dal lavoro, era segnale emblemativo dell'esistenza del vincolo di subordinazione dei lavoratori al potere direttivo datoriale, con inserimento di tali lavoratori nel cicolo (*) produttivo dell'impresa (la cui attività non si concretava mai in un'opera o prodotto finito).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da disposisitivo, con condanna solidale dei ricorrenti, stante il loro comune interesse nella causa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a pagare all'INPS le spese del giudizio di cassazione, liquidate in lire 10.000, oltre lire 6.000.000 (seimilioni) per onorario difensivo.

Così deciso in Roma il 18 novembre 1999.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 23 FEB. 2000