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mercoledì 30 maggio 2012

Trasferimento di azienda ed identità di strutture e di oggetto delle attività - Cass. sez. lavoro, sent. n.7795 del 14.07.1993

Svolgimento del processo

Con ricorso dell'8.4.1981, V.M., premesso di aver lavorato dal 1949 al luglio 1974 per la ditta A. s.r.l. di F., poi ditta R. M., concessionaria F. di Porto S. Giorgio; di avere avuto fino al luglio 1966 una percentuale sugli utili non più versata sucessivamente; di essere stato licenziato il 14.1.1970, riassunto, in forza di sentenza 10/7/1971, del Pretore di Fermo, e definitivamente escluso dal rapporto di lavoro con sentenza di riforma 3/7/1974, della Corte d'appello di Ancona; di aver ricevuto in data 20/3/1975, offerta reale di liquidazione da parte della ditta, per un ammontare di L. 855.439, non accettati; di essere quindi creditore, dedotta la somma di L. 1.802.000 che deve essere restituita, di lire 12.045.721, a titolo di indennità di anzianità, percentuale utile, indennità cassa, retribuzione luglio 1974, ferie tredicesima e quattordicesima, tutto ciò premesso conveniva, dinanzi al Pretore di Fermo, la ditta A. s.r.l. di F. per sentirla condannare al pagamento delle suddette somme. La ditta convenuta, costituendosi, negava che il rapporto di lavoro con lo stesso instaurato potesse considerarsi prosecuzione di precedenti rapporti con altre ditte, per i quali il M. era stato liquidato, e, eccepita preliminarmente la prescrizione dei crediti vantati dal lavoratore, ne contestava comunque la fondatezza, eccezion fatta per la somma di L. 855.431 già oggetto di offerta reale. Il Pretore con sentenza 23/11/1981 accoglieva l'eccezione di prescrizione, condannando la convenuta solo al pagamento della somma di lire 855.439. Tale statuizione era confermata dal Tribunale di Fermo, la cui sentenza era oggetto di ricorso per cassazione da parte del M.. Con sentenza depositata il 30/5/1986, la S.C. cassava con rinvio la sentenza impugnata, per il riesame delle questioni inerenti all'indennità di fine rapporto ed alla percentuale sugli utili, statuendo non essere decorsa la prescrizione relativa alla richiesta di fine rapporto, perché non erano decorsi, all'atto della domanda giudiziale, cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato legittimo il licenziamento. Quanto alla pretesa relativa alla percentuale sugli utili, riteneva carente la motivazione in ordine alla questione della scadenza annuale e triennale (da cui dipendeva il verificarsi o meno della prescrizione). Ammetteva che, in linea generale l'offerta reale esclude la condanna per rivalutazione, ma rilevava che questa, nella specie non è stata formulata ritualmente, e che, comunque, l'intera questione dovrà essere riesaminata in sede di rinvio, essendo di nuovo in discussione l'integrale spettanza, dell'indennità sulla misura rivendicata dal M.. Quest'ultimo, riassunta la causa davanti al Tribunale di Ancona, chiedeva la condanna della ditta predetta al pagamento della somma di L. 84.548.646 per indennità di fine rapporto e percentuale sugli utili. La resistente chiedeva il rigetto di tutte le domande e, in riconvenzionale, la condanna dello stesso ricorrente al pagamento della somma di lire 1.082.767, con gli accessori, a decorrere dal 25/9/1974, dovuta per effetto della sentenza dichiarativa della legittimità del licenziamento. Il Tribunale di Ancona, con sentenza 27/2/1990, affermava la presenza, nel caso di specie, di un trasferimento di azienda, rilevante ex art. 2112 c.c., riconoscendo il diritto del M. all'indennità di anzianità (rateo di fine rapporto, tredicesima e ferie) quantificata in L. 6.016.830, con rivalutazione e interessi; rigettava invece la richiesta di percentuale sugli utili, ritenendo che il relativo diritto si prescrive in cinque anni, posto che l'emolumento veniva pagato con scadenze annuali; dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal datore di lavoro al di fuori delle ipotesi consentite dall'art. 394 C.P.C. Avverso detta sentenza la ditta F. proponeva ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento in base a tre motivi. La parte intimata non si costituiva. La ricorrente depositava memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2112, nonché il vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, rilevando l'erroneità della pronuncia nell'avere configurato nella fattispecie in esame un trasferimento d'azienda ex art. 2112 C.C.. Lamenta, in particolare, che il tribunale fonda il proprio convincimento sul fatto che non ci fu "interruzione aziendale", per concludere per la fittizietà della cessione del rapporto di lavoro, senza considerare altri elementi che avrebbero dovuto essere presi in esame, quali la sussistenza di una disdetta con termini di preavviso rispettato, risoluzione del rapporto prima del trasferimento, mancanza di intento fraudolento, irrilevanza nella mera continuazione dell'attività lavorativa nei medesimi locali.

Tale motivo non appare fondato.

Ed, invero, il Tribunale è pervenuto a ritenere l'applicabilità dell'art. 2112 avendo accertato, in punto di fatto, che la ditta subentrata aveva lo stesso oggetto ed utilizzava la stessa struttura della A. s.r.l.. Ha poi considerato che non è in alcun modo provata l'intimazione di una regolare disdetta; che, invece, il M., "fu licenziato il 31/12/1964 per essere riassunto in data 13/1/1965, e che in base alle prove assunte, quando cessò la ditta A. iniziò quella della ditta F. senza alcuna interruzione dell'attività dei dipendenti che proseguirono, con le medesime mansioni, senza alcuna modifica né di sede né di attività". Ora, il trasferimento d'azienda che determina, ai sensi dell'art. 2112 la prosecuzione dei rapporti di lavoro con il successore, postula che il complesso organizzato dei beni dell'impresa, nella sua identità obiettiva, sia passata in tutto o in parte ad un diverso titolare. Si può convenire che la mera circostanza della continuità delle prestazioni lavorative, prima alle dipendenze di un imprenditore, poi di altro titolare, ancorché svolte nei medesimi locali, possa non bastare a provare il trasferimento di azienda, potendo denotare una semplice successione cronologica di rapporti di lavori non collegati da un nesso riconducibile al trasferimento di azienda. Ma, nella specie, il giudice di merito non si è limitato a constatare tale successione dei rapporti di lavoro, ma ha rilevato altresì l'identità di strutture e di oggetto delle due attività, vale a dire il passaggio all'impresa subentrante del complesso di beni e di strumenti inerenti all'attività esercitata. Proprio tale passaggio del complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa, insieme con l'identità di oggetto fra le due attività esercitate, spiega come tutti i dipendenti (nonostante l'apparente licenziamento del 31/12/1964 seguito da pressoché contestuale riassunzione del 13/1/1965) poterono continuare l'attività lavorativa senza soluzione di continuità. Alla stregua di tali univoci, precisi e convincenti elementi di fatto, il Tribunale, con motivazione che, per la sua sufficienza ed immunità da errori logici e giuridici, sfugge al sindacato del giudice di legittimità, ha potuto così ritenere che la apparente cessione del rapporto di lavoro "fu non reale ma solo fittizia".

Non ha dunque mancato il Tribunale di prendere in considerazione quegli ulteriori elementi indicati dalla ricorrente, rilevando, per gli uni (la pretesa disdetta nei termini e la avvenuta risoluzione ad estinzione del rapporto di lavoro prima del trasferimento) la insussistenza in punto di fatto, e individuando, per l'altra, la ricorrenza di un intento fraudolento nella "sequela" licenziamento-riassunzione, avvenuta in una contestualità temporale ed in un nesso funzionale riconducibile a trasferimento di azienda.

Sulla base di tali accertamenti di fatto, ha dato puntuale applicazione all'insegnamento giurisprudenziale secondo cui il trasferimento di azienda, ai sensi dell'art. 2112, ricorre ogni qualvolta, ferma restando l'organizzazione del complesso dei beni destinati all'esercizio dell'impresa e quindi immutati il suo oggetto e la sua attività obiettiva, vi sia soltanto sostituzione del suo titolare, qualunque sia il mezzo tecnico-giuridico utilizzato per ottenere tale sostituzione.

Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta violazione dell'art. 394 c.p.c. e conseguente omessa violazione di punto decisivo della controversia, per avere il Tribunale erroneamente dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale formulata dall'odierna ricorrente nel giudizio di rinvio, senza considerare che la stessa si era resa necessaria a seguito della sentenza della Cassazione, che aveva rimesso al giudice di rinvio la questione della spettanza dell'indennità di anzianità nell'integrale misura richiesta dal M.. Il motivo appare destituito di fondamento. Infatti, la necessità di formulare nuove conclusioni, rese necessarie dalla sentenza di cassazione, si verifica quando la sentenza della Corte abbia determinato una modificazione della materia del contendere, definendo in modo diverso il rapporto controverso, dando alla causa un indirizzo differente, attraverso la prospettazione di nuove tesi giuridiche che impongono alle parti l'adozione di una nuova linea difensiva. Nella specie, al contrario, la questione relativa alla spettanza o meno dell'indennità di anzianità nella misura pretesa dal M., apparteneva alla causa fin dalla sua introduzione; né i fatti allegati a fondamento della riconvenzionale sono successivi al momento della loro possibile allegazione nel giudizio di merito.

Con il terzo motivo di ricorso viene denunciata la violazione degli artt. 421 C.P.C., 1220, 1241, 1242, 1243 e 1252 c.c., nonché il vizio di motivazione, rilevando che l'offerta reale di L. 855.439 esclude la condanna per danno da svalutazione monetaria in conto del datore di lavoro, autore dell'offerta, che esattamente la somma offerta era stata decurtata, a titolo di compensazione, con il contro credito del datore di lavoro, e, a tale stregua avrebbe dovuto essere valutata la illegittimità del rifiuto opposto dal lavoratore-creditore.

Anche tale motivo non appare fondato.

Ed invero già questa Corte, con la sentenza che ha cassato con rinvio la decisione del Tribunale di Fermo aveva espressamente affermato, che pur valendo, in linea generale l'offerta reale ad escludere la condanna per danno da svalutazione a carico del datore di lavoro offerente, tuttavia, "nella fattispecie, questa non era stata formulata ritualmente" e l'intera questione andava riesaminata in sede di rinvio, essendo stata posta nuovamente in discussione la spettanza dell'indennità di anzianità nell'integrale misura richiesta dal M..

ora, essendo stata riconosciuta la spettanza al M. dell'indennità di anzianità in misura largamente superiore a quella oggetto di offerta reale (anche a voler considerare a tali fini il controcredito opposto in compensazione), il principio che attribuisce al creditore il potere di legittimamente rifiutare la prestazione parziale, comporta, di per sé la legittimità del rifiuto dell'offerta non formale, alla stregua dell'ultima parte dell'art. 1220 c.p.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

non v'é luogo a provvedere sulle spese del grado. Roma, 8.2.1993.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 LUGLIO 1993