Raccolta di giurisprudenza sulle molestie sessuali sul lavoro
Trib. Pavia, massima sentenza del 14.12.2002
Trib. Pavia, massima sentenza del 14.12.2002
Se l'amministratore della società datrice di lavoro tollera comportamenti illeciti (e la loro conseguente nonchè prevedibile evoluzione in comportamenti di molestia sessuale) costituenti reato ex art. 2049 c.c. vi è concorrente responsabilità extracontrattuale della società datrice, che sarà tenuta a rispondere pertanto anche del danno morale.
Trib. Milano, massima sentenza del 28.12.2001
Il prolungato tollerare (che si estrinseca in un comportamento omissivo) del datore di lavoro in ordine ad atti di molestia sessuale costituisce chiara violazione dell'art. 2087 c.c..
Risulta illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice molestata, allorquando le condotte imputate alla dipendente, quale giusta causa di recesso, siano ricollegabili causalmente al comportamento omissivo dello stesso datore; ove tale nesso di causalità sussista anche in relazione al danno biologico lamentato dalla lavoratrice, la stessa ha diritto al relativo risarcimento, il quale è quantificabile in via equitativa.
Trib. Pisa, massima sentenza del 06.10.2001
L'art. 2087 c.c., diretta espressione del disposto dell'art. 41 comma 2 cost., impone al datore di lavoro da una parte di apportare le misure di sicurezza necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore e dall'altra di porre in essere tutti gli accorgimenti necessari a tutelare la personalità morale. Ne consegue che, ove il datore di lavoro sia a conoscenza del fatto che un suo dipendente compie atti di molestia sessuale, è tenuto, secondo il tradizionale schema della "massima sicurezza fattibile" (di cui, appunto all'art. 2087 c.c.) a compiere quanto necessario per impedire il reiterarsi delle molestie.
Cass. civ. Sez. lavoro, massima sentenza n. 7380 del 08.08.1997
Non è censurabile sotto il profilo dell'illogicità della motivazione, la sentenza d'appello che escluda la ricorrenza di un'ipotesi di molestia sessuale e, contemporaneamente, ricavi dalle medesime circostanze di fatto una giusta causa di dimissioni. Infatti, una tale valutazione rimane all'interno del libero apprezzamento dei fatti che forma il convincimento del giudice di merito senza contrastare con le leggi della razionalità.