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martedì 28 maggio 2013

Licenziamento verbale - inesistente

Secondo la sentenza in commento, con riferimento alle imprese soggette alla disciplina sui licenziamenti individuali di cui alle leggi n. 604 del 1966 e n. 108 del 1990 (e quindi relativamente alla cosiddetta tutela obbligatoria), il licenziamento intimato verbalmente e/o oralmente deve ritenersi giuridicamente inesistente ed improduttivo di effetti, per cui il lavoratore ha diritto a ricevere la retribuzione sino alla riammissione in servizio stante l'inidoneità del recesso verbale ad incidere sulla continuità giuridica del rapporto di lavoro e dovendo assegnarsi alla responsabilità esclusiva del datore di lavoro la mancata, effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente, restando esclusa la sanzione prevista dall'art. 8 della l. n. 604 del 1966, riferibile alle sole ipotesi di licenziamento privo di giustificazione.

Cassazione, sentenza n. 7495 del 05.06.2000

OMISSIS

Svolgimento del processo

Contro la sentenza resa dal Pretore, giudice del lavoro di Alessandria, cui P. T. s'era rivolta, lamentando di essere stata licenziata verbalmente dalla srl A. durante lo svolgimento del rapporto di formazione e lavoro, contratto nell'aprile '91, per cui chiedeva il risarcimento pari alle retribuzioni dovutele sino alla sua scadenza (giugno 1992), oltre alla condanna della società al pagamento delle differenze retributive relative al precedente periodo di lavoro, svolto dal luglio '90 al febbraio successivo con contratto part-time di quattro ore e, dal marzo '91, a tempo pieno, la soc. A. proponeva appello, ribadendo, anzitutto, la carenza della sua legittimazione passiva sino al 31 dicembre '90, avendo controparte lavorato sino a quella data per tal B., che le aveva ceduto l'azienda senza metterla a conoscenza, ex art. 2112, cod. civ., del pregresso rapporto. Inoltre contestava l'orario di servizio part-time di quattro ore, sancito dal Pretore, ammettendolo per tre ore e mezza sino all'aprile 91, confutando le pretese economiche riconosciutele e, sostenendo, infine, che la lavoratrice non aveva provato il licenziamento verbale.

Con sentenza non definitiva del 28 giugno 1996, il Giudice d'appello rilevava che, data l'esistenza inter partes di un rapporto di lavoro part-time a tempo indeterminato "in nero" dal luglio 90 al marzo 91, la successiva "regolarizzazione" del 5 aprile 91, con la stipulazione del contratto di formazione e lavoro a tempo pieno, era affetta da nullità, come eccepito dalla stessa società, per mancanza genetica della causa in assenza dell'aspetto formativo, e per illiceità della stessa, essendo contraria a norme imperative, per cui, in questo contesto, affermava la riviviscenza del pregresso rapporto a tempo indeterminato, da ritenere ormai a orario pieno.

Quanto al licenziamento il Tribunale, ritenuta comprovata l'intimazione verbale in base alle prove testimoniali assunte e al contegno capzioso della società, riservava al prosieguo la determinazione del risarcimento del danno, e delle pretese retributive differenziali. Quindi, esaurita anche questa fase con consulenza contabile, il Tribunale, definendo il giudizio, condannava la società, in parziale riforma della precedente sentenza, al pagamento di L. 8.654.149 per differenze retributive, oltre accessori di legge dal 2 novembre 91, nonché di L. 9.997.236, pari a sei mensilità, a titolo risarcitorio (ex art. 8, l.n. 604/66), stante l'illegittimità del recesso, con interessi e rivalutazione dalla stessa data.

Con particolare riferimento al licenziamento verbale, il Giudice d'appello, premesso che la difesa della lavoratrice aveva precisato le proprie conclusioni in modo difforme rispetto a quelle svolte in primo grado, domandando tutte le retribuzioni, sino alla riassunzione, obiettava che a parte "l'ostacolo derivante dal limite della domanda", tuttavia la pretesa era infondata essendo altrimenti rimessa alla volontà esclusiva del lavoratore la scelta della misura risarcitoria, dovendo per contro ritenersi applicabile estensivamente l'art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, determinandola in sei mensilità.

Avverso la sentenza del Tribunale di Alessandria promuove ricorso per cassazione affidato a tre motivi la T..

Resiste la parte intimata con controricorso.

Motivi della decisione

Con la prima censura la ricorrente P. T. sostiene la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l.n. 863 del 19 dicembre 1984, nonché contraddittoria e insufficiente motivazione (art.360 nn. 3 e 5 cod. proc.civ.), contestando la dichiarata nullità del contratto di formazione e lavoro affermata, a suo dire, apoditticamente dal Tribunale in considerazione dello svolgimento, da parte sua, dell'attività che svolgeva in precedenza nell'ambito di un rapporto part-time, con assenza dell'elemento formativo.

Il motivo non merita alcuna considerazione.

Premesso che è difficile cogliere l'interesse della lavoratrice ad opporsi alla dichiarazione di nullità del contratto di formazione e lavoro, se lo si inquadra nel contesto della vicenda denunciata da questa parte e che ha formato l'oggetto dei giudizi di merito, con questo motivo, se ben se ne intende il contenuto, la difesa ricorrente non lamenta tanto la declaratoria d'ufficio, da parte del Tribunale, della nullità del contratto di formazione e lavoro, quanto il mancato accertamento, da parte sua, degli elementi di fatto da cui ha desunto l'illiceità della causa, in considerazione della assoluta apoditticità, in tesi, dell'affermazione dell'evasione contributiva e della mancata prestazione formativa.

Orbene ritiene la Corte che la sentenza fonda il suo ragionamento sul dato incontestato e pacifico che il contenuto del rapporto di lavoro, nel periodo successivo alla formale stipulazione del contratto formativo, si è protratto con modalità di prestazione identiche rispetto a quelle espletate nel corso del periodo "in nero", essendo il secondo periodo, quello cioé "regolarizzato" sub specie formativa, null'altro che la prosecuzione del primo senza alcuna attività formativa, essendo immutata la prestazione.

Si legge infatti in sentenza che: "non è contestato che tra le parti si sia instaurato...un rapporto c.d. in nero...tra luglio 1990 e marzo 1991" e più oltre: "sotto il profilo formativo, non è contestato che le lavoratrice abbia continuato a svolgere la stessa attività in cui fino ad allora era stata impiegata dal datore di lavoro".

Tanto basta, a prescindere dall'aspetto previdenziale e contributivo, per far ritenere privo di causa legalmente apprezzabile, e quindi affetto da nullità, il rapporto di formazione che diventa al tempo stesso prova dell'unico rapporto di lavoro continuato e sua misura temporale.

La parte ricorrente si duole altresì, con il secondo mezzo, della violazione e falsa applicazione degli artt. 3, l. n. 863/84 e 8, l.n. 604/66, come modificato dall'art. 2, l.n. 108/90, e dell'art. 1223, cod. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), poiché il Tribunale "doveva liquidare in ogni caso il risarcimento del danno commisurandolo alle retribuzioni dovute dal momento dell'illegittimo recesso fino alla scadenza del contratto a termine (30 giugno 92), e non già col pagamento di 6 mensilità", come se si fosse trattato di un licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo in caso di contratti non dotati di stabilità.

D'altra parte, con il terzo e ultimo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2, l.n. 604/66 (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.), per avere il Tribunale condannato la società al pagamento di sei mensilità a fronte di un licenziamento verbale che doveva comportare la liquidazione delle retribuzioni sino alla riammissione in servizio.

I due motivi, essendo oltretutto fra loro in palese contraddizione, meritano di essere trattati congiuntamente.

Questa Corte, con riferimento alle imprese soggette alla disciplina sui licenziamenti individuali di cui alle l. 15 luglio 1966, n. 604 e 11 maggio 1990, n. 108 (e quindi relativamente alla c.d. tutela obbligatoria), ha avuto modo di affermare: 1^) che il licenziamento intimato oralmente deve ritenersi giuridicamente inesistente ed improduttivo di effetti, sicché esso non è idoneo ad impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro e, 2^), che il lavoratore ha diritto a ricevere la retribuzione fino alla riammissione in servizio (Cass. 29 novembre 1996, n. 10697) per la riconosciuta inidoneità del recesso verbale ad incidere sulla continuità giuridica del rapporto di lavoro e dovendo assegnarsi alla responsabilità esclusiva del datore di lavoro la mancata, effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente, restando esclusa la sanzione prevista dall'art. 8, legge cit., riferibile alle sole ipotesi di licenziamento privo di giustificazione. (Cass., 10 novembre 97, n. 11094; 1^ marzo 96, n. 1596; 23 novembre 89, n. 5040).

A questi consolidati principi, pienamente condivisi dal Collegio, la sentenza impugnata non si è conformata, avendo affermato che nel caso di licenziamento intimato senza l'osservanza della forma scritta opera la tutela risarcitoria di cui al citato art. 8 della legge n. 604, sicché le doglianze della ricorrente meritano accoglimento nei limiti in cui la sentenza non ha riconosciuto il suo diritto al pagamento delle retribuzioni, ma solamente sino alla data del 30 giugno 1992 (di preventivata estinzione del rapporto di lavoro), in tali termini temporali essendo stata individuata originariamente la domanda, avendo rettamente escluso il Tribunale, nella sentenza definitiva, in considerazione della novità della pretesa, di poter estendere la condanna della società, " a tacer dell'ostacolo derivante dal limite della domanda", al pagamento di tutte le retribuzioni, oltre l'iniziale petitum, "dal licenziamento alla riassunzione" da perseguire eventualmente in separata sede, ma certamente non in questa.

Consegue da quanto detto che mentre il secondo motivo deve essere accolto, sicché per questa parte la sentenza merita di essere cassata con rinvio ad altro giudice pariordinato che si individua nel Tribunale di Asti, il quale provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità, il terzo va rigettato
.
P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, rigettando il primo e il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese al Tribunale di Asti.

Così deciso in Roma l'8 febbraio 2000

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 5 GIU. 2000