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martedì 28 maggio 2013

Giurisprudenza sul mobbing e sentenze


Riportiamo, di seguito, una serie di massime giurisprudenziali e giurisprudenza in tema di mobbing. Il mobbing è un argomento sempre più scottante e, sfortunatamente, anche a seguito della riforma sul lavoro dovuta alla legge Fornero ed alle modifiche all'art. 18 statuto dei lavoratori (che ha in gran parte rafforzato la posizione del datore di lavoro, rispetto a quella del lavoratore), un argomento - a parere di chi scrive - sempre più attuale.

Massime di giurisprudenza sul mobbing:

Cass., massima sentenza n. 18927 del 05.11.2012
Le condotte denunciate dal lavoratore, o alcune di esse, ancorché finalisticamente non accumunate da un intento persecutorio, possono risultare, se esaminate separatamente e distintamente, lesive dei fondamentali diritti del lavoratore, costituzionalmente tutelati, senza che a ciò sia da ostacolo neppure la eventuale originaria prospettazione della domanda giudiziale in termini di danno da mobbing, trattandosi di una operazione di esatta qualificazione giuridica dell'azione che il giudice è tenuto ad effettuare.

Tribunale di Milano Sez. lavoro, sentenza del 05.10.2012
È caratteristica propria del mobbing la sussistenza di un disegno persecutorio nei confronti del dipendente, realizzato per mezzo di comportamenti vessatori o, comunque, lesivi dell'integrità fisica e della personalità del prestatore di lavoro, protratti per un periodo di tempo apprezzabile e finalizzati all'emarginazione del lavoratore. Tali comportamenti rilevano quando determinino causalmente nel lavoratore l'insorgere di una vera e propria patologia.

T.A.R. Toscana, sentenza n. 1463 del 07.08.2012
L'accertamento delle finalità precipuamente persecutorie o discriminatorie delle condotte cui il lavoratore è sottoposto qualifica l'intera fattispecie come mobbing, giacché è proprio l'elemento finalistico che "consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione, emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing.

T.A.R. Lazio, massima sentenza n. 6008 del 02.07.2012
Per "mobbing" (da lavoro) si intende l'insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. Di conseguenza, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata - procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi - considerando l'idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa.

T.A.R. Veneto, massima sentenza n. 1401 del 14.09.2011
La sussistenza di una condotta mobbizzante deve essere esclusa qualora la valutazione complessiva dell'insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare "singulatim" elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.

Trib. Nocera Inferiore, Sez. lavoro, massima sentenza del 17.11.2011
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro integrante il c.d. mobbing, sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti (se considerati singolarmente), che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.

Cass. massima ordinanza n. 29039 del 27.12.2011
Qualora il lavoratore agisca nei confronti di più datori di lavoro, addebitando loro una attività coordinata di dequalificazione e "mobbing" chiedendo, quale effetto della condotta materia, al risarcimento dei danni, sussiste tra le domande una connessione eccedente quella del mero cumulo soggettivo tra causa prevista dall'art. 33 c.p.c., analoga semmai alle più intense fattispecie di connessione prevista dagli articoli 31 e seguenti ovvero dall'art. 331 c.p.c., sicchè, inapplicabili i criteri di competenza inerenti al singolo rapporto di lavoro, opera il criterio residuale di cui all'art. 413 c.p.c., settimo comma, riferito al foro generale delle persone fisiche o giuridiche.