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lunedì 29 luglio 2013

Decorrenza prescrizione nel lavoro (stabilità reale)

Cassazione, sentenza n. 17399/2011
OMISSIS
Svolgimento del processo

1 - La sentenza attualmente impugnata - riformando parzialmente la sentenza del Tribunale di Roma n. 13587/2002 del 29 maggio 2002 - condanna la Casa g. della Società dei M. d'A. (detti P. B.) al pagamento, in favore di T.G., di differenze retributive, di tredicesima mensilità e di TFR, oltre ad accessori di legge, in riferimento al rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 1 giugno 1963 al 31 marzo 1998.

La Corte d'appello di Roma afferma che:

a) la suddetta Casa g. gestisce un complesso residenziale per l'accoglienza di circa 80 ospiti, tra religiosi e laici;

b) il giudice di primo grado ha ritenuto che la Casa g. stessa fosse assimilabile ad una comunità familiare o comunque ad una convivenza di tipo familiare, sulla base dell'orientamento giurisprudenziale secondo cui le comunità religiose, non avendo scopo di lucro e carattere imprenditoriale, sono classificabili come organismi sostitutivi della famiglia rivolti al soddisfacimento di esigenze di carattere materiale;

c) nel caso in esame, però, la Casa g. - alle cui dipendenze il T. svolgeva l'attività di addetto ai servizi di portineria e compiti accessori (es. registrazione degli ospiti) - sembra essere destinata ad offrire oltre che - in via principale - stabile permanenza ai soggetti appartenenti alla comunità anche - in via accessoria - temporaneo soggiorno ad ospiti laici e religiosi estranei alla comunità tenuti, per l'accoglienza, al pagamento di un corrispettivo;

d) la suddetta attività accessoria non assume carattere occasionale o sporadico, ma come afferma anche il Tribunale evidenzia la necessità dell'impiego di personale per far fronte ad esigenze organizzative analoghe a quelle di una struttura alberghiera;

e) le mansioni svolte del T. riguardavano precipuamente esigenze estranee a quelle della comunità stabilmente residente, pertanto il c.c.n.l. per i lavoratori domestici non è applicabile nella specie, mentre in considerazione dell'attività svolta dalla datrice di lavoro e ai fini dell'art. 36 Cost., si deve fare riferimento al c.c.n.l. per i dipendenti di aziende alberghiere, secondo il livello iniziale raggruppamento 6^, coerente con le mansioni di portiere svolte dal ricorrente;

g) va quindi riconosciuto il diritto del T. alle somme dovute a titolo di differenze retributive, di tredicesima mensilità e di TFR, determinate sulla base dei conteggi effettuati dalla e tu., con riguardo alla suddetta qualifica contrattuale, disattendendosi l'eccezione di prescrizione quinquennale dei crediti, essendo il rapporto di lavoro in oggetto non connotato dal regime di stabilità c.d. reale;

h) non devono, invece, essere corrisposte le voci relative a compensi per prestazioni che non risultano esattamente provate (lavoro straordinario, lavoro festivo, retribuzione per ferie non godute), nonchè per la quattordicesima mensilità, la quale è un emolumento di fonte contrattuale;

i) non può essere accolta la domanda di versamento dei contributi previdenziali o risarcimento del danno pensionistico, in considerazione della genericità delle allegazioni che forniscono indicazioni sui periodi di contributi prescritti e sul suddetto danno.

2 - Il ricorso di T.G. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso la Casa g. della Società dei M. d'A., che propone, a sua volta, ricorso incidentale autonomo per tre motivi, cui resiste il T. con controricorso.

Il ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

1- Sintesi dei motivi del ricorso principale.

1- Con il primo motivo del ricorso principale, illustrato da quesito di diritto, si denuncia:

a) ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 416 e 436 cod. proc. civ., nonchè delle disposizioni dei contratti e degli accordi collettivi nazionali di lavoro prodotti in giudizio;

b) ex art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e/o contraddittoria motivazione.

Si rileva che la Corte d'appello di Roma - pur avendo diligentemente ricostruito l'attività della datrice di lavoro onde desumerne la corretta inapplicabilità al rapporto in oggetto della contrattazione collettiva per i lavoratori domestici e la conseguente utilizzabilità, in via parametrica ex art. 36 Cost., della contrattazione collettiva per i dipendenti delle aziende alberghiere - non ha tuttavia motivato in merito al criterio sotteso alla scelta relativa all'individuazione, come livello di appartenenza del ricorrente del livello iniziale, raggruppamento 6^, considerato laconicamente coerente con le mansioni di portiere svolte.

Tale immotivata e generica statuizione, ad avviso del ricorrente, è il frutto della mancata preventiva individuazione dell'esatta qualifica corrispondente alle mansioni svolte dal T., come stabilita dalla disciplina collettiva nella sua evoluzione - trattandosi di un rapporto durato dal 1 giugno 1963 al 31 marzo 1998 - allegata agli atti.

Ciò ha comportato la mancata applicazione della normativa riguardante i livelli attribuiti (a partire dal c.c.n.l. 14 luglio 1976) ai lavoratori alberghieri svolgenti mansioni proprie di "portiere rumante", reclamata dal T. e mai contestata dalla datrice di lavoro. Tale qualifica dopo un primo inquadramento (nell'indicato contratto del 1976) nel 5^ livello della classificazione unica del personale, a partire dal c.c.n.l. del 10 aprile 1979 è sempre stata inserita nel 4^ livello.

Secondo il ricorrente, tutto ciò non è stato preso in considerazione dalla Corte romana che ha soffermato la propria attenzione soltanto sul c.c.n.l. 16 marzo 1972, col risultato di parametrare la retribuzione delle incontestate mansioni di "portiere turnante" (non previste in quest'ultimo contratto) a quelle di "addetto di portineria", cui competono mansioni di qualità di gran lunga inferiore rispetto a quelle svolte dal T..

D'altra parte, una conferma di tale omissione si avrebbe anche nella circostanza che nella formulazione dei quesiti posti alla c.tu. la Corte d'appello, al fine di individuare gli elementi retributivi da assumere come parametro, si è limitata a fare riferimento al 6^ raggruppamento, senza indicare, nemmeno in via alternativa o in sede della disposta c.t.u. supplementare, il 4^ livello della contrattazione collettiva successiva al 1976. 2- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia:

a) ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 416 e 436 cod. proc. civ.;

b) ex art. 360 c.p.c., n. 5, omessa o insufficiente motivazione circa lavoro straordinario, lavoro festivo, ferie non godute.

Si contesta il punto della sentenza impugnata ove la Corte romana ha disposto di detrarre le voci per compensi delle prestazioni per lavoro straordinario, lavoro festivo, ferie non godute, non risultando tali prestazioni esattamente provate.

Il ricorrente sottolinea che, non avendo la datrice di lavoro tempestivamente contestato l'esistenza delle suddette prestazioni rivendicata nel ricorso introduttivo, sulla base del combinato disposto degli artt. 416 e 436 cod. proc. civ., la Corte d'appello non avrebbe potuto giungere alla suddetta conclusione, tanto più in considerazione delle risultanze documentali richiamate (ad altri fini) nella sentenza stessa e accuratamente esaminate dalla c.t.u.

3.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia - ex art. 360 c.p.c., n. 5, - insufficiente e incongrua motivazione circa differenze contributive prescritte e conseguente danno pensionistico.

Si contesta il passo della sentenza impugnata ove viene respinta la domanda relativa al versamento dei contributi o al risarcimento del danno per genericità delle allegazioni che non forniscono indicazione sui periodi di contributivi prescritti e sul danno pensionistico.

Si sottolinea che, invece, la Corte d'appello aveva a disposizione sia la documentazione dell'INPS prodotta in primo grado sia l'esauriente prospetto contabile contenuto nella relazione della c.t.u.. Sulla base di questi elementi sarebbe stato agevole ricostruire la vicenda. Comunque il ricorrente, fin dal primo grado di giudizio, aveva chiesto che per rendere più agevole tale operazione venisse disposta una specifica c.t.u. Non solo tale istanza non avuto alcun seguito, ma non si è ritenuto opportuno di approfondire anche il predetto aspetto della controversia neanche in occasione della disposta c.t.u. supplementare.

Tutto ciò, comunque, secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità in materia, non avrebbe comunque dovuto portare al suddetto contestato epilogo.

2- Sintesi dei motivi del ricorso incidentale autonomo.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale autonomo, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia - ex art. 360 c.p.c., n. 5, - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante l'affermazione dell'applicabilità del c.c.n.l. del turismo anzichè di quello per i lavoratori domestici, effettuata misconoscendo la natura di comunità parafamiliare della Casa g. in oggetto, non avente scopo di lucro nell'attività di temporaneo soggiorno degli ospiti esterni, dalla stessa Corte romana considerata accessoria.

L'attività di ospitalità verso terzi fa parte dello scopo istituzionale della Casa g. e non è stato dimostrato che le somme eventualmente versate dagli ospiti esterni, cui tardivamente ha fatto riferimento il T., costituissero degli utili, nè era possibile dimostrarlo. Infatti, essendo consentito alle persone giuridiche riconosciute svolgere attività finalizzate al reperimento di fondi per il perseguimento dei propri scopi istituzionali, l'eventuale occasionale riscossione di somme di danaro in cambio dell'offerta di ospitalità a soggetti estranei alla comunità non può certamente essere idonea a dimostrare la sussistenza del preteso "scopo di lucro", condizionante l'applicabilità del c.c.n.l. per il turismo.

Viceversa, la Corte d'appello ha ignorato l'eccepita tardività della deduzione dello scopo di lucro e non ha indicato in base a quali elementi ne abbia ritenuto provata la sussistenza (essenziale ai sensi dell'art. 1 del c.c.n.l. per il turismo), onde pervenire alla suddetta soluzione.

5.- Con il secondo motivo, illustrato da quesito di diritto, si denuncia - ex art. 360 c.p.c., n. 3, - violazione e falsa applicazione dell'art. 2948 c.c., n. 4, in relazione al rigetto dell'eccezione di prescrizione del diritto alle pretese differenze retributive per il periodo lavorativo compreso tra il 1 luglio 1975 e il 6 maggio 1993.

Ciò in quanto in considerazione del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro, la Corte d'appello avrebbe dovuto ritenere che il rapporto stesso avesse - in fatto - caratteristiche di stabilità tali da essere assoggettabile all'indicata disposizione.

6- Con il terzo motivo si denuncia - ex art. 360 c.p.c., n. 5, - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio riguardante l'eccezione di prescrizione delle differenze retributive sollevata dalla Casa g. in primo grado e riproposta in appello.

Si contesta che la Corte d'appello abbia respinto la suddetta eccezione facendo semplicemente riferimento alla mancata applicabilità al rapporto di lavoro del regime della tutela reale, senza dare rilievo al concreto atteggiarsi del rapporto stesso, nel quale il lavoratore non era certamente soggetto ad una situazione di metus nei confronti della datrice di lavoro, come dimostra la stessa lunga e tranquilla durata del rapporto.

3 - Esame dei motivi del ricorso principale.

7.- I tre motivi del ricorso principale - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - sono fondati.

3-a - Qualificazione come commerciale dell'attività alberghiera svolta dalla Casa g. e relative conseguenze per il presente giudizio.

8- Va, in primo luogo, precisato che è sicuramente da condividere la premessa da cui muove la Corte d'appello in merito alla qualificazione, ai fini che qui interessano, del Tatti vita svolta dalla datrice di lavoro.

Tale valutazione è stata effettuata nel rispetto dei criteri legali per l'attribuzione della qualità di impresa (e di impresa alberghiera in particolare) e giustificata con congrua della motivazione.

Il Giudice del merito, infatti, ha correttamente posto in rilievo che:

a) è pacifico che sono di tipo parafamiliare le relazioni che si instaurano tra i componenti della comunità religiosa - aventi stabile comunanza di vitto e alloggio - secondo il principio di mutua assistenza e nei quali è prevalente la condivisione di principi ed impulsi morali ed affettivi, che porta alla presunzione di gratuità delle eventuali prestazioni obiettivamente lavorative reciprocamente svolte all'interno della comunità dagli appartenenti ad essa, in analogia con quanto si verifica nei rapporti tra i membri della famiglia (vedi per tutte. Cass. 13 maggio 1982, n. 2987);

b) i lavoratori esterni che prestino la loro opera alle dipendenze delle suddette comunità possono essere ascritti - quando lavorino esclusivamente nel suddetto ambito, quindi per ciò che attiene alle attività "di base" della comunità, cioè all'attività di culto e/o religiosa - alla categoria dei lavoratori domestici i quali (ai sensi della L. 2 aprile 1958, n. 339, art. 1 e dell'art. 2240 cod. civ.) sono quelli che prestano la loro opera per il funzionamento della vita familiare;

c) è possibile che una comunità religiosa svolga, accanto all'attività principale di culto e/o religiosa, anche altra attività, meramente accessoria, ma non sporadica od occasionale di tipo alberghiero, a tutti gli effetti, richiedente l'impiego di personale per esigenze e necessità organizzative tipiche di una struttura alberghiera;

d) questa è l'ipotesi che si verifica nella specie, visto che è stato accertato che la Casa g. oltre ad offrire - in via principale - stabile permanenza ai soggetti appartenenti alla comunità, da anche - in via accessoria - temporaneo soggiorno ad ospiti laici e religiosi estranei alla comunità tenuti, per l'accoglienza, al pagamento di un corrispettivo;

e) le mansioni svolte del T. riguardavano precipuamente esigenze proprie della suddetta attività accessoria;

f) conseguentemente, data l'inapplicabilità del c.c.n.l. per i lavoratori domestici, ai fini della parametrazione della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., si deve fare ricorso al c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende alberghiere.

Le suddette statuizioni sono innanzi tutto, conformi all'indirizzo di questa Corte secondo cui per "albergo" deve intendersi l'edificio attrezzato per dare alloggio in unità abitative costituite da camere (vedi: Cass. 27 maggio 2010, n. 12962, Cass. 30 aprile 2005, n. 9022;

30 aprile 2005, n. 9022 anche Cass. 22 giugno 2004 n. 11600; Cass. 31 marzo 2009, n. 7770).

Ma ciò che più rileva è il presupposto sotteso alla suddetta qualificazione come imprenditoriale - e, in particolare, alberghiera - dell'attività accessoria de qua, rappresentato dalla ritenuta - e tuttora contestata dalla Casa g. - sussistenza del fine di lucro.

Al riguardo, va sottolineato che la Corte di appello, sul punto, si è appropriatamente adeguata al consolidato (e qui condiviso) indirizzo della giurisprudenza di legittimità - affermatosi proprio in relazione a fattispecie analoghe alle presente - secondo cui il fine spirituale o comunque altruistico perseguito dall'ente religioso non pregiudica l'attribuzione del carattere dell'imprenditorialità dei servizi resi, ove la prestazione sia oggettivamente organizzata in modo che essa sia resa previo compenso adeguato al costo del servizio, dato che il requisito dello scopo di lucro assume rilievo meramente oggettivo ed è quindi collegato alle modalità dello svolgimento dell'attività (Cass. 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 12 ottobre 1995, n. 10636; Cass. 19 dicembre 1990, n. 12390).

Di recente è stato, altresì, ribadito al fine di stabilire se un'attività, svolta da un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, sia di tipo commerciale si devono principalmente considerare le concrete modalità di svolgimento dell'attività stessa. Pertanto, deve essere qualificata come commerciale un'attività di gestione di una struttura alberghiera da parte di ente assistenziale, sia pure svolta in modo da non eccedere i costi relativi alla produzione del servizio, dal momento che, ai fini della valutazione del carattere imprenditoriale di un'attività economica organizzata per la produzione o lo scambio di beni o servizi rimangono giuridicamente irrilevanti sia il perseguimento di uno scopo di lucro - che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività (Cass. 29 febbraio 2008; Cass. 14 giugno 1994, n. 5766; Cass. 23 aprile 2004, n. 7725) - sia il fatto che i proventi della attività siano poi destinati alle iniziative connesse con gli scopi istituzionali dell'ente (Cass 17 febbraio 2010, n. 3733). Nelle suddette ipotesi, infatti, il carattere imprenditoriale dell'attività "collaterale" va escluso soltanto nel caso in cui essa sia svolta in modo del tutto gratuito, dato che non può essere considerata imprenditoriale l'erogazione gratuita dei beni o servizi prodotti (Cass. 14 giugno 1994, n 5766; Cass. 23 aprile 2004, n. 7725).

3-b - Adeguamento della retribuzione del ricorrente e relativa motivazione.

9.- Va, però, osservato che dalle indicate esatte premesse la Corte romana non ha tratto delle conseguenze condivisibili in ordine alle modalità di adeguamento della retribuzione in base ai principi di cui all'art. 36 Cost., nè ha fornito sul punto congrua motivazione.

Infatti, la Corte d'appello si è limitata ad affermare che - ritenuta l'inapplicabilità del c.c.n.l. per i lavoratori domestici e considerata l'attività svolta dalla datrice di lavoro - ai fini dell'art. 36 Cost., si deve fare riferimento al c.c.n.l. per i dipendenti di aziende alberghiere e che l'inquadramento maggiormente coerente con le mansioni di portiere svolte dal T. sia il secondo il livello iniziale raggruppamento 6^.

La suddetta statuizione, nella sua laconicità, appare dare luogo, da un lato al vizio di omessa motivazione e, dall'altro al vizio di violazione della normativa applicabile in materia di determinazione giudiziale della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità. 9.1.- Quanto al primo profilo, va ricordato che costituisce vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, l'omessa indicazione da parte del giudice degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull'esattezza e logicità del suo ragionamento, e ciò anche quando vengono in rilievo decisioni su questioni giuridiche condizionate strettamente da un accertamento e da una valutazione di circostanze fattuali (vedi, per tutte: Cass. 18 novembre 2010, n 23296; Cass. 18 gennaio 2006, n. 890).

Tale situazione si verifica, appunto, nella specie, visto che la Corte romana non ha dato alcuna logica giustificazione della conclusione cui è pervenuta.

9.2.- Quanto al secondo dei suindicati profili, è bene ricordare che, nell'ipotesi in cui il giudice del merito sia chiamato a determinare la giusta retribuzione a norma dell'art. 36 Cost. - in relazione all'art 2099 cod. civ. e dunque con riferimento ai contratti collettivi in via parametrica -deve, in primo luogo, rispettare i criteri dettati dalla norma costituzionale per il processo perequativo, e cioè il criterio di "sufficienza" della retribuzione a sopperire ai bisogni di una esistenza libera e dignitosa e quello criterio di "proporzionalità" della stessa retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato (Cass. 20 settembre 2007, n. 19467; Cass. 29 marzo 1985, n. 2193).

In particolare, l'utilizzazione, nella suddetta ipotesi, della disciplina collettiva del settore considerato adeguato deve essere effettuata a semplici fini parametrici o di raffronto per la determinazione della sola retribuzione base spettante al lavoratore subordinato (senza riguardo agli altri istituti contrattuali), e la suddetta determinazione può essere impugnata dal lavoratore in cassazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in caso di disapplicazione del criterio giuridico della "sufficienza" della retribuzione - volto a garantire la soddisfazione dei bisogni di una esistenza libera e dignitosa - nonchè di quello della "proporzionalità" - volto a correlare la stessa retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato - rimanendo di contro l'apprezzamento in concreto dell'adeguatezza della retribuzione riservato al giudice del merito (Cass. 20 marzo 2010, n. 7528; Cass. 28 agosto 2004, n. 17250).

Inoltre, la giusta retribuzione, determinata dal giudice, deve essere adeguata anche in proporzione all'anzianità di servizio acquisita, atteso che la prestazione di lavoro, di norma, migliora qualitativamente per effetto dell'esperienza, sicchè il giudice può ben attribuire gli scatti di anzianità non per applicazione automatica, ma subordinatamente all'esito positivo dell'indagine volta a garantire l'adeguatezza della retribuzione ex art. 36 Cost. in considerazione del miglioramento qualitativo nel tempo della prestazione (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584).

Nel caso che ci occupa, a fronte di un rapporto di lavoro durato trentacinque anni - nel corso dei quali, ovviamente, da un lato si sono succeduti diversi contratti collettivi per i dipendenti delle aziende alberghiere (come risulta dai contratti stessi allegati agli atti e, pertanto, esaminabili dal Collegio) e dall'altro al T. sono stati, via via, presumibilmente affidati compiti più complessi e/o più delicati, data la fiducia dimostrata - il Giudice del merito, senza alcuna spiegazione, ha fatto riferimento ad una qualifica - quella del secondo livello iniziale raggruppamento 6^, corrispondente alle mansioni di "addetto di portineria" (presumibilmente sulla base della consultazione del solo c.c.n.l 16 marzo 1972) - non adeguata all'inquadramento reclamato - e mai contestato dalla datrice di lavoro - di "portiere turnante", qualifica prevista per la prima volta nel ccnl 14 luglio 1976, con inquadramento nel V livello della classificazione unica del personale, e poi, a partire dal c.c.n.l. del 10 aprile 1979 sempre inquadrata nel 4^ livello.

Ciò si traduce in una evidente violazione dei criteri giuridici della "sufficienza" e della uproporzionalità"della retribuzione che il giudice, in simili casi, è chiamato ad applicare, per il tramite della contrattazione collettiva scelta come parametro.

10- Per quanto riguarda la detrazione dei compensi relativi alle prestazioni per lavoro straordinario, lavoro festivo, ferie non godute, motivata dall'insussistenza di prove sull'esatto ammontare di tali compensi, vanno fatte alcune precisazioni.

In base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, ai fini dell'adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., il contratto il collettivo di settore rappresenta il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione ma limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei compensi aggiuntivi e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima (Cass. 7 luglio 2008, n. 18584; Cass. 4 giugno 2008, n. 14791).

L'eventuale applicazione di altri istituti contrattuali non può essere automatica, ma richiede specifica e adeguata motivazione (Cass. 9 giugno 2008, n. 15148).

In questa situazione, la suindicata motivazione sul punto non appare plausibile in quanto - a prescindere dal profilo di censura attinente la prospettata violazione degli artt. 416 e 436 cod. proc. civ., la cui formulazione non è conforme al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione -la Corte d'appello avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali, dopo una prima CTU e una CTU supplementare (ritualmente sottoposte all'attenzione del Collegio dall'attuale ricorrente), non vi erano elementi di prova circa il diritto del T. ai compensi in argomento.

11 - Alla stessa conclusione si deve pervenire in riferimento al rigetto della domanda di versamento dei contributi previdenziali o risarcimento del danno pensionistico, motivata facendo riferimento alla genericità delle allegazioni che forniscono indicazioni sui periodi di contributi prescritti e sul suddetto danno.

Pure in questo caso la Corte d'appello, infatti, a fronte della documentazione INPS in atti (riprodotta nel ricorso) e del prospetto contabile allegato alla relazione della c.t.u. ha ritenuto di respingere la suddetta domanda con una motivazione soltanto "apparente" e quindi, nella sostanza, mancante.

12- A quanto detto consegue l'accoglimento del ricorso principale.

5- Esame del primo motivo del ricorso incidentale autonomo.

13.- L'accoglimento del ricorso principale comporta l'assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale, la cui decisione è divenuta inutile.

5- Esame del secondo e del terzo motivo del ricorso incidentale autonomo.

14.- Il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale autonomo - da esaminare congiuntamente, per la loro intima connessione - non sono fondati.

15. Le censure in esame riguardano la statuizione della sentenza relativa al rigetto dell'eccezione di prescrizione quinquennale dei crediti del T. per differenze retributive. motivata sull'assunto della non applicabilità al relativo rapporto di lavoro della garanzia della stabilità reale.

In base a consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:

a) in tema di prescrizione dei crediti del lavoratore il principio - di cui all'art. 2948 c.c., n. 4, all'art. 2955 c.c., n. 2, e all'art. 2956 c.c., n. 1, (quali risultanti dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 63 del 1966) - secondo il quale la prescrizione non decorre in costanza di rapporto di lavoro si applica soltanto ai rapporti non assistiti da stabilità reale e riguarda il solo diritto alla retribuzione (da ultimo: Cass. 28 luglio 2010, n. 17629);

b) l'accertamento del giudice del merito circa la sussistenza o meno di una situazione di stabilità reale o elusiva degli obblighi scaturenti dal regime di stabilità reale si risolve in un accertamento di fatto, che, ove sorretto da motivazione immune da vizi, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 22 marzo 2010, n. 6843);

c) ai fini della individuazione del regime di prescrizione applicabile ai crediti retributivi, il presupposto della stabilità reale del rapporto di lavoro deve essere verificato in relazione al concreto atteggiarsi del rapporto stesso ed alla configurazione che di esso danno le parti nell'attualità del suo svolgimento (Cass. 22 giugno 2004, n. 1164).

Dai suddetti principi si desume l'evidente infondatezza delle censure le quali, benchè in parte formalmente prospettate come denunce di violazione di legge, in realtà si risolvono tutte, nella sostanza, nella prospettazione, come vizi di motivazione, di asseritamente sbagliate valutazioni, da parte del Giudice del merito, del materiale probatorio, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Invece, per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (vedi, fra le tante: Cass. 3 gennaio 20U, n. 37, Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214) la quale, oltretutto, nella specie si porrebbe anche in contraddizione rispetto alla natura di tipo quasi "familiare" del rapporto, che invano la Casa g. sembra ancora sostenere.

Nè va omesso di sottolineare che le considerazioni sul punto della ricorrente incidentale sembrano del tutto inconferenti perchè appaiono basate su una scarsa consapevolezza del concetto -tecnico- giuridico - di rapporto di lavoro assistito dalla garanzia della "stabilità reale", introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n. 300 del 1970, art. 18 le cui principali caratteristiche sono rappresentate dall'obbligo del datore di lavoro di reintegrare nel posto il dipendente illegittimamente licenziato e dalla sottrazione al principio della sospensione della decorrenza della prescrizione di cui all'art. 2948 c.c., n. 4 fino alla data della sua cessazione.

E', infatti, opportuno precisare che perchè ad un rapporto di lavoro sia applicabile la suddetta disciplina certamente non basta che si tratti di un rapporto che sia "realmente stabile" perchè a tempo indeterminato, di lunga durata, alle dipendenze di un datore di lavoro particolarmente qualificato per le sue finalità istituzionali e, come tale, idoneo a creare un clima di tranquillità nei confronti del lavoratore.

16- Per le suddette ragioni il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale autonomo vanno respinti.

6 - Conclusioni.

17.- In sintesi il ricorso principale deve essere accolto, il primo motivo del ricorso incidentale va dichiara assorbito e il secondo e il terzo motivo del ricorso del ricorso incidentale vanno rigettati.

La sentenza impugnata va cassata, in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà ai suindicati principi (spec. punti da 9 a 12).

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale, dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta gli altri due motivi del ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2011