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giovedì 6 febbraio 2014

La qualificazione della subordinazione

Sentenza tribunale di Milano, sez. lavoro, del 18.09.2013
OMISSIS
Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 27 aprile 2012, Ma.Li. evocava in giudizio davanti al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del Lavoro, la società GI. Milano e l'associazione Po.Gi. per sentire accertare e dichiarare che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti e svolto dalla medesima in favore delle convenute era, sin dall'inizio (ovvero dal mese di luglio 2006) qualificabile come rapporto di lavoro subordinato. Quindi chiedeva un preciso inquadramento contrattuale con il pagamento delle differenze retributive.

Infine domandava che venisse accertata e dichiarata l'inefficacia o illegittimità del licenziamento in forza del quale era cessato il predetto rapporto di lavoro.

Esponeva la ricorrente che, dopo un periodo di lavoro privo di alcuna formale assunzione nel corso del quale la medesima aveva prestato la propria opera in favore di entrambe le convenute svolgendo attività di addetta alla segreteria, il 1 settembre e il 12 settembre 2008 aveva concluso rispettivamente con la società Gi. Milano e con la Po.Gi. un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che avrebbe dovuto concludersi, il primo, il 31 agosto 2009 e il secondo, il 30 giugno 2009. In realtà i rapporti erano proseguiti sino al 5 settembre 2011, giorno in cui era stata accusata di aver sottratto la somma di Euro 4,70 e quindi allontanata dal posto di lavoro..

Nello svolgimento della sua attività, la medesima si occupava della gestione dei pagamenti e della prenotazione degli impianti, della gestione delle iscrizioni ai vari corsi, dell'apertura e chiusura impianti.

Utilizzava strumenti di lavoro fornitele dalle due società, doveva chiedere autorizzazione per eventuali permessi, attenersi alle direttive impartitele, aveva l'obbligo di rispettare un determinato orario di lavoro.

Per tutte tali ragioni riteneva che il rapporto intercorso con le convenute dovesse inquadrarsi quale rapporto di lavoro subordinato.

Chiedeva, quindi, il riconoscimento della subordinazione con il pagamento delle differenze retributive e con l'inquadramento contrattuale confacente alle mansioni svolte.

Quanto al licenziamento, come già dedotto in sede di impugnazione stragiudiziale, ne contestava la legittimità respingendo le accuse mossele.

Si costituivano la società e l'associazione convenute contestando tutte le deduzioni avversarie e chiedendo il rigetto delle richieste avanzate. La società Gi. Milano riferiva che la ricorrente aveva iniziato a collaborare in forza di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa l'1 settembre 2007. Confermava lo svolgimento delle mansioni di addetta alla segreteria, contestando, invece, che la stessa fosse addetta all'apertura e chiusura degli impianti.

Quanto allo svolgimento del lavoro, riferiva come lo stesso si svolgeva per tre giorni a settimana e per un totale di 15 ore nei giorni ed orari nei quali la ricorrente offriva la sua disponibilità.

Contestava l'eterodeterminazione del lavoro e, in ordine alla cessazione del rapporto, la riconduceva ad una decisione personale della ricorrente.

L'associazione Polisportiva contestava le deduzioni avversarie, precisando che la collaborazione della ricorrente era iniziata nel 2008, che si limitava a tre ore settimanali.

Quanto alla cessazione del rapporto, riferiva di aver contestato alla ricorrente l'irregolare emissione di alcuni scontrini fiscali, escludeva però un atto di recesso unilaterale da parte dell'associazione, ribadendo la piena e libera volontà in tal senso da parte della ricorrente.

Inutilmente esperito il tentativo di conciliazione, il giudice procedeva all'interrogatorio libero delle parti.

Quindi ammetteva le prove ritenute rilevanti ai fini della decisione.

Durante l'istruttoria venivano sentiti i testi ammessi.

All'udienza del 17 settembre 2013 si svolgeva la discussione.

Dopo la camera di consiglio, veniva pronunciata la presente sentenza con lettura del dispositivo.

Motivi della decisione

Le domande proposte dalla ricorrente non sono meritevoli di accoglimento in quanto infondate in fatto ed in diritto.

Come è noto, elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione intesa questa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria - secondo l'orientamento, ormai consolidato almeno nelle linee essenziali, della giurisprudenza di questo Tribunale e della Suprema Corte (explurimis Cass. S.U. n. 379/99; Cass. n. 9623/02) - altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e coordinamento con l'attività imprenditoriale, assenza di rischio per il lavoratore, forma della retribuzione), che - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione giuridica del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto.

Fatte queste premesse, è necessario esaminare ora le risultanze di causa. Risulta dagli atti che dal 1 settembre 2007 al 31 agosto 2011 tra la società Gi. Milano e la ricorrente sono intercorsi ben quattro contratti (cfr. doc. 4-7 fascicolo soc. Gi. Milano) di collaborazione continuata e continuativa aventi ad oggetto l'impegno di ottimizzare i risultati dell'organizzazione sportiva della società.

I testi contrattuali hanno un contenuto pressoché identico e, oltre alla descrizione dell'oggetto dell'attività richiesta, riportano la clausola secondo la quale la professionista si impegna a svolgere la propria opera "con assoluta autonomia ed indipendenza senza risultare soggetto a direttive di natura tecnica e/o organizzativa nonché senza vincoli di dipendenza gerarchica da parte della società né di alcuno dei suoi organi, funzionari o dipendenti, fatto salvo il necessario coordinamento con l'organo amministrativo o la persona da questa delegata. Disporrà di orari personalizzati dalla medesima liberamente determinati.

Il medesimo contenuto contrattuale può poi leggersi nel negozio concluso con l'associazione Polisportiva che ha prodotto un unico documento relativo al rapporto di collaborazione per il periodo 12 settembre 2008-30 giugno 2009, ma che ha attestato di aver versato compensi alla ricorrente sino al luglio 2011.

Sebbene il nomen iuris del negozio concluso tra le parti non abbia carattere assorbente, dovendosi in caso di discrepanza tra i dati formali e quelli fattuali dare precedenza a questi ultimi, è comunque necessario partire dal testo del contratto sottoscritto dalle parti per poi procedere all'individuazione della loro volontà anche posteriore alla conclusione del negozio.

Tutti i documenti prodotti recano, quanto a quelli conclusi con Gi. Milano, l'intestazione "contratto di collaborazione coordinata e continuativa a carattere amministrativo gestionale e quello con l'associazione Polisportiva "contratto di collaborazione a carattere amministrativo gestionale".

I documenti risultano sottoscritti dalle parti e non vi è agli atti alcuna deduzione o contestazione che faccia supporre che la ricorrente non abbia compreso il contenuto dei negozio che si apprestava a sottoscrivere e che ha, negli anni, reiterato senza muovere alcuna contestazione di sorta.

Gli elementi sopra illustrati consentono di affermare che la conclusione dei contratto di collaborazione, con le sue caratteristiche proprie, è stato sottoscritto dalle parti con la personale e individuale consapevolezza del suo contenuto anche in relazione al profilo dell'autonomia.

Come detto, però, il nome iuris del contratto e la volontà delle parti possono non essere rilevanti ai fini di un'esatta qualificazione del rapporto. Sul punto, giova ricordare quanto già più sopra illustrato ovvero che il discrimen tra un rapporto di lavoro subordinato ed un rapporto di lavoro autonomo è dato dalla soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, mentre gli altri elementi hanno valore solo accessorio.

E' noto, infatti, che ogni prestazione umana può essere svolta sia in forma dipendente, sia autonoma e che, ai fini di un'esatta qualificazione debbono essere riscontrati gli indici essenziali ed indefettibili, mentre gli altri possono rilevare solo in mancanza di una chiara qualificazione. Va poi precisato che quando si parla di potere direttivo non si intende alludere a direttive o indicazioni che sono compatibili anche con un rapporto autonomo, ma ad un pregnante controllo esercitato dal datore di lavoro durante lo svolgimento del lavoro, a ordini specifici ed ad un potere disciplinare. Invero, le semplice direttive possono esservi anche in un rapporto di lavoro autonomo specie se le stesse servano per armonizzare l'attività imprenditoriale nel suo complesso.

Non sono, invece sufficienti mere indicazioni relative alla continuità o all'esclusività della prestazione o l'impegno a tempo pieno o ancora le modalità di erogazione del compenso che, senza la prova di un reale vincolo di soggezione, costituiscono elementi neutri.

Appare, quindi necessario verificare se la volontà che emerge dal testo contrattuale sottoscritto dalle parti corrisponda alla realtà dei fatti, realtà che intanto potrebbe portare all'accoglimento della domanda formulata solo laddove fosse fornita la prova degli elementi caratterizzanti il vincolo della subordinazione che, come tale, consentirebbe di superare il dato formale.

A titolo di sintesi e con riserva di una più approfondita analisi delle testimonianze, va detto che nessuna deposizione ha, con la necessaria precisione, dimostrato la sussistenza di uno stato di soggezione della ricorrente rispetto alle società qui convenute.

Sa.Da. ha riferito di aver svolto, peraltro contemporaneamente alla ricorrente, le sue stesse mansioni di addetta alla segreteria ed al front-office degli impianti sportivi.

Ha escluso che la stessa, come lei medesima, fosse soggetta ad un orario di lavoro prestabilito; ha spiegato che ciascuna collaboratrice forniva la sua disponibilità che poi veniva organizzata dalla signora Mo. in base ai dei turni.

Ha confermato l'autonomia del loro lavoro, ha escluso la necessità di permessi o autorizzazioni per le assenze; nonché di godere di ferie retribuite.

Ancora che vi fosse un controllo del loro lavoro.

Anche Ti.Ve. ha riferito di aver svolto lo stesso lavoro di addetta alla segreteria come la ricorrente.

Ha escluso la necessità di dover giustificare le assenze anche in caso di malattia e di dover essere autorizzata, riferendo solo che erano tenute a comunicare i loro impedimenti per ragioni organizzative. Mo.Ba. ha riferito che i turni venivano organizzati in base alla disponibilità delle ragazze, che il lavoro era svolto in piena autonomia, che il compenso era a ore e che le eventuali assenze non dovevano essere autorizzate.

Come risulta evidente dalla lettura di tali racconti, nessun teste ha parlato e quindi fornito la prova di un rapporto di soggezione tra la ricorrente e le convenute.

Al contrario, è stata evidenziata la sua autonomia. La stessa si estrinsecava, anzitutto, nella possibilità di decidere i tempi del proprio lavoro nel senso delle ore offerte per l'espletamento dell'attività e dei giorni di presenza sul luogo di lavoro.

Irrilevante risulta poi il fatto che la sua disponibilità dovesse coordinarsi con quella delle altre lavoratrici; così come che la stessa potesse ricevere delle indicazioni di massima sullo svolgimento del suo lavoro. Quanto al primo profilo, si tratta di aspetto che risponde all'esigenza di un'efficiente e proficua organizzazione del lavoro, quanto al secondo, non vi è alcuna incompatibilità tra le indicazioni fornite dal beneficiario della prestazione e l'autonomia da parte del lavoratore.

La difesa di parte ricorrente ha cercato di porre l'attenzione sul carattere ripetitivo delle mansioni pretendendo di poter trarre da tale elemento la prova della subordinazione.

L'assunto non pare condivisibile; la ripetitività, invero, è una caratteristica propria di certe prestazioni che, però, come già più sopra detto, possono, indistintamente essere eseguite in forma autonoma o in forma subordinata e, ai fini del riconoscimento della prima, certo non appaiono di per sé sole sufficienti.

Alcuna rilevanza può avere poi le modalità di quantificazione del compenso che, come risulta dal testo del contratto, avvenivano in modo forfettario o, come risulta dalla testimonianza di F. D. sulla base delle ore lavorate.. Invero, come più sopra detto, si tratta di un indice secondario della subordinazione che, in assenza degli indici primari, non può dirsi sufficiente ai fini della prova della domanda avanzata.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la domanda relativa al riconoscimento del vincolo della subordinazione non può essere accolta. Ugualmente è a dire in ordine alle richieste di un preciso inquadramento contrattuale.

Quanto poi alla domanda relativa alla cessazione del rapporto di lavoro, quale ne sia la causa (causa che le testimonianze escusse paiono ricondurre ad una scelta personale della ricorrente), l'evento non può essere qualificato come licenziamento, atto che può determinare la cessazione di un rapporto solo di carattere subordinato.

Ne deriva che anche l'ulteriore domanda relativa alla pretesa illegittimità del licenziamento non può essere accolta.

Le ragioni della decisione e, più precisamente il fatto che il sig. Me. per conto di Gi. Milano abbia riconosciuto che la collaborazione è iniziata nel secondo semestre del 2006, quindi in un periodo precedente a quello documentale e, quanto alla P., il fatto che, al di là del testo contrattuale, la collaborazione pare essersi prolungata altre, fanno ritenere equa l'integrale compensazione delle spese processuali tra le parti. Invero, sebbene la dichiarazione rese non possa portare all'accoglimento di alcuna domanda in quanto la pretesa economica è stata svolta quale corredo di una domanda di subordinazione che non ha trovato riscontro probatorio, il rapporto con le convenute ha avuto una durata superiore a quello sostenuto dalle società.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria ed ulteriore istanza domanda ed eccezione, disattesa, così provvede:

1) rigetta il ricorso;

2) compensa per intero le spese di lite tra le parti.

Così deciso in Milano il 17 settembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2013.