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giovedì 6 febbraio 2014

Pubblica Amministrazione e lavoro a termine

Sentenza Tribunale di Pescara - sez. Lavoro - del 10.07.2013
OMISSIS
Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 28.6.2012 M.P., docente inserito nelle graduatorie provinciali permanenti di 1 fascia, esponeva che dal 12.11.2007 (con prosecuzione fino al 31.10.2012) aveva prestato attività lavorativa alle dipendenze del M.I.U.R. in forza di plurimi contratti a termine succedutisi nel tempo, prestando servizio presso Conservatorio di Musica "L." di ... nella qualità di insegnante.

A fronte del dedotto rapporto di lavoro il ricorrente: eccepiva la nullità del termine apposto ai contratti dai quali esso era stato formalmente regolamentato; prospettava, in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, ai principi di diritto enunciati dalla Corte di Giustizia in varie sentenze ed all'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001, la sanzionabilità della sollevata eccezione di nullità mediante la conversione a tempo indeterminato dei medesimi contratti a termine; in subordine, rivendicava il diritto al risarcimento del danno connesso alla illegittimità di detti contratti.

E dunque chiedeva che l'adito Tribunale, sancita la natura subordinata ed tempo indeterminato del rapporto di lavoro indicato in premessa, con effetto dal primo dei richiamati contratti di assunzione; dichiarata la nullità del termine apposto ai medesimi contratti, condannasse il M.I.U.R.: alla conversione del medesimo contratto in contratto a tempo indeterminato; in alternativa, al risarcimento del danno da commisurarsi ai vari criteri gradatamento proposti nelle conclusioni del ricorso; alla ricostruzione, ai fini giuridici ed economici, della carriera del ricorrente ed altresì alla corresponsione degli adeguamenti retributivi e contributivi correlati alla maturata anzianità di servizio. Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari di lite.

Nel resistere in giudizio il Ministero convenuto contestava la fondatezza della domanda ex adverso azionata ed concludeva per la reiezione della stessa, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese e competenze processuali.

Così radicatosi il contraddittorio, all'odierna udienza aveva luogo la discussione ed all'esito la controversia era decisa come da separato dispositivo.

Motivi della decisione

La domanda azionata nel presente giudizio muove dall'assunto della nullità della clausola oppositiva del termine inserito nei contratti succedutisi tra le parti, sotto il duplice profilo della violazione del disposto di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368 del 2001, a tenore del quale, ai fini della legittimità del contratto di assunzione a tempo determinato, il datore di lavoro è tenuto ad esplicitare le esigenze aziendali di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, legittimanti l'apposizione del termine, ed altresì della elusiva preordinazione di detti contratti al soddisfacimento delle ordinarie e ricorrenti esigenze organizzative aziendali (connesse alla persistente carenza di personale nella settore scolastico), in luogo di quelle - di carattere temporaneo e provvisorio - formalmente invocate dalla Pubblica Amministrazione. Con la conseguenza che il così delineato vizio genetico sarebbe sanzionabile in via principale con la declaratoria di nullità della clausola in parola e la conversione a tempo indeterminato dei contratti.

Così delineato il petitum sostanziale, la domanda va disattesa, apparendo essa destituita di fondamento giuridico.

Ai sensi dell'art. 36 D.Lgs. n. 165 del 2001 è consentito alle pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale, avvalersi di forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa .... In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative in materia non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.

Dal tenore precettivo della richiamata disposizione legislativa emerge inequivocabilmente la operatività del divieto di convertibilità a tempo indeterminato dei contratti a termine sottoscritti in violazione delle norme imperative di legge.

Trattasi di regime speciale che attinge la sua ragione giustificativa nella peculiare differenziazione sussistente, nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, tra prestazioni di lavoro a tempo indeterminato e prestazioni a tempo determinato. Differenziazione che rinviene la sua più significativa connotazione nelle modalità di reclutamento del personale, e segnatamente nella imprescindibilità (in applicazione del canone di imparzialità e di indipendenza - art. 97 Cost. - della pubblica amministrazione) dello strumento selettivo del concorso pubblico, al quale è assoggettato l'accesso alla dipendenza pubblica a tempo indeterminato; strumento che invece non opera in materia di contratti a termine e più in generale di forme contrattuali flessibili di assunzione. Con la ulteriore puntualizzazione che l'elemento di differenziazione tra le due tipologie di prestazioni lavorative oggetto di scrutinio non può essere rinvenuto nella (sola) diversità di durata delle stesse (profilo, questo, in relazione al quale non si giustificherebbe, anche ai sensi della normativa comunitaria, una disparità di trattamento giuridico ed economico), ma deve essere valutato anche con riferimento alla diversa incidenza del meccanismo (selettivo) di reclutamento del dipendente a tempo indeterminato (rispetto a quello utilizzato mediante contratti a termine) sulle modalità di evoluzione del rapporto di lavoro che ne consegue, nonché sulla qualità del servizio, sotto il profilo della efficienza e della imparzialità, che, in forza di siffatto assetto organico, la pubblica amministrazione è in grado di apprestare in favore della collettività.

Peraltro, a sostegno della esplicitata opzione ermeneutica soccorre l'enunciazione del principio di diritto, a tenore della quale "l'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ha sicuramente riconosciuto la praticabilità del contratto a termine e di altre forme negoziali flessibili del rapporto di lavoro pubblico, valorizzando il ruolo della contrattazione collettiva con l'attribuire alla stessa una più accentuata rilevanza rispetto al passato; nello stesso tempo la disposizione scrutinata ha però segnalato una innegabile e chiara differenza tra il lavoro pubblico e il lavoro privato per quanto attiene al contratto a termine, sì da configurarsi come norma speciale - volta in quanto tale ad escludere la conversione in contratto a tempo indeterminato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001 - in ragione di un proprio e specifico regime sanzionatorio.

Detto regime, infatti, vietando la costituzione di rapporti lavorativi a tempo indeterminato - e con risultare volto, da un lato a responsabilizzare la dirigenza pubblica al rispetto delle norme imperative in materia e, dall'altro, a riconoscere il diritto al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore a seguito della suddetta violazione - si configura come alternativo a quello disciplinato dall'art. 5 del summenzionato D.Lgs. n. 368 del 2001" (Cass. n. 392/2012).

Dalla enunciazione testé richiamata deve inevitabilmente farsi derivare il principio secondo il quale in fattispecie di adozione di forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego di personale in violazione delle norme imperative di legge non è consentito l'accesso alla conversione nel contratto a tempo indeterminato, essendo, per contro, operante unicamente il regime sanzionatorio del risarcimento del danno.

Appare altresì immeritevole di accoglimento anche la domanda risarcitoria (nelle varie articolazioni esplicitate nelle conclusioni del ricorso) proposta in via subordinata dal ricorrente, per le ragioni che seguono.

E' ben consapevole il giudicante dell'orientamento giurisprudenziale a tenore del quale la mancanza di un atto di nomina oppure l'espresso conferimento di incarico professionale non sono di per sé ostativi alla configurabilità di un rapporto di pubblico impiego, ove di questo sussistano in concreto gli indici rivelatori, quali la natura pubblica non economica dell'ente, la volontà univocamente manifestata dal medesimo ente di inserire il lavoratore nella propria organizzazione per il perseguimento dei propri fini istituzionali, la predeterminazione della retribuzione, l'obbligo di osservanza dell'orario di lavoro e, più in particolare, la subordinazione gerarchica. Con la conseguenza che in siffatta situazione è consentito al lavoratore interessato rivendicare il diritto al trattamento economico ed alle connesse prestazioni previdenziali e contributive in applicazione dell'art. 2126 c.c.

Nondimeno, ai fini della declaratoria del diritto del lavoratore al risarcimento del danno dedotto in giudizio il giudice deve accertare la sussistenza dell'evento dannoso; stabilire se il danno sia qualificabile come "danno ingiusto"; accertare, sotto il profilo causale, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della pubblica amministrazione; verificare se l'evento dannoso sia imputabile a colpa o dolo della p.a.

Con specifico riferimento alla fattispecie in esame è doveroso prioritariamente dare atto della qualificazione del rapporto recepita dalle parti in sede di sottoscrizione dei contratti richiamati nel ricorso introduttivo; come sono altresì incontestabili la validità e la genuinità dei medesimi atti negoziali, giacché sottoscritti nella libera disponibilità delle parti e nella consapevolezza della preordinazione degli stessi al soddisfacimento di esigenze aziendali perseguibili anche mediante rapporti di lavoro a termine oppure di natura collaborativa.

Nell'ottica dell'applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 2126 c.c. non appare appropriato, ai fini del risarcimento del danno rivendicato dalla ricorrente, il criterio dell'automatico adeguamento al trattamento retributivo di spettanza del dipendente di pari livello, occorrendo pur sempre considerare le peculiarità e le differenziazioni, come innanzi evidenziate, connesse alle modalità di reclutamento e di accesso al rapporto di lavoro , alle quali è assoggetto il dipendente pubblico, nonché alla consequenziale incidenza di siffatte modalità sui contenuti e sulla connotazione giuridica del medesimo rapporto; profili, questi, in relazione ai quali deve escludersi la sovrapponibilità/omologabilità del contratto a termine a quello a tempo indeterminato.

Senza contare che qualsivoglia pretesa risarcitoria di danni risalenti al rapporto di lavoro deve in ogni caso essere supportata da allegazioni probatorie, anche di tipo presuntivo, con relativo onere a carico della parte interessata, alla stregua delle quali il giudice possa maturare il proprio apprezzamento in ordine alla effettività ed alla entità dei danni denunziati (Cass. n. 392/2012); allegazione, questa, del tutto carente nella specie.

Peraltro, nelle risultanze di causa non è dato neppure rinvenire qualsivoglia (accessorio) elemento sussumibile a parametro di identificazione del danno (connesso alla dedotta nullità/illegittimità dei contratti a termine) e di determinazione della corrispondente misura risarcitoria.

In particolare, non appare condivisibile il ricorso al dimensionamento del danno previa applicazione di criteri generali ed astratti, quali la parametrazione (del pregiudizio economico) in tema di indennizzo per perdita di chance, mancata fruizione di retribuzioni durante il periodo occorso per il reperimento di nuova occupazione oppure licenziamento illegittimo; e ciò in quanto trattasi di criteri per un verso presupponenti la violazione di un diritto del lavoratore alla stabilizzazione del rapporto, nella specie, invece, non configurabile, e, per altro verso, di esclusiva applicabilità alle specifiche fattispecie relativamente alle quali essi sono previsti.

Naturalmente, non può soccorrere nemmeno il regime risarcitorio apprestato dall'art. 32, 5 comma, della L. n. 183 del 2010, afferendo esso esclusivamente a contratti a termine suscettibili di conversione a tempo indeterminato, laddove nel caso di specie siffatto istituto non è invece applicabile.

Da ultimo, non è configurabile neppure un pregiudizio economico correlato agli effetti negativi di una precarietà protrattasi nel tempo e, peraltro, elusiva di una ragionevole aspettativa, in capo al lavoratore interessato, alla stabilizzazione, attesa, ancora una volta, la non operatività nella specie sia di quest'ultimo istituto, sia di quello della conversione a tempo indeterminato del rapporto intrattenuto dalla ricorrente.

Conclusivamente, in ragione sia della rimarcata carenza di allegazione probatoria di supporto che della inutilizzabilità degli enunciati parametri accessori di determinazione del danno, anche la scrutinata domanda di natura risarcitoria deve essere disattesa.

Peraltro, proprio con specifico riferimento alle problematiche connesse al precariato relativo al personale docente, soccorre risolutivamente a vanificare le prospettive di accoglimento della domanda il pronunciamento emesso dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 10127 del 20 giugno 2012, a tenore del quale: la disciplina sul reclutamento del personale della suola, di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 e successive modificazioni ed integrazioni, è esclusa dall'ambito di applicazione della normativa dei contratti a termine prevista per i lavoratori privati e non può ritenersi abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001; il conferimento dell'incarico di supplenza, specie quello annuale, costituisce il percorso attraverso il quale l'incaricato si assicura l'assunzione a tempo indeterminato in quanto, man mano che gli vengono assegnati detti incarichi, la sua collocazione in graduatoria avanza e, quindi, gli permette l'incremento del punteggio cui si correla l'immissione in ruolo ex art. 399 del T.U. di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994; la formazione della graduatoria permanente ovvero di circolo o di istituto è ancorata a rigidi criteri oggettivi, che costituiscono attuazione del principio generale secondo il quale l'assunzione dei dipendenti pubblici, anche non di ruolo, deve avvenire secondo procedure sottratte alla discrezionalità dell'amministrazione; il sistema delle supplenze rappresenta, pertanto, un percorso formativo-selettivo volto a garantire la migliore formazione scolastica, attraverso il quale il personale della scuola viene immesso in ruolo in virtù di un sistema alternativo a quello del concorso per titoli ed esami e vale a connotare di una sua intrinseca "specialità e completezza" il corpus normativo relativo al reclutamento del personale scolastico; il così delineato quadro normativo configura un insieme di fonti che valgono, per la loro completezza, organicità e funzionalizzazione, a costituire un corpus speciale autonomo disciplinante la materia di reclutamento del personale, in ordine al quale non trova applicazione il D.Lgs. n. 368 del 2001; la predetta disciplina speciale è da ritenere conforme alla Direttiva del Consiglio 1999/70/CE; la medesima disciplina non è altresì sanzionabile ai sensi di detta Direttiva, non essendo in essa rinvenibile una fonte normativa utilizzabile ai fini dell'abuso di diritto; da ultimo, in ragione della piena legittimità dei contratti di assunzione mediante il meccanismo della supplenza a tempo determinato, non può trovare accesso (oltre all'istituto della conversione, neppure) il sussidiario rimedio risarcitorio.

Alla stregua delle esplicitate enunciazioni di principio, condivise dal giudicante, la domanda deve essere disattesa.

Si impone pertanto pronuncia di reiezione del ricorso, apparendo esso destituito di fondamento giuridico.

Quanto alle competenze professionali del giudizio, la complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle stesse tra le parti.

P.Q.M.

Il Giudice del Lavoro così provvede:

Respinge il ricorso.

Dichiara compensate tra le parti le del giudizio.

Così deciso in Pescara, il 21 maggio 2013.

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2013.