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martedì 25 aprile 2023

Il fumo di sigaretta, quale concausa della malattia tumorale, va valutato ex art. 1227 c.c

 Corte appello Venezia sez. lav., 11/04/2022, n.104


Massima


In tema di patologia polmonare insorta per esposizione a fibre di amianto, anche se il fumo non rappresenta dal punto di vista giuridico un illecito civile, tuttavia concretizza una condotta imprudente che espone il lavoratore al rischio di contrarre varie patologie, tra cui appunto quella tumorale. Pertanto nella valutazione del nesso di causalità tra esposizione a fattori di rischio sul luogo di lavoro (amianto ed altre sostanze nocive) e patologia contratta dal dipendente non si può non tenere conto dell'esposizione del lavoratore al fumo di sigaretta e valutare l'incidenza di tale comportamento nella determinazione delle percentuali di responsabilità.


Sentenza


Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.Con la sentenza n.680/18 il giudice del lavoro di Venezia accertata la responsabilità dell'Autorità di Sistema con riferimento alla patologia polmonare insorta a danno di M. G., socio della compagnia portuale, il quale era stato esposto a fibre di amianto idonee a provocare il tumore polmonare di cui era affetto, in modo concausale con il fumo di sigaretta, ritenuta preponderante per il 60 % la causa della esposizione ad amianto rispetto al fumo- abitudine che il lavoratore aveva coltivato fino al 2001 con una media di 15-20 sigarette al giorno- condannava l'ente a risarcire il danno biologico differenziale, oltre alle spese di lite.


Il tribunale liquidava il danno biologico assumendo come parametro le tabelle elaborate dal tribunale di Milano, con una maggiorazione superiore al 50% rispetto al previsto e detratto l'indennizzo Inail, quantificava l'ammontare dovuto in complessivi euro 395.318,25 oltre interessi e rivalutazione dalla data della pronuncia al saldo.


2. Avverso la sentenza proponeva appello parziale il M. G. al fine di ottenere un risarcimento superiore rispetto a quello accordato dal giudice.


Si costituiva l'Autorità di Sistema che oltre a insistere per la reiezione dell'appello proposto dal lavoratore proponeva appello incidentale al fine di ottenere la reiezione integrale delle domande azionate in primo grado.


La Corte di Appello di Venezia autorizzato il deposito di note di approfondimento sulla questione di diritto controversa tra le parti, disponeva che il consulente di primo grado operasse dei chiarimenti sull'elaborato realizzato in primo grado.


Indi ottenuto deposito scritto dell'elaborato, all'esito della discussione della controversia all'udienza del 24 febbraio 2022 decideva la causa come da separato dispositivo in atti.


Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo l'appellante M. G. censurava la sentenza nel punto in cui il giudice aveva stabilito che l'importo risarcitorio fosse maggiorato da accessori la cui decorrenza- con riferimento agli interessi- era individuata nella data della sentenza e non – trattandosi di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale – dalla data della diagnosi della patologia ( 2014), ovvero in via subordinata dalla data della domanda giudiziale.


Rilevava a tal fine che nel caso di specie vi era un concorso tra azione contrattuale ed extracontrattuale che legittimava la modifica della pronuncia.


Con secondo motivo impugnava la sentenza nel punto in cui il giudice aveva ridotto il risarcimento in ragione dell'apporto causale del tabagismo ex art. 1227 c.c.; a tal fine precisava che lo stesso tribunale di primo grado in controversie analoghe aveva adottato pronunce di segno contrario escludendo totalmente la rilevanza causale del fumo, ovvero riconducendo il ruolo causale ad una percentuale inferiore e comunque diversa dal 40% attribuito dal giudice di primo grado nel caso di specie. Eccepiva la condizione di modesto fumatore del M. G. il quale aveva fumato circa 15-20 sigarette al giorno fino al 2001 e in subordine insisteva per la riduzione del danno nella percentuale del 5%.


4. Si costituiva l'ente portuale convenuto in giudizio che oltre a contestare integralmente le pretese azionate dall'appellante principale proponeva a propria volta appello incidentale al fine di ottenere la riforma della sentenza. Assumeva che nel caso di specie non era stato provato il nesso causale tra l'esposizione ad amianto e la patologia di cui era affetto il M. G. e questo in ragione del contenuto della consulenza tecnica di primo grado.


Con un secondo motivo contestava il parametro adottato dal giudice per la liquidazione del danno poiché tipico delle patologie stabilizzate; evidenziava che nel caso di specie il tumore di cui era affetto l'interessato era ancora in atto e quindi trattavasi di patologia che avrebbe al più potuto essere risarcita solo con il criterio di inabilità temporanea e non permanente, tanto che lo stesso M. G. aveva allegato che il decesso avrebbe potuto intervenire dopo il 2022.


Contestava anche il grado di personalizzazione riconosciuto dal giudice che aveva accordato un aumento superiore a quanto previsto dalle tabelle di Milano utilizzate per la liquidazione.


Con ulteriore motivo contestava che il fumo nel caso di specie avesse avuto una incidenza causale pari soltanto al 40% in ragione di quanto stabilito dal consulente che non era stato in grado di individuare per il fumo una percentuale diversa e inferiore alla rilevanza causale dell'amianto.


5. L'appello principale va rigettato per le ragioni che seguono mentre va accolto in parte l'appello incidentale proposto dall'Autorità di Sistema.


In via preliminare di fatto va evidenziato che nel caso di specie non è devoluta a questa Corte la questione della provata esposizione all'amianto del M. G. già socio della Compagnia Lavoratori Portuali di Venezia con funzioni di operatore polivalente dal 1962 al 1988 ; né è contestata la legittimazione passiva e la responsabilità risarcitoria dell'ente convenuto in giudizio quale successore dell'allora Provveditorato al Porto, divenuto poi Autorità Portuale e da ultimo Autorità di Sistema Portuale.


Neppure è controverso che il M. G. ( nato nel 1944), dall'età di 16 anni e fino al 2001 abbia fumato dalle 15 alle 20 sigarette al giorno; con una esposizione contemporanea agli agenti patogeni ( fumo e amianto) almeno fino agli anni '80.


5.1. Premessi questi aspetti in fatto ragioni di pregiudizialità logica impongono al Collegio l'esame preliminare del primo motivo di appello incidentale con cui l'Autorità convenuta in giudizio ha censurato la decisione del primo giudice che ha ritenuto provato il nesso causale tra esposizione ad amianto e adenocarcinoma di cui il M. G. era stato affetto.


Assumeva in particolare l'appellante incidentale che il consulente di primo grado non si sarebbe espresso in termini di probabilità rilevante e sufficiente a ritenere che a fronte della patologia multifattoriale sopra menzionata la mera esposizione ad amianto fosse causa da sola sufficiente a provocare la malattia. Il giudice quindi, secondo l'appellante, avrebbe espresso il proprio giudizio in ragione di una rappresentazione del tutto astratta e teorica della fattispecie non ancorata a dati concreti che consentissero di sussumere l'ipotesi esaminata nella legge e criterio scientifico indicato.


Il Collegio ritiene infondato questo motivo di appello incidentale. E' sufficiente a tal fine richiamare il passo motivazionale contestato dal quale si evince che il giudice non si era limitato acriticamente a richiamare la consulenza ma aveva considerato che ai fini della valutazione- a fronte delle critiche realizzate nel corso delle operazioni peritali dal consulente di parte convenuta dott. B.- il ctu aveva eseguito un esame istologico e concreto del numero di particelle di asbesto presenti nei tessuti del polmone del M. G.( cfr. pagg. 22 e 30 elaborato peritale di primo grado).


In particolare il giudice di primo grado sulla questione così motivava:"… Su queste premesse, la CTU esperita – approfondita e motivata - consente di ritenere accertato che la malattia insorta a carico del M. G. (tumore polmonare) sia, con elevata probabilità, riconducibile all'esposizione ad amianto, documentata in atti e confermata dal riscontro di fibre e corpuscoli di amianto sui campioni polmonari non neoplastici prelevati dal ricorrente in occasione dell'intervento subìto nel corso del 2017, in concorso con l'esposizione voluttuaria al fumo di sigaretta cui il M. G. si è sottoposto dal 1962 al 2001, quantomeno in relazione a 10-15 sigarette al giorno (questo è il dato riferito al CTU; peraltro, nella documentazione relativa alla visita specialistica pneumologia del 18.1.2017 é riportato il consumo di un pacchetto di sigarette e mezzo fino al 2001); in questo senso si legge infatti a pag. 31 della perizia che "E' vero che il signor M. G. è stato esposto anche a fumo di sigaretta, ma l'entità dell'esposizione ad amianto è sicuramente un fattore idoneo, nel caso di specie, a determinare la neoplasia anche senza il concorso del fattore voluttuario. Il fattore amianto, in questo caso, dev'essere ritenuto rilevante nella causazione del tumore, pur in concorso con il fumo.". del resto, in perizia si fa esplicito richiamo allo studio di Harmond del 1979 secondo cui: 1. il rischio di cancro nei soli fumatori è di circa 11 volte superiore rispetto ai non fumatori; 2. il rischio di cancro negli esposti all'asbesto, non fumatori, è di circa 5 volte superiore rispetto ai non fumatori e non espositi; 3. Il rischio di cancro nei fumatori esposti all'asbesto è di circa 55 volte superiore rispetto ai fumatori, indice questo di un effetto moltiplicativo tra fumo ed asbesto non esposti."( cfr. sentenza impugnata).


Sulla questione va evidenziato altresì che il consulente di primo grado, in ragione delle evidenze dell'esame eseguito sui residui di parenchima polmonari ottenuti dal pezzo chirurgico del 2017, tenuto conto della storia clinica documentata del M. G. il quale nel 2014 mostrava evidenze radiologiche compatibili con la malattia neoplastica e a seguito di approfondimenti diagnostici nel 2017 e di biopsia otteneva diagnosi di adenocarcinoma cui faceva seguito "lobectomia superiore sinistra, linfoadenectomia e pleuroctomia zonale per stadiazione", era pertanto giunto alla conclusione che il cancro al polmone essendovi un elevato accumulo tessutale di amianto fosse riconducibile all'amianto, secondo leggi scientifiche richiamate nell'elaborato e di cui dava conto anche nella bibliografia dell'elaborato ( cfr. pagg. 31 ctu ).


Il consulente fondava le proprie conclusioni su dati statistici accreditati; giudizio congruo e non validamente superato dalle censure espresse sul piano teorico dall'appellante ( cfr. in termini di rilevanza dei dati statistici ed epidemiologici Cass. 13814/17).


La valutazione del consulente trovava altresì conferma anche nei pareri espressi in sede Inail ; il M. G. aveva ottenuto infatti indennizzo pari al 60% per tumore polmonare correlabile ad asbesto ( il M. G. era stato altresì iscritto al registro degli esposti ad amianto già nel 2014). Elementi valorizzabili che consentono di ritenere fondata la conclusione del consulente il quale aveva qualificato l'amianto come "fattore idoneo a determinare la patologia neoplastica nel caso di specie anche senza il concorso del fattore voluttuario del fumo" ( cfr. consulenza pag. 31).


La valorizzazione di questi elementi consente quindi ad avviso di questa Corte di rigettare il primo motivo di appello incidentale.


6. Superata la questione del nesso causale vanno esaminati in quanto logicamente connessi il secondo motivo proposto dall'appellante principale e il terzo motivo proposto dall'appellante incidentale.


Entrambe le parti hanno contestato l'incidenza causale nella determinazione del danno riconosciuta dal primo giudice al fattore fumo con conseguente determinazione del grado di responsabilità dell'Autorità di Sistema in misura pari al 60%; l'appellante principale aveva contestato la possibilità di riduzione e in subordine aveva insistito per il riconoscimento di una percentuale pari al 5%, mentre l'appellante incidentale instava per il riconoscimento della percentuale di responsabilità quanto meno eguale tra i due fattori causali ( amianto e fumo).


Al fine di dare una congrua risposta alle censure delle parti il Collegio ha disposto approfondimento istruttorio con richiesta di chiarimenti al consulente medico il quale in primo grado, pur assumendo che l'amianto avesse avuto un ruolo causale autonomo, tuttavia aveva del pari precisato che con l'amianto nella determinazione del danno "aveva agito in concorso anche il fumo.".


Il giudice in ragione della consulenza aveva infatti così stabilito:":. Reputa il giudicante – in ciò ribadendo il proprio orientamento, già espresso in simili cause - che non possa non tenersi conto, anche agli effetti di cui all'art. 1227 c.c., dell'esposizione del M. G. ad esposizione volontaria a fumo di sigaretta, quale concausa della malattia realizzatasi in suo capo. Si richiamano - facendole proprie - le argomentazioni di cui alla recente sentenza Cass., 11698/14, riferibili anche alla fattispecie in questione, evidenziando che l'esposizione volontaria al fumo costituiva, anche negli anni in questione, comportamento di consapevole assunzione del rischio di contrarre una malattia anche letale. Né costituisce precedente contrario la sentenza Cass., 23653/16 citata da parte ricorrente, che attiene ai presupposti per l'operatività della tutela INAIL. Da ciò consegue che i danni subiti dal M. G. debbano essere posti a carico dell'Autorità convenuta nella misura del 60%, ritenuto congruo assegnare all'esposizione voluttuaria al fumo di sigaretta un'incidenza in misura leggermente inferiore a quella dell'esposizione ad amianto, considerando che nell'effetto moltiplicativo dei due fattori di rischio l'esposizione ad asbesto ha avuto un peso maggiore, come si desume dai dati emergenti dallo studio di Harmond sopra citati, reperiti in perizia. ".


7. Sulla questione della rilevanza della norma di cui all'art. 1227 c.c. la cui applicazione è stata contestata dalla parte appellante principale non soltanto in ragione degli esiti della consulenza medica di cui si dirà in prosieguo, ma anche in ragione dell'impossibilità a proprio avviso di attribuire efficacia causale ad una condotta lecita del lavoratore il quale non avrebbe ricevuto dalla datrice di lavoro adeguata informazione circa il rischio cui si esponeva a fronte della provata sinergia causale tra la patologia per cui è causa e il fumo, il Collegio ritiene opportuno richiamare le motivazioni espresse da questa Corte in caso del tutto analogo ( cfr. sentenza n. 669/21).


Sulla questione controversa ove si era concluso per una riduzione della responsabilità risarcitoria in capo alla odierna Autorità in misura pari al 50% , avendo ritenuto le due cause del tumore al polmone( fumo e amianto) egualmente concorrenti nella determinazione del danno liquidato dal giudice, il Collegio così motivava:"… Ai fini di causa non rileva la liceità o meno della condotta del Vianello; infatti corrisponde al vero che l'abitudine al fumo non rappresentava dal punto di vista giuridico un illecito civile, tuttavia trattasi comunque di condotta imprudente che esponeva il Vianello alla contrazione di varie patologie tra cui, come ritenuto dal consulente , quella tumorale che aveva provocato l'exitus. Trattavasi quindi di comportamento idoneo a provocare il danno azionato in giudizio ( in tal senso sulla questione della irrilevanza della antigiuridicità della condotta ai fini della riduzione del danno che il danneggiato provoca a se stesso Cass. 10220/17; Cass. 9349/17). La compresenza e concausalità tra condotta colpevole della datrice di lavoro e la condotta colpevole del lavoratore il quale , nell'essere dedito ad una abitudine che lo esponeva ad una probabile patologia polmonare, si era esposto volontariamente ad un rischio che usando l'ordinaria diligenza avrebbe potuto evitare ( in tal senso sulla abitudine al fumo come condotta negligente Cass. 1165/20; Cass. 15763/19 confermativa di Corte Appello Venezia 658/13 che aveva riconosciuto nel tabagismo un fattore di colpa idoneo ex art. 1227 primo comma c.c.) assume rilevanza non soltanto rispetto al profilo della causalità materiale valorizzata dalla parte appellante principale con l'invocazione del principio della causalità adeguata di rilevanza penalistica ex art. 40 e 41 c.p., ma anche sotto il profilo della causalità in senso civilistico. Dal punto di vista del risarcimento del danno non può essere imputato al danneggiante un danno superiore a quello provocato dalla propria condotta colpevole ( cfr. in tal senso Cass. 515/20 ove in particolare in parte motiva è valorizzata la differente valutazione che deve essere condotta dal giudice civile nell'esame dei fattori causali a fronte di una condotta del danneggiato egualmente colpevole; nonché Cass. 23921/20; nella giurisprudenza di merito a conferma di applicazione del criterio di riduzione della misura risarcitoria anche Corte di Appello Genova 62/18 e 411/18). Ex art. 118 disp. att. c.p.c. va richiamata per completezza motivazionale la citata sentenza della Corte di Cass. civ. 515/20 secondo cui:":.. Prima di esaminare le singole questioni, in via preliminare, giova ricordare che la causalità attiene al collegamento naturalistico tra fatti accertato sulla base delle cognizioni scientifiche del tempo ovvero su basi logico-inferenziali. Essa attiene alla relazione probabilistica (svincolata da ogni riferimento alla prevedibilità soggettiva) tra condotta ed evento di danno (e tra quest'ultimo e le conseguenze risarcibili), da ricostruirsi secondo un criterio di regolarità causale, integrato, se del caso, da quelli dello scopo della norma violata e dell'aumento del rischio tipico, previa analitica descrizione dello stesso (cfr. Cass. Sez. Un., 11/01/2008, n. 576; Cass. 11/07/2019, n. 17084), mentre su un piano diverso si colloca la dimensione soggettiva dell'imputazione. Quest'ultima corrisponde all'effetto giuridico che la norma collega ad un determinato comportamento sulla base di un criterio di valore, che è rappresentato dall'inadempienza nella responsabilità contrattuale e dalla colpa o dal dolo in quella aquiliana (salvo i casi i casi di imputazione soggettiva dell'evento nell'illecito aquiliano - artt. 2049,2050,2051 e 2053 c.c.): Cass. 11/11/2019, n. 28991. L'accertamento del nesso di causalità giuridica ha una funzione ben diversa: delimitare l'area del danno risarcibile. Spetterà al giudice, dopo aver accertato la causalità materiale e la colpa dell'offensore, stabilire quali, tra le teoricamente infinite conseguenze dannose provocate dall'evento di danno (la lesione del diritto) costituiscano conseguenza "immediata e diretta" di quello, e quali no. In definitiva, il sistema della legge (gli artt. 40 e 41 c.p., da un lato, l'art. 1222 c.c., dall'altro) impone la distinzione tra l'imputazione causale dell'evento di danno e la successiva indagine volta all'individuazione e alla quantificazione delle singole conseguenze pregiudizievoli. I principi in base ai quali accertare il nesso di causalità (principi cui la legge rinvia e dà per noti, dal momento che alcuna norma contiene una definizione di "nesso causale"), tanto materiale quanto giuridica, sono stabiliti dalla legge (artt. 40 e 41 c.p. nel primo caso; art. 1223 c.c. nel secondo). La causalità naturale e quella giuridica ineriscono alla responsabilità civile. A differenza della causalità penale orientata alla negazione della irrilevanza delle concause (art. 41 c.p.), la causalità civile guarda al danno e non all'evento; mentre infatti la causalità penale è orientata nella direzione dell'evento e da ciò deriva l'irrilevanza, ovvero l'equivalenza, delle cause concorrenti (art. 41 c.p., comma 1), la causalità civile ha l'attenzione concentrata sul danno, perchè la responsabilità in questo settore ruota sulla figura del danneggiato, mentre quella penale gravità intorno alla figura dell'autore del reato; la prima non è connotata dal principio di stretta legalità, per cui non si esclude che la prova del collegamento eziologico possa fondarsi su ragionamenti inferenziali, la funzione della responsabilità civile è quella di trovare la più opportuna allocazione delle conseguenze pregiudizievoli verificatesi nella sfera della vittima, quella della responsabilità penale ha matrice sanzionatoria. Tali differenze sono quelle che principalmente giustificano tanto il divaricamento che, nonostante la comune derivazione normativa dagli artt. 40 e 41 c.p., ormai caratterizza gli approcci al nesso eziologico, quanto la sensibilità che la giurisprudenza civilistica ha dimostrato per la (ormai accreditata) distinzione tra il nesso di causalità materiale e quello di causalità giuridica. L'accertamento del primo dei due nessi è necessario per stabilire se vi sia responsabilità ed a chi vada imputata; l'accertamento del secondo serve per stabilire la misura del risarcimento. Proprio il mantenimento della differenza tra il nesso di causalità materiale, che è dunque un criterio oggettivo di imputazione della responsabilità, e il nesso di causalità giuridica, che consente di individuare e selezionare le conseguenze dannose risarcibili dell'evento offre un'appagante soluzione al problema dell'accertamento del nesso di causa rispetto ad eventi, come quello per cui è causa, ad eziologia multifattoriale e più in generale al concorso tra cause umane e cause naturali e tra cause umane colpevoli e cause umane non colpevoli alla produzione dell'evento dannoso: perchè se viene processualmente accertato che la causa naturale o la causa umana non colpevole è tale da escludere il nesso di causa tra condotta ed evento, la domanda sarà rigettata, se la causa naturale o la causa umana non colpevole ha rivestito efficacia eziologica non esclusiva, ma soltanto concorrente rispetto all'evento, la responsabilità dell'evento sarà per intero ascritta all'autore della condotta illecita. In altri termini, viene esclusa la possibilità di una riduzione proporzionale in ragione della minore incidenza dell'apporto causale del danneggiante, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, non tra una causa umana imputabile ed una concausa umana non imputabile o tra una causa naturale ed una causa umana imputabile.". Pertanto considerato che sul piano dell'efficienza causale il consulente ha attribuito ai due fattori pari idoneità causale tanto da evidenziare che la cessazione dell'abitudine al fumo si era verificata contemporaneamente alla cessazione dell'esposizione significativa ad amianto, con piena compatibilità per entrambe le cause anche del periodo di latenza rispetto alla patologia diagnosticata nel 2013, va escluso che il fumo abbia avuto un ruolo di preponderanza causale nel danno superiore a quella dell'amianto, avendo entrambe le cause contribuito a determinare il danno in pari misura." ( cfr. Corte di Appello Venezia 669/21).


8. Sulla scorta di queste premesse che sono richiamate in questa sede ex art. 118 disp. Att. C.p.c., nel caso di specie il consulente d'ufficio chiamato ad esprimere un parere sull'apporto causale di fumo e amianto, ha concluso per l'impossibilità di indicare una percentuale superiore dell'uno rispetto all'altro, ritenendo che entrambi i fattori ( fumo e amianto) fossero idonei a determinare la malattia.


In particolare nelle note depositate in data 10 febbraio 2022 il ctu così evidenziava:":.. 3) Quanto il soggetto ha inalato amianto a determinati livelli cumulativi (come il signor M. G., anche in base all'esito del dato laboratoristico), il suo rischio di sviluppare carcinoma polmonare aumenta in misura significativa ai fini della definizione di "causa". 4) Il limite concreto di giudizio per il medico legale sta però nel fatto che, in presenza di fumo di sigaretta (a livelli certo significativi, come nel caso in esame) e amianto (pur a livelli di interesse), non vi è alcun modello matematico o criterio di quantificazione per stabilire DAVVERO QUALE DEI DUE, sia stato il fatto eziologico determinante. Atteso che ciascuno dei due, nel caso in esame, è idoneo a determinare la malattia.


5) Di conseguenza, non è possibile stabilire QUANTO PER CIASCUNO DEI DUE FATTORI sia stato il ruolo causale. Concludendo, l'esposizione ad amianto per il signor M. G. è idonea a qualificarci come causa sufficiente, in termini probabilistici, a determinare il tumore da cui è affetto. Anche il fumo da solo, nel caso in esame, potrebbe aver determinato il medesimo tumore.


Certo è che l'amianto, in un soggetto fumatore, ha ulteriormente addensato tale rischio, secondo un effetto additivo, senza che ciò implichi l'irrilevanza causale del fattore stesso (amianto).omissis.."


Concludeva da ultimo come segue:":.. nel caso in esame l'amianto ha raggiunto, per entità di esposizione, la rilevanza di causa anche da sola astrattamente idonea a produrre la neoplasia; nel medesimo caso anche il fumo ha ampiamente conseguito tale idoneità causale oncogena; nessuno dei modelli matematici finora esaminati permette, in questo come in altri casi analoghi, di definire quale sia stato il peso relativo di ciascuno dei due carcinogeni, a determinare la malattia in questo paziente/lavoratore. Ciò detto, se un lavoratore è esposto a fumo e ad amianto, ambedue in misura robusta (come nel caso in esame), non vi sarà modo di rispondere, in modo concreto, su quale dei due abbia davvero determinato il destino di quel paziente, fermo restando che ciascuno dei due, anche da solo, si profila come causa biologicamente idonea.".


Le conclusioni del consulente- non contestate dalle parti- consentono di ritenere che nel caso controverso c'era stata una concorrenza causale di pari entità dei due fattori; pertanto rigettato il secondo motivo di appello principale e in accoglimento del terzo motivo di appello incidentale la sentenza di primo grado va riformata nel punto in cui ha riconosciuto un grado di preponderanza causale all'amianto ( 60%) rispetto al fumo, trattandosi di cause alle quali va riconosciuta una efficienza causale nella determinazione del danno eguale ( e dunque al 50%). La determinazione del giudice di primo grado cozzava infatti con l'esito della consulenza e quindi va modificata in ragione dei chiarimenti espressi dalla dott.ssa T..


9. Residua la valutazione del secondo motivo di appello incidentale. L'appellante ha criticato la sentenza in punto quantum assumendo che il giudice avrebbe errato nella individuazione del parametro di liquidazione del danno. Il giudice in particolare a fronte di una patologia ancora in atto e quindi di per se stessa non stabilizzata, aveva utilizzato il criterio elaborato dal tribunale di Milano che era stata previsto con riferimento alle patologie permanenti.


Il risarcimento era stato determinato in ragione dei criteri statistici tipici di durata della vita media, parametro non applicabile al caso di specie perché per soggetti con patologia analoga al M. G. le probabilità di sopravvivenza in vita erano ridotte e addirittura indicate in soli 5 anni di sopravvivenza ( peraltro all'epoca della odierna decisione già superati).


Il consulente tecnico in primo grado in punto danno evidenziava che dopo l'intervento di asportazione della massa tumorale eseguito nel 2017, il M. G. a partire dal mese di settembre dello stesso anno presentava un quadro sostanzialmente invariato con remissione della patologia e senza aggravamento della situazione di insufficienza respiratoria ( tanto che non era stato oggetto cure chemioterapiche ); pertanto - in ragione dei parametri scientifici elaborati nella guida SIMLA- gli riconosceva una invalidità permanente del 60% ( cfr. pagg. 34 -35 -36 -37 ctu primo grado che viene richiamata in questa sede per relationem).


Nella decisione impugnata il giudice faceva proprie le conclusioni del ctu e determinava il danno complessivo in via equitativa con questa motivazione:":.. Quanto alla liquidazione in termini monetari del danno, non si può prescindere dalle indicazioni contenuta nella CTU di periodi di invalidità temporanea parziale e totale fino al 5.9.2017, quando il danno si è stabilizzato nella misura del 60%, con periodi inizialmente di sofferenza di livello medio-lieve, poi medio-elevato ed infine medio. Si reputa equa una quantificazione del danno in questione pari a complessivi € 658.863,75, di cui € 43.989,55 a titolo di danno non patrimoniale temporaneo ed € 614.874,00 a titolo di danno non patrimoniale permanente, addebitabile per quanto detto sopra all'Autorità convenuta per il 60%, e dunque per l'importo di € 395.318,25. Premesso che la trasposizione in termini monetari di danni di carattere psicofisico necessita sempre di una valutazione equitativa da parte del giudice, reputa il giudicante che possano essere validamente utilizzate, anche per ragioni di uniformità a livello applicativo, le più recenti tabelle milanesi del 14.3.2018, in linea con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità, facendo applicazione sia per quanto riguarda il danno temporaneo che quello permanente delle necessarie personalizzazioni, tenendo presente quanto al danno temporaneo il diverso grado di sofferenza morale riferito dal CTU e, quanto al danno non patrimoniale permanente, incrementando il dato di cui alla tabella (€ 409.916,00) del 50%, percentuale doppia rispetto a quella massima consentita dalle tabelle utilizzate, in considerazione dell'incidenza della patologia contratta non soltanto sull'efficienza funzionale del ricorrente, ma anche sulla sua aspettativa di vita. Dal dovuto teorico, in relazione alla percentuale addebitabile all'Autorità convenuta per quanto sopra già detto, dovrà detrarsi il valore capitalizzato della quota di rendita INAIL riferita al danno biologico in godimento da parte del M. G., attualmente destinatario di rendita computata al 60%, ma che ha in corso una causa giudiziale nei confronti dell'INAIL per l'incremento percentuale di riferimento della rendita, come si evince anche dalla perizia.."( sentenza impugnata).


Non ritiene il Collegio che le censure della parte appellante incidentale ( che in astratto sembrano riferirsi all'orientamento giurisprudenziale non ancora consolidato della giurisprudenza di legittimità che rispetto a patologie ad esito infausto impongono al giudice una valutazione del danno che tenga conto del periodo concreto in cui il danneggiato debba convivere con la propria patologia e non il periodo medio di vita di soggetti di pari età e invalidità , cfr. in tema Cass. civ. 26118/21), consentano di riformare la decisione del giudice il quale , nel personalizzare il danno al caso concreto in ragione dei principi generali fissati dalle sezioni unite civili con le " famose sentenze di San Martino", aveva determinato il danno in via equitativa tenendo presente anche il danno latente ( ovvero il minor grado di aspettativa di vita e la circostanza che il M. G. ne fosse consapevole a fronte della natura della patologia di cui era portatore ).


In particolare l'appellante non ha criticato l'entità del danno in ragione della situazione concreta esaminata, ove per i dati specifici indicati dal consulente, esistevano tutti gli elementi per ritenere che – al netto dei periodi di ricovero ospedaliero subiti dal M. G. nel 2017- la situazione di invalidità dal settembre 2017 si fosse definitivamente stabilizzata.


Né si condivide il rilievo dell'appellante incidentale ad avviso del quale il giudice avrebbe dato corso ad una disparità di trattamento tra i soggetti in vita e gli eredi dei soggetti deceduti, poiché nel caso specifico il giudice aveva detratto anche il danno indennizzato dall'Inail che era stato liquidato dall'ente secondo i criteri del danno permanente; detrazione altrimenti non possibile ( nel caso di inabilità meramente temporanea) per difetto di omogeneità delle poste messe a confronto.


Parte appellante inoltre non indicava in quale misura la liquidazione operata dal giudice con una personalizzazione comprensiva del danno latente -ovvero del danno subito dal M. G. che rispetto ad altro soggetto di pari età per la patologia tumorale ad esito infausto, avrebbe avuto una previsione di vita inferiore e ciò nel rispetto di quanto disposto dalla giurisprudenza di legittimità, (cfr. Cass. 26118/21 )- sarebbe stata ingiustificata e incongrua, avendo il danneggiato subito un pregiudizio inferiore.


Rispetto alla misura della personalizzazione- come espresso sopra- trattasi di operazione consentita dalla giurisprudenza, in quanto rispettosa della presenza nel caso di specie del danno consistente nella previsione di una futura morte ( " certa") del danneggiato ( in tal senso Cass. 26118/21).


Pertanto le censure contenute nel secondo motivo dell'appello incidentale, vanno rigettate siccome infondate.


10. Da ultimo residua l'esame del primo motivo di appello principale proposto dal M. G. che ha contestato la misura degli accessori liquidata dal primo giudice con decorrenza dalla data della sentenza ( 12.12.2018).


Il motivo va disatteso alla luce del precedente di questa Corte 669/21 le cui motivazioni non risultano superate dalle censure dell'appellante. Con riferimento a motivo del tutto eguale questo Collegio in quella sede aveva rigettato il motivo con la seguente motivazione che viene richiamata ai sensi dell'art. 118 disp. Att. C.p.c.. Nella sentenza citata questa Corte così stabiliva:"… Trattasi di doglianza infondata poiché parte appellante non ha considerato che il giudice nell'accordare in via equitativa l'importo risarcitorio aveva preso a riferimento le tabelle della liquidazione del danno biologico di Milano aggiornate al mese di marzo 2018 ( la decisione è del 9.11.18) e dunque il tribunale, nel quantificare l'importo risarcitorio ritenuto idoneo a soddisfare integralmente il danneggiato del pregiudizio subito ( nei termini di cui alle famose sentenze a sezioni unite di San Martino del 2018) aveva già considerato l'intero danno subito anche a causa del decorso del tempo rispetto al verificarsi dell'evento morte. Il giudice aveva cristallizzato al 2018 la misura risarcitoria dovuta; parte appellante principale al fine di criticare adeguatamente il capo decisionale avrebbe dovuto dimostrare che tale misura non era congrua avendo il danneggiato subito un pregiudizio superiore. Per contro la censura si era focalizzata sulla nozione di mora legale del danneggiante senza allegare – come era onere degli appellanti - elementi da cui inferire l'errore realizzato dal giudice nel ritenere adeguata questa misura risarcitoria. In tema ex art. 118 disp. att. c.p.c.Cass. 8721/17 secondo cui:"..Nell'ambito della valutazione equitativa del danno, anche con riferimento ai crediti relativi a rapporti di lavoro (ai quali si applica l'art. 429, comma 3, c.p.c.), è consentito al giudice inglobare in un'unica somma, insieme con la prestazione principale, interessi e rivalutazione monetaria, ove anche per tali voci ricorrano le condizioni di cui all'art. 1226 c.c., senza necessità di specificare i singoli elementi della liquidazione."( cfr. sentenza CA Venezia 669/21).


11. All'esito dell'esame dei motivi di appello, la sentenza va dunque riformata soltanto nella misura di danno posta carico dell'Autorità di sistema che viene ridotta alla percentuale del 50% con conseguente riduzione della misura risarcitoria complessiva – da cui dovrà essere detratto indennizzo Inail- pari ad euro 329.431,875.


La soccombenza reciproca delle parti consente di compensare le spese di lite nella misura della frazione di ½. La quota residua è posta a carico dell'Autorità di Sistema che aveva agito in via incidentale per ottenere l'esenzione totale della propria responsabilità che è per contro in questo grado confermata seppure per una percentuale di danno leggermente inferiore rispetto a quanto liquidato dal primo giudice.


Le spese della consulenza eseguita in questo grado sono suddivise egualmente tra le parti nella misura del 50%.


Le spese di entrambi i gradi sono liquidate in ragione dei criteri di cui al DM 55/14 e del valore della domanda azionata.


Quanto all'appellante principale deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per porre a suo carico l'onere del versamento ulteriore del contributo unificato ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater dpr 115/02.


P.Q.M.

Ogni contraria istanza eccezione domanda disattesa od assorbita, definitivamente pronunciando:


- rigetta l'appello principale, accoglie in parte l'appello incidentale e in parziale riforma della sentenza appellata, ridetermina l'importo risarcitorio dovuto dall'Autorità di sistema di cui al primo capo della sentenza impugnata in euro 329.431,875;


- conferma per il resto la sentenza impugnata;


- compensa tra le parti 1/2 delle spese di lite e condanna l'Autorità di Sistema a rifondere a M. G. la quota residua che, in detta frazione liquida, quanto al primo grado in euro 7500,00 e quanto al secondo grado in euro 6780,00 per compensi oltre a rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge;


- pone a carico delle parti in misura pari al 50% le spese di ctu che liquida in favore della dott.ssa T. come da separato decreto;


- Ai sensi dell'art. 13 , comma 1 quater del D.P.R. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell'appellante principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso in appello a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.


Venezia, 24 febbraio 2022