Conteggi lavoro

lunedì 8 maggio 2023

IMPIEGATI DELLO STATO - Dirigenti - incarichi

Sentenza della Cassazione civile sez. lav., 14/04/2015, n.7495


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 14.10.2010-15.1.2011 la Corte d'Appello di Catania rigettò il gravame proposto da V.R., ex dipendente in quiescenza dal 1.9.2001, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Sicilia, avverso la pronuncia di prime cure che aveva disatteso la sua domanda risarcitoria svolta per il mancato conferimento delle funzioni dirigenziali, benchè ciò fosse stato previsto nel decreto di nomina del 7.5.1999, essendo stato per contro adottato nei suoi riguardi un provvedimento di collocamento a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.


La Corte territoriale, esclusa l'applicabilità alla fattispecie del disposto dell'art. 13 del CCNL Area dirigenti per il quadriennio 1998- 2001 e ritenuta l'esistenza di un potere discrezionale del datore di lavoro pubblico quanto al conferimento dell'incarico dirigenziale, osservò che la violazione dei principi della correttezza e della buona fede poteva configurarsi solo in presenza della lesione di diritti soggettivi già riconosciuti in base a norme di legge o contrattuali e rilevò che la disciplina pubblica degli incarichi dirigenziali si fondava sui principi della temporaneità e fiduciarietà e che, stante appunto il potere datoriale del tutto discrezionale nella scelta dei soggetti ai quali conferire gli incarichi dirigenziali, era da ritenersi insussistente un diritto soggettivo dei dirigenti allo svolgimento delle funzioni dirigenziali; era peraltro previsto dal sistema che ai dirigenti non destinatari di incarico dirigenziale potessero essere assegnate funzioni ispettive o di studio, senza che risultasse però configurabile un diritto tutelabile ai sensi dell'art. 2013 c.c., in quanto espressamente non applicabile.


Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, V.R. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.


L'intimata Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.


Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.


Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 13, comma 1, CCNL Area I Dirigenti, valevole per il quadriennio 1998- 2001, deducendo che, in base al tenore di tale clausola, le previsioni ivi contemplate dovevano ritenersi applicabili, contrariamente a quanto reputato dai Giudici del merito, anche ai dirigenti ai quali non fosse ancora stato conferito un incarico dirigenziale. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge, il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia negato la rilevanza dell'osservanza dei principi di correttezza e buona fede in ordine all'assenza di qualsivoglia giustificazione circa i criteri seguiti e le motivazioni adottate nella scelta di non attribuire alcun incarico ad esso ricorrente.


Con il terzo motivo, denunciando violazione del D.P.R. n. 150 del 1999, art. 6, comma 2, il ricorrente deduce, subordinatamente, che gli competevano lo svolgimento di funzioni nell'ambito di programmi specifici di ispezione e verifica, nonchè di ricerca, studio e monitoraggio, come previsto dalla ridetta previsione.


2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'appartenenza ai ruoli dirigenziali non costituisce titolo per l'insorgenza del diritto alla stipulazione con l'amministrazione pubblica del contratto dal quale dipende - in via esclusiva - l'acquisizione della qualifica dirigenziale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4275/2007; 21700/2013).


La normativa pattizia invocata dal ricorrente non può dunque che riferirsi a quei soggetti che, tramite la conclusione di apposito contratto, inesistente nella specie, abbiano acquisito tale qualifica. Il motivo all'esame va dunque disatteso.


3. In ordine al secondo motivo deve rilevarsi che, secondo l'ormai consolidato orientamento di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 21671/2013; 10370/1998; Cass., nn. 13867/2014; 21700/2013;


18836/2013; 21088/2010; 18857/2010; 20979/2009; 5025/2009;


28274/2008; 9814/2008; 4275/2007; 14624/2007; 23760/2004), anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall'amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro e che le norme contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 1, (pure nel testo vigente all'epoca dei fatti per cui è causa) obbligano l'amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., senza peraltro che la predeterminazione dei criteri di valutazione comporti un automatismo nella scelta, che resta rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, al quale non può sostituirsi il giudice, salvo che non si tratti di attività vincolata e non discrezionale.


Gli artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento, di cui all'art. 97 Cost., obbligano la pubblica amministrazione a valutazioni anche comparative, all'adozione di adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicchè, ove l'amministrazione non abbia fornito nessun elemento al riguardo, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile.


Non essendo peraltro configurabile un diritto soggettivo a conservare - o ad ottenere - un determinato incarico di funzione dirigenziale, in sede giudiziale va controllato che il mancato rinnovo o il mancato conferimento dell'incarico sia avvenuto nel rispetto delle garanzie procedimentali previste, nonchè con l'osservanza delle regole di correttezza e buona fede.


Essendo gli atti inerenti al conferimento degli incarichi dirigenziali ascrivibili alla categoria degli atti negoziali, ad essi si applicano le norme del codice civile in tema di esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, con la conseguenza che le situazioni soggettive del dipendente interessato possono definirsi in termini di "interessi legittimi", ma di diritto privato, e, come tali, pur sempre rientranti nella categoria dei diritti di cui all'art. 2907 cc; tali posizioni soggettive di interesse legittimo di diritto privato sono configurabili anche rispetto agli atti preliminari al provvedimento di conferimento dell'incarico dirigenziale e ad ogni altro atto che preceda la stipulazione del relativo contratto e sono suscettibili di tutela giurisdizionale anche in forma risarcitoria, a condizione che l'interessato alleghi e provi la lesione dell'interesse legittimo suddetto, nonchè il danno subito, in dipendenza dell'inadempimento di obblighi gravanti sull'amministrazione, ma senza che la pretesa risarcitoria possa essere fondata sulla lesione del diritto al conferimento dell'incarico dirigenziale, che è insussistente in assenza del contratto stipulato con l'amministrazione.


Essendosi la Corte territoriale discostata dai suindicati principi, il motivo all'esame risulta fondato.


4. Il terzo motivo appare inammissibile; il ricorrente si limita infatti a rammentare il contenuto della norma asseritamente violata, senza svolgere tuttavia alcuna considerazione critica rispetto all'argomentazione della Corte territoriale relativa all'inapplicabilità nella specie dell'art. 2103 c.c., onde la doglianza si presenta priva di specificità.


5. In definitiva il ricorso merita accoglimento nei limiti sopra precisati.


Per l'effetto la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi di diritto.


Il Giudice di rinvio provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.


P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Catania in diversa composizione.


Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2015.


Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2015