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venerdì 5 maggio 2023

licenziamento notaio e studio professionale

 Tribunale Novara sez. lav., 15/09/2022, (ud. 15/09/2022, dep. 15/09/2022), n.187



FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato telematicamente il 16.10.2020, M. V. ha convenuto in giudizio, dinnanzi al Giudice del Lavoro del Tribunale di Novara, il Notaio L. C. chiedendo l'accertamento della nullità/illegittimità del licenziamento intimatole in data 29.11.2019 e la conseguente condanna della datrice di lavoro alla sua riassunzione nel termine di tre giorni ovvero al pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra le 2,5 e le 6 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto ai sensi dell'art. 8 L. 604/1966.


A fondamento della domanda la ricorrente ha allegato di avere lavorato alle dipendenze del Notaio L. C. come impiegata di IV livello CCNL Studi Professionali sulla base di un contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato in data 19.10.2015; di avere ricevuto in data 8.11.2019 una contestazione disciplinare con la quale era stata anche cautelativamente sospesa dal servizio e di essere stata licenziata per giusta causa con successiva lettera del 29.11.2019; di avere impugnato il licenziamento con lettera raccomandata spedita in data datata 19.12.2019.


Lamenta la ricorrente la nullità/illegittimità del licenziamento per insussistenza dei fatti contestati e comunque per difetto di proporzionalità tra gli stessi e la sanzione espulsiva.


Si è costituita in giudizio il Notaio L. C. concludendo per il rigetto del ricorso di cui ha contestato la fondatezza rimarcando la sussistenza materiale dei fatti contestati alla lavoratrice nonché la loro intrinseca gravità.


Esperito senza esito il tentativo di conciliazione, la causa è stata istruita mediante escussione di un teste e all'udienza odierna la causa è stata discussa e decisa con la presente sentenza.


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Il ricorso è fondato e va accolto per quanto di ragione.


Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale che questo giudice condivide, per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare (cfr. Cass., n. 21017 del 2015 e, di recente, Cass., n. 14777 del 2021).


Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell'illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso e tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della non scarsa importanza di cui all'art. 1455 c.c., cosicché l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ex art. 3 L. n. 604/66 o addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto ex art. 2119 c.c. (cfr. Cass. n. 26679/2017 "Per giustificare la giusta causa di licenziamento, la condotta del lavoratore deve quindi risultare idonea a incidere sulla fiducia del datore di lavoro e a far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli interessi aziendali") (in tal senso anche Cass. n. 23697/2017, Cass. n. 24014/2017).


Si ricorda, inoltre, che il giudice, ai fini dell'accertamento della sussistenza della giusta causa, non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo, potendo ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del consueto vivere civile che abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore e lavoratore.


Ad ogni modo, la scala valoriale espressa dal contratto collettivo costituisce indubbiamente uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c: spetta comunque al giudice, si ripete, valutare la congruità della sanzione (tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto in un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità) nonché la ripercussione del fatto addebitato sulla futura correttezza dell'adempimento degli obblighi assunti.


Sotto il profilo degli oneri probatori, infine, l'art. 5 della Legge n. 604/1966 pone inderogabilmente a carico del datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo.


E' dunque, la parte datoriale a dover dimostrare il fatto ascritto al dipendente, sia con riferimento all'elemento materiale che con riferimento a quello psicologico (Cass. Sent. n. 7830/2018, Cass. n. 17108/2016).


Tanto premesso, venendo all'analisi della fattispecie in esame, occorre prendere le mosse dalle contestazioni disciplinari rivolte alla ricorrente e poste alla base del licenziamento.


Con lettera datata 8.11.2019 la datrice di lavoro ha contestato alla lavoratrice i seguenti fatti "ieri 7 novembre alle ore 8.55 ho visto Lei e la sua collega C. M. andare verso il bar nei pressi dello studio anziché recarsi in ufficio per iniziare la giornata lavorativa. Mi sono fermata per farvi notare che era troppo tardi per andare a bere il caffè visto che l'orario di inizio lavoro è alle ore 9.00. Lei non mi ha dato nessuna risposta e mi ha completamente ignorata. Quando sono arrivata in studio dopo qualche minuto lei era presente ma essendo arrivata da poco non aveva come di norma aperto le finestre per arieggiare gli uffici. Le ho chiesto spiegazioni e lei con tono molto aggressivo e gridando ha detto "insomma le finestre una volta devono stare aperte una volta devono stare chiuse". A questo punto io le ho fatto presente che avrei provveduto a fare un richiamo scritto e lei sempre gridando e con tono strafottente mi ha risposto che non le importava niente, che non aveva paura di me e che se io l'avessi licenziata avrebbe impugnato il licenziamento. Io ho perso la pazienza e ho chiamato la sua collega per chiederle di confermare che io avevo sempre detto di aprire le finestre cinque minuti prima di iniziare il lavoro e che volevo le spiegazioni del perchè lei non lo facesse. Lei però non lasciava parlare la sua collega e continuava a gridare senza che io riuscissi a capire neppure quello che diceva. Le ho così chiesto di uscire dalla stanza perché volevo parlare con Monica e invece Lei mi ha risposto con un secco no. Ad una mia ulteriore richiesta se ne è andata sbattendo la porta, prendendo la sua giacca e dicendo che non riusciva a respirare e aveva male al petto. Vista la situazione ho chiesto a C. M. di accompagnarla a casa che avrei provveduto io a rispondere al telefono. Invece dopo pochi secondi sono arrivati l'ambulanza ed i carabinieri che Lei stessa aveva chiamato senza avvisarmi e senza un reale motivo. Tant'è che gli stessi agenti dei carabinieri una volta giunti non hanno capito il motivo il perché dell'intervento perché non c'erano i presupposti. Di fatto lei ha continuato a gridare anche fuori dallo studio provocando scompiglio nel vicinato finchè poi non è stata trasportata in ospedale dall'ambulanza. A mia volta dopo l'accaduto ho dovuto rivolgermi al pronto soccorso perché sconvolta dal suo comportamento ho avuto un attacco di tachicardia. Se desidera esporre eventuali ragioni a sua difesa, potrà farlo entro cinque giorni dal ricevimento della presente contestazione. Tale comportamento, se non adeguatamente giustificato, integra la risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa anche ai sensi dell'art. 2119 c.c. e pertanto, Le comunichiamo la sospensione cautelativa per tutta la durata della procedura garantistica prevista dall'art. 7 legge 300 1970".


Alla contestazione disciplinare ha fatto seguito la lettera di licenziamento del 29.11.2019 con la quale la datrice di lavoro, ritenendo di non accogliere le giustificazioni scritte della lavoratrice e richiamando il contenuto della precedente contestazione, ha comminato la sanzione del licenziamento senza preavviso richiamando l'art. 140 punto 6) del CCNL Studi Professionali.


Occorre a questo punto esaminare le distinte condotte addebitate alla lavoratrice e poste alla base del licenziamento.


Alla lavoratrice è stato contestato che il giorno 7.11.2019 alle ore 8.55, invece di recarsi in studio, si era fermata al bar per prendere il caffè con la collega C. M. e che, nonostante il Notaio avesse fatto loro presente che era troppo tardi per il caffè, in quanto l'orario di inizio lavoro era alle 9.00, ella non le aveva risposto ignorandola completamente.


Alla lavoratrice è stato poi contestato che, quel medesimo giorno, allorchè il Notaio appena giunto in studio le aveva chiesto spiegazioni del perché non avesse ancora aperto le finestre per arieggiare i locali, avrebbe risposto in tono aggressivo e strafottente ignorando gli avvertimenti della datrice di lavoro per poi andarsene sbattendo la porta e continuando a gridare anche fuori dallo studio.


La teste C. M., collega della ricorrente presente ai fatti e attualmente in servizio presso lo studio del Notaio L. C., riferendosi alla giornata del 7.11.2019, ha dichiarato "c'eravamo tutte e due e stavamo andando al bar, era poco prima delle nove e il Notaio che ci ha viste ci ha invitate ad andare in ufficio perché era tardi per andare al bar; ADR capitava che la mattina ci fermassimo al bar se arrivavamo quei dieci minuti prima; era la prima volta che il Notaio ci riprendeva".


La circostanza che la ricorrente, la mattina del 7.11.2019 prima di iniziare l'attività lavorativa, avesse completamente ignorato il richiamo della datrice di lavoro che invitava lei e la collega C. M. a recarsi in ufficio, così come sottolineato dalla lettera dell'8.11.2019, non pare assumere alcuna valenza disciplinare trattandosi di comportamento tenuto al di fuori dell'orario di lavoro; si osserva inoltre che non risulta nemmeno contestato che la circostanza che la ricorrente si fosse fermata a prendere un caffè cinque minuti prima dell'inizio dell'orario di lavoro abbia in qualche modo inciso negativamente sull'attività lavorativa. Invero, deve ritenersi provato il contrario dal momento che nella stessa lettera di contestazione disciplinare si legge che la lavoratrice, allorchè il Notaio arrivò in studio, era ivi già presente.


Quanto alla questione dell'apertura delle finestre, la teste C. M. ha dichiarato che, una volta entrata in studio, "il Notaio sosteneva che non avevamo ancora aperto ma invece le stavamo aprendo e mancava solo quella della sua stanza e forse un'altra" ribadendo che "le imposte le avevamo iniziate ad aprire e come ho detto mancavano solo quella stanza del notaio e un'altra".


Di fatto, dunque, l'attività di apertura delle finestre, da compiere secondo le direttive della datrice di lavoro quale prima incombenza del mattino, era in corso quando il Notaio arrivò in studio il 7.11.2019 tanto che mancavano da aprire solo la finestra dello studio del Notaio e quella di un'altra stanza.


In ogni caso, anche volendo ipotizzare che la ricorrente (ma anche la collega) non avesse ancora provveduto in tal senso e che vi fossero ancora tutte le finestre da aprire, non si vede come una simile mancanza potesse compromettere l'attività dello studio e, ancora prima, incidere in maniera irreversibile sul rapporto fiduciario che deve essere alla base del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro.


Peraltro a riprova della irrilevanza disciplinare di una simile mancanza si osserva che la stessa teste C. M. ha dichiarato che non era mai successo, prima del 7.11.2019, che il Notaio le riprendesse sull'apertura delle finestre.


La teste ha poi confermato che ne seguì una discussione tra il Notaio e la ricorrente piuttosto accesa "la ricorrente rispose un po' seccata perché una volta era successo che le finestre erano state tenute aperte per un po' più di tempo del solito e in quell'occasione il Notaio si era lamentata che andavano chiuse perché c'era acceso il riscaldamento" evidenziando che il clima lavorativo in studio era sempre stato buono ma che qualche giorno prima dell'episodio del 7.11.2019 i rapporti tra la ricorrente e il Notaio avevano iniziato ad essere piuttosto tesi.


Di fatto è emerso che, nel corso della giornata del 7.11.2019, si verificò una colorita discussione tra la ricorrente e la datrice di lavoro, scatenata dalla contestazione alla ricorrente di comportamenti di ben scarsa rilevanza disciplinare.


Si osserva peraltro che quanto contestato alla lavoratrice non è in alcun modo sussumibile tra le condotte che, ai sensi della contrattazione collettiva, giustificano il licenziamento in tronco e che l'episodio dell'alterco verbale, seppur certamente non privo di rilievo, non si pone tuttavia in termini tali da giustificare l'adozione della sanzione espulsiva, che si rivela essere del tutto sproporzionata.


Accertata, dunque, l'illegittimità del licenziamento della lavoratrice, il regime sanzionatorio applicabile alla fattispecie è quello sancito dagli articoli 3, comma 1, e 9, del d.lgs. 23/2015 tenuto conto della data di assunzione della ricorrente (avvenuta in data 19.10.2015 successivamente all'entrata in vigore del cd. "job's act") e delle dimensioni della datrice di lavoro (studio professionale con meno di quindici dipendenti).


Pertanto, la resistente deve essere condannata alla corresponsione in favore della ricorrente di una indennità risarcitoria pari a quattro mensilità della retribuzione utile per il calcolo del TFR, avuto riguardo all'anzianità di servizio della ricorrente e alle circostanze del caso concreto stante, da un lato, l'irrilevanza disciplinare delle condotte che hanno portato allo scontro verbale del 7.11.2019 e, dall'altro, la condotta della ricorrente che, pur non assumendo la valenza disciplinare richiesta per l'adozione del provvedimento espulsivo, non è nemmeno esente da critiche.


§§§


Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo tenuto conto della natura della controversia e del valore dichiarato nell'atto introduttivo.


P.Q.M.

Il Tribunale di Novara – Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:


- in accoglimento del ricorso, accerta e dichiara l'illegittimità del licenziamento intimato a M. V. in data 29.11.2019 e, per l'effetto, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna L. C. a corrispondere a M. V. un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a quattro mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo;


- Condanna L. C. alla refusione delle spese di lite in favore della ricorrente che si liquidano in complessivi 3.500,00 oltre il 15% del compenso a titolo di rimborso forfettario, oltre IVA e CPA.


Novara 15.9.2022


Il Giudice