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martedì 2 maggio 2023

rimborso delle somme versate per l'edificazione dell'immobile

Corte appello Firenze sentenza sez. III, 06/03/2023, (ud. 08/02/2023, dep. 06/03/2023), n.451

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.Con atto di citazione, regolarmente notificato, C. M. (di seguito anche APPELLANTE) ha convenuto in giudizio, innanzi questa Corte di Appello I. S. (di seguito anche APPELLATO) proponendo gravame avverso la sentenza n. 409/2019 pubblicata il 13/05/2019, con la quale il Tribunale di Pisa ha così deciso:' Respinge la domanda di parte attrice sig.ra M. C. perché infondata in fatto e in diritto, per le ragioni (di rito e di merito) di cui in motivazione.


Condanna la stessa alla refusione delle spese legali al convenuto Sig., S. I. che liquida in complessive E.3.300,00 per compensi, euro 28,21 per spese vive documentate, oltre Iva (se non detraibile) e Cap come per legge e rimborso forfetario del 15%.'


2. M. C., aveva convenuto in giudizio S. I. (ex coniuge), richiedendo il rimborso della somma di euro 50.000,00 o comunque di quella somma dovuta in base alle risultanze processuali.


L'attrice sosteneva di aver diritto al rimborso delle somme versate per l'edificazione dell'immobile adibito a casa familiare, al pari del coniuge, avendo ella messo a disposizione anche i suoi personali proventi, oltre ad aver mantenuto contatti con ditte, operai, concertando con il marito spese lavori, materiali e rilevando inoltre che lo scioglimento della comunione legale fra i coniugi, era avvenuto assai dopo l'ultimazione della casa familiare, dovendosi far rientrare nella comunione fino a tale data tutte le somme versate dai coniugi.


Si costituiva in giudizio il S., eccependo:


- la prescrizione dei pretesi diritti di credito azionati;


- l'infondatezza della domanda attrice di restituzione di somme ex art.192 c.c. per essere stati sostenuti i costi di costruzione quasi integralmente dal S. G. (padre del convenuto) e dalla di lui sorella S. I.;


- i denari impiegati nella costruzione erano beni personali di S. I., dato che la M. non aveva mai percepito alcun reddito proprio;


- irrilevanza della cointestazione del C/C da cui venivano tratti i pagamenti per la costruzione;


- i denari personali di S. I. erano stati utilizzati in adempimento dell'obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia ex art. 143 c.c.;


- inammissibilità e/o infondatezza della domanda di arricchimento senza causa per mancanza del requisito della sussidiarietà dell'azione;


- infondatezza della domanda di ripetizione di indebito in quanto nessun esborso era stato effettuato dalla M. provenendo i pagamenti tutti da denari personali di S. I..


3.La causa veniva istruita solo documentalmente e il Tribunale decideva in base alle considerazioni che seguono.


Preliminarmente il Tribunale rilevava la fondatezza dell'eccezione di avvenuta prescrizione dei pretesi diritti di credito azionati dalla M. con l'atto di citazione, perché i presunti crediti risalivano ad oltre 10 anni prima e non esistevano atti interruttivi della prescrizione medio tempore notificati e comunque ex art. art.191 c.c. la comunione tra i coniugi si doveva ritenere sciolta nel momento in cui il Presidente del Tribunale aveva autorizzato i coniugi a vivere separati (e nella fattispecie tale autorizzazione vi era stata già all'udienza del 26.6.1998 ) e peraltro l'attrice non aveva provato nessun passaggio in giudicato né della sentenza di separazione né di quella di divorzio (a sostegno della propria tesi di mancata maturazione del termine di prescrizione eccepito).


Nel merito, le risultanze istruttorie non consentivano di configurare nessun diritto di credito a vantaggio dell'attrice.


Il coniuge non proprietario del terreno né dell'opera sullo stesso costruita aveva diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme sborsate per la realizzazione del manufatto, solo se forniva la prova che tali somme erano state attinte da risorse patrimoniali personali o comuni, non essendo sufficiente un apporto consistente nella assistenza e nel sostegno morale, affettivo e manageriale.


In proposito, l'attrice, data la genericità delle allegazioni sugli elementi costitutivi del diritto azionato, non aveva assolto all'onere di provare che la costruzione era stata realizzata anche col suo contributo economico personale, essendo risultato pacifico che la stessa, durante la comunione, non aveva mai percepito propri redditi o apportato patrimoni personali e pertanto la prova offerta in ordine a tale apporto di denaro per la costruzione era risultata contraddittoria e poco credibile, ovvero proveniente dalla comunione legale (non essendo stati dalla stessa specificati la natura dei miglioramenti, l'epoca della loro realizzazione, le modalità ed i mezzi di pagamento), non potendo supplire a tale carenza il mero richiamo a documentazione (contestata e generica) che non era stata oggetto di tempestiva e rituale argomentazione difensiva, tanto più considerando che l'invocata Ctu si sarebbe dovuta espletare a distanza di 30 anni.


Nessuna valenza probatoria ai fini invocati dall'attrice avevano i documenti prodotti, rivelatisi totalmente inidonei per genericità ed indeterminatezza a dimostrare ogni e qualsiasi pagamento della M. con denari propri personali o comuni, in quanto si trattava di documenti in copia (peraltro tempestivamente disconosciuti) non sottoscritti da alcuno, contenenti stralci di contabilità, di conteggi lavori in parte scritti a mano in parte a macchina; di una sola fattura (di cui non è dato sapere se e quando pagata e da chi); di un rendiconto non sottoscritto e disconosciuto, di una commissione e di buoni al dettaglio privi di sottoscrizione e di riferibilità all'immobile in oggetto; di alcune 'considerazioni' scritte sulla costruzione dell'edificio, rilasciate a distanza di 30 anni dalla fine lavori, dal tecnico di fiducia della famiglia; di due copie di contratti di appalto non sottoscritti dai committenti per lavori di cui non era dato sapere l'ammontare, né l'effettiva conclusione né chi aveva provveduto ai relativi pagamenti e in quali percentuali, nel in caso di ultimazione degli stessi.


Inoltre, nel caso in esame, mancava la prova degli esborsi effettivamente sostenuti (e non meramente presunti) per la realizzazione dei manufatti, nonché la prova dell'aumento di valore del fondo.


Pertanto non avendo il coniuge fornito prova dei parametri di quantificazione dell'indennità ex art. 936 c.c., comma 2, non poteva comunque lo stesso, sia pur in considerazione dell'incremento patrimoniale derivante dall'utilità dell'opera nei limiti dell'altrui depauperamento, legittimamente esperire l'azione di arricchimento senza causa di cui agli artt. 2041 e 2042 c.c., avendo questa natura residuale e sussidiaria e non potendo perciò essere utilizzata, dato che il danneggiato aveva la facoltà di esercitare proficuamente un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito.


4.Avverso la predetta sentenza interponeva gravame l'APPELLANTE per i seguenti motivi:


1) il Tribunale aveva errato nel ritenere che i crediti risalissero ad oltre 10 anni decorrenti dalla data di comparizione dei coniugi davanti al Tribunale (1998), in quanto il primo Giudice aveva fatto erroneo riferimento all'ipotesi contemplata dall'art. 191 cc novellato dall'art. 2, L. 06.05.2015, n. 55 con decorrenza dal 26.05.2015,mentre l'art. 191 c.c. previgente e applicabile nella fattispecie portava ad identificare il dies a quo della prescrizione dal passaggio in giudicato della sentenza del 22 ottobre 2005, ossia l'8 Dicembre 2006 ( e posto che con la raccomandata di diffida al pagamento dell'indennizzo del 29 Giugno 2015 aveva certamente interrotto il termine prescrizionale decennale, il Tribunale avrebbe dovuto respingere e non accogliere l'eccezione di prescrizione);


2) il Tribunale aveva inoltre errato in quanto negli anni della costruzione (dal 1981 al 1986), tutti i proventi dell'Impresa individuale del S. erano di competenza di entrambi i coniugi al 50 per cento, e quindi il Tribunale aveva errato a ritenere :


a) che la M. non avesse redditi propri, ignorando la costituzione di Impresa familiare a decorrere dal 1 Gennaio 1982 ;


b) che tutti i denari versati sul conto corrente comune fossero da attribuire esclusivamente al S., mentre erano di competenza al 50 per cento dei coniugi, nonostante la prova documentale dell'atto costitutivo dell'Impresa familiare ex art. 230 bis c.c. sottoscritto dal S. dinanzi al Notaio, per cui tutto quanto guadagnava il S. a partire dal 1 Gennaio 1982 e per tutte le annualità successive era per metà della M. in quanto socia al 50% c) sull'erroneo convincimento che competesse alla M. la dimostrazione dei costi e non del valore della manodopera e dei materiali impiegati e sul convincimento del pari errato che la dettagliata contabilità lavori redatta dal Geom M. Direttore dei Lavori fosse un semplice 'brogliaccio';


d) sulla mancata ammissione della CTU e delle altre istanze istruttorie al fine della determinazione del valore del credito,


3) Violazione e falsa applicazione dell'art. 936 e 1150 c.c. in quanto, essendo pacifico che i manufatti erano stati costruiti con il denaro proveniente dalla Impresa Familiare, era indispensabile l'ammissione della CTU richiesta in I grado (sulla stima del valore della manodopera e dei materiali);


4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. nonché 2033 cc.


Per tali ragioni è stata pertanto formulata dall'APPELLANTE richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.


5.Radicatosi il contraddittorio, I. S. nel costituirsi in giudizio, ha contestato, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.


6.La causa è stata trattenuta in decisione in data 11/05/2022, sulle conclusioni delle parti, precisate come in epigrafe trascritte, a seguito di trattazione scritta, con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.


7.L'appello è infondato e va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata, sia pure con diversa motivazione.


7.1.La critica contenuta nel primo motivo di gravame è astrattamente fondata ma alla fine inammissibile, in quanto irrilevante per difetto di decisività.


Occorre premettere che, ai sensi dell'art.191 c.c. nella sua formulazione antecedente alla riforma operata dalla 1. n. 55 del 2015 e applicabile al caso di specie ratione temporis lo scioglimento della comunione legale dei beni fra i coniugi si verifica ex nunc, con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, mentre non spiega effetti al riguardo il precedente provvedimento, con cui il Presidente del Tribunale, ai sensi dell'art. 708 c.p.c. abbia autorizzato i coniugi ad interrompere la convivenza


Risulta quindi vero che il Tribunale ha assunto erroneamente che la novella de qua sarebbe applicabile anche alla vicenda in esame. In effetti, nella fattispecie, atteso che il procedimento di separazione era stato definito già in epoca anteriore all'entrata in vigore della novella non è possibile invocare la disciplina novellata, dovendosi quindi correttamente far risalire gli effetti della cessazione della comunione legale al passaggio in giudicato della sentenza di separazione (cfr. ex multis Cass. n. 3808/2014).


Quanto alla prova del giudicato, è noto che essa di regola avviene con la produzione della sentenza definitiva, munita dell'attestazione di cui all'art. 124 disp. att. c.p.c..


La giurisprudenza di legittimità ha nel tempo reiteratamente affermato che 'affinché il giudicato esterno possa fare stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria ai sensi dell'art. 124 att. c.p.c. (Cfr. Cass. 9 marzo 2017, n. 6024Cass. 19 settembre 2013, n. 21469; 8 maggio 2009, n. 10623; 24 novembre 2008, n. 27881; 2 aprile 2008, n. 8478; 2 dicembre 2004, n. 22644.).


Pertanto, alla luce di tale orientamento, l'attestazione del Cancelliere diventa pertanto mezzo di prova indispensabile del giudicato, e ciò anche in caso di mancata contestazione da parte del contro interessato.


A tal fine, il collegio ritiene 'ammissibile' il deposito in grado di appello- del documento relativo alla sentenza con attestazione del Cancelliere, in quanto si trattava di un documento sicuramente non nuovo, perché già prodotto in primo grado, sia pure privo della relativa attestazione.


Si può quindi ritenere che almeno sotto tale profilo la M. abbia assolto alla prova del giudicato in base al principio per cui : "La parte che eccepisce il giudicato esterno ha l'onere di fornirne la prova, non soltanto producendo la sentenza emessa in altro procedimento, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la stessa non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull'affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l'impugnabilità della sentenza." (Cass. sez. 1^ civ. ord. 2.3.2022 n. 6868


Si deve dunque concludere che il diritto vantato non sia prescritto ( il che assorbe anche l'ulteriore questione prospettata sotto il profilo della sospensione ex art. 2941 cc) , ma dato che la domanda non è fondata ( come emergerà dal vaglio degli altri motivi) alla fine il primo motivo non è decisivo e si rivela inammissibile, in quanto inidoneo di per sé a ribaltare la decisione.


7.2.La seconda, la terza e la quarta censura possono essere trattate congiuntamente e sono infondate.


L'attrice ha proposto una domanda volta a ottenere il rimborso delle somme asseritamente versate per l'edificazione dell'immobile adibito a casa familiare, su terreno di proprietà del coniuge.


Sotto tale profilo M. sostiene che il Tribunale ha negato che ella avesse redditi propri, ignorando del tutto la costituzione di Impresa familiare e giungendo all'erroneo convincimento che tutti i denari versati sul conto corrente comune fossero da attribuire esclusivamente al S., mentre erano di competenza al 50 per cento dei coniugi, stante la prova documentale dell'atto costitutivo dell'Impresa familiare ex art. 230 bis c.c. sottoscritto dal S. dinanzi al Notaio, per cui tutto quanto guadagnava il S. a partire dal 1 Gennaio 1982 e per tutte le annualità successive era per meta` della M. in quanto socia al 50% .


Nel doc. 38 si trova in effetti prova dell'esistenza della citata impresa familiare di cui alla attività di' autotrasporto merci conto terzi' (il 22.12.1981 viene 'costituita nella forma di impresa familiare secondo le norme di cui all'art. 230 bis cc alla quale collabora la moglie M. C. (nata ....) alla quale è attribuita la quota di utile nella misura del 50%. La quota suddetta vale per l'anno 1982 e successivi salva diversa contraria attribuzione').


Tuttavia si trattava di doc. inammissibilmente introdotto in causa, depositato tardivamente solo con la memoria ex art. 183 co. 6 n. 3 cpc del 2.12.2016 e di cui la M. cercò di giustificare la produzione tardiva ( subito eccepita dalla controparte) , come doc. a ' controprova'.


Inoltre si trattava di fatto 'costitutivo' nemmeno tempestivamente allegato nell'atto di citazione di primo grado.


Ma anche a voler prescindere per un attimo da questi profili di palese inammissibilità e a voler considerare comunque il documento, la situazione non cambia neanche ad un vaglio di merito.


L'APPPELLANTE vorrebbe sostenere l'omessa valutazione dei redditi 'legittimamente percepiti ed impiegati nella costruzione dalla M., come comprova il documento di costituzione dell'Impresa familiare', pretendendo di inferire l'esistenza di questi redditi solo sulla base della mera esistenza dell'Impresa di cui non dimostra nient'altro.


Sostiene la M. che 'nello stesso periodo siamo nel 1981 I. S. dando atto della collaborazione del coniuge alla attività individuale di autotrasportatore le destina con la scrittura ex art. 230 bis c.c,. la metà degli utili (all 2 a memoria 183, 3), nonostante che negli atti dichiari che era l'unico a lavorare.' e aggiunge : ' sarebbe stato sufficiente accertare nell'an che tutte le somme e gli importi versati dal Sig. I. S. per la costruzione del bene venivano tratte dal patrimonio comune, sia in forza della comunione dei beni che della costituzione dell'Impresa familiare, sino alla ultimazione del fabbricato avvenuta pacificamente nel 1986, data di richiesta di sanatoria delle unità immobiliari (cfr. all. 4 al fascicolo del convenuto).


Tuttavia:


a) la partecipazione agli utili e agli incrementi del familiare va determinata, sulla base della quantità e qualità del lavoro svolto dal predetto (Cass. civ. ord., sez. lav., 22.01.2021, n. 1401);


b) la partecipazione agli utili per la collaborazione nell'impresa familiare, ai sensi dell'art. 230 bis c.c., va determinata sulla base degli utili non ripartiti al momento della sua cessazione o di quella del singolo partecipante, nonché dell'accrescimento, a tale data, della produttività dell'impresa comunque in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato ed è, quindi, condizionata dai risultati raggiunti dall'azienda, atteso che i proventi in assenza di un patto di distribuzione periodica non sono naturalmente destinati ad essere ripartiti, ma al reimpiego nell'azienda o in acquisti di beni (Cass. civ., sez. lav., 16-03-2016, n. 5224).


Ciò premesso, il primo elemento che emerge è che manca in toto la prova della ' quantità e qualità del lavoro prestato' dalla M. di cui nemmeno viene allegata la natura o la tipologia di attività prestata.


Manca anche la prova dei risultati raggiunti dall'azienda, che la M. vorrebbe ottenere solo sulla base di una ctu esplorativa.


Inalterati a carico della M. restano quindi tutti gli oneri probatori, nel senso: a) che era l'attrice a dover dimostrare i presupposti della sua pretesa in quanto non è configurabile alcuna presunzione che l'immobile acquistato da parte di un familiare partecipante, in nome proprio, durante il periodo di esistenza dell'impresa, configuri bene acquistato con gli utili dell'attività familiare, dato che colui che affermi che detto acquisto sia stato effettuato con gli utili aziendali è tenuto a fornire la prova del proprio assunto ( Cass. civ. ord., sez. lav., 18-12-2018, n. 32698 'In tema di impresa familiare, non è configurabile alcuna presunzione che l'immobile acquistato da parte di un familiare partecipante, in nome proprio, durante il periodo di esistenza dell'impresa, configuri bene acquistato con gli utili dell'attività familiare, con la conseguenza che, in applicazione dei principi generali sull'onere probatorio, colui che affermi che detto acquisto sia stato effettuato con gli utili aziendali è tenuto a fornire la prova del proprio assunto'); b) che il partecipante che agisca per ottenere la propria quota di utili ha l'onere di provare la consistenza del patrimonio aziendale Cass. civ. [ord.], sez. lav., 31.10.2018, n. 27966.).Inoltre quanto agli immobili e alla prova della provenienza del denaro, Cassazione civile 20/12/2019, n.34222 ha ritenuto che 'nell'impresa familiare non è configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l'acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio provenga dai proventi dell'attività economica comune, sicché colui che afferma che detto acquisto è stato effettuato con denaro comune è tenuto a fornire la prova del proprio assunto'.


Di tutto questo non vi è prova e la M. è rimasta al livello di mera enunciazione.


7.3.Anche in relazione all'aspetto della 'comunione dei beni ' l'APPELLANTE sostiene che 'appariva provato e non contestato che tutte le somme versate dal S. sul conto corrente cointestato non erano sic et simpliciter frutto di attività personale, ma erano per metà di competenza della appellante, avendo il medesimo attribuito al coniuge il 50% per cento degli utili dell'Impresa a fronte di tutte le attività di collaborazione prestate. ' e mai allegate e tantomeno provate.


Ciò consente di vagliare il terzo e quarto motivo pure infondati.


In primo luogo è pacifico che l'immobile sia stato costruito su un suolo donato dal padre del S. ai due figli, tra cui l'odierno APPELLATO.


Inoltre la stessa attrice qui appellante ricorda che in forza di Sez. U, Sentenza n. 651 del 27/01/1996 'Nel regime di comunione legale, la costruzione realizzata durante il matrimonio da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà personale ed esclusiva di uno di essi, appartiene esclusivamente a quest'ultimo in virtù delle disposizioni generali in materia di accessione e pertanto non costituisce oggetto della comunione legale, ai sensi dell'art. 177 primo comma lett. b) cod. civ. In siffatta ipotesi, la tutela del coniuge non proprietario del suolo, opera non sul piano del diritto reale (nel senso che in mancanza di un titolo o di una norma non può vantare alcun diritto di comproprietà, anche superficiaria, sulla costruzione), ma sul piano obbligatorio, nel senso che a costui compete un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione.'


Ne consegue che il principio dell'accessione non viene derogato dalla comunione tra i coniugi e che l'eventuale diritto di ripetizione presuppone la prova delle somme spese dall'altro coniuge (Sez. 2, Sentenza n. 8585 del 11/08/1999 'Il principio generale dell'accessione posto dall'art. 934 cod. civ., in base al quale il proprietario del suolo acquista "ipso iure" al momento dell'incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata e la cui operatività può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l'acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un'apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l'art. 177, primo comma, cod. civ., hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario che abbia contribuito all'onere della costruzione, spetta ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese.' (conformi Sez. 1, Sentenza n. 7060 del 14/04/2004; Sez. 2, Ordinanza n. 27412 del 29/10/2018 e le ancor più chiare Sez. 1, Sentenza n. 20508 del 30/09/2010 e Sez. 1, Ordinanza n. 28258 del 04/11/2019 che ribadiscono come 'al coniuge non proprietario, che abbia contribuito all'onere della costruzione spetta, previo assolvimento dell'onere della prova d'aver fornito il proprio sostegno economico, il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese a tal fine.')


Nel caso di specie 'l'altro coniuge', odierna APPELLANTE, onerata della prova d'aver prestato il suo personale sostegno economico, in realtà non ha ne' allegato né dimostrato una sua prestazione economica ; il suo diritto alla tutela obbligatoria, consistente come rilevato nel riconoscimento del diritto di credito pari alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione, postulava la dimostrazione del suo contributo reale agli esborsi sostenuti per la costruzione dell'immobile, proveniente da risorse personali ovvero ricadenti in comunione, che la predetta non ha dedotto, né tanto meno ha tentato di fornire.


Dunque del tutto esattamente il decidente del primo grado ha respinto la domanda della M., perché essendo essa gravata del relativo onere probatorio, non vi ha dato alcun seguito, dovendo invece ribadirsi il concetto che il coniuge non proprietario, onde veder riconosciuto il proprio diritto di credito, deve darne prova in conformità ai principi regolanti l'onere della prova.


A tal fine certamente non basta un indecifrabile estratto conto dell'anno 1980 e tantomeno dalla documentazione che il Tribunale mostra di aver adeguatamente esaminato e che consta effettivamente solo di stralci di contabilità, di conteggi lavori; di un rendiconto non sottoscritto e disconosciuto.


Del pari anche l'asserita violazione dell'art. 936 cc è insussistente.


L'acquisto del diritto all'indennità ex art. 936 c.c. del coniuge in regime di comunione patrimoniale dei beni, non discende automaticamente dal fatto che la costruzione sia stata effettuata in costanza di matrimonio e in regime di comunione ed invece esige la prova che la costruzione sia stata eseguita con l'apporto di risorse del coniuge richiedente o con l'apporto di risorse comuni ai due coniugi, che tuttavia non può essere presunto automaticamente in dipendenza del regime di comunione legale.


7.4.Anche la doglianza in ordine alla mancata applicazione dell'art. 2041 cc non ha pregio.


Da un lato è vero che l'azione ex art. 2041 c.c. ha natura sussidiaria e complementare. Dall'altro è anche vero che l'azione possa essere proposta se risulta infondata la domanda principale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 13/09/2018, n. 22292): 'che l'azione ex art. 2041 c.c. possa essere proposta anche in via subordinata è pacificamente ammesso quando, come nel caso di specie, l'azione o le azioni proposte congiuntamente e in via principale non possano essere accolte per carenza ab origine del titolo posto a loro fondamento.... laddove risulti infondata l'azione proposta in via principale, e ve ne siano gli altri presupposti: a) arricchimento senza causa di un soggetto; b) ingiustificato depauperamento di un altro; c) rapporto di causalità diretta ed immediata tra le due situazioni, di modo che lo spostamento risulti determinato da un unico fatto costitutivo essa può essere accolta anche se proposta in via subordinata (Cass. 2/08/2013, n. 18502; Cass. 31/01/2017, n. 2350; Cass. civ., Sez. I, 15/10/2015, n. 20871; Cass. civ., Sez. I, 10/08/2007, n. 17647).


Tanto si dice perché se comunque l'azione ex art. 2041 c.c. era astrattamente proponibile, tuttavia non emerge dagli atti alcuna prova né dell'arricchimento del S. né del depauperamento della M. e tantomeno di uno spostamento patrimoniale che si ponga in relazione di causa effetto tanto dell'impoverimento che dell'arricchimento (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 24772 del 08/10/2008; id. Sez. 1, Sentenza n. 1833 del 26/01/2011).


Ne consegue che l'APPELLANTE già attrice, si è limitata a proporre l'azione ex art. 2041 cc, senza neanche allegarne i fatti costitutivi e quindi la domanda è comunque infondata. Così come non sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda ex art. 2033 cc , dato che se è vero che il coniuge non proprietario è astrattamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 2033 c.c. (Cass. 14.4.2004, n. 7060), tuttavia ai fini dell'accoglimento della domanda deve pur sempre dimostrare di aver contribuito alla costruzione e di aver versato somme per la costruzione del manufatto divenuto per accessione di proprietà del titolare esclusivo del terreno.


Del che , ancora una volta, non vi è prova nel caso di specie.


7.5. Nessun ausilio può provenire dalla reiterazione delle richieste istruttorie- solo indirettamente richiamate nelle conclusioni dell'atto di appello non avendo l'appellante espressamente indicato i mezzi di prova dedotti in primo grado e non ammessi, né risultando argomentato alcunché in punto di loro decisività e rilevanza (v. Cass., 23-3-2016 n. 5812, la quale ha rimarcato che, anche laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, la riproposizione delle istanze istruttorie in appello deve essere specifica, dovendo la parte riprodurre nella sua comparsa di costituzione le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado, essendo inammissibile una riproposizione generica con rinvio agli atti del procedimento di primo grado).


8.L'appello deve quindi essere respinto.


In applicazione, per vero, del principio di soccombenza, tenuto conto dell'esito del giudizio complessivo (che vede vittorioso il S.) le spese processuali del presente grado del giudizio devono essere poste a carico di M. C. nella misura liquidata in dispositivo, ai sensi del D.M. 55/2014 come modificato dal D.M. 37/2018 e dal DM 147/2022, in relazione al valore della controversia (E 50.000) ed all'attività difensiva (media) svolta, con applicazione dei relativi parametri ed esclusa la fase istruttoria per il presente grado di giudizio.


Occorre inoltre considerare anche la fase di mediazione che è stata espletata ma non proseguita, non avendo la M., dopo la rinuncia al mandato del proprio difensore, provveduto a nominarne un altro.


a) giudizio dinanzi alla Corte d'Appello Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022)


Valore della Causa: Da E 26.001 a E 52.000


Fase di studio della controversia, valore medio:


E 2.058,00


Fase introduttiva del giudizio, valore medio:


E 1.418,00


Fase decisionale, valore medio:


E 3.470,00


Compenso tabellare (valori medi) E 6.946,00 oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge.


b) procedimento di mediazione (esclusa la fase di conciliazione):


Tabelle: 2022 (D.M. n. 147 del 13/08/2022)


Valore dell'Affare: Da E 26.001 a E 52.000


Fase dell'attivazione, valore medio:


E 536,00


Fase di negoziazione, valore medio:


E 1.071,00


Compenso tabellare (valori medi) E 1.607,00 oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge.


Il tutto con distrazione delle spese a favore dei procuratori dell'appellato dichiaratisi antistatari.


9. Poiché il presente giudizio è iniziato successivamente al 30 gennaio 2013 e l'impugnazione é stata respinta, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha introdotto il comma I-quater all'art. 13 del D.P.R. n. 115/2002, - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.


PQM

P.Q.M.

La Corte di Appello di Firenze, TERZA SEZIONE CIVILE, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull'appello proposto da C. M. nei confronti di I. S., avverso la sentenza n. 409/2019 emessa dal Tribunale di Pisa e pubblicata il 13/05/2019, così provvede:


1-rigetta l'appello e conferma la sentenza gravata;


2-condanna l'appellante C. M. a rimborsare all'appellato I. S. le spese del grado, che liquida in complessivi E 6.946,00 per compensi professionali oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge oltre alle spese del procedimento di mediazione liquidate in E 1.607,00 oltre 15% per rimb. forf. e oltre IVA e CAP come per legge con distrazione delle spese in favore degli avv. L. C., D. G., G. C. e C. C., dichiaratisi antistatari.


Dichiara che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico dell'appellante M. C..


Così deciso in Firenze in data 8.2.2023


Nota


La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell'ambito strettamente processuale, è condizionata all'eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.


Depositata in cancelleria il 06/03/2023