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martedì 2 maggio 2023

sentenza sull'ammissione delle istanze istruttorie

 Sentenza Corte appello Milano sez. lav., 03/03/2023, (ud. 27/02/2023, dep. 03/03/2023), n.252



Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza pubblicata il 10 ottobre 2022, il Tribunale di Milano in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando nelle cause riunite n. 1819/2022 R.G. e n. 1906 /2022 R.G., ha respinto le opposizioni proposte da A. S.p.a. e da A.M.D.G. avverso l'ordinanza resa inter partes in data 3 febbraio 2022, all'esito della fase sommaria del procedimento ex art. 1, comma 48 e ss., legge 28 giugno 2012 n. 92.


Ha trovato così conferma l'ordinanza sommaria che, in parziale accoglimento delle domande proposte da A.M.D.G., aveva dichiarato l'illegittimità del provvedimento di destituzione adottato nei confronti di quest'ultimo da A. S.p.a. ed ordinato alla società di provvedere all'immediata reintegrazione in servizio del lavoratore, nelle mansioni precedentemente ricoperte, ed alla corresponsione di un'indennità risarcitoria dal giorno della destituzione all'effettiva reintegrazione nel massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto al tallone mensile di € 2.510,03, oltre alla regolarizzazione contributiva ed assicurativa ed ai relativi interessi, dedotto quanto nel frattempo eventualmente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative.


L'ordinanza (anche sul punto confermata dalla sentenza conclusiva del giudizio a cognizione piena) aveva, invece, respinto la domanda di corresponsione della retribuzione per i mesi in cui il lavoratore era stato sospeso dallo stipendio e dal servizio ai sensi dell'art. 46 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 (dal 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020), come pure la domanda, svolta in via subordinata, di erogazione per tale periodo dell'assegno alimentare.


Nel ricorso introduttivo del giudizio A.M.D.G. aveva dedotto che:


- quale dipendente di A. S.p.a. dal 23 giugno 1999, da ultimo addetto alla security aziendale, sin dal 2012 aveva inviato ai propri superiori P. e B., quindi il 10 novembre 2017 al Sindaco di Milano G. S., a seguire all'organismo interno di vigilanza del gruppo A. e, infine, ai Carabinieri di Milano, plurime segnalazioni, con le quali aveva denunciato irregolarità ed illeciti commessi dagli addetti all'ufficio A. Point, relativi alla clonazione di biglietti e abbonamenti di viaggio, emessi senza essere contabilizzati;


- nonostante le reiterate segnalazioni, i destinatari delle stesse non avevano assunto alcuna valida iniziativa, limitandosi, in un secondo momento, a destituire i dipendenti di grado inferiore e preservando i vertici (quadri e dirigenti), pur parimenti coinvolti negli illeciti;


- se, da un lato, l'azienda non aveva dato adeguato seguito alle segnalazioni del ricorrente, dall'altro lato aveva iniziato a renderlo destinatario di alcune contestazioni disciplinari culminate nell'atto di destituzione di cui è causa;


- in particolare, con procedimento disciplinare n. 60657 dell'1 giugno 2018, gli era stata contestata la sostituzione di persona, sull'assunto che avesse sottoscritto, con il nome del dott. B. e del sig. S., due esposti presentati alla Procura della Repubblica di Milano;


- il procedimento penale avviato per i medesimi fatti si era però concluso con sentenza di assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste", non essendovi prova dell'attribuibilità dei predetti scritti alla mano del ricorrente;


- con successivo procedimento disciplinare n. (omissis) avviato con lettera di contestazione del 22 giugno 2018, gli erano stati contestati fatti avvenuti la mattina del 13 giugno 2018 presso gli uffici del terzo piano della sede della società in Milano, viale S.;


- secondo quanto riportato nella lettera di contestazione, il 13 giugno 2018 al ricorrente era stata consegnata una busta dal sig. C.; aperta la busta, A.M.D.G. si era reso responsabile di insulti e minacce di morte nei confronti del funzionario dr. M. B. e del sig. M.; il ricorrente era stato poi colto da malore ed era stato, perciò, richiesto l'intervento del 118; il lavoratore, tuttavia, si era rifiutato di sottoporsi agli accertamenti medici; erano altresì giunti sul posto i Carabinieri, ai quali A.M.D.G. aveva fornito informazioni e chiarimenti in tono più pacato; successivamente aveva affermato dinanzi al superiore gerarchico ing. Z.: "non mi calmo finché non vedo B. sotto terra";


- nonostante le giustificazioni rese dal dipendente in data 5 luglio 2018, il 12 luglio 2018 A. S.p.a. aveva sospeso il procedimento disciplinare, per poi riattivarlo in data 8 febbraio 2019, formulando contestualmente, nei confronti del lavoratore, l'opinamento della destituzione dal servizio;


- con lettera prot. (omissis) del 21 febbraio 2019 la società aveva respinto integralmente le giustificazioni di A.M.D.G., confermando l'opinamento della destituzione dal servizio e procedendo anche alla sospensione preventiva del dipendente dal servizio e dalla paga;


- la decisione era stata impugnata avanti al Consiglio di disciplina, che si era riunito solo 18 mesi dopo la presentazione del ricorso e si era pronunciato con provvedimento prot. 2539 del 2 gennaio 2020, rigettando il ricorso e confermando la destituzione;


- nelle more il ricorrente non aveva ricevuto la retribuzione, né l'assegno alimentare;


- A. S.p.a., nel frattempo, aveva avviato nei suoi confronti altri due procedimenti disciplinari;


- il provvedimento di destituzione era viziato sotto plurimi profili: era affetto da nullità in quanto intervenuto ben 19 mesi dopo la lettera di contestazione, con conseguente violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, nonché per violazione dell'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, per omessa redazione della relazione scritta; era altresì affetto da nullità, al pari degli atti prodromici, per violazione dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, in quanto successivo alle plurime denunce e segnalazioni presentate dal ricorrente nella sua veste di whistleblower; le condotte contestate erano del tutto insussistenti e, comunque, non tali da integrare la giusta causa di licenziamento, ma, semmai, l'adozione di una sanzione conservativa.


Il Tribunale ha espletato, nella fase sommaria del giudizio, istruttoria testimoniale in relazione ai fatti del 13 giugno 2018, oggetto del procedimento disciplinare n. (omissis), contestati con lettera del 22 giugno 2018.


Ha disatteso, in via preliminare, le eccezioni concernenti l'asserita omissione della relazione scritta ex art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 e l'eccessiva durata del procedimento (pari a complessivi 19 mesi) tra la contestazione disciplinare e la pronuncia del Consiglio di disciplina.


Ha poi respinto le doglianze relative alla presunta violazione dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, in quanto i fatti segnalati da A.M.D.G. (emissione di biglietti e abbonamenti non contabilizzati) erano diversi ed estranei ai fatti addebitati con il procedimento disciplinare sfociato nella destituzione dal servizio, sussistendo tra i due al più un mero collegamento temporale, il che – ad avviso del primo giudice - escluderebbe parimenti la lamentata ritorsività e pretestuosità della contestazione disciplinare.


Ha ritenuto, invece, fondata la censura inerente l'insussistenza dei fatti contestati che, all'esito dell'istruttoria svolta, ha ritenuto non essere stati adeguatamente provati, anche in ragione delle divergenze tra le deposizioni testimoniali.


Avverso la sentenza, integralmente confermativa dell'ordinanza resa all'esito della fase sommaria, ha proposto reclamo A. S.p.a., rubricato al n. 1231/2022 R.G..


Con un unico articolato motivo, la società lamenta illogicità e contraddittorietà della motivazione per omessa attività istruttoria nella fase di opposizione.


Nell'ottica del gravame il Tribunale avrebbe dovuto ammettere le istanze istruttorie formulate dalla società in detta fase, al fine di chiarire le numerose contraddizioni tra le dichiarazioni acquisite in sede di istruttoria interna, le sommarie informazioni testimoniali rese nel procedimento penale e le testimonianze assunte nella fase sommaria del procedimento ex art. 1, commi 48 e ss., legge 28 giugno 2012 n. 92.


Ad avviso della reclamante il Tribunale, ove non avesse ritenuto raggiunta la prova dei fatti contestati, avrebbe dovuto procedere al confronto ex art. 254 c.p.c. tra i testi C., S., L. V. e C. e tra i testi C. e Z., nonché all'assunzione di ulteriori testimonianze di lavoratori presenti sul posto (quali L. A. e S. M.), le cui dichiarazioni erano state raccolte da A. S.p.a. in occasione dell'istruttoria interna e versate in atti.


Parte reclamante giudica contraddittoria la pronuncia in quanto il primo giudice, pur avendo reputato che nella fase sommaria A. S.p.a. non avesse fornito una prova sufficientemente certa dei fatti, inspiegabilmente nella fase a cognizione piena aveva ritenuto di poter decidere allo stato degli atti, affermando che l'istruttoria della prima fase aveva fornito "utili e significativi elementi per la decisione, senza necessità di mutuarli altrove", in tal modo precludendo ingiustamente alla società la possibilità di raggiungere la prova piena dei fatti.


Il reclamo ripercorre analiticamente i passaggi della contestazione disciplinare e gli addebiti ivi enucleati, lamentando un sostanziale malgoverno delle prove da parte del Tribunale, con conseguente errata ricostruzione dei fatti.


In particolare, evidenza che ben quattro testi presenti (S., C., C. e C.) avevano confermato che l'intervento dei Carabinieri era stato determinato dalle minacce di A.M.D.G. nei confronti del dott. B..


Si duole dell'omessa pronuncia in relazione agli epiteti offensivi e agli insulti proferiti da A.M.D.G. nei confronti dei propri superiori gerarchici (segnatamente del dott. B.), con condotta da ritenersi in contrasto anche con i precetti imposti dal Codice Etico.


Da ultimo, lamenta l'omessa pronuncia in merito al denunciato l'errore materiale dell'ordinanza circa la data della destituzione dal servizio (erroneamente indicata nel giorno 2 gennaio 2020, in luogo del 20 gennaio 2020), che chiede di emendare in questa sede.


Sulla base delle argomentazioni esposte A. S.p.a. ha chiesto la riforma della sentenza impugnata e l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe trascritte.


Costituendosi ritualmente in giudizio, A.M.D.G. ha contestato il gravame avversario, di cui ha chiesto il rigetto.


Il lavoratore ha altresì proposto autonomo reclamo avverso la sentenza (rubricato al n. 1237/2022 R.G.), affidandosi a tre motivi.


Con il primo motivo lamenta errata interpretazione della legge 30 novembre 2017 n. 179, dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e dell'art. 21 della Direttiva n. 1937/2019/UE.


Critica la sentenza laddove ha ritenuto che, per potersi definire ritorsivo, il provvedimento datoriale successivo alla segnalazione del whistleblower deve avere ad oggetto gli stessi fatti della segnalazione, giacché – si sostiene – ciò equivarrebbe ad un'abrogazione in via giurisprudenziale della disciplina di legge.


Ribadisce come a partire dall'1 giugno 2018 si siano susseguiti contestazioni disciplinari, denunce penali, demansionamenti, provvedimenti di sospensione ai suoi danni, sino ad arrivare all'impugnata destituzione dal servizio, in un'incessante sequenza anche cronologicamente successiva alla maggior parte delle segnalazioni presentate dal lavoratore.


Ad avviso di A.M.D.G., in un'ottica di tutela piena ed effettiva del c.d. whistleblower gli atti datoriali sono da ritenersi nulli per il semplice fatto di essere successivi alle segnalazioni di illeciti ex art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, salvo prova contraria, come si ricaverebbe anche dall'art. 21 della Direttiva n. 1937/2019/UE.


Dalla denunciata nullità della destituzione dal servizio discenderebbe l'applicazione delle tutele di cui all'art. 18, comma 1, legge 20 maggio 1970 n. 300 o dell'art. 2 d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23.


Con il secondo motivo impugna il capo di sentenza che ha respinto le censure avverso il provvedimento di destituzione per omessa redazione della relazione disciplinare scritta prevista dall'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, nonché per violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, in relazione alla tardività e/o rinuncia e/o decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare, desumibile dal lungo lasso di tempo intercorso tra la data di contestazione dell'addebito e la data di comunicazione del provvedimento di destituzione dal servizio.


Richiama gli argomenti svolti nel giudizio di primo grado, evidenziando come la relazione disciplinare scritta prevista dall'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 sia stata esibita da A. S.p.a. per la prima volta in sede di costituzione in giudizio, con un documento contestato dalla difesa del lavoratore.


Ribadisce che le fasi del procedimento non possono essere omesse o concentrate, pena la violazione dell'iter legislativo previsto per l'irrogazione della sanzione disciplinare.


In quest'ottica, ove l'anteriorità della relazione di servizio rispetto all'opinamento della destituzione dal servizio sia incerta o risulti provato addirittura il contrario, il giudice, in applicazione rigorosa dell'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 in combinato disposto con l'art. 2697 c.c., considerata l'incombenza dell'onere probatorio tutto a carico del datore di lavoro, dovrebbe dichiarare la nullità del procedimento disciplinare.


Secondo la difesa del lavoratore, dalla deposizione del teste G. emergerebbe la concentrazione delle due fasi (redazione della relazione di servizio e formazione dell'opinamento).


Inoltre, nessuna data risulta apposta all'asserita relazione di servizio prodotta in atti dalla società, nonostante la legge ne richieda la forma scritta ad substantiam.


Reitera l'istanza, già formulata nel giudizio di primo grado, di acquisire presso i sistemi informatici di A. S.p.a. i tabulati indicanti la data e l'ora di creazione e di stampa del file relativo alla relazione di servizio, al fine di accertare la data di redazione della stessa.


Anche dai vizi suindicati, secondo la tesi del lavoratore, deriverebbe l'applicazione delle tutele di cui all'art. 18, comma 1, legge 20 maggio 1970 n. 300.


Con il terzo motivo censura la sentenza laddove ha respinto la richiesta di pagamento della retribuzione maturata nel periodo 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020, lamentando errata applicazione dell'art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 in relazione al provvedimento di sospensione preventiva dal servizio e dalla paga, disposto dalla datrice di lavoro con missiva prot. (omissis) del 21 febbraio 2019.


Deduce che la sentenza, avendo accertato l'insussistenza dei fatti disciplinarmente contestati, avrebbe dovuto per logica conseguenza accogliere l'istanza di restituzione delle retribuzioni indebitamente trattenute per l'intero periodo di sospensione.


Ciò a maggior ragione alla luce dell'assoluzione con formula piena del lavoratore per i medesimi fatti, oggetto del parallelo processo penale dinanzi al Tribunale di Milano.


Sulla base dei motivi esposti A.M.D.G. ha chiesto la parziale riforma della sentenza di primo grado e l'accoglimento delle conclusioni sopra richiamate.


A. S.p.a. si è costituita ritualmente in giudizio, insistendo per il rigetto del gravame avversario.


All'udienza del 16 febbraio 2023, dichiarata la contumacia del Consiglio di disciplina A. S.p.a., disposta la riunione dei procedimenti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., il Collegio, all'esito della discussione orale, ha trattenuto la causa in decisione, riservando il deposito della sentenza nei termini di legge.


Il reclamo proposto da A. S.p.a. non può accoglimento.


Il reclamo proposto da A.M. D.A. è fondato e merita accoglimento limitatamente al terzo motivo, inerente il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate dal 19 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020 ai sensi dell'art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.


Prendendo le mosse dal reclamo di A. S.p.a., è opportuno richiamare preliminarmente il contenuto della contestazione disciplinare in data 22 giugno 2018, avente il seguente tenore: "Il giorno 13.6.2018, alle ore 9.00 circa, nel suo ufficio sito al terzo piano della sede di Viale S., Le veniva consegnata dal sig. C. una busta a Lei indirizzata, pervenuta tramite posta interna al Settore Security presso il quale lei opera.


Tale busta era collocata nella apposita borsa del servizio di posta interna che, in tale giornata è stata eccezionalmente stata fatta rinvenire nell'ufficio del sig. C., diversamente dalla prassi consolidata per la quale normalmente viene depositata presso la portineria perché un incaricato dell'ufficio provveda direttamente al ritiro.


Una volta aperta la busta consegnata a sue mani, Lei affermava "guarda cosa hanno fatto questi, cosa hanno scritto, ora gli faccia vedere io… chiamo i Carabinieri…", ed effettivamente effettuava una chiamata agli stessi. Presa conoscenza del fatto che i militari non sarebbero intervenuti, Lei iniziava ad inveire con voce alta e tono via via più minaccioso contro il Funzionario dr. M. B. utilizzando reiteratamente, espressioni di esplicita minaccia quali "ora esco dall'ufficio e vado presso l'abitazione di B. e gliela faccio pagare, vado e lo ammazzo", "non vado io di persona ma mando un mio conoscente", sottolineando sempre la finalità di uccidere il Dr. B..


Successivamente, con stato di ira crescente, Lei veniva colto da malore e pertanto veniva richiesto l'intervento del 118.


All'arrivo dei soccorritori, rifiutava ogni intervento sanitario e nonostante l'insistenza di questi, rifiutava anche la rilevazione dei parametri medici (es. pressione sanguigna).


Nella stessa circostanza, rivolto ai presenti, pronunciava frasi del tipo: "guarda questi cosa mi hanno fatto, mi hanno voluto rovinare…" oltre ad insulti quali "..".


Sopraggiunto nel Suo ufficio il Dr. C., allarmato dalle urla e dall'arrivo dei paramedici, Lei si rivolgeva a quest'ultimo, agitando un plico cartaceo, dichiarando "guarda con che gente di merda lavoravi" evidentemente riferendosi ai colleghi della Direzione del Personale della quale il dr. C. ha fatto lungamente parte. Affermava altresì: "adesso prendo il fucile ed ammazzo M. e B.". Il Dr. C. si allontanava senza risponderLe.


In ragione delle reiterate minacce di cui sopra formulate anche attraverso espressioni quali "esco di qua e lo uccido" rivolte sempre al dr. B., i sanitari del 118 ritenevano necessario richiedere l'intervento delle Forze dell'ordine, che in pochi minuti giungevano sul posto.


Alla vista dei Carabinieri, Lei si calmava e, lucidamente e con eloquio pacato, forniva informazioni e chiarimenti ai militari.


A seguire, giungeva il suo superiore gerarchico ing. Z., precedentemente impegnato presso altra sede aziendale, che si avvicinava a Lei per accertarsi delle sue condizioni ed alle sue domande su cosa stesse succedendo, Lei rispondeva "se vogliono giocare pesante anche io posso giocare pesante".


Successivamente, il Dr. C. la raggiungeva nuovamente presso la Sua postazione di lavoro, ove si trovava seduto, e Le chiedeva cosa fosse accaduto.


Lei, con atteggiamento più calmo rispetto a pochi minuti prima, rispondeva, ripetendo più volte: "sono dei delinquenti", "ho una lettera arrivata per posta interna … ci sono i suoi documenti e le lettere del capo di imputazione …", "… quella roba della Procura l'ha fatta tutta lui", riferendosi al Dr. B., del quale Lei mostrava una copia a colori della carta di identità. Continuava inoltre dicendo: "è lui che ha organizzato tutto, che mi ha fatto fare il rinvio a giudizio, questo coglione". Alla domanda di che cosa fosse la documentazione che mostrava, rispondeva "è roba che hanno trovato sulla sua scrivania, sono i suoi documenti di identità che qualcuno ha preso dalla sua scrivania e me li hanno mandati".


Dopo di che Lei si allontanava dalla sua postazione per recarci ai servizi igienici.


Più tardi, il Suo superiore, ing. Z., dopo aver congedato i sanitari e i carabinieri, rientrava nel Suo ufficio per sincerarsi personalmente del suo stato, anche se oramai appariva visibilmente tranquillo e privo dei sintomi manifestati precedentemente. Alla richiesta se si fosse oramai calmato, lei replicava testualmente "io non mi calmo finché non vedo B. sottoterra".


Alla luce di quanto sopra Le contestiamo quindi di essersi reso responsabile, anche in violazione delle norme del Codice Etico, dei comportamenti sopra descritti e in particolare di aver proferito ingiurie e gravi minacce nei confronti di colleghi e superiori ponendo in essere condotte anche di possibile rilevanza penale" (cfr. doc. 19 fascicolo A.M.D.G. di primo grado).


La disamina del materiale probatorio in atti, frutto di ampia ed approfondita attività istruttoria, porta il Collegio a ritenere, in accordo con la valutazione espressa dal Tribunale, che i fatti oggetto di contestazione disciplinare non risultino sufficientemente dimostrati.


A sostegno del primo addebito oggetto di contestazione ("Lei iniziava ad inveire con voce alta e tono via via più minaccioso contro il Funzionario dr. M. B. utilizzando reiteratamente, espressioni di esplicita minaccia quali "ora esco dall'ufficio e vado presso l'abitazione di B. e gliela faccio pagare, vado e lo ammazzo", "non vado io di persona ma mando un mio conoscente", sottolineando sempre la finalità di uccidere il Dr. B."), vi è la sola deposizione testimoniale di M. C. (dipendente di A. S.p.a. dal 2006 con mansioni di impiegato), il quale ha peraltro riferito di non aver sentito A.M.D.G. proferire il nome di B., ma di averlo sentito pronunciare solo la seguente frase: "vado presso l'abitazione e lo ammazzo, anzi non vado io personalmente, ma mando qualcun altro".


La testimonianza, dunque, non conferma che A.M.D.G. formulò una "esplicita minaccia" "contro il Funzionario dr. M. B.", come riportato nella lettera di contestazione: secondo M. C., infatti, il destinatario della minaccia non venne nominato ed il teste lo individuò in M. B. perché, in quel momento, A.M.D.G. aveva in mano la copia di un documento di identità di quest'ultimo (cfr. verbale della testimonianza assunta all'udienza del 9 febbraio 2021).


Al di là di tale aspetto, ciò che più rileva è che la testimonianza di M. C. è contraddetta – nella parte in cui il teste riferisce che A.M.D.G. avrebbe pronunciato le frasi "vado presso l'abitazione e lo ammazzo, anzi non vado io personalmente, ma mando qualcun altro" – dalla testimonianza di P. L. V. (all'epoca dei fatti dipendente della società, in pensione dall'1 marzo 2019), il quale, presente nello stesso momento all'interno dell'ufficio in cui si trovavano C. e A.M.D.G., ha escluso che quest'ultimo abbia pronunciato le frasi in questione (cfr. deposizione di L. V. assunta all'udienza del 9 febbraio 2021: "dopo aver aperto la busta, il ricorrente ricordo abbia detto: guarda cosa hanno fatto questi, cosa hanno scritto, ora gliela faccio vedere io, chiamo i Carabinieri"; escluso, invece, che abbia detta l'ulteriore frase: "ora esco e vado presso l'abitazione di B., gliela faccio pagare, vado e l'ammazzo, anzi non vado di persona, ma mando un mio conoscente […] Mi viene detto quanto riferito dal teste C. che ha riportato la frase detta da A.M.D.G. al momento in cui ha ricevuto la lettera, io non l'ho sentita").


In relazione all'episodio in questione, ossia alla contestata pronuncia delle frasi "ora esco dall'ufficio e vado presso l'abitazione di B. e gliela faccio pagare, vado e l'ammazzo", "non vado io di persona ma mando un mio conoscente" (astrattamente integranti il reato di minaccia previsto e punito dall'art. 612 c.p.), A.M.D.G. è stato, inoltre, assolto in sede penale "perché il fatto non sussiste", con sentenza del Tribunale di Milano n. 8496/2021, pronunciata a seguito di dibattimento e divenuta irrevocabile il 23 dicembre 2021 (cfr. doc. 66 fascicolo A.M.D.G. di primo grado).


Anche per l'ulteriore episodio di minacce, indicato nella contestazione disciplinare come avvenuto nella mattina del 13 giugno 2018 alla presenza del dr. C. ("Sopraggiunto nel Suo ufficio il Dr. C., allarmato dalle urla e dall'arrivo dei paramedici, Lei si rivolgeva a quest'ultimo, agitando un plico cartaceo, dichiarando "guarda con che gente di merda lavoravi" evidentemente riferendosi ai colleghi della Direzione del Personale della quale il dr. C. ha fatto lungamente parte. Affermava altresì: "adesso prendo il fucile ed ammazzo M. e B.". Il Dr. C. si allontanava senza risponderLe"), A.M.D.G. è stato assolto in sede penale dal Tribunale di Milano (anche in tal caso con la formula "perché il fatto non sussiste"), sempre con sentenza n. 8496/2021, passata in giudicato.


In relazione ad entrambi gli episodi richiamati la sentenza penale di assoluzione ha valorizzato le dichiarazioni dei testimoni oculari S. e L.V., che hanno escluso la pronuncia di frasi minatorie, "secondo una narrazione che perfettamente si attaglia alle risultanze dell'annotazione di P.G. sull'intervento del 13 giugno 2018 nonché alle affermazioni dei paramedici acquisite sull'accordo delle parti (atti tutti privi di riferimento a contegni minacciosi)".


Ed in effetti, anche dall'istruttoria svolta nel primo grado del presente giudizio emerge che gli operanti di polizia giudiziaria, intervenuti sul posto, non riscontrarono alcun episodio di minacce. Come riferito dall'appuntato scelto V. F. nel corso dell'esame testimoniale, ove vengano riferite minacce gli operanti sono tenuti a darne evidenza nell'annotazione di servizio; nel caso di specie l'annotazione di servizio non dà conto di alcuna minaccia (cfr. deposizione di V. F., escusso come teste all'udienza del 27 luglio 2021: "in mia presenza non ho sentito minacce, noi abbiamo l'obbligo di verbalizzare nell'annotazione di servizio quanto non solo sentiamo con le nostre orecchie, ma anche quanto ci viene riferito. Nel caso specifico non abbiamo verbalizzato di minacce").


Significativa è anche la deposizione del vice brigadiere C. T. (intervenuto il 13 giugno 2018 insieme al collega F. ed escusso come teste all'udienza del 18 ottobre 2021), il quale ha riferito: "C. mi spiegò la ragione della richiesta del nostro intervento, ovvero lo stato di agitazione ed il timore che si buttasse dalla finestra, non mi dissero né C. né Z., che il A.M.D.G. aveva proferito, prima del mio intervento, minacce.


Mentre ero presso A. ho poi parlato con A.M.D.G. il quale mi ha riferito quello che era successo, era calmo, non ha mai proferito minacce, non ha mai fatto nomi di persone".


A fronte di tale compendio probatorio, dato atto dell'evidenziata divergenza tra le deposizioni dei testi C. e L.V., merita di essere pienamente condiviso il giudizio del Tribunale, che ha ritenuto non raggiunta la prova dei due episodi esaminati.


Né a diverse conclusioni può giungersi, con riguardo al secondo episodio di minacce contestato, in forza delle sole dichiarazioni del teste L. C. ("confermo che, bandendo in mano delle carte, il ricorrente, guardandomi in faccia, mi disse: "guarda con che gente di merda lavoravi, adesso prendo il fucile e ammazzo M. e B.", cfr. testimonianza assunta all'udienza del 9 febbraio 2021).


Tali dichiarazioni, infatti, confliggono con le opposte risultanze del dibattimento penale e risultano incompatibili con le richiamate deposizioni degli operanti di P.G., secondo cui nessuno dei presenti riferì loro episodi di minacce.


Non solo, infatti, L. C. non riferì agli operanti l'episodio in esame, ma neppure lo fecero gli operatori del 118 in presenza dei quali, secondo lo stesso C., A.M.D.G. avrebbe pronunciato le frasi in questione. Di tali frasi, tra l'altro, l'operatrice del 118 sentita come teste (C. L. B.) risulta non aver serbato alcun ricordo (cfr. verbale della testimonianza assunta all'udienza del 26 luglio 2021).


Non è emersa poi alcuna prova del fatto che, secondo quanto affermato nella contestazione disciplinare, "in ragione delle reiterate minacce di cui sopra formulate anche attraverso espressioni quali "esco di qua e lo uccido" rivolte sempre al dr. B., i sanitari del 118 ritenevano necessario richiedere l'intervento delle Forze dell'ordine, che in pochi minuti giungevano sul posto".


Ed infatti, la teste C. L. B. ha dichiarato di non ricordare per quale ragione avesse chiesto l'intervento delle forze dell'ordine (che, come riferito dalla stessa teste, di solito vengono chiamate "per timore di atti autolesionistici o per possibili atti pericolosi verso terzi, oppure per entrambe le ragioni"), ed ha precisato che "quando chiediamo l'intervento delle forze dell'ordine dobbiamo spiegare i motivi".


Dal momento che, come già evidenziato, gli operanti di P.G. intervenuti hanno dichiarato che, se fossero stati riferiti loro episodi di minacce, questi risulterebbero dall'annotazione di servizio (che invece non ne fa menzione), deve conseguentemente escludersi che gli operatori del 118 abbiano richiesto l'intervento delle forze dell'ordine "in ragione delle reiterate minacce" di A.M.D.G., come invece dedotto nella contestazione disciplinare.


In forza di quanto precede il Collegio reputa superflua l'escussione a teste di L. A. (di cui A. S.p.a. lamenta la mancata escussione da parte del primo giudice), atteso che, stando alla dichiarazione raccolta dalla società nel corso dell'indagine interna, la testimonianza dovrebbe vertere su quanto L. A. avrebbe sentito dire dall'operatrice del 118 al dr. S. in ordine ai motivi della richiesta di intervento delle forze dell'ordine (cfr. dichiarazione di L. A. allegata sub doc. 33 fascicolo A. di primo grado: "sentivo e vedevo l'operatrice del 118 davanti all'ufficio del Sig. A.M.D.G., che avvisava il dott. S. che era stata costretta a chiamare le forze dell'ordine in quanto il Sig. A.M.D.G. proferiva minacce pesanti, minacce di morte", senza peraltro precisare nei confronti di chi), ossia su una questione di fatto su cui hanno già testimoniato i soggetti direttamente coinvolti e rispetto alla quale appaiono dirimenti le dichiarazioni degli operatori di P.G. e le risultanze dell'annotazione di servizio, sopra richiamate.


Per quanto riguarda l'ultimo addebito enucleato nella lettera di contestazione disciplinare ("Più tardi, il Suo superiore, ing. Z., dopo aver congedato i sanitari e i carabinieri, rientrava nel Suo ufficio per sincerarsi personalmente del suo stato, anche se oramai appariva visibilmente tranquillo e privo dei sintomi manifestati precedentemente. Alla richiesta se si fosse oramai calmato, lei replicava testualmente "io non mi calmo finché non vedo B. sottoterra""), si osserva in primo luogo che la frase attribuita a A.M.D.G. non integra una vera e propria minaccia.


Al di là di tale aspetto, il fatto oggetto di addebito è stato confermato nel corso dell'esame testimoniale da F. Z. (cfr. verbale di udienza del 9 febbraio 2021), la cui deposizione, tuttavia, è frontalmente contraddetta da quella della teste A. C., la quale ha riferito di essere stata presente durante l'intero colloquio tra Z. e A.M.D.G. e di non aver udito quest'ultimo pronunciare le frasi in contestazione (cfr. testimonianza resa all'udienza del 26 luglio 2021).


In considerazione dell'insanabile contrasto tra le testimonianze di Z. e C., deve ritenersi, in accordo con il giudice di prime cure, che A. S.p.a. non abbia assolto l'onere della prova in ordine al verificarsi della descritta condotta addebitata a A.M.D.G., al pari di quanto già osservato in relazione agli altri fatti oggetto di contestazione.


La non univocità delle risultanze istruttorie e la conseguente insufficienza dell'impianto probatorio a sostegno delle contestazioni disciplinari non possono essere colmate attraverso il supplemento di istruttoria richiesto da A. S.p.a., sia perché l'attività istruttoria svolta dal Tribunale è stata oltremodo ampia ed approfondita, sia perché i testi di cui la società invoca l'escussione (..) risultano avere una conoscenza solo indiretta, appresa de relato da terzi e limitata a pochi fatti di rilievo marginale, secondo quanto si ricava dalle dichiarazioni rese dagli stessi nel corso delle indagini interne (cfr. dichiarazioni allegate sub docc. 33 e 36 fascicolo A.), sicché le relative deposizioni non potrebbero in alcun modo colmare in via risolutiva le lacune del compendio probatorio.


Superfluo si ritiene pure il confronto tra i testi escussi, sollecitato da A. S.p.a. (in particolare tra C., S., L.V. e C., nonché tra C. e Z.).


Infatti, come emerge dai verbali di causa, il Tribunale ha già rappresentato ai testi, nel corso dei rispettivi esami, le divergenze tra le loro dichiarazioni e quelle rese da altri testi, sicché il ricorso allo strumento del confronto ex art. 254 c.p.c. si risolverebbe in una mera duplicazione di incombenti già svolti, priva di sostanziale utilità e comportante un ritardo ingiustificato nella decisione della causa.


Per tutte le ragioni esposte il reclamo proposto da A. S.p.a. deve essere respinto.


Passando all'esame del reclamo proposto da A.M.D.G., il Collegio reputa infondato il primo motivo, inerente la dedotta violazione dell'art. 54 bis d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165.


Detta norma, per quanto qui interessa, dispone al comma 1 che "il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), o denuncia all'autorita' giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui e' venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo' essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione. L'adozione di misure ritenute ritorsive, di cui al primo periodo, nei confronti del segnalante e' comunicata in ogni caso all'ANAC dall'interessato o dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale le stesse sono state poste in essere. […]".


Il comma 2 precisa che "ai fini del presente articolo, per dipendente pubblico si intende il dipendente delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, ivi compreso il dipendente di cui all'articolo 3, il dipendente di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile. La disciplina di cui al presente articolo si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica".


Contrariamente alla tesi di A.M.D.G., ad avviso del Collegio l'art. 54 bis, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 non consente di ritenere nulli gli atti datoriali aventi effetti negativi per il dipendente, per il semplice fatto di essere successivi alle segnalazioni di illeciti da parte di quest'ultimo, salvo prova contraria a carico del datore di lavoro.


La norma, infatti, non modifica le regole di riparto dell'onere della prova, né introduce una presunzione relativa di correlazione causale tra segnalazione e adozione di misure aventi effetti negativi per il dipendente. Essa dispone la nullità di ogni misura datoriale che sia "determinata dalla segnalazione", ossia che trovi la propria ragione fondante nell'avere il lavoratore effettuato la segnalazione.


L'onere della prova in ordine al nesso di derivazione tra segnalazione e misura pregiudizievole grava interamente sulla parte che lo allega, alla stregua della regola generale di riparto dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., non derogata dalla disposizione speciale in esame.


Poste queste premesse di carattere generale, si ritiene che, nel caso concreto, A.M.D.G. non abbia offerto idonea prova del fatto che il provvedimento di destituzione adottato da A. S.p.a. sia stato determinato dalle segnalazioni del medesimo inerenti la sussistenza di gravi illeciti relativi alla duplicazione di biglietti, abbonamenti e tagliandi della sosta.


La prospettazione del lavoratore al riguardo appare carente già sotto il profilo assertivo, così come non risulta puntuale la confutazione degli argomenti esposti dal giudice di prime cure a fondamento del rigetto della domanda.


Oltre a doversi condividere il rilievo del Tribunale circa l'insufficienza del mero collegamento temporale tra le denunce di cui il lavoratore si è reso autore ed il procedimento disciplinare di cui è causa, si osserva altresì che anche il dedotto collegamento temporale appare quanto mai debole, atteso che, pacificamente, le prime segnalazioni di A.M.D.G. risalgono al 2014.


E' documentalmente provato che A. S.p.a. abbia dato costante riscontro alle segnalazioni del dipendente (cfr. docc. 44, 47, 60 e 61 fascicolo A. di primo grado), si sia attivata al fine di approfondire e verificare gli illeciti dallo stesso denunciati ed abbia adottato misure sanzionatorie nei confronti del personale di cui è stata accertata la responsabilità (cfr. docc. da 49 a 58 fascicolo A. di primo grado).


Per contro, il lavoratore non ha allegato, né offerto di provare, fatti idonei a comporre un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti, dai quali possa fondatamente evincersi, quanto meno in via presuntiva ex art. 2729 c.c., l'esistenza di un nesso tra le segnalazioni effettuate ed il procedimento disciplinare di cui è causa.


Da tutto ciò deriva l'infondatezza dell'esaminato motivo di gravame.


Infondato si ritiene anche il secondo motivo, inerente l'asserita nullità del licenziamento per mancanza della relazione disciplinare scritta ex art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 e per tardività e/o rinuncia e/o decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare e comunque per violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.


Quanto al primo profilo, A. S.p.a. ha tempestivamente prodotto in atti, sin dalla costituzione nella fase sommaria del giudizio di primo grado, la relazione ex art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 a firma del responsabile gestione personale, L. G. (cfr. doc. 11 fascicolo A. di primo grado).


Come evidenziato dal giudice di prime cure, stralci della relazione sono riportati nell'atto di opinamento della destituzione dal servizio dell'8 febbraio 2019 (cfr. doc. 32 fascicolo A.M.D.G. di primo grado)


Alla luce di ciò, nonché della testimonianza resa da L. G. avanti il Tribunale (cfr. verbale di udienza in data 5 ottobre 2020), non vi sono elementi che inducano a dubitare che la predisposizione della relazione sia avvenuta in un momento antecedente rispetto all'adozione del provvedimento di opinamento della destituzione dal servizio, in conformità al modello procedimentale delineato dall'art. 53 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.


E' poi pacifico e documentalmente provato che A.M.D.G. abbia preso visione degli allegati alla relazione in data 29 marzo 2019 (cfr. doc. 25 fascicolo A. di primo grado), come da facoltà riconosciuta dall'art. 56 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, il che esclude qualsivoglia compromissione delle garanzie di difesa del lavoratore ed esclude pertanto la nullità del procedimento e del provvedimento conclusivo.


Si richiama al riguardo la pronuncia resa da questa Corte in fattispecie analoga (sentenza n. 625/2022, pres. Ravazzoni, est. Cuomo, allegata sub doc. B5 fascicolo A.), le cui motivazioni sono integralmente condivise dal Collegio e devono intendersi qui integralmente richiamate ai sensi e per gli effetti dell'art. 118 disp. att. c.p.c..


Detta pronuncia ha statuito quanto segue: "ciò che garantisce ulteriormente la tutela del lavoratore è proprio la consultazione degli atti su cui si fonda la contestazione e quindi l'opinamento di destituzione dal servizio.


Ebbene, è incontestato che il lavoratore, dopo aver investito il Consiglio di Disciplina, abbia avuto piena visione della documentazione sulla quale si fonda il provvedimento espulsivo.


L'eventuale assenza della relazione in contestazione non inficia la legittimità della procedura disciplinare come delineata dall'art. 53, non scaturendo da detta assenza alcuna compromissione delle garanzie del lavoratore.


Del resto lo stesso lavoratore non ha spiegato in che termini l'eventuale assenza della relazione nel fascicolo disciplinare abbia inciso negativamente sulle sue garanzie.


Detta conclusione trova conforto nella stessa giurisprudenza di legittimità in materia.


Ed infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13804/2017, ha ritenuto la nullità del procedimento disciplinare non tanto per l'assenza pacifica della relazione ma piuttosto per l'assenza della documentazione delle indagini svolte in relazione alle quali, dopo la notifica dell'opinamento, possono essere presentate dall'incolpato nuove giustificazioni".


Quanto all'asserita violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, le difese del lavoratore si limitano ad un mero rinvio "a quanto già dedotto in sede di introduzione della prima fase, da intendersi quivi richiamato e ritrascritto" (cfr. pagina 73 del reclamo), senza svolgere alcuna argomentazione che confuti e contrasti le ragioni addotte dal giudice di prime cure a fondamento della pronuncia di rigetto di tale censura.


Il motivo è dunque, per questa parte, inammissibile, giacché esso non enuncia neppure le ragioni di dissenso rispetto al percorso motivazionale adottato dal primo giudice.


Per completezza si osserva che la pronuncia del Tribunale sul punto appare del tutto condivisibile e merita di essere confermata.


Il lasso di tempo intercorso tra la contestazione dell'addebito disciplinare e la comunicazione del provvedimento di destituzione dal servizio adottato dal Consiglio di disciplina non è in alcun modo sintomatico di rinuncia all'esercizio del potere disciplinare da parte della società, né comporta alcuna decadenza o violazione dell'art. 54 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, che peraltro attiene al funzionamento del Consiglio di disciplina e comunque non stabilisce termini perentori.


Come ritenuto anche dal giudice di prime cure, il tempo intercorso tra il ricorso proposto dal lavoratore al Consiglio di disciplina (22 febbraio 2019, cfr. doc. 18 fascicolo A. di primo grado) e la pronuncia da parte di quest'ultimo (20 gennaio 2020, cfr. doc. 46 fascicolo A.M.D.G. di primo grado) non è addebitabile ad A. S.p.a., che nessun ruolo aveva nella costituzione dell'organismo e che, al riguardo, aveva avvertito il lavoratore, con lettera del 13 marzo 2019, "che al momento il suddetto Organo è in fase di rinnovo da parte dei competenti Enti Esterni, ai quali peraltro la Società ha già evidenziato la necessità di provvedere in tempi celeri.


Tuttavia, allo stato, la Società scrivente non è in grado di fornirLe indicazioni circa la tempistica della nomina del nuovo Consiglio di Disciplina (non dipendendo in alcun modo dalla stessa) e, conseguentemente, non è dato di conoscere quando il Suo ricorso potrà essere oggetto di trattazione e di conseguente valutazione" (cfr. doc. 22 fascicolo A. di primo grado).


Quanto al periodo compreso tra la contestazione disciplinare (22 giugno 2018) e l'adozione dell'opinamento della destituzione dal servizio (8 febbraio 2019), A. S.p.a. ha disposto la sospensione del procedimento disciplinare dal 12 luglio 2018 (cfr. doc. 6 fascicolo A. di primo grado) al 7 febbraio 2019, in attesa degli sviluppi del procedimento penale.


Il lavoratore non ha allegato alcun pregiudizio conseguente alla sospensione della procedura disciplinare, sicché va condivisa la valutazione del Tribunale – in alcun modo censurata in sede di reclamo - secondo cui l'anzidetta sospensione non integra, in ogni caso, un vizio di gravità tale da determinare la nullità del licenziamento.


L'esaminato motivo di gravame deve essere, dunque, respinto.


Merita invece accoglimento il terzo motivo, inerente la sospensione dal servizio e dalla retribuzione disposta da A. S.p.a. ai sensi dell'art. 46 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, con richiesta di pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo dal 21 febbraio 2019 (data in cui è stata comunicata l'anzidetta sospensione, unitamente alla conferma dell'opinamento della destituzione dal servizio, cfr. doc. 16 fascicolo A. di primo grado) al 2 gennaio 2020.


L'art. 46 r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 stabilisce che "Gli agenti sottoposti a procedimento penale per uno dei reati che dànno luogo alla destituzione o che comunque trovinsi in istato d'arresto, o siano implicati in fatti che possano dar luogo alla retrocessione od alla destituzione, possono, a giudizio insindacabile di chi ne ha la facoltà a termini dell'alinea seguente, essere sospesi in via preventiva dal soldo e dal servizio. La sospensione preventiva è di massima disposta dal direttore.


La sospensione preventiva dura, di regola, finché sia cessata o risolta la causa che la motivò.


Però gli agenti sospesi in via preventiva possono in ogni tempo e a giudizio dell'azienda essere destinati temporaneamente, dietro loro domanda o consenso, finché dura il relativo procedimento disciplinare, ad attribuzioni diverse od anche inferiori a quelle inerenti al proprio grado, conservando in tal caso lo stipendio o paga, sempre che l'agente non risulti tassativamente e scientemente colpevole.


Alla famiglia dell'agente sospeso dallo stipendio o paga in via preventiva spetta un assegno alimentare corrispondente alla metà dello stipendio o della paga per la durata della sospensione, comprese le indennità fisse. La concessione dell'assegno alimentare è facoltativa per l'azienda, in caso di arresto non dovuto a causa di servizio.


Nel caso di sospensione disposta per procedimento disciplinare o per arresto dovuto a cause di servizio, l'agente ha diritto all'indennizzo di quanto ha perduto per effetto della sospensione, sempreché sia assolto per non aver commesso il fatto, per inesistenza di reato o perché il fatto non costituisce reato".


Il giudice di prime cure ha ritenuto legittima la sospensione dal servizio e dalla retribuzione di A.M.D.G. poiché, in allora, il lavoratore era sottoposto a procedimento penale per il reato di minacce, ossia per un fatto che poteva dar luogo alla destituzione o alla retrocessione.


L'assunto si ritiene corretto.


Nondimeno, occorre considerare che il provvedimento di destituzione dal servizio, in funzione del quale era stata disposta la sospensione preventiva ex art. 46 cit., è risultato illegittimo (come accertato dallo stesso Tribunale) e che per i medesimi fatti il lavoratore è stato anche assolto in sede penale "perché il fatto non sussiste", con la richiamata sentenza del Tribunale di Milano n. 8496/2021, divenuta irrevocabile il 23 dicembre 2021.


Entrambe le circostanze, ad avviso del Collegio, fondano il diritto del lavoratore alle retribuzioni maturate nel periodo di sospensione.


Ciò discende in primo luogo dall'applicazione dell'art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148, sopra richiamato: dal momento che A.M.D.G. è stato assolto in sede penale perché il fatto non sussiste, egli, in forza di tale norma, "ha diritto all'indennizzo di quanto ha perduto per effetto della sospensione", ossia alle retribuzioni non percepite durante il periodo di sospensione.


Alle medesime conclusioni si perviene anche considerando che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (che il Collegio condivide), la sospensione preventiva ex art. 46 cit. costituisce una misura cautelare di carattere provvisorio, che può essere adottata in presenza di cause tipizzate (cfr., ex multis, Cass. 16 gennaio 2017 n. 855 e precedenti ivi richiamati).


La natura cautelare ed interinale della misura ne evidenzia la strumentalità rispetto alla sanzione disciplinare della retrocessione o della destituzione, sicché, quando quest'ultima – come nel presente caso – risulti illegittima e sia annullata, viene meno anche la causa che ha fondato la sospensione, con conseguente diritto del lavoratore di percepire le retribuzioni medio tempore maturate.


In conclusione, alla luce delle considerazioni tutte che precedono, dirimenti ed assorbenti di ogni altra questione, in parziale riforma della sentenza di primo grado A. S.p.a. va condannata a corrispondere ad A.M.D.G. le retribuzioni maturate dal 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020 ex art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148.


Vanno confermate le restanti statuizioni di merito contenute nella sentenza gravata, con la precisazione che il provvedimento di destituzione dal servizio di A.M.D.G. è stato adottato da A. S.p.a. in data 20 gennaio 2020 (cfr. doc. 46 fascicolo A.M.D.G. di primo grado) e non in data 2 gennaio 2020 come indicato, per errore materiale, nella parte dispositiva dell'ordinanza resa all'esito della fase sommaria del procedimento ex art. 1, comma 47 e ss., legge 28 giugno 2012 n. 92.


Il regolamento delle spese di lite segue il criterio della soccombenza e, considerato il valore della causa e rilevata l'assenza di attività istruttoria nel presente grado di giudizio, le stesse si liquidano come da dispositivo, in applicazione del d.m. 10 marzo 2014 n. 55, come modificato dal d.m. 13 agosto 2022 n. 147 (€ 7.000,00 per il primo grado, comprensivo della fase sommaria, ed € 4.000,00 per il secondo grado) con distrazione in favore del difensore ex art. 93 c.p.c..


In ragione dell'integrale rigetto del reclamo proposto da A. S.p.a., si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della società, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228.



P.Q.M.

- in parziale riforma della sentenza n. 2305/2022 del Tribunale di Milano, condanna A. S.p.a. a corrispondere ad A.M.D.G. ex art. 46, ultimo comma, r.d. 8 gennaio 1931 n. 148 le retribuzioni maturate dal 21 febbraio 2019 al 2 gennaio 2020, con interessi legali e rivalutazione monetaria dalle scadenze al saldo;


- conferma le restanti statuizioni di merito contenute nella sentenza gravata;


- condanna A. S.p.a. a rifondere ad A.M.D.G. le spese di lite di ogni fase e grado del giudizio, che liquida in complessivi € 11.000,00 oltre rimborso forfettario per spese generali (15%) ed oneri accessori di legge, con distrazione in favore del difensore ex art. 93 c.p.c.;


- ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di A. S.p.a., dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.


Milano, 27 febbraio 2023