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venerdì 16 dicembre 2011

Licenziamento sentenza cassazione 30.11.2010, n. 24243


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

MOTIVI DELLA DECISIONE

P.Q.M.

Corte di Cassazione Sentenza n. 24243/2010
(OMISSIS)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza in data 17.10/16.11.2006 la Corte di appello di Torino, in parziale accoglimento dell'appello proposto da L.P. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Alessandria in data 14.12.2004, dichiarava l'inefficacia del licenziamento orale intimato a L.P. da R.P.C. il 12.10.2001.

Osservava in sintesi la corte territoriale che gli esiti dell'istruttoria confermavano la sussistenza del licenziamento verbale e, quanto alla richiesta di differenze retributive per l'esercizio di mansioni superiori, che la qualifica riconosciuta trovava piena corrispondenza nelle mansioni svolte, che non determinavano nemmeno, quale normale incombenza, il maneggio del denaro.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso L.P., affidandolo a sei motivi, illustrati con memoria.

Resiste con controricorso e ricorso incidentale la società CR a r.l..

MOTIVI DELLA DECISIONE



1. Con il primo ed il secondo motivo, proposti ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente lamenta violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 36, 112, 113 e 416 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2) e vizio di motivazione, osservando che, sebbene la domanda introduttiva del processo riguardasse solo il licenziamento orale, il datore di lavoro, nel costituirsi in giudizio, aveva richiesto, in via riconvenzionale, di dichiararsi la legittimità del licenziamento intimato in data 9/12.11.2001, con conseguente ampliamento del thema decidendum.

Con il terzo ed il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 6 e vizio di motivazione e rileva, al riguardo, che la corte territoriale aveva confermato la validità del licenziamento scritto, in quanto non impugnato tempestivamente, sebbene gli atti di causa deponessero per il contrario.

Con gli ultimi due motivi, infine, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione degli artt. 2103 e 2099 c.c. e dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, nonchè vizio di motivazione, osservando che la corte territoriale aveva omesso di considerare il complesso dell'attività svolta dal lavoratore, ed, in particolare, le ulteriori mansioni confermate dallo svolgimento dell'istruttoria.

Con ricorso incidentale, la società CR si duole, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all'art. 2697 c.c., che la corte territoriale, con inadeguata motivazione, aveva ritenuto provata la sussistenza del licenziamento orale del 12.10.2001. 2. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

3. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, che, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Ha osservato la corte territoriale che, col ricorso introduttivo di primo grado, il ricorrente aveva impugnato il licenziamento orale comunicatogli il 12.10.2001, chiedendone che ne venisse dichiarata la nullità, ma non anche il licenziamento intimatogli per iscritto in data 9.11.2001, non avendo mai formulato domande con riferimento a quest'ultimo.

Ha trascurato, tuttavia, di considerare che il datore di lavoro, costituendosi in giudizio, aveva proposto domanda riconvenzionale per fare "accertare e dichiarare la legittimità del licenziamento per giustificato motivo/giusta causa intimato al ricorrente in data 9- 12.11.2001...", domanda che era stata contestata dal ricorrente, e che, pertanto, era entrata a far parte del tema controverso e di decisione.

Il giudice di primo grado, per come risulta dalla decisione impugnata, aveva ritenuto inammissibile questa domanda, per essere il ricorrente decaduto dalla relativa impugnazione, ed, a fronte della contestazione, in sede di appello, della statuizione (sia sotto il profilo della tempestività dell'impugnazione, che della sua fondatezza, nel merito, per essere l'assenza giustificata dal precedente licenziato orale), la corte piemontese non poteva, pertanto, esimersi dal deliberare sulla stessa, in quanto oggetto di rituale decisione nella precedente fase del giudizio e di rituale impugnazione in sede di gravame.

La sentenza impugnata va, pertanto, in parte qua cassata, con conseguente assorbimento del terzo e quarto motivo.

4. Infondati sono, invece, il quinto ed il sesto motivo.

Giova, al riguardo, rammentare come, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, la determinazione dell'inquadramento spettante al lavoratore alla stregua delle qualifiche previste dalla disciplina collettiva di diritto comune si articola in una attività interpretativa complessa che postula l'individuazione dei criteri generali ed astratti caratteristici delle singole categorie o qualifiche alla stregua della disciplina collettiva del rapporto (senza trascurare l'interpretazione delle più specifiche disposizioni eventualmente contenute in accordi aziendali e ponendo in evidenza le caratteristiche distintive tra le attività lavorative riconducibili all'una e all'altra), l'accertamento, quindi, delle mansioni effettivamente svolte e, infine, la loro comparazione con le previsioni della disciplina pattizia (v. ad es. ex plurimis Cass. n. 3069/2005; Cass. n. 5942/2004; Cass. n. 12555/1998).

Ritiene la Corte che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali criteri, apparendo l'apprezzamento delle circostanze di fatto emerse nel corso dell'istruttoria adeguato e logicamente coerente sia rispetto al contenuto delle declaratorie contrattuali (anche con riferimento ai relativi profili professionali, la cui valutazione è stata opportunamente valorizzata), sia con riguardo all'individuazione stessa dei caratteri delle mansioni svolte.

In particolare la corte territoriale, puntualmente verificando gli esiti dell'istruttoria, ha accertato che il ricorrente si era costantemente occupato della contabilità aziendale e della vendita dei gioielli, ma non anche del loro acquisto (cui provvedeva direttamente il titolare della ditta) e che tali attività, che, peraltro,non determinavano, quale sua "normale mansione", il maneggio del denaro per riscossioni e pagamenti, risultavano pienamente riferibili al livello di inquadramento allo stesso riconosciuto, dal momento che fra i profili professionali del terzo livello del contratto collettivo di settore (impiegati) risultavano compresi quelli di "contabile" e di "impiegato addetto alla vendita".

Ha, altresì, esaminato le ulteriori attività evidenziate dal ricorrente (in particolare la circostanza che gli operai della ditta, in caso di mancanza di qualche pietra, potevano rivolgersi allo stesso per segnalargli il fatto e chiederne altre, che egli sceglieva fra quelle già presenti nel magazzino) ma ha escluso che anche tali compiti, che non riguardavano i rapporti con i terzi, implicassero lo "svolgimento di funzioni direttive....con discrezionalità di poteri..." e, ancor più, lo svolgimento di "attività di coordinamento della produzione fondamentale dell'impresa o...di alta specializzazione ed importanza ai fini dello sviluppo e della realizzazione degli obiettivi aziendali", per come rispettivamente richiesto dalle declaratorie contrattuali ai fini dell'inquadramento nel secondo e nel primo livello.

Ne discende che la corte territoriale, lungi dal non prendere in considerazione il complesso delle attività svolte dal ricorrente, per come, invece, si prospetta in ricorso, ne ha fornito, alla luce di una ricostruzione del materiale istruttorio e di una interpretazione della normativa contrattuale che non evidenzia alcuna carenza logica o giuridica, una diversa valutazione, tale da escludere che il L. potesse qualificarsi (per come si afferma testualmente in ricorso) "in concreto, un alter ego del datore di lavoro", o, in altri termini, che lo stesso agisse non solo con autonomia operativa, ma con discrezionalità di poteri e capacità di incidere sulle strategie fondamentali dell'impresa.

Ed, al riguardo, giova ribadire che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall'art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto il giudice di merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe, in realtà, che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità, risultando del tutto estraneo all'ambito di operatività del vizio di motivazione la possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l'autonoma propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. ad esempio da ultimo Cass. n. 11789/2005;

Cass. n. 4766/2006). Giusto in quanto l'art. 360 c.p.c., n. 5 "non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all'uopo, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione" (così SU n. 5802/1998), non incontrando, al riguardo, il giudice di merito alcun limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le allegazioni che, sebbene non menzionati specificatamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. ad es. Cass. n. 11933/2003; Cass. n. 9234/2006).

Sulla base di tali principi, la sentenza impugnata risulta immune dalle censure denunciate.

5. Non meritevole di accoglimento è il ricorso incidentale.

Osserva, in proposito, la società intimata che da nessuna delle testimonianze evidenziate dalla corte piemontese emerge con univocità che il licenziamento è stato intimato solo oralmente.

Deve constatarsi, tuttavia, che il diverso apprezzamento operato dalla corte territoriale, risultando giustificato, con adeguata motivazione, attraverso la coordinata valutazione del complesso delle testimonianze acquisite al giudizio (che sono apparse idonee ad instaurare un collegamento fra l'estromissione di fatto del lavoratore e l'ingresso in azienda dei figli del titolare), fa sì che la censura appaia, in realtà, finalizzata ad introdurre una diversa lettura del materiale istruttorio, incompatibile con la funzione di legittimità, e, peraltro, nemmeno documentata con la trascrizione dei materiali istruttori che si assumono erroneamente valutati, per come imposto dal canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.

6. In relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio ad altro giudice di pari grado, il quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbiti il terzo ed il quarto, rigetta il quinto ed il sesto; rigetta, altresì, il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Torino in diversa composizione.