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lunedì 12 marzo 2012

APPREZZAMENTO DI FATTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE - RIGETTO - CASS., SEZ. LAVORO, SENTENZA N. 1416 DEL 31.01.2012

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Milano, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di D.F. proposta nei confronti di N.G. e delle società in epigrafe indicate con la quale, previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con i convenuti dal 13 ottobre 1982 al 23 ottobre 1995, chiedeva pronunciarsi l'illegittimità del licenziamento intimatogli con conseguente applicazione della tutela reale o obbligatoria e la condanna degli stessi al pagamento del risarcimento del danno in relazione all'infortunio sul lavoro occorsogli il 23 ottobre 1992.

La Corte del merito poneva a fondamento del decisum il rilievo secondo il quale il D. non aveva fornito la dimostrazione della natura subordinata del rapporto di lavoro in quanto i capitoli di prova articolati al riguardo erano generici non risultando precisato il contenuto ed il genere delle direttive impartite. Nè sottolineava la Corte territoriale vi era deduzione circa la sottoposizione a controlli.

Avverso questa sentenza il D. ricorre in cassazione sulla base di quattro censure.

Le parti intimate non svolgono atività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo" violazione di norme di diritto (art. 111 Cost.)" formula il seguente quesito: "è rilevante ai fini di giudicare sulla natura subordinata della prestazione la prova che abbia ad oggetto: la durata del rapporto, l'orario lavorativo; l'ammontare e la periodicità della retribuzione; il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa; la presenza del datore sul luogo; l'annotazione, da parte del datore di lavoro delle presenze giornaliere, l'emissione di ordini e di sanzioni disciplinari; il licenziamento verbale, la proprietà delle attrezzature e dei mezzi. Il rigetto della prova sulle indicate circostanze (cui consegua il rigetto della domanda che su essa si fonda) lede il diritto alla prova, costituzionalmente tutelato". Il motivo è infondato.

Con la censura in esame, infatti, il ricorrente pur deducendo una violazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, in sostanza domanda a questa Corte un apprezzamento di fatto sulla idoneità o meno della articolata prova a dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro.

Una tale accertamento però non è consentito, nell'attuale ordinamento processuale, a questa Corte di legittimità la quale, sotto il profilo del vizio di motivazione, e non certo di quello concernente la violazione di legge, può solo controllare la correttezza logico-giuridica dell'iter argomentativo posto a base della valutazione da parte del giudice di merito della affermata genericità della prova articolata.

Del resto, e vale la pena di osservarlo, ancorchè apprezzata dal giudice del merito come generica la prova dedotta non essendo specificato in cosa siano consistite le direttive del datore di lavoro e gli asserti controlli, nulla in proposito il ricorrente deduce limitandosi a richiamare genericamente, quali oggetto di prove, gli elementi che caratterizzano, secondo i principi affermati da questa Corte, la subordinazione, ma senza specificare il concreto atteggiarsi di tali elementi rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio. Con la seconda censura il ricorrente denuncia motivazione contraddittoria su punto decisivo della controversia " (se il rapporto di lavoro sia subordinato)".

La censura non è scrutinabile in quanto risulta formulata in violazione dell'art. 366 bis c.p.c. non potendosi ritenere soddisfi la prescrizione di cui alla richiamata norma di rito la mera indicazione del fatto su cui si appunta la critica concernente il vizio di motivazione, atteso che oltre al mero fatto il ricorrente deve indicare, in una sintesi riassuntiva simile al quesito di diritto, le ragioni che rendono, in caso d'insufficienza, inidonea la motivazione a1 giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorietà, non coerente la motivazione (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063). Sintesi questa che nel caso de quo difetta del tutto.

Con la terza critica il ricorrente, allegando violazione di norme di diritto(art. 111 Cost.)" pone il seguente quesito: "il cumulo in unica azione, dei titoli di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, impone la valutazione autonoma della fondatezza delle due domande, fondate su elementi costituivi differenti:

consegue che il ritenuto difetto di elemento costitutivo di una domanda (in specie la subordinazione del rapporto di lavoro, rilevante nel giudizio di responsabilità contrattuale) non può influire sul rigetto dell'altra e che, qualora su essa la parte abbia indicato prova essa doveva essere ammessa". La critica non è fondata.

Invero il ricorrente omette del tutto d'indicare il distinto elemento costitutivo che egli avrebbe posto a base dell'altra asserita autonoma domanda, tale non potendosi, certamente, intendere il mero richiamo alla responsabilità extracontrattuale.

Con l'ultima censura il ricorrente, prospettando violazione di norme di diritto (art. 111 Cost.)", articola il seguente quesito:

"l'ammissione della prova non può dipendere da inverosimiglianza della circostanza oggetto della prova".

La censura è inammissibile per genericità del quesito difettando qualsiasi riferimento la caso concreto ed alla diversa ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata. Questa Corte ha, difatti affermato che, a norma dell'art. 366 bis c.p.c., non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un'enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420), ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l'errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759).

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Nulla per le spese non avendo le parti intimate svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.