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giovedì 26 aprile 2012

Occupazione di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno . Trib. di Bologna sent. del 28.06.2011

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con decreto di citazione del 07/01/11 il P.M. in sede esercitava l'azione - penale nei confronti di VA.Gi., imputato del reato ex art. 22, comma 10 (rectius, come poi corretto, comma 12) D.Lgs. n. 286/98. All'odierna udienza, nella dichiarata contumacia del VA., assunta la prova testimoniale ammessa alla precedente udienza del 22/03/11, le parti, dopo aver concordemente rinunciato all'ulteriore teste di lista, hanno concluso come da verbale.

Ritiene questo giudice che sia stata acquisita la prova del reato ascritto al VA., inerente l'assunzione alle proprie dipendenze di GO.St., cittadino straniero, privi di permesso di soggiorno.

Invero, il teste AI.Mi., in servizio presso la Stazione C.C. di omissis, ha riferito che in data 07/08/07, proprio presso la caserma doveva essere eseguito un trasloco, per il quale era stato richiesto l'intervento della ditta FE.TR. s.r.l., legalmente rappresentata da VA.Gi. Come di consueto - e per evidenti motivi di sicurezza -, si procedeva, quindi, all'identificazione di tutti coloro che accedevano all'interno degli uffici: si appurava, così, che tra i lavoratori ivi condotti dal VA. figurava anche GO.St., cittadino straniero (proveniente dalla omissis: cfr. verbale di ispezione redatto nella medesima data del 07/08/07 dall'Ispettorato del Lavoro, contattato dalle forze dell'ordine), il quale, all'esito delle verifiche del caso, risultava non solo sprovvisto di permesso di soggiorno, ma già raggiunto da decreto di espulsione.

Tali essendo gli elementi acquisiti, devono ritenersi integrati gli estremi del reato contestato. Al riguardo, posto che la sussistenza di un rapporto di lavoro tra il GO., cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno, ed il VA. (legale rappresentante della sopra indicata ditta di traslochi) è chiaramente desumibile dalle circostanze di fatto constatate dalla P.G., che, in occasione del trasloco da effettuare proprio presso la caserma, hanno per l'appunto identificato il GO. quale lavoratore del VA. e da questi per tale motivo ivi condotto, va solo precisato che, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, non assume rilievo, ai fini della configurabilità del reato in esame, l'accertamento della effettiva tipologia e durata del contratto di lavoro. Infatti, come chiarito dalla S.C., il concetto di occupazione che figura nell'art. 22 T.U. Imm., si riferisce all'instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sé integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell'attività in questione (Cass. 26/03/08, n. 15463; Cass. 08/02/05, n. 8661).

Meramente ipotizzata (siccome non allegata nemmeno dall'imputato) è, poi la circostanza che il VA. potesse non sapere della condizione di clandestinità del GO.: d'altra parte, una siffatta ignoranza non potrebbe comunque giovare al VA., giacché, in qualità di datore di lavoro, egli era obbligato a denunciare i lavoratori alle proprie dipendenze e, perciò stesso, a verificare, ove stranieri, la sussistenza dei presupposti di legge per l'instaurazione di un regolare rapporto di lavoro (per contro, il GO. non era nemmeno iscritto al libro matricola: cfr. verbale di ispezione citato).

Pertanto, affermata la penale responsabilità di VA.Gi. in ordine al reato contestato, venendo al trattamento sanzionatorio, ritiene il giudicante che non ricorrano margini per la concessione di attenuanti generiche, tenuto conto dei precedenti che figurano a carico dell'imputato, non rilevandosi, per il resto, dagli atti elementi di sorta che valgano a mitigare il disvalore del fatto.

Per l'effetto, valutati i parametri tutti di cui all'art. 133 c.p. ed applicato l'art. 22, comma 12 D.L.vo n. 286/98 nella formulazione vigente all'epoca dei fatti (che prevedeva una fattispecie contravvenzionale), più favorevole rispetto all'attuale (che contempla una fattispecie delittuosa), si stima equo condannare l'imputato alla pena di mesi tre di arresto e di Euro 5.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Non sussistono, infine, gli estremi per la concessione della sospensione condizionale della pena sopra inflitta, avendo il VA. già fruito di detto beneficio in relazione a pregressa condanna, cui, tuttavia, è seguita ulteriore condanna. Deve, infatti, rilevarsi che, come precisato dalla S.C., l'art. 164, ultimo comma, c.p., che prevede e disciplina in via di eccezione ("tuttavia") la possibilità di concedere per la seconda volta il beneficio della sospensione condizionale, in base al cumulo della pena da infliggere con quella irrogata con la "precedente condanna", concerne esclusivamente l'ipotesi, come rivelato dall'uso del singolare, che solo la condanna sospesa preceda quella da infliggere. Devesi, pertanto, escludere che la norma del detto ultimo comma possa trovare applicazione nella diversa ipotesi in cui siano state irrogate altre condanne non sospese prima di quella da infliggere, senza che abbia rilevanza alcuna la natura dei reati o delle pene cui si riferiscono le condanne intermedie. D'altra parte, la irrogazione di ulteriori condanne, dopo quella sospesa, esclude la possibilità di una prognosi favorevole circa la condotta futura dell'imputato (Cass. 12/12/96, n. 8167; Cass. 14/06/94, n. 8833).

P.Q.M.

Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara VA.Gi. responsabile del reato ascrittogli, e, per l'effetto, lo condanna alla pena di mesi tre di arresto ed Euro 5.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.