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lunedì 7 maggio 2012

Legittimazione degli organismi sindacali ex art. 28 - Cass. sent. n. 11741 del 06.06.2005

Svolgimento del processo

Nell'ottobre del 1997 l'Associazione S. R. proponeva ricorso ex art. 28 l. n. 300/1970 denunciando come antisindacale il comportamento posto in essere dalla RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a., che sarebbe consistito nella ripetuta violazione dei diritti di informazione del sindacato, previsti dall'art. 34 del c.c.n.l. giornalistico, in occasione del licenziamento per giusta causa, in data 2.9.1993, del giornalista E.M., della disposta cessazione, in data 30.11.1993, del distacco a Londra del giornalista G.I. e del licenziamento per giusta causa del medesimo in data 11.2.1994 e del nuovo licenziamento dello stesso in data 15.9.1994 (nonchè della violazione dell'intesa RAI-Usigrai del 29 novembre 1993, in occasione delle contestazioni disciplinari all'I.). L'associazione ricorrente concludeva chiedendo, tra l'altro, di dichiarare l'antisindacalità dei comportamenti denunciati, di "nullificare" e privare di efficacia i citati provvedimenti di trasferimento e di licenziamento e di ordinare la reintegrazione dei suindicati lavoratori nel posto di lavoro, di ordinare la cessazione del comportamento illegittimo e la pubblicizzazione dell'emananda sentenza mediante i telegiornali della fascia serale, per tre sere di seguito.

Il ricorso era dichiarato inammissibile per la mancanza del requisito di attualità del comportamento denunciato come antisindacale.

L'opposizione proposta dall'associazione sindacale, a cui aderivano detti lavoratori con intervento adesivo, era rigettata dal Tribunale di Roma, che riteneva intervenuta l'acquiescenza al comportamento datoriale, dimostrata dal tempo trascorso tra la conoscenza da parte dell'organizzazione ricorrente delle lamentate violazioni e la proposizione del ricorso.

Contro questa sentenza proponeva appello l'Associazione S. R. e al giudizio partecipavano nuovamente i due lavoratori, oltre alla RAI, che, tra l'altro, riproponeva l'eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva della associazione appellante e faceva valere il giudicato esterno (asseritamente) formatosi nei giudizi di impugnazione dei due licenziamenti, nei quali i lavoratori avevano visto rigettate le loro domande.

La Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 29.10.2002, procedeva alla verifica della sussistenza dell'attualità della condotta antisindacale denunciata, presupposto dell'esperibilità dell'azione ex art. 28 l. n. 300/1970.

In punto di diritto osservava che l'azione ex art. 28 non è di per sè soggetta a termini di proponibilità e tuttavia la conformazione del procedimento al modello del procedimento di urgenza e a tempi di tutela "in fase" del diritto violato implica che la legge richiede una sorta di contemporaneità tra condotta antisindacale o antisciopero e procedimento interdittale reintegratorio; che, inoltre, tanto maggiore è lo scarto tra il tempo della condotta denunciata e la data di proposizione della denuncia di antisindacalità, tanto maggiore è la necessità di allegazione e prova degli elementi di attualità in forza dei quali lo strumento processuale adottato ha ragione di essere invocato. Una procedura d'urgenza adottata a distanza di anni dal fatto denunciato come violazione del diritto di per sè si propone come azione diversa dal modello processuale sul quale quella azione è modellata.

In punto di fatto rilevava, che, mentre l'organizzazione ricorrente sosteneva di avere avuto conoscenza della violazione dei diritti di informazione solo nei primi mesi del 1997, grazie ad una lettera dei due giornalisti licenziati, in realtà i licenziamenti e il trasferimento disposti anni prima della denunciata omissione di informazione avevano costituito eventi di tale rilevanza nella realtà associativa e nella realtà aziendale in cui l'Associazione S. R. è radicata che non potevano essere restati ignoti all'Associazione stessa. Sarebbe stato quindi necessario costruire la domanda in maniera massimamente esplicita sugli effetti e sulla attualità degli effetti della omessa informativa formale e poi fornire coerenti allegazioni e formulare coerenti richieste istruttorie in punto di attualità presente e reale dell'interesse ad agire in azione interdittale.

Se è denunciata una condotta a (pretesi) effetti permanenti a distanza notevole dal tempo delle azioni o delle omissioni relative, è necessaria una molto puntuale indicazione, corredata di adeguate richieste istruttorie, degli effetti permanenti producenti le conseguenze ultrattive rilevanti per legge.

In difetto di tutte queste precisazioni e richieste l'appello doveva essere respinto. Peraltro, le azioni individuali di impugnativa dei licenziamenti avevano petitum, causa petendi e soggetti attivamente legittimati ad agire completamente diversi e quindi in questa prospettiva era stata inutilmente richiamata nell'atto di appello la concettualizzazione degli effetti riflessi.

Contro questa sentenza, depositata il 29.10.2002, l'Associazione S. R. propone ricorso per Cassazione fondato su un unico motivo, notificato il 24.10.2003 alla RAI e ai due lavoratori.

Ricorre sulla base di due motivi anche il M." con atto notificato il 29.10.2003.

L'I. ha proposto ricorso incidentale "ex art. 371, 2^ comma, c.p.c.", affidato a un motivo e notificato il 3.12.2003.

La Rai resiste con tre separati controricorsi e con gli stessi ha proposto distinti ma analoghi ricorsi incidentali condizionati affidati a due motivi.

La Rai ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. - I sei ricorsi devono essere riuniti (art. 335 c.p.c).

2. - Il ricorso dell'Associazione S. R. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 28 l. n. 300/1970, degli artt. 1173 e segg. e 1218 e segg. c.c.; degli artt. 1362 e segg. c.c. nell'interpretazione dell'art. 34 del c.c.n.l. di lavoro giornalistico; dell'art. 2697 c.c., dell'art. 116 e dell'art. 414 c.p.c., unitamente a omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Premesso che elemento decisivo ai fini della proponibilità dell'azione di repressione della condotta antisindacale è la sussistenza di effetti ultrattivi del comportamento sindacale denunciato, si deduce che in effetti, diversamente da quanto assunto dal giudice a quo, i profili di ultrattività della condotta erano stati esplicatati e addirittura condivisi dal giudice di primo grado.

D'altra parte la Rai non aveva provato che la violazione dei diritti di informazione, in occasione dei licenziamenti di M. ed I., fosse nota alle organizzazione sindacali interessate fin dal momento della "consumazione" dei licenziamenti medesimi. Ed era incoerente con le risultanze istruttorie (documentazione in atti) e con gli oneri probatori gravanti sulla Rai l'affermazione secondo cui tali eventi non potevano essere restati ignoti all'Associazione.

Peraltro risultava dalla documentazione che la RAI aveva tuttora in dispregio i diritti di informazione sindacale, avendo ripetutamente ribadito, in sede giudiziale ed extragiudiziale, di non essere tenuta ad alcun obbligo informativo in caso di adozione di provvedimenti disciplinari.

Si lamenta che il giudice di merito abbia confuso l'attualità della condotta, presupposto dell'azione ex art. 28, con la tempestività della reazione, che invece non è richiesta, i tempi della reazione appartenendo all'ambito delle valutazioni del sindacato circa le modalità dell'esercizio dei propri poteri di autotutela: ciò che rileva è che il comportamento sia ancora in atto o che ancora permangono i suoi effetti lesivi della libertà e delle attività del sindacato o del diritto di sciopero.

Peraltro, quando sussiste un diritto delle organizzazioni sindacali di essere informate o interpellate, la violazione di tale obbligo lede un diritto del sindacato e integra un comportamento antisindacale in re ipsa. E l'inadempimento perdura fin quando non sia eseguita la prestazione dovuta. Inoltre nel caso in esame la perdurante vigenza dei provvedimenti adottati in violazione degli obblighi di informazione perpetua fino alla loro completa rimozione gli effetti pregiudizievoli. Sussiste quindi la violazione dell'art. 28 e, comunque, vizio di motivazione circa la ritenuta non permanenza degli effetti pregiudizievoli lamentati dalla ricorrente, consistenti nella permanente vigenza dei provvedimenti adottati in violazione degli obblighi di informazione ex art. 34 c.c.n.l. giornalistico, cioè con la sottrazione al sindacato della facoltà di controllo della legittimità dell'esercizio del potere. Opinando diversamente ne deriverebbe l'impossibilità del ricorso all'art. 28 a fronte di violazioni di tale genere.

Nè il giudice di appello aveva motivato in ordine alla ripetuta affermazione della RAI di non ritenersi vincolata ad alcun obbligo informativo riguardo ai licenziamenti disciplinari, comportamento che confermava l'efficacia ultrattiva della condotta della azienda.

Segue richiesta di decisione nel merito, con esame di tutte le questioni, comprese le eccezioni non esaminate dalla Corte d'appello.

3. - Il primo motivo del ricorso del M. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 28 l. n. 300/1970, degli artt. 1173 e 1218 c.c., degli artt. 1362 c.c., in relazione all'art. 34 del c.c.n.l. giornalistico, unitamente a omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo.

Si lamenta la violazione del principio per cui neanche il trascorrere di un notevole lasso di tempo dal verificarsi della condotta impedisce l'esperibilità dell'azione, e del principio che l'attualità della condotta antisindacale è ravvisabile anche quando è esaurita la singola azione antisindacale, se il comportamento illegittimo del datore di lavoro è idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue; deduce comunque vizio di motivazione quanto all'affermazione che l'Associazione S. R. non aveva potuto ignorare gli eventi in questione. Sottolinea che gli effetti del comportamento omissivo tenuto dalla RAI dovevano ritenersi in atto per tutto il tempo in cui perdurava la sottrazione al sindacato del suo diritto di consultazione e di controllo delle scelte imprenditoriali. Peraltro l'esautorazione del sindacato da posizioni soggettive anche solo di carattere procedimentale incide sulla sua sfera patrimoniale, intesa in senso civilistico, e quindi anche sul suo diritto all'immagine e al rispetto della sua funzione.

Nella specie l'inosservanza dell'obbligo di informazione e consultazione del comitato di redazione era indice della volontà datoriale espressamente dichiarata di sottrarsi all'applicazione della regola procedimentale in tutti i casi analoghi di licenziamento di giornalisti per ragioni disciplinari.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., dell'art. 2967 c.c., unitamente a omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo.

Si specifica la censura avente ad oggetto l'affermazione del giudice di merito riguardo alla notorietà dei fatti di causa e alla necessaria conoscenza degli stessi da parte dell'Associazione S. R..

4. - Il ricorso dell'I. denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 28 l. n. 300/1970, degli artt. 1173 e 1218 c.c., degli artt. 1362 e segg. c.c., in relazione all'art. 34 del c.c.n.l. giornalistico, dell'art. 116 c.p.c., dell'art. 2967 c.c. e dell'art. 414 c.p.c., unitamente a omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo.

Si lamenta la violazione del principio secondo cui l'azione ex art. 28 può essere proposta anche molto tempo dopo l'inizio della condotta illegittima, purchè il comportamento denunciato sia ancora in atto e ancora permangano gli effetti lesivi della libertà e dell'attività del sindacato.

5. - La RAI in via pregiudiziale eccepisce l'inammissibilità del ricorso dell'I., rilevando che esso è stato erroneamente qualificato come ricorso incidentale proposto dalla parte chiamata ad integrare il contraddittorio, poichè la parte era stata destinataria di un ordinario ricorso da parte dell'Associazione S. R., hi realtà si tratta di ricorso incidentale rivolto ad ottenere la cassazione della sentenza per le stesse ragioni già fatte valere dal ricorrente principale (c.d. ricorso adesivo), l'interesse al quale non sorge per effetto dell'impugnazione altrui ma in conseguenza della sentenza: allo stesso quindi non sono applicabili i termini dell'impugnazione incidentale tardiva ma gli ordinali termini di impugnazione.

Ne rileva l'inammissibilità anche sotto il profilo che il ricorso rivolge censure nei confronti della sentenza di primo grado e si limita in sostanza ad un mero richiamo ai motivi svolti dall'Associazione S. R..

6. - Il primo motivo del ricorso incidentale condizionato della Rai denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 28 l. n. 300/1970 in relazione agli artt. 100 e 112 c.p.c., omessa pronuncia su un'eccezione ritualmente sollevata e comunque rilevabile d'ufficio, carenza o contradditorietà di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Si censura (e vi si ravvisa un error in procedendo) il fatto che il giudice di merito non abbia esaminato la questione relativa alla sussistenza o meno della legittimazione attiva dell'organizzazione ricorrente ex art. 28, sulla base della tesi che la stessa rimaneva assorbita dalla soluzione data alle questioni inerenti alla struttura dell'azione. Per quanto eventualmente rilevi in questo giudizio di legittimità, si argomenta in ordine p-alla fondatezza dell'eccezione sollevata sul punto, rilevandosi che dagli statuti dell'Associazione S. R. e della Federazione nazionale della stampa italiana si evince che la prima, benchè "aderente" alla seconda, non è qualificabile come organismo locale della stessa.

Si lamenta anche il mancato esame dell'eccezione di difetto di legittimazione attiva formulata sotto il profilo dell'esercizio di un diritto di pertinenza del comitato di redazione di una testata giornalistica della Rai.

Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 28 l. n. 300/1970 anche in relazione all'art. 2909 c.c. e agli artt. 112 e 324 c.p.c., nullità della sentenza o del procedimento per mancata pronuncia su un'eccezione ritualmente proposta, carenza o contradditorietà di motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. Ciò in relazione all'ipotesi che la Corte di merito abbia rigettato l'eccezione connessa al passaggio in giudicato della pronuncia di rigetto della domanda individuale del M., quando ha rilevato che le azioni individuali di impugnativa dei licenziamenti o del trasferimento avevano petitum, causa petendi e attore legittimato ad agire completamente diversi da quelli dell'azione sindacale ex art. 28 l. n. 300/1970.

Sul punto si sostiene l'inaccettabilità della teoria del c.d. parallelismo delle azioni in quanto se ne deduca la possibilità che il lavoratore, dopo aver visto accertata in sede individuale la legittimità del licenziamento (in ipotesi anche sotto il profilo della non antisindacalità del provvedimento), possa conseguire un accertamento di antisindacalità intervenendo nel giudizio promosso dal sindacato.

7. - In relazione all'eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dall'I., deve preliminarmente ricordarsi che, in effetti, nel procedimento ex art. 28 l. n. 300/1970, cui sono legittimati solo gli organismi sindacali specificati dalla medesima disposizione di legge, il singolo lavoratore concretamente interessato all'accoglimento del ricorso può solo spiegare intervento adesivo dipendente e, conseguentemente, non è legittimato ad impugnare autonomamente la sentenza che abbia provveduto in ordine al ricorso (cfr. Cass. 6 marzo 2003 n. 3343 e Cass. 1^ giugno 2004 n. 10530). Coerentemente, il medesimo soggetto, nella sua qualità di interventore adesivo dipendente, nel giudizio di Cassazione può solo proporre un ricorso incidentale adesivo rispetto a quello proposto dalla parte adiuvata, mentre anche un ricorso proposto in via autonoma dovrebbe appunto essere qualificato come ricorso incidentale adesivo, che sostanzialmente può solo avere una funzione collaterale e subordinata (Cass. 22 febbraio 1996 n. 1410). Deve quindi ritenersi tempestivo anche il ricorso proposto, nel termine fissato dagli artt. 370 e 371 c.p.c., dall'I., il quale in effetti solo a seguito del ricorso principale dell'Associazione della S. R. ha acquisito la legittimazione ad intervenire nel giudizio di Cassazione.

8. - I tre ricorsi proposti contro la Rai devono essere esaminati congiuntamente in quanto i ricorsi dei due lavoratori possono avere solo la funzione di un'adesione alle censure proposte dall'associazione sindacale con il ricorso principale e di una ulteriore illustrazione delle medesime. Peraltro essi concretamente si sono attenuti a detti limiti.

9. - La giurisprudenza di questa Corte è sostanzialmente univoca nel precisare che requisito necessario della speciale azione di repressione della condotta sindacale di cui all'art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300 è l'attualità della condotta o il perdurare dei suoi effetti (Cass., sez. un. 13 giugno 1977 n. 2443; 19 agosto 1987 n. 6946; 8 maggio 1990 n. 3780; 9 febbraio 1991 n. 1364; 5 aprile 1991 n. 3568,16 febbraio 1998 n. 1600), salva la precisazione che il requisito dell'attualità della condotta sindacale, o quanto meno dei suoi effetti, non è escluso dall'esaurirsi della singola azione antisindacale del datore di lavoro, ove il comportamento illegittimo di quest'ultimo risulti, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attività sindacale (Cass. 3 luglio 1984 n. 3894; 2 giugno 1996 n. 8032; 2 giugno 1998 n. 5422; 5 febbraio 2003 n. 1684).

In particolare può essere opportuno rilevare che Cass. n. 1600/1998 (già citata), ampiamente richiamata dalle parti, si pone nell'alveo dell'orientamento dominante, nonostante la precisazione che, di per sè, il ritardo anche notevole della proposizione del ricorso ex art. 28 rispetto all'inizio della condotta antisindacale non determina l'inammissibilità del ricorso stesso, in quanto detta sentenza pur sempre richiede che il comportamento denunciato sia ancora in atto e permangano gli effetti lesivi della libertà e della attività del sindacato e del diritto di sciopero. Semmai, tale pronuncia rappresenta una puntualizzazione rispetto alla precedente sentenza 21 ottobre 1997 n. 0339, che sembra potere avere dato, in sostanza, rilievo di per sè al tempo trascorso tra il sorgere dell'interesse del sindacato e la proposizione dell'azione.

L'orientamento giurisprudenziale in esame è stato motivato con riferimento allo stesso tenore letterale dell'art. 28, che, prevedendo l'emanazione di un ordine di cessazione del comportamento illegittimo o di rimozione degli effetti, presuppone la sussistenza di tale situazione. La sentenza n. 2443/1977 afferma anche che il procedimento in esame, caratterizzato dall'urgenza, deve tendere all'emanazione di pronunce costitutive e non a meri accertamenti. In effetti, quest'ultima puntualizzazione sembra suscettibile di ridimensionamento, sulla base della considerazione che anche un accertamento giudiziale può essere funzionale allo scopo di porre fine ad una situazione di illegittima compressione della libertà sindacale, come del resto ritenuto da questa Corte, sia pure in relazione ad un fattispecie relativa al pubblico impiego (Cass. 8 ottobre 1998 n. 9991).

Valutazioni d'ordine sistematico avvalorano l'orientamento in esame.

Particolare rilievo ha la specialità dell'azione correlata alla specialità dei presupposti di legittimazione attiva. Quest'ultima è riconosciuta solo agli "organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse".

Come è noto, la Corte costituzionale ha ritenuto tale delimitazione non lesiva di principi costituzionali sulla base della considerazione, da un lato, che il procedimento speciale aggiunge una nuova possibilità di tutela in via d'urgenza di interessi collettivi particolarmente qualificati, ma non priva nessuno (associazioni sindacali, lavoratori, datori di lavoro) degli strumenti di tutela, anche giudiziaria, già assicurati dall'ordinamento e, dall'altro, dell'opportunità di limitare l'accesso allo speciale strumento processuale ai soggetti in possesso di indici indicativi della loro maggiore idoneità a individuare le situazioni, di lesione degli interessi collettivi dei lavoratori, rispetto a cui la proposizione di un ricorso ex art. 28 "sia razionalmente funzionale" (Corte cost. n. 54 del 1974, n. 334 del 1988 e n. 89 del 1995; Cass. 27 agosto 2002 n. 12584).

In questo quadro, è un risultato interpretativo acquisito che l'inciso dell'art. 28 "che vi abbiano interesse" non implica che l'organismo sindacale che agisce possa fare riferimento solo ad interessi sindacali della propria associazione o dei propri iscritti (Cass. 26 gennaio 1979 n. 602; 22 aprile 1992 n. 4839). Al contrario ciò che giustifica la legittimazione di ciascuno degli organismi sindacali provvisto dei requisiti di cui all'art. 28 non è, per così dire, in un'ottica atomistica, la tutela di per sè di specifici diritti di rilievo sindacale dei singoli lavoratori o di singole articolazioni sindacali, in deroga al principio di necessaria corrispondenza tra soggetto titolare del diritto e soggetto che agisce per la sua tutela in giudizio, ma il suo interesse al ripristino, nella specifica azienda in cui le condizioni di libertà sindacale e di rispetto dei diritti sindacali siano state lese, del rispetto dei diritti sindacali e della legittima azione sindacale.

Del resto, tale conclusione è del tutto coerente con il principio della completa autonomia, dal punto di vista non solo dei soggetti, ma anche della causa petendi e del petitum, dell'azione ex art. 28 (diretta alla tutela di interessi collettivi ontologicamente e funzionalmente diversi da quelli propri dei singoli lavoratori), rispetto alle azioni proponibili dai singoli lavoratori i cui diritti siano stati lesi dalla stessa azione del datore di lavoro contestata dall'organismo sindacale sotto il profilo della lesione degli interessi collettivi (Corte cost. ord. n. 860 del 1988; Cass. 26 novembre 1984 n. 6131; cfr. anche Cass. n. 10339/1997, cit). E si armonizza anche con il rilievo che l'art. 28 non specifica il contenuto del provvedimento emanatole dal giudice, che è ricavabile dalla sua funzione di assicurare la cessazione della situazione lesiva e la rimozione dei suoi effetti (Cass. n. 8032/1996, cit).

Deve rilevarsi, infine, che indubbiamente l'accertamento circa l'attualità della condotta antisindacale e la permanenza dei suoi effetti costituisce un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da un'adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici (cfr.

Cass. n. 3894/1984, cit.).

10. - Nella specie la Corte d'appello ha compiuto l'accertamento necessario ai fini dell'applicazione del principio di diritto sopra delineato, rilevando che, in effetti, era mancata l'allegazione e la prova di circostanze idonee a evidenziare gli effetti e l'attualità degli effetti della "omessa informativa formale", in relazione ad episodi risalenti a vari anni prima della proposizione dell'azione in giudizio, e il conseguente attuale e reale interesse dell'organismo sindacale ad agire ex art. 28 legge n. 300/1970.

Le censure effettivamente pertinenti, rispetto a tale accertamento, sono quelle - formulate anche sotto il profilo del difetto di motivazione sui punti relativi - basate sull'affermazione che, in caso di violazione del diritto delle organizzazioni sindacali di essere informate o interpellate in relazione a provvedimenti competenza del datore di lavoro, l'inadempimento perdura fin quando non sia eseguita la prestazione dovuta; che nella specie permanevano gli effetti del comportamento antisindacale, stante la perdurante vigenza dei provvedimenti adottati; che l'ultrattività della condotta dell'azienda era insita anche nella sua ripetuta affermazione di non essere vincolata ad alcun obbligo informativo rispetto a licenziamenti disciplinari.

11. - E' in questione un obbligo di consultazione preventiva del sindacato, in concreto del comitato di redazione, il quale, secondo il testo dell'art. 34 del contratto nazionale di settore, trascritto nel ricorso principale, ha tra l'altro il compito di "esprimere pareri preventivi e formulare proposte sugli indirizzi tecnico- professionali, la fissazione degli organici redazionali e i criteri per la loro realizzazione - con particolare riferimento a quanto previsto dall'art. 4 (situazione occupazionale) - anche in rapporto alle esigenze dei singoli settori della redazione, l'utilizzazione delle collaborazioni fisse, gli orari, i trasferimenti, i licenziamenti, i mutamenti e l'assegnazione di mansioni e qualifiche ed ogni iniziativa che riguardi l'organizzazione dei servizi anche con riferimento all'autonomia della testata ai fini del miglioramento del giornale e possa avere riflessi sui livelli occupazionali, anche in relazione agli strumenti da attivare per il graduale riassorbimento della disoccupazione di settore".

Riguardo ad un obbligo di consultazione preventiva (insito nella previsione di un parere preventivo), appare evidente che l'inadempimento del datore di lavoro nei confronti del sindacato si perfeziona e si manifesta definitivamente nel momento in cui è adottato il provvedimento che avrebbe dovuto essere preceduto dalla consultazione. In linea di principio nello stesso momento si compie definitivamente il comportamento antisindacale, non essendo successivamente più possibile la formulazione del parere preventivo.

Ciò non toglie, naturalmente, che, l'accertamento dell'elemento dell'attualità del comportamento antisindacale ai fini della promozione dell'azione di cui all'art. 28 l. n. 300/1970 possa essere basato su una valutazione globale non limitata al singolo episodio, secondo i criteri precedentemente illustrati.

Nella specie, però, da parte dei ricorrenti non è stata evidenziata la sottoposizione al giudice di merito di circostanze effettivamente sintomatiche del fatto che gli episodi in questione si fossero inseriti in un quadro di più generale compressione delle libertà sindacali e delle funzioni, anche consultive, del comitato di redazione, e, particolarmente, che gli episodi avessero inciso, per aspetti ancora sussistenti all'epoca della proposizione del ricorso all'art. 28, sul prestigio del comitato di redazione e del sindacato e sulla possibilità del primo di esercitare le sue funzioni anche consultive.

In effetti non è stato neanche offerto qualche indizio del fatto che il comitato di redazione si ritenesse effettivamente interessato alla formulazione dei pareri preventivi di cui ora si lamenta la mancata richiesta e si fosse sentito leso nelle proprie prerogative a seguito di tali omissioni. Peraltro l'accertamento del giudice di merito circa la conoscenza delle vicende di causa già all'epoca dei fatti da parte dell'Associazione S. R. - adeguatamente motivato sulla base della valutazione logica di elementi indiziari quali il risalto dato all'epoca alle vicende dalla stampa e la rilevanza delle vicende stesse a livello aziendale e per l'associazione sindacale, e inadeguatamente censurato visto che non sono stati oggetto di specifica considerazione gli elementi valutati dalla Corte di merito e si è lamentata la mancata valorizzazione di dichiarazioni stragiudiziali non aventi particolare valore probatorio, ovvero si è semplicemente richiamata la motivazione della sentenza di primo grado - implica indubbiamente anche l'accertamento in merito alla conoscenza delle stesse vicende da parte dei comitato di redazione.

Del resto nello stesso ricorso principale si cita un verbale siglato in sede di commissione paritetica, in connessione alle contestazioni in corso circa le spese di trasferta, contenente l'impegno dell'azienda di dare "entro breve termine comunicazione circa la decisione delle sanzioni disciplinari". 12. - La tesi dei ricorrenti secondo cui avrebbe dovuto attribuirsi rilevanza nella specie agli effetti permanenti degli intervenuti licenziamenti (aspetto su cui la Corte d'appello in effetti ha motivato) non può ritenersi fondata, in difetto della deduzione di elementi di antisindacalità specifica dei provvedimenti e della incidenza degli stessi sullo svolgimento delle attività sindacali.

Al riguardo neanche è rilevante l'ipotesi che la mancanza del parere preventivo del sindacato possa incidere sulla validità degli atti di recesso, poichè si tratterebbe di aspetto attinente alla tutela dei diritti individuali dei singoli lavoratori.

Nè è valida l'obiezione secondo cui, se non si attribuisse rilevanza agli effetti permanenti dell'atto emanato dal datore di lavoro con omissione del parere preventivo del sindacato, le pattuizioni che prevedono tale parere rimarrebbero sfornite di praticabili mezzi di tutela. Infatti, come si è già visto, la valutatone complessiva delle finalità e degli effetti di comportamenti antisindacali in se stessi già compiuti può portare a ritenere ammissibile l'azione di repressione antisindacale anche successivamente al loro compimento e in situazioni del genere è configurabile anche l'emanazione di un divieto di continuazione dell'attività antisindacale (Cass. n. 3894/1984, cit). Peraltro anche pronunce dichiarative possono essere funzionali alla tutela delle libertà e prerogative sindacali (v. retro). D'altra parte la non tipizzazione legale dei provvedimenti adottabili dal giudice ai fini della rimozione degli effetti potrebbe consentire anche pronunce dirette alla rimozione degli atti compiuti dal datore di lavoro, con l'ordine al medesimo di effettuare la consultazione prima di nuovamente provvedere. Tuttavia dovrebbero valutarsi tutte le circostanze concrete, comprese quelle attinenti all'impossibilità o alla non proporzionalità di questo rimedio in ragione della natura dei provvedimenti adottati dal datore di lavoro, del tempo trascorso, ecc. 13. - Non è ravvisabile il vizio di motivazione consistente nell'omesso esame di un fatto decisivo con riguardo alla formulazione da parte della Rai della tesi secondo cui l'obbligo di consultazione di cui all'art. 34 del c.c.n.l. non è riferibile anche ai licenziamenti disciplinari.

Concretamente tale tesi interpretativa sarebbe stata opposta, unitamente ad altre considerazioni, in una riunione della Commissione paritetica Rai-Usigrai del 30.7.1997, avente ad oggetto le contestazioni poi formulate nei confronti della Rai con il ricorso ex art. 28, nonchè nell'ambito di altre difese nelle fasi di merito di questo giudizio.

Tali circostanze, sopravvenute a distanza di vari anni dai fatti, non possono di per sè ritenersi decisive ai fini di una valutazione circa l'attualità degli effetti del comportamento (in ipotesi) antisindacale. Al riguardo deve anche tenersi presente che il dubbio interpretativo in questione riguarda una ben delimitata questione specifica (non esaminata dal giudice di merito perchè assorbita) che non coinvolge in linea generale le funzioni e il ruolo del comitato di redazione e concretamente incide su comportamenti che eventualmente dovrà adottare il datore di lavoro ove se ne presenti la concreta occasione e non anche su facoltà direttamente esercitagli dal sindacato o dai lavoratori e sul normale svolgimento dell'attività sindacale.

Deve rilevarsi che non è concretamente rilevante, stante l'esito del giudizio, il problema (prospettato dalla difesa della Rai nella discussione orale e in astratto meritevole di approfondimento) relativo alla compatibilità (o alle condizioni di compatibilità) con i principi in tema di riservatezza di una norma contrattuale che preveda un obbligo di consultazione di una rappresentanza sindacale anche in merito all'adozione di provvedimenti disciplinari.

14. - In conclusione, il ricorso principale dell'Associazione S. R. e i ricorsi adesivi dei due lavoratori devono essere rigettati. Rimangono assorbiti i ricorsi incidentali della Rai.

Si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta i ricorsi proposti dall'Associazione della S. R., da M. E. e da I. G., assorbiti i ricorsi incidentali della Rai- Radiotelevisione italiana; compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2005.