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mercoledì 18 settembre 2013

Sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore

Secondo la sentenza in commento, la sopravvenuta impossibilità anche parziale della prestazione lavorativa per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore a svolgere le mansioni assegnategli viene a costituire giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non avendo il datore di lavoro l'obbligo di mantenere il dipendente in servizio attribuendogli mansioni compatibili con le sue residue e inferiori capacità lavorative, qualora ciò comporti una modificazione dell'assetto organizzativo dell'impresa.

Sentenza Cassazione, sez. lavoro, n. 6378/2003
OMISSIS
Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Napoli in data 12 ottobre 1999 G. C. conveniva in giudizio il Q. chiedendo che venisse dichiarato illegittimo il licenziamento intimatogli e che venisse ordinata la sua reintegrazione nel posto di lavoro con condanna al risarcimento del danno come previsto per legge.

Con sentenza in data 20 luglio 1999 il Pretore adito rigettava la domanda.

Con sentenza in data 4 giugno 2001 il Tribunale di Napoli rigettava l'appello del Caramiello avverso la sentenza pretorile osservando che, sin da quando era stato assunto, il lavoratore era stato adibito in seno al Quartier Generale con mansioni promiscue di carico e scarico e non già come aiutante di cucina o come fattorino NATO, essendo stato, peraltro, impiegato in queste ultime mansioni soltanto per 11 giorni mentre era in attesa di essere licenziato a causa delle sue condizioni di salute che non gli consentivano più di svolgere le mansioni in precedenza occupate.

Il Tribunale aggiungeva che attraverso l'espletata istruttoria era risultato che il Q. e non avrebbe potuto utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con le sue accertate e minorate condizioni fisiche e che, pertanto, era stato costretto a licenziarlo.

Il Caramiello ricorre per cassazione con unico articolato motivo.

Resiste il Q. con controricorso.

Motivi della decisione

Con l'unico articolato motivo di ricorso il Caramiello deduce che il Tribunale di Napoli con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e con violazione e falsa applicazione di norme di diritto aveva omesso di valutare che egli di fatto svolgeva le mansioni di aiutante di cucina e non già di aiutante per il carico e scarico e che il giudice di merito, altresì, aveva omesso di indagare sulla complessa organizzazione del datore di lavoro al fine di accertare che il ricorrente era utilizzabile in seno all'organizzazione in mansioni compatibili con la sua ridotta capacità lavorativa.

Il ricorrente aggiunge che non era stata valutata la circostanza che il medesimo, dopo l'accertamento eseguito dall'Istituto di Medicina del Lavoro, era stato utilizzato per sei mesi in mansioni compatibili con le sue condizioni fisiche e che ai sensi dell'art. 13 dello Statuto dei lavoratori tali mansioni erano divenute definitive.

Il proposto ricorso è infondato.

A norma dell'art. 1 della legge 15 luglio 1966, n. 604 il generale limite imposto alla libertà di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro a tempo indeterminato è costituito dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento.

La giusta causa va individuata, a norma dell'art. 2119 c.c., nell'inadempimento del lavoratore che sia tanto grave da non consentire nemmeno in via provvisoria la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il giustificato motivo è disciplinato dall'art. 3 della legge n. 604 del 1966 e viene distinto in giustificato motivo soggettivo e in giustificato motivo oggettivo.

Il giustificato motivo soggettivo, al pari della giusta causa, trova la sua fonte in un inadempimento del lavoratore notevole, ma non così grave da costituire giusta causa di licenziamento.

Il giustificato motivo oggettivo, invece, prescinde dall'inadempimento del lavoratore, essendo determinato da ragioni inerenti "all'attività produttiva, alla organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa".

Esso, quindi, comporta il prevalere del diritto dell'imprenditore alla tutela della libertà della sua iniziativa economica privata, prevista dall'art. 41 Cost., primo comma, sull'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto e, quindi, sulla conservazione del suo posto di lavoro.

Rientra nel giustificato motivo oggettivo la sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa o per carcerazione del lavoratore o per sua sopravvenuta inidoneità fisica a svolgere le mansioni assegnategli (v. Cass. 23 agosto 1997 n. 7908).

Trattasi in tale ultimo caso di inidoneità parziale del lavoratore che, anche secondo la Corte Costituzionale (v. sentenza 4 maggio 1984 n. 130), consente al datore di lavoro senza che tale facoltà possa essere sospettata di contrarietà ai principi costituzionali, di licenziare il lavoratore senza obbligo di mantenerlo in servizio in mansioni che tengano conto delle sue minorate condizioni fisiche, così come imponeva l'art. 20 della legge 2 aprile 1968, n. 482 per i lavoratori assunti in quanto invalidi.

Ne consegue che deve ritenersi legittimo il licenziamento del lavoratore, la cui prestazione sia divenuta parzialmente impossibile, qualora il datore di lavoro non possa adibirlo a mansioni equivalenti a quelle per le quali lo assunse, non essendo egli tenuto, per mantenerlo in servizio, a modificare l'assetto organizzativo adibendo il lavoratore a mansioni compatibili con le sue residue e inferiori capacità lavorative.

Nella specie il Tribunale, con motivazione adeguata e immune da vizi logici, aveva rilevato che l'accertata inidoneità, fisica del Caramiello in riferimento al posto di lavoro ricoperto al momento della sua assunzione aveva comportato la di lui inutilizzabilità anche per i posti di aiutante di cucina, addetto al movimento merci e addetto alle pulizie, tutte mansioni di fatica che richiedevano il medesimo dispendio di energie.

Ne consegue che la censura del lavoratore circa la mancata valutazione da parte del Tribunale della sua residua capacità lavorativa per l'utilizzo in mansioni compatibili con le sue residue capacità lavorative non tiene conto del fatto che il datore di lavoro non era tenuto, una volta che aveva accertato di non nutrire un apprezzabile interesse a tale residuale utilizzo, a mantenerlo in servizio con innegabile aggravio dell'assetto organizzativo e dei costi.

Pertanto, una volta che il lavoratore non ha contestato l'accertamento della sua sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni che egli svolgeva al tempo dell'eseguito accertamento medicolegale, ormai coperto dal giudicato interno ai sensi dell'art. 329 c.p.c., secondo comma, è rimasta non contestata e non più contestabile la legittimità dell'intimato licenziamento per giustificato motivo oggettivo sulla base delle considerazioni offerte dal Tribunale di Napoli e fatte oggetto da parte del ricorrente soltanto di censure in fatto non proponibili in questa sede di legittimità, in quanto concernenti l'accertamento eseguito dal giudice di merito circa l'inesistenza di posti disponibili in organico per mansioni equivalenti a quelle occupate in precedenza dal lavoratore, posto che doveva ritenersi escluso il diritto del medesimo a ricoprire mansioni superiori.

Il proposto ricorso va, perciò, rigettato.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma il 26 novembre 2002.